lunedì 30 settembre 2013

SCENA2

SCENA2
Nevroshockingiochi
- Onlyfuckingnoise/Il Verso Del Cinghiale/Charity Press/Canalese Noise/Eclectic Polpo/Hysm?/Neon Paralleli/Fabrizio Testa Produzioni/Narvalo Suoni/V4V-Word - 2013  

Registrato e prodotto dal veterano Fabio Magistrali che in molti già conosceranno per la sua carriera ultraventennale da produttore di successo al fianco di quel seminale gotha rock nostrano ben rappresentato da Afterhours, Ritmo Tribale, Bugo, Six Minute War Madness, A Short Apnea, R.U.N.I., Cristina Donà, Scisma, Perturbazione, così, giusto per citarne alcuni, SCENA2 è l'ennesima scommessa del barbuto head chief del Magister Mob Studio il quale nei Nevroshockingiochi trova l'ennesimo buon motivo per tornare sulle scene con un lavoro, al solito, mai allineato con quanto già ampiamente reperibile sul mercato. Dal canto suo la band marchigiana offre all'ascoltatore un violento, quanto utile impatto sonoro capace di fungere da stimolo e non da limite ai propri ascolti, chiedendo anzi ai più attenti uno sforzo ulteriore per andare alla ricerca della chiave di lettura dell'intero lavoro. Qua infatti nessuno ha pensato di fare qualcosa di diverso da quanto registrato per vendere qualche copia in più, ma tutto è stato sviluppato in funzione del proprio gusto e, se mi permettete, della propria estetica. Si comincia con la claustrofobica destrutturazione dissonnante di Piccoli Omicidi Fatti In Casa, perfetta colonna sonora da montaggio seriale che sa omaggiare i Primus, per poi passare alla frenetica urgenza declamatoria intenta a muovere Senza Lingua. Il Ritmo Spastico dell'omonimo brano filtra voci e rumori di fondo attraverso una consapevole meccanica industriale ben assemblata pure nella strumentale Reset e che del resto fa pesantemente capolino in quasi tutto l'album. Anche quando la voce si fa più riconoscibile perché non oberata da sovrastrutture musicali (Tempi Morti, la visionaria ciNECROnica) mai scompare quel senso di inafferrabile malessere indotto da una ossessiva ripetitività cadenzata, fredda e glaciale. Inaspettato, il quasi intermezzo L'Arte Del Poker pare invece una versione metallurgica e ampiamente riveduta della storica Fuori Dal Tempo, autentico passepartout per i Bluvertigo di METALLO NON METALLO. Paragone azzardato? Può darsi, eppure al pari del gruppo brianzolo agli esordi anche i Nevroshockingiochi percorrono imperterriti una strada per nulla facile. La detonazione sonica di Asces(s)i è noise colato nel metallo fuso, rumore grezzo incanalato attraverso macchinari analogici negli stampi in cui verrà successivamente battuto e piallato; Col-lasso Di Tempo e La Regola Delle 3 S O Dello Sbiancamento Dell'Anima nulla tolgono e nulla aggiungono a quanto già messo in luce precedentemente, se non fornire una ulteriore scarica di furia hardcore disturbata e martellante. Compressa in poco più di trenta minuti l'esperienza del quintetto maceratese è la giusta evoluzione del precedente album d'esordio L'IMPERFETTO STORICO cosicché dopo l'autoproduzione è arrivato anche il tempo delle sinergie. Fiancheggiati ora da una decina di etichette indipendenti non nuove a esperienze artistiche di questo tipo, i Nevroshockingiochi di SCENA2 tracciano anche a livello di produzione un solco rispetto al loro stesso passato e, nell'immanenza del presente, gettano le fondamenta per costruire il futuro. In un trionfo di autonomia e determinata voglia di fare. This is Art-Core.
 

