venerdì 30 novembre 2012

BLANK TIMES
Fausto Rossi
- Interbeat - 2012

"Scrivo ad alta voce perché a fatica riesco a sentire me stesso". Qui, in queste poche ed incisive parole così dense di significato e contenute nell'emozionante I Write Aloud, c'è tutta l'essenza, tutta la sostanza di Fausto Rossi. Musicista con anima e talento sconfinato, dopo anni di volontario (?) silenzio discografico intervallati da alcune sporadiche apparizioni live sempre molto, troppo, centellinate, il fu Faust'O s'è distinto negli ultimi tempi per una prolifica attività in studio di registrazione, capace di coprire i diversi spettri emotivi suoi e dell'affezionato manipolo di aficionados che continua giustamente a seguirlo a fronte di ottimi lavori come l'attuale BLANK TIMES. Tempi svuotati. Tempi di confusione e di caos, resi ulteriormente logori dall'inutilità di una affannosa rincorsa al superfluo e all'accessorio. Un riempire fastidiosamente bulimico che si fa illusorio, che è innanzitutto privazione fisica e in seconda battuta intellettuale poiché, paradossalmente, più si tenderà ad accumulare più verrà a mancare il significato ultimo di un tale frenetico slancio verso il nulla. Muovendosi su registri stilistici a lui assai familiari provenienti dai sempre seminali e amati Beatles (Stars), abbandonata la provocazione à-la METAL MACHINE MUSIC del più ostico BELOW THE LINE, ponendosi in linea di successione al già maturo BECOMING VISIBLE che ha aperto questa nuova pagina creativa del Nostro, il dodicesimo album della sua discografia mostra le radici di un cantautorato rock capace di rifilare ganci diretti (Sogni) con la leggerezza propria di una carezza (Names). Parole centellinate che sono macigni; sensazioni che muovendo dal personale abbracciano un sentire comune, partendo dalla strenua difesa dei sogni cantati nel primo singolo Tu Non Lo Sai (vengono in silenzio e ti rubano tutto quello che hai) fino alle solitarie note della conclusiva Down Down Down. Il j'accuse de Il Vostro Mondo urla disprezzo, sdegno e biasimo per la vanagloria dei poteri forti e del sistema che, con consapevolezza e cinismo, ha annullato il sorriso di generazioni intere. Ma lo fa con quella nobiltà d'animo non scalfibile, alla maniera in cui Cristiano Godano cantava l'altrettanto programmatica Bellezza su BIANCO SPORCO. La musicalità della lingua inