06-05-2011
- HUGO RACE & THE FATALISTS live @ Auditorium Piazza della Libertà -
Bergamo (BG)
Non si è fatto ancora in tempo a metabolizzare la dinamica prestazione di Tolo Marton che è già tempo del co-headliner della serata: prima delle due date italiane in un tour che di lì a qualche giorno lo porterà in Polonia, Germania e Repubblica Ceca, l'artista australiano spalleggiato dalla sua backing band tricolore, investe di sciamanico mistero il palco dell'Auditorium bergamasco. La chitarra di Antonio Gramentieri e le chincaglierie percussive di Diego Sapignoli saturano l'atmosfera e preparano le tenebre; nella penombra avanza la figura alta e magra del musicista australiano accolta da un lungo applauso partecipe, ma che tuttavia non spezza l'incantesimo in cui siamo già stati catapultati. Il tradizionale In The Pines svela un retrogusto forte e meditativo, mentre le chitarre, secche e riverberate, duettano solitarie nel deserto. Da qui all'omaggio ai Dirtmusic il passo è estremamente breve: per sopperire all'assenza dei suoi compagni di viaggio Eckman e Brokaw, Still Running viene solo in parte riarrangiata mentre l'inserzione della lapsteel viene affidata al navigato Gramentieri, motore pulsante di questi Fatalists.
Tempo di accordare l'Epiphone per la successiva scarica di rock. "Insonnia... una parola bellissima...": Slow Fry poggia totalmente sulle chitarre, ma è il sorprendente Giovanni Ferrario a guadagnarsi la dovuta attenzione per una prestazione al basso che consente di amalgamare il drumming deciso e netto con i ritmi nervosi della scatenata accoppiata Race-Gramentieri che qui, in sede live, molto devono ai Cult del periodo ELECTRIC. La profondità di Sorcery, oltre a pagare il giusto tributo ai True Spirit, incanta e lascia ipnotizzato l'ascoltatore, sortilegio benevolo e salvifico, destinato a rompersi solo per far posto ad una doppietta davvero ben riuscita proveniente da FATALISTS. Rifacendosi alla manifestazione odierna, la voce cavernosa di Hugo, giacca, camicia e collanina costantemente immutabili al loro posto, introduce, per metà in italiano per metà in inglese, una prima storia, direttamente dalla Germania centrale: è quella dell'uovo d'oro di serpente, The Serpent Egg appunto, visionario sogno che sembra sempre più reale man mano che lo si descrive e racconta attraverso note calde, dilatate, febbricitanti.
In Too Many Zero, futuro singolo accattivante e smaliziato, possiamo apprezzare oltre ad una prova maiuscola di tutta la band, la figura di Marta Collica, musicista di prestigio nel panorama rock nazionale ed internazionale già accanto all'ex Bad Seed nel progetto Sepiatone, presente alle tastiere, ai cori e defilata sulla sinistra dello stage; tuttavia è con No Stereotype che si torna ad incendiare le polveri del palazzo, sfruttando l'alternanza tra i momenti più sostenuti e quelli meno esagitati che si ravvisano nella struttura della canzone mentre l'ottimo Ferrario, signore d'altri tempi, passeggia in tondo durante il caotico finale affidato all'interazione tra la Epiphone 335 di Race e la Telecaster di Gramentieri: grandi! Altra canzone dei True Spirit che ben si amalgama con il mood della serata è la successiva 53rd State, psichedelica cavalcata polverosa dal finale torrido, dilatato e sgranato come i grani di un rosario, dopo che Sapignoli placa le pelli della sua batteria. Dope Fiends è raccolta per tre quarti della sua durata, salvo subire un'impennata quando Gramentieri, ancora lui, si prodiga in un assolo decisamente sonico che conduce al gran finale, tirato, sofferto ed orchestrato nuovamente dall'elegante frontman australiano, mai fuori posto anche in questi momenti più coinvolgenti.