venerdì 27 settembre 2013

CAPITAN CONFUSIONE

CAPITAN CONFUSIONE
Cosimo Messeri
- Music Valley Records - 2013

Nato a Fiesole, ma romano d'adozione Cosimo Messeri, figlio del più noto attore Marco, dopo aver collaborato  sui set cinematografici in compagnia di Nanni Moretti e Carlo Mazzacurati, decide poco più che ventenne di esporsi personalmente dietro la macchina da presa. Inizialmente lo fa attraverso il cortometraggio Zeldman e, qualche tempo dopo, nel 2009, facendosi carico di riportare sotto i riflettori per mezzo dell'approfondito documentario musicale The One Man Beatles la storia bizzarra e ormai dimenticata di Emitt Rhodes, songwriter americano già frontman dei Merry-Go-Round, con un successiva carriera solista che lo vedrà per anni lottare contro la diceria di essere, nella migliore delle ipotesi, un perfetto clone di Paul McCartney, se non addirittura solo nome di fantasia scelto in terra d'Albione per consentire l'uscita sotto mentite spoglie di un buon numero di canzoni (le sue!) considerate preziosi inediti provenienti dagli archivi dei baronetti di Liverpool e immessi sul mercato dopo lo scioglimento dei Beatles. Pettegolezzi che avrebbero ridotto presto al silenzio un personaggio schivo e introverso come Rhodes. Già musicista con i Plastic Macs, Messeri torna invece oggi al mai sopito amore per la musica con un articolato album d'esordio che professa tutta la sua stima e ammirazione sincera nei riguardi di Lennon e compagni. Tutti e quattro indistintamente. Non a caso la chitarra slide dello spensierato singolo Il Mio Transit (protagonista anche più avanti in Evviva La Ferrovia) cita amorevolmente quella celeberrima My Sweet Lord di un George Harrison ancora poco avvezzo ai successi solisti, ma sempre essenziale nelle trame musicali intessute dalla coppia Lennon-McCartney. CAPITAN CONFUSIONE si mette così a pescare a piene mani fra le pagine di HELP!, REVOLVER e LET IT BE, album crediamo mandati a memoria dall'agitatore culturale fiorentino (Che Te Ne Fai Di Me, Well On The Way, Uba Uba), ripassando nel contempo anche la lezione del working class hero Lennon, quella del teddy boy McCartney e, ultima ma non ultima, quella del greatest Ringo Starr. Ma non si tratta di semplice e pedissequo esercizio di stile. Ai suoni ormai classici della swinging London Messeri, qui one-man-band, aggiunge infatti ampie dosi di stralunata leggerezza e sana follia artistica che sono parti integranti di un progetto nato per gioco e divertimento in sinergia con l'amico produttore Pio Stefanini. Basti pensare ai frequenti intermezzi che si alternano piacevolmente alle canzoni e diventano collante, quando non addirittura storie compiute, per le altrimenti solitarie schegge musicali di un lavoro certo un po' surreale (E Un Giorno Un Occhio), ma con una forte ragione d'essere espressa dal suo autore. Quale sarà il prossimo passo dell'allampanato capitan Confusione? Quale il suo futuro? Uno sguardo alla copertina e tutto si fa tremendamente più chiaro: del resto non si arriva mai tanto lontano come quando non si sa più dove si va.

lunedì 23 settembre 2013

PER LE STRADE RIPETUTE

PER LE STRADE RIPETUTE
Corde Oblique
- The Stones Of Naples Records - 2013

Il primo pensiero dopo l'ascolto di PER LE STRADE RIPETUTE corre ai Saint Just della mai troppo celebrata Jenny Sorrenti; il secondo, più letterario, ci riporta dritti all'Eneide di Virgilio e ai tanti racconti a cavallo tra storia e mitologia che si sono sedimentati nella nostra memoria. I Corde Oblique giungono al loro quinto album con un intento ben preciso: quello di raccontare un magico viaggio attraverso i luoghi più rappresentativi della Campania, loro terra di origine e culla di civiltà. Per farlo suoni (no synths, no keybords) e suggestioni (no samplers) si accompagnano con calibrata misura ai ricordi personali intrecciandosi senza soluzione di continuità a miti e luoghi reali. Capitanato da Riccardo Prencipe, chitarrista classico già fondatore del progetto neofolk Lupercalia, l'ensemble campano, aperto come sempre a numerosi contributi e collaborazioni, si affida questa volta ad un quartetto di voci evocative capaci di condurci per mano attraverso la realtà per entrare in contatto direttamente con il mito. Alle ormai veterane Caterina Pontrandolfo e Floriana Cangiano, già apparse infatti sui precedenti lavori discografici sempre con ottimi risultati, si affiancano per la prima volta le altrettanto suggestive voci di Annalisa Madonna e Lisa Starnini, nomi probabilmente poco noti al grande pubblico eppure da un punto di vista qualitativo del tutto funzionali all'elegante discorso concettuale intrapreso dai Corde Oblique. Tutto qui è essenziale e votato alla causa. Un interludio strumentale come In The Temple Of Echo  ad esempio, registrato presso l'area archeologica di Baia, vicino Napoli, all'interno del tempio di Mercurio sfruttandone il naturale riverbero per quello che, con un volo pindarico, ci ricorda da vicino il portentoso YOUR VERY EYES firmato dal duo Iriondo-Mimmo qualche anno fa presso la chiesa di Santa Maria alle Malve in Matera, diventa altissimo momento lirico, carico di illuminante profondità e misticismo; ponte onirico sospeso su un baratro spazio-temporale infinito e tramite tra due realtà temporalmente distanti anni luce. È questa la sintesi popolare operata da Prencipe e i suoi colleghi; quella di evocare tramite la musica immagini di un mondo scomparso solo agli occhi dei più ciechi, ma che in realtà è ancora lì, vivo, imponente, magari nascosto da cumuli di detriti, pronto tuttavia a parlarci di nuovo mentre silenziosamente ci guarda e giudica nell'incessante fluire delle età. Da Portici a Torre del Greco (Il Viaggio Di Saramago), precipitati nelle profondità psicologiche di Averno, tornati in superficie attraverso le tranquille montagne avellinesi protagoniste in My Pure Amethyst, sostando esausti in compagnia dei Daemonia Nymphe nei pressi del tempio di Era a Paestum (Heraion), dissetati da Le Fontane Di Caserta e pronti per correre a perdifiato al suono delle ariose Due Melodie che contraddistinguono il sentiero degli dei lungo la costiera amalfitana, i Corde Oblique ci immergono in una natura occasionalmente matrigna (Ali Bianche) che ha saputo lasciarsi perlopiù addomesticare dall'uomo ai tempi di una leggendaria età dell'oro. Melodie. Ritmo. Impalpabili sfumature. Anche i piccoli suoni si amplificano per le strade ripetute assumendo una forza comunicativa verace e senza tempo. "Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto." Solo il viaggiatore ha una fine; non altro. Dunque "bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre." È l'eterno ritorno (Uroboro) per mezzo del quale il viaggio non avrà mai termine. Alla Bellezza, d'altro canto, non si può opporre resistenza. 

