L'occasione è ghiotta: Enrico Gabrielli, Xabier Iriondo e Matteo Pennese live, tutti insieme appassionatamente per una data speciale al Sound Metak, il negozio di strumenti musicali sperimentali e d'avanguardia aperto nel 2005 e gestito da Xabier Iriondo qualche tempo dopo la sua fuoriuscita dagli Afterhours, a cavallo dell'immediata sua avventura in decine di progetti estremi e minimali.
Il primo ad apparire in scena con abiti adeguati è Der Maurer Gabrielli che spiega cosa ascolteremo questa sera. Noi reduci da Siena sappiamo già a cosa andremo incontro, ma per la maggioranza dei presenti un'introduzione è quantomeno doverosa. Premesso che nessuna velleità massonica ha a che fare col progetto, Enrico ci racconta di come sia stato naturale scegliere lo pseudonimo Der Maurer considerandolo innanzitutto un tributo al mestiere di muratore svolto da suo padre e suo nonno, e, seconda di poi, perfetta spiegazione del suo stesso progetto discografico, quel DER MAURER VOL.1 in cui le sovraincisioni usate per realizzare gli stratificati pezzi d'Avanguardia presenti altro non sono che i mattoni stessi del disco.
Si parte con un brano di Igor' Stravinskij del 1923 e intitolato Tre Pezzi Per Clarinetto Solo, composto, sempre per restare in ambito di arte e pittura, da tre piccole miniature corrispondenti ai tre diversi registri che lo strumento esprime, facendo emergere la vena nostalgica dei toni gravi nel primo pezzo, l'inesausta tensione ritmica degli acuti nel secondo e le arditezze melodiche del terzo.
Il balzo temporale in avanti ci porta in America a metà degli anni '80, nel 1985 per la precisione, e ci introduce attraverso le parole di Enrico la figura di Steve Reich, fondamentale compositore newyorkese di origine ebrea. I dieci minuti e più della sua New York Counterpoint, composizione scritta per undici clarinetti di cui dieci sovraincisi precedentemente, sono il brano per antonomasia rispetto all'idea iniziale di Gabrielli e noi, inconsapevoli discepoli di John Cage per cui se un brano non ti interessa dopo quattro minuti è opportuno ascoltarlo per otto, sedici, trentadue e così via fino a quando il brano non interesserà davvero, abbiamo fatto l'orecchio nei mesi estivi proprio su questo pezzo minimalista per cui, seppur nella sua complessità, ci sembra di ascoltare il "singolone" di un cd in vetta alle classifiche internazionali.
Anche il terzo brano proposto è qualcosa per noi di già ascoltato, e in parte metabolizzato, nel live toscano. Sempre di Reich viene infatti eseguito Clapping Music, quattro minuti in cui Gabrielli non utilizza alcuno strumento al di fuori del battito delle proprie mani, introdotto dalla voce del seminale Cage che ci ricorda la sua teoria sull'ascolto ("..in Zen they say if something is foreign after 2 minutes try it for 4. If it's still boring try it for 8,16,32 and so on"). A questo punto Enrico, con il suono percussivo delle mani, comincia a doppiare e ad ampliare lo spettro acustico prodotto dai suoi stessi arti superiori, precedentemente sovrainciso e registrato al computer. Una performance simile, senza l'uso del pc, aveva visto a suo tempo protagonisti lo stesso musicista toscano coadiuvato dagli Afterhours al gran completo nell'ultima data del loro tour estivo con tanto di prova generale pomeridiana. Il pubblico, in religioso silenzio lungo tutta l'esecuzione, si scioglie poi nel meritato applauso al termine di questa primo live di giornata.
Un rapidissimo cambio di posto, visto che il set è già allestito, ed è il turno del co-headliner della serata. Xabier Iriondo prende posizione su uno sgabellino e inizia ad armeggiare al suo mahai metak mentre Matteo Pennese, accomodandosi dietro ad un portatile, imbocca la cornetta con cui si appresta a colorare l'Improvvisazione che scaturirà dall'alchimia con Gabrielli, di nuovo al centro della scena con il suo clarinetto.
Il la vien dato dai live electronics azionati da Pennese, con Iriondo che asseconda i suoni elaborati dall'Apple e le prime inserzioni provenienti dallo strumento a fiato del compositore veronese. È musica d'atmosfera, quasi ambient-rumorista se mi è concesso il termine, quella che si diffonde nello spazio intorno e gli stessi suoni di clacson, le stesse voci dei passanti, i rumori delle saracinesche abbassate provenienti dalla piazza adiacente, seppur occasionali, paiono susseguirsi secondo trame prestabilite. Gli occhi iniziano successivamente a posarsi sulle mani del "padrone di casa" che inizia ad armeggiare tra archetti di violino, bastoncini, spugne, corde e biglie per ottenere impensabili suoni da inusuali oggetti.
Nella composizione sonora interviene anche Gabrielli con misurati filler di clarinetto, ma è sempre il mahai metak a indirizzare tutta la nostra attenzione: i suoni ora grevi, ora nebulosi, ora inquietanti che quest'oggetto di legno ed elettronica produce ci lascia a volte interdetti e spesso sospesi, in attesa di quelli successivi. Con tempi assolutamente dilatati per gli anni frenetici in cui viviamo, il semplice scorrere di alcune biglie sulle corde dello strumento risulta ipnotizzante, mentre i suoni e le vibrazioni tonanti prodotti dallo stesso attraverso quel che pare somigliare ad un comune batticarne (!!) sembrano annunciare la furia di Zeus o di qualche altra divinità greco-latina. Ci sono la pioggia, il vento, la bufera. Tutto si concentra poi si sviluppa. Tutto nasce e un istante dopo già muore. Poi rinasce. E svanisce di nuovo. Per tornare. E scomparire ancora. Così, all'infinito. Nel vuoto.
Altrove si sarebbe parlato di catarsi; qua si parla di rivelazione.
Andrea Barbaglia '10
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