È Before The Flood l'ennesimo blues lisergico che ci accarezza durante la serata e che fa il paio con la sognante e spettrale Will You Wake Up, riuscita cover del già fenomenale brano presente su I DREAMED THAT YOU VISITED ME dei connazionali Mysteries e fonte di brividi costanti. Gli applausi sempre più convinti da parte del pubblico spingono i cinque sul palco a una monumentale Pay For The Truth, sfrontata nella sua irruenza sonora, tagliente e aggressiva, ultimo istante di carica rabbiosa prima che si ceda il passo alla più riflessiva Call Her Name, opener di FATALISTS e questa sera posta in chiusura dello spettacolo, origine e fine di tutto il percorso affrontato. Spettacolare performance. Altro genere rispetto a, per certi tratti, l'inarrivabile Tolo Marton, eppure tanta, davvero tanta classe regalata tra un accordo e l'altro anche a quanti erano accorsi più per il chitarrista trevigiano che per l'"italo-australiano" più fascinoso che abbiamo, per una musica che vive di chiaroscuri e che trova in Race e nei suoi splendidi compagni di band una delle sue espressioni migliori in ambito mondiale. A presto cari songwriters e cari storytellers...
Tempo di accordare l'Epiphone per la successiva scarica di rock. "Insonnia... una parola bellissima...": Slow Fry poggia totalmente sulle chitarre, ma è il sorprendente Giovanni Ferrario a guadagnarsi la dovuta attenzione per una prestazione al basso che consente di amalgamare il drumming deciso e netto con i ritmi nervosi della scatenata accoppiata Race-Gramentieri che qui, in sede live, molto devono ai Cult del periodo ELECTRIC. La profondità di Sorcery, oltre a pagare il giusto tributo ai True Spirit, incanta e lascia ipnotizzato l'ascoltatore, sortilegio benevolo e salvifico, destinato a rompersi solo per far posto ad una doppietta davvero ben riuscita proveniente da FATALISTS. Rifacendosi alla manifestazione odierna, la voce cavernosa di Hugo, giacca, camicia e collanina costantemente immutabili al loro posto, introduce, per metà in italiano per metà in inglese, una prima storia, direttamente dalla Germania centrale: è quella dell'uovo d'oro di serpente, The Serpent Egg appunto, visionario sogno che sembra sempre più reale man mano che lo si descrive e racconta attraverso note calde, dilatate, febbricitanti.
In Too Many Zero, futuro singolo accattivante e smaliziato, possiamo apprezzare oltre ad una prova maiuscola di tutta la band, la figura di Marta Collica, musicista di prestigio nel panorama rock nazionale ed internazionale già accanto all'ex Bad Seed nel progetto Sepiatone, presente alle tastiere, ai cori e defilata sulla sinistra dello stage; tuttavia è con No Stereotype che si torna ad incendiare le polveri del palazzo, sfruttando l'alternanza tra i momenti più sostenuti e quelli meno esagitati che si ravvisano nella struttura della canzone mentre l'ottimo Ferrario, signore d'altri tempi, passeggia in tondo durante il caotico finale affidato all'interazione tra la Epiphone 335 di Race e la Telecaster di Gramentieri: grandi! Altra canzone dei True Spirit che ben si amalgama con il mood della serata è la successiva 53rd State, psichedelica cavalcata polverosa dal finale torrido, dilatato e sgranato come i grani di un rosario, dopo che Sapignoli placa le pelli della sua batteria. Dope Fiends è raccolta per tre quarti della sua durata, salvo subire un'impennata quando Gramentieri, ancora lui, si prodiga in un assolo decisamente sonico che conduce al gran finale, tirato, sofferto ed orchestrato nuovamente dall'elegante frontman australiano, mai fuori posto anche in questi momenti più coinvolgenti.
È Before The Flood l'ennesimo blues lisergico che ci accarezza durante la serata e che fa il paio con la sognante e spettrale Will You Wake Up, riuscita cover del già fenomenale brano presente su I DREAMED THAT YOU VISITED ME dei connazionali Mysteries e fonte di brividi costanti. Gli applausi sempre più convinti da parte del pubblico spingono i cinque sul palco a una monumentale Pay For The Truth, sfrontata nella sua irruenza sonora, tagliente e aggressiva, ultimo istante di carica rabbiosa prima che si ceda il passo alla più riflessiva Call Her Name, opener di FATALISTS e questa sera posta in chiusura dello spettacolo, origine e fine di tutto il percorso affrontato. Spettacolare performance. Altro genere rispetto a, per certi tratti, l'inarrivabile Tolo Marton, eppure tanta, davvero tanta classe regalata tra un accordo e l'altro anche a quanti erano accorsi più per il chitarrista trevigiano che per l'"italo-australiano" più fascinoso che abbiamo, per una musica che vive di chiaroscuri e che trova in Race e nei suoi splendidi compagni di band una delle sue espressioni migliori in ambito mondiale. A presto cari songwriters e cari storytellers...
Andrea Barbaglia '11
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