giovedì 19 settembre 2013

VISIONS FROM REALITIES

VISIONS FROM REALITIES
Active Heed
- autoproduzione - 2013

Al pari di una ottima suite circolare e ben orchestrata c'è nel campo del progressive rock una sorta di inesauribile linfa vitale. Tratta la propria origine da quel coacervo di tensioni e creatività mutuate all'inizio degli anni '70, essa si pone come pietra di paragone per tutti quei compositi fermenti musicali delle decadi successive che hanno consentito al genere una costante permanenza tra i gradimenti degli appassionati, consolidando uno zoccolo duro in lenta, ma continua espansione e accogliendo nel tempo eccitati neofiti. Un continuum che, partendo dai primi Genesis passa immancabilmente attraverso i Marillion di Fish, approda con successo sul Continente e si perpetua oggi al di qua delle Alpi nell'esordio discografico del piacentino Umberto Pagnini. Oltre nove mesi di lavoro per un manieristico album di neo prog non hanno affatto appesantito le trame sonore e le armonie che si intrecciano e scorrono fluide lungo i cinquanta minuti di questo concept album. La storia di Mr.Forest, alle prese con i diversi piani di un reale multiforme, è una sfida che l'uomo lancia a sé stesso nel tentativo di comprendere in ultima istanza la verità su cui poggia il Creato. Delicate atmosfere senza tempo cullano più volte l'ascoltatore in un fatato abbraccio fiabesco che solo improvvise accelerazioni, decise, ma mai brusche, riportano coi piedi per terra al fine di giustificare la consapevolezza della propria missione. Affiancato dall'eclettico bassista tuttofare Lorenzo Poli, qui in veste anche di chitarrista, tastierista e arrangiatore, e dal di lui fidato collega di ritmo Giovanni Giorgi alla batteria, Pagnini si avvale della propria grandeur visiva per imbastire una trama funzionale al racconto. Al norvegese Per Fredrik Åsly in arte PelleK, già visto guidare con buoni risultati i Damnation Angels, spetta il compito di ugola principale con l'avvenente Marit Børresen e Mark Colton, leader dei Credo, preziose voci aggiunte. L'apertura luminosa e leggiadra di Flying Like A Fly  è una delicata introduzione al mondo, percussiva e armoniosa, prima di una serie di brevi composizioni che caratterizzano la parte iniziale del lavoro. L'interlocutoria Awake?!, la ritmata Now What?, i Queen di The Fairy Feller's Master-Stroke che incontrano gli Yes di FRAGILE in Me, Five Seconds Before sono momenti compiuti che si fondono fra loro mantenendo alta l'attenzione, rivelando un lato pop successivamente più accentuato (Forest And Joy) e per nulla disprezzabile anche nella malinconia degli eventi (The Weakness Of Our Spinning). All'orecchio dell'ascoltatore viene chiesto di indugiare forse un po' più a lungo rispetto al solito, ma questa è richiesta opportuna per comprendere anticipatamente la direzione finale che verrà intrapresa dopo l'ossessiva Without Joy quando le canzoni si allungheranno nel minutaggio avvicinandoci alla conclusione della recherche. La cesura di Every Ten Seconds Before, a detta di Pagnini stesso l'episodio che meglio esprime la propria concezione di prog, dimostra come gli Active Heed sappiano anche spingere sull'acceleratore, scendere a compromessi con il folk senza snaturarsi (FFF Flashing Fast Forward) e regalare una scena di memoria psicanalitica come Me, One Second Before Johan Robeck; il limbo di Our Vast Emptiness è una sintesi di ricordi antichi e nuovi, palestra per la memoria, trampolino di lancio verso le profondità della condizione umana. A completare la sinergia tra musica e parole ecco l'immagine de L'Albero Amico, splendida tecnica mista su tela del pittore trevigiano Silvano Braido che contribuisce alla riuscita del lavoro legittimando anche graficamente Pagnini e i suoi collaboratori "ad avere altre leggi e regole fisiche" attraverso una "elevazione da ciò che ormai non ha più diritto di essere" perché priva di quella "carica fantastica" indispensabile nell'approdo ad un destino altro. Visioni. Per chi crede ancora nei miracoli e chiede una via di fuga.
 
un link al presente post è presente qui: http://www.facebook.com/umberto.pagnini.7 e qui: http://www.facebook.com/ActiveHeed

mercoledì 18 settembre 2013

BENE.

