Edda
- Niegazowana - 2012
Eccolo qua il seguito dell'incensatissimo esordio solista SEMPER BIOT. Anche questa volta Edda, al secolo Stefano Rampoldi, rilascia in compagnia di Walter Somà un'opera, al netto delle spese, estremamente complessa, elaborata e sofferta. Figlio di un percorso personale unico ODIO I VIVI è la naturale prosecuzione del precedente lavoro discografico seppure maggiormente caotico nella sua ricchezza di colori e sfumature edificate, mattone dopo mattone, nota dopo nota, in compagnia del fido Taketo Gohara, alla seconda prova in studio con l'ex Ritmo Tribale. Se con il ritorno di tre anni fa dopo gli anni bui della droga e quelli difficili del reinserimento nella società il risultato fu una contemplazione interiore gridata all'esterno attraverso il racconto autobiografico nudo e crudo, privo di particolari orpelli anche nelle trame sonore, oggi è la donna ad assurgere al ruolo di musa unica per procedere nel racconto. Forse solo due artisti apparentemente lontani dal musicista milanese come Antonello Venditti e Ivan Graziani hanno nel proprio repertorio una carrellata più nutrita di figure femminili. Edda è da oggi sul podio con loro. Emma, Anna, Marika, Tania si incarnano infatti, concrete e impalpabili nello stesso tempo, in altrettante canzoni omonime, fortemente autobiografiche e fantasiose, sorrette da una nervosa chitarra elettrica come mai prima d'ora, arricchite spesso da un ensemble orchestrale a cura del già noto Quartetto EdoDea, non nuovo nel passato recente a commistioni ben riuscite tanto con la canzone d'autore (Pacifico) quanto con il rock (Enrico Ruggeri, Baustelle), e in collaborazione con ottoni e ance vari appannaggio di Achille Succi e Mauro Ottolini. "Un insieme di parti differenti che insieme girano alla perfezione" avrà a dire Edda a riguardo: una scelta operata inizialmente non senza perplessità, ma in grado di fornire inattesi percorsi alternativi davvero sorprendenti. Che ardono. Impetuosi come il fuoco sacro all'origine della vita. Se la dimensione atemporale di Omino Nero sfocia ben presto in una esuberante carica rock, in Topazio ci si muove nudi tra camere da letto e campi ligresti, in una alternanza instabile di grinta e pazzia. A tratti inafferrabile, il senso dell'opera è da ricercarsi nelle pieghe dei testi, nei cambi di tempo a cui la claustrofobica melodia, quando c'è, si piega; è negli anfratti della mente, nei lampi di disarmante candore scagliati in quell'oscuro baratro esistenziale che mendica attenzione (Emma) e su cui si affaccia la premiata ditta Rampoldi-Somà, autrice di otto brani sugli undici complessivi. La violenta denuncia del male di vivere esplode multiforme nel sesso sgangherato di Anna mentre verità naturalmente scomode vengono a galla nel finto conforto materno de Il Seno. Contribuisce alla scrittura della soffusa Gionata anche il compagno di scuderia Mirai che non prende però parte alle registrazioni, regalando un piccolo episodio di cristallina purezza da sgrezzare e plasmare pochi istanti prima della malata serenità cantata in Marika. E se Qui con la sua leggera veste progressive intessuta dal flauto di Gavino Murgia pare stagliarsi lapidaria su un futuro tutt'altro che roseo per la condizione umana, ecco, ora che la fine è vicina, la speranza di Tania. Introdotta sommessamente dalla citazione della storica My Way, è un piccolo mantra quello che si sviluppa negli istanti successivi, tra misticismo e carnalità, in un crescendo pastorale che profuma quasi di redenzione, sottolineato dai fiati di Ottolini, dopo la discesa negli inferi. Un sogno, che come tale corre sempre il rischio di tramutarsi in incubo. Un disperato bisogno di amare ed essere amati che consuma e brucia dentro. Fino alla prossima vita.
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