BENE.
Carmine Torchia
- Rurale - 2013

Il più piccolo dei pensieri a volte può essere la più grande delle sorprese. Carmine Torchia, 36 anni a novembre, cantautore, architetto, attento osservatore del quotidiano, dalla Presila catanzarese alla post movida milanese giunge con BENE. al suo secondo album dopo il sincero esordio de MI PAGANO PER GUARDARE IL CIELO. Nel mezzo quattro anni di ricerca, ma soprattutto un viaggio unico durato centoventi giorni percorrendo in solitaria le maggiori città italiane con incursioni Oltralpe e in Svizzera, suonando durante il giorno nelle piazze e, la sera, nei locali. 9000 km percorsi, 130 ore di viaggio, molte soddisfazioni e una inesausta curiosità perché "quando non si muovono le cose intorno a te, devi muoverle tu." L'incredibile esperienza del tour Piazze d'Italia (sulle tracce di de Chirico) non può andar dispersa; così sulla scorta degli appunti già condivisi inizialmente in rete eccola diventare presto un libro, ma anche un cortometraggio e addirittura uno spettacolo teatrale. Dare un seguito ad un lavoro sulla lunga distanza talmente articolato e personale richiede come è normale tempo, ma anche cura e attenzione. Torchia, senza pressioni di sorta, si rituffa nel mondo con la sola volontà di non ripetersi, manifestando nel nuovo lavoro un interesse al quotidiano che solo in parte si fa autobiografico. Più che quadri le dieci canzoni così partorite diventano vere e proprie vignette pop in cui l'occhio del cantautore, fisso come d'abitudine sull'agire umano, è in grado di raccontare momenti di pura evasione dalla realtà. Non traggano in inganno le colorate armonie di A Fine Mese, singolo prescelto per far breccia nell'airplay radiofonico, né il rock'n'roll meticcio de La Cinese E L'Italiano (Storia Di Fuga E Rock'n'Roll) o, addirittura, l'immaginario soliloquio di Ma Che Ne So (A Piero Ciampi), scattante come le migliori prove di Max Gazzé; l'essenza di BENE. risiede altrove. È nell'addio metropolitano per pianoforte voce di Tu E Io, commovente e melanconica love song "rubata" a Tricarico; sgomita, borbotta ed emerge in Cuore Ermetico, su quell'ideale crinale che pare si dividano inconsapevolmente fra loro Gino De Crescenzo (alla cui voce nasale il nostro pensiero corre in continuazione) e Andrea Bove. Trova ampio respiro nella cervantesca avventura narrata con Il Bacio Del Ladro e si fa gioco popolare nella filastrocca no global di Dov'è Finito Il Mondo?. Poi a un certo punto, sul far della sera, Carmine, stanco dei rumori della città, sale su in collina, si siede e con lo sguardo rivolto al cielo stellato, le braccia strette attorno alle ginocchia, guarda un po' più in là. Nascono qui la riedizione minimalista de L'Astronomo e soprattutto la poesia universale di Case Popolari, storia fra le storie, ricordo di ricordi che crediamo piacerebbe assai a Niccolò Fabi. C'è ancora tempo per un ultimo, forse inatteso, viaggio. Giorno Dopo Giorno chiude infatti un disco che acquisterà ulteriore spessore dal vivo, con una coda strumentale fra psichedelia e delicato space rock. A frantumare il guscio delle perplessità per questo mix di generi potrebbe bastare uno schiaccianoci. Torchia ce ne offre addirittura due. Anche gli scettici sono serviti. 

lunedì 16 settembre 2013

TRADITORI DI TUTTI

TRADITORI DI TUTTI
Calibro 35
- Record Kicks - 2013

Prima o poi doveva accadere. Dopo una fresca doppietta di album colmi zeppi di riletture, reinterpretazioni e strepitosi omaggi alle colonne sonore anni '70 dei poliziotteschi italiani che possono fregiarsi di vere e proprie eccellenze della Musica in sede compositiva; sperimentate con lusinghieri risultati sonorizzazioni senza rete di romanzi noir (l'ottimo NERO E IMMOBILE in compagnia di Cesare Basile); rilasciati un ep, una raccolta di rarità e la recentissima colonna sonora del film SAID realizzato dal collettivo Drop Brothers; non paghi delle apparizioni sempre più frequenti sui palchi di mezza Europa e Stati Uniti, ecco finalmente, dopo i convincenti approcci alla materia de OGNI RIFERIMENTO A PERSONE ESISTENTI O A FATTI ACCADUTI È PURAMENTE CASUALE, il primo album di soli inediti firmato da quel manipolo di scellerati musicisti della Mala che risponde al nome di Calibro 35. Sono dodici le tracce registrate una volta ancora a Milano, tutte ispirate all'omonimo giallo dell'ormai noto scrittore Giorgio Scerbanenco riportato in auge anche fra i più giovani un lustro fa dagli Afterhours dell'altalenante I MILANESI AMMAZZANO IL SABATO in cui comparve, senza tuttavia mai sbagliare un colpo, proprio il poliedrico Enrico Gabrielli, da sempre fine orchestratore di fitte trame sonore per i suoi partners in crime di stanza nel capoluogo lombardo. Catapultati lungo il Naviglio pavese fin dalle prime note cariche di nebbia e umidità del Prologue restiamo facilmente ammaliati dalla bellezza della fascinosa Giulia Mon Amour, per poi muoverci circospetti con la poderosa Stainless Steel, strumentale versione quasi metal dei Doors post Morrison a braccetto con gli Zu. Spunti, citazioni, riferimenti letterari (la lisergica Mescaline 6, una lasciva The Butcher's Bride, la sospesa Miss Livia Ussaro) si fondono in continuazione con intuizioni musicali che ne supportano la collocazione originaria all'interno della trama scritta da Scerbanenco. Nel corso delle indagini legate al delitto Sompani Duca Lamberti, il funzionario presso la questura di via Fatebenefratelli Carrua e tutti gli altri personaggi del romanzo si muovono a loro agio tra i ritmi funk in levare di You Filthy Bastards! e quelli di hard funk deep purpleiano presenti in One Hundred Guests; evitano di farsi distrarre dall'impetuoso inseguimento metropolitano di Vendetta; non incespicano nel rock teso, venato di grunge di Traitors. Conclusosi l'interludio cinematografico affidato alle Two Pills In The Pocket dal vago retrosapore tex mex, i Calibro 35 puntano diretti al gran finale con l'alienante sperimentazione sincopata di Annoying Repetition, suadente conclusione da B-Movie ritmicamente pulsante. Sembrano non sbagliare un colpo Colliva e compagni. E non ci sono trucchi né inganni. Solo passione. Questo il segreto di una carriera nata forse un po' per gioco, ma che col tempo si è fatta maledettamente sempre più seria. Una storia italiana che si è riappropriata di un patrimonio artistico ben circoscritto e radicato, ma che gode da sempre di ampio respiro internazionale. Gente che conosce la materia, la padroneggia e oggi si prende il lusso di plasmarla a propria immagine. Un'immagine algida, su cui piombano i fari e il lampeggiante di un'Alfa Romeo Giulia.

giovedì 12 settembre 2013

ASPETTANDO I BARBARI

ASPETTANDO I BARBARI
Massimo Volume
- La Tempesta - 2013

Tutto questo non ha nulla a che fare con voi. Lo sguardo penetrante, di sfacciata imperturbabilità, solo apparentemente innocente, della ragazzina dipinta dall'artista statunitense Ryan Mendoza per il ciclo dei suoi Posseduti non poteva divenire cifra grafica migliore per descrivere il ritorno dei Massimo Volume con le nuove, urgenti cronache di ASPETTANDO I BARBARI. L'immagine, calata in una quotidianità privata e borghese, nasconde una morbosità, un'altezzosità di fondo capaci di far nascere in noi un sottile disagio sempre vivo. È un gelido sguardo di sfida, dominante e potente, che nel fissarci ci spoglia mettendo a nudo tutte le nostre ansie e insicurezze, andando a carpire i nostri segreti e le nostre intimità. La pittura è sfida alla nostra immaginazione. Emidio Clementi si accoda a questa consapevolezza e continuando a lavorare con le immagini, sceglie una decina di storie, al solito le più adatte, per proseguire nel solco della sua tradizionale poetica senza rinunciare alla volontà di rinnovare le coordinate della propria musica. Un rinnovamento; non una rivoluzione copernicana. I Massimo Volume riescono a far collimare le esigenze di quel suono elettrico, teso ed intimista al tempo stesso, che abbiamo imparato negli anni ad amare, con inserzioni di elettronica discrete, "impressioniste", senza dubbio funzionali ad arricchire di colori melodie e parole affinché siano le più attuali possibili. È una scommessa con una posta in palio molto alta. "Per cambiare qualcosa, costruisci un modello nuovo che renda la realtà obsoleta." Così si espresse in più di una occasione l'inventore e designer statunitense Richard Buckminster Fuller invitando l'umanità a pensare "fuori dagli schemi"; così visse Danilo Dolci, educatore, poeta e attivista italiano della nonviolenza capace di indicare in concreto una idea apparentemente utopica di progresso che valorizzi l'individuo. Di fronte a brillanti exempla di questo calibro Clementi non resta affatto insensibile, mostrando al contrario rispetto e ammirazione, omaggiandoli rispettivamente con la sferzante Dymaxion Song che cita John Cage e attraverso il cut up di Dio Delle Zecche posto in apertura. Se l'uomo non immagina, si spegne. Una considerazione questa che inconsciamente deve aver sfiorato più volte il cantautore Vic Chesnutt, morto suicida il giorno di Natale di qualche anno fa ed ora eternato nella stridente canzone omonima; un'idea fatta propria forse pure da Silvia Camagni, amica e collaboratrice della band che se ne andò di casa un pomeriggio di maggio / lasciando che il sole sbiadisse tutto quello che era stato. Slanci creativi e storie private. Normali all'apparenza, eppure contagiate da ambiguità e turbamenti che si materializzano in un controllo anche violento della propria vita. Rimando diretto al precedente CATTIVE ABITUDINI è la didascalica narrazione urbana de La Notte, con il suo frenetico immobilismo metropolitano analizzato lucidamente dal soliloquio del protagonista il quale cede il dialogo alle chitarre di Egle Sommacal e Stefano Pilia, in grande spolvero pure sull'altrettanto cinematografico singolo La Cena. In questa incombente inquietudine progettuale Il Nemico Avanza. Ormai è alle porte. Noi lo attendiamo. Consapevoli di dover fare presto e bene. Perché la morte incombe e di tempo ne resta sempre meno.
 

martedì 10 settembre 2013

STORIE MANCATE

STORIE MANCATE
Violacida
- Rock Contest Records/Infecta Suoni & Affini - 2013

Direttamente dalla Lucchesia ecco il disco di debutto per il giovane quartetto dei Violacida. Dopo il piacevole assaggio contenuto nell'ep SIAMO TUTTI POVERACCI e rilasciato lo scorso anno, Antonio Ciulla, Elia "Laszlo" Bartolini, Luca Modena e Francesco Renieri procedono nel loro spensierato percorso artistico destinando all'ascoltatore un gustoso menù a base di sprezzante rock'n'roll (Il Quartiere), moderno beat (Giusy) e derivativo folk pop (Dormire), il tutto condito con una gradevole spruzzata di psichedelia cantautorale che garantisce in ultima analisi un taglio indie alla loro offerta sonora. Canzoni semplici, dirette, eppure ugualmente elaborate allorquando sotto l'apparente patina pop e la facile fruibilità si dovesse andare a ricercare la volontà di realizzare un concept album basato su un sentire assai diffuso presso le nuove generazioni. Anomalo, forse casuale, ma di certo urgente. Ce lo spiegano loro stessi: le storie mancate "sono le occasioni perse, le giornate rovinate nel buio di una stanza, gli amori non vissuti, i rospi ingoiati, le passeggiate notturne nella città deserta, la nostra giovinezza un po' distratta. Le storie mancate sono tutte le favole che ci facciamo nella testa, l'inseguimento di un mito, la voglia di una fuga insensata e della felicità eterna; un enorme vuoto da dover riempire, in una maniera o nell'altra." Una presa di coscienza che, dopo essersi ritagliato una fetta di universo nella propria stanza, il quartetto prodotto da Manuele "Max Stirner" Fusaroli vuole condividere all'esterno, cercando di raggiungere il maggior numero di contatti, ma senza per questo assumere un ruolo di guida e pontificare dall'alto. Sfruttando una versatilità musicale invidiabile i Violacida volano basso, ma arrivano sempre al dunque. Il walzer di A Cinque Anni è quanto i Tre Allegri Ragazzi Morti non hanno ancora osato proporre così come La Ballata Degli Ostinati, corale e graffiante, e Una Canzone Per Perdere Tempo, pur affondando le proprie radici nel medesimo humus dei corregionali Zen Circus, sono nuovi abiti da cerimonia per vecchie celebrazioni. Arriva dritto al cuore l'ottima Occhi Belli (non a caso scelta anche come primo singolo), con la sua coda strumentale e uno psichedelico synth che imperversa con gusto e misura dopo aver appreso le nozioni base dai Clinic. Non c'è necessariamente un lieto fine nei trasformismi di Odio Quando Mi Guardi e neppure nelle vicende amorose de La Bella Estate; ciononostante le porte restano sempre aperte e le finestre spalancate quando la solitudine viene spazzata via dall'illusione concreta di una nuova primavera. Chiusura affidata ai sogni terreni di un Povero Cristo che, catturato dal suono di una slide guitar e da un evocativo tappeto di space rock, rimira, solitario, le sfere celesti. Si succedono così, veloci, nel frenetico ritmo quotidiano, le STORIE MANCATE cantate della band toscana; si affiancano, inconsapevoli, a eventi compiuti e progetti ancora in divenire, brillando di luce riflessa. Non c'è un confine netto tra le parti. Ai Violacida il merito di aver indagato un universo da sempre così vicino a tutti noi con parole semplici. Melodie popolari per temi generazionali.
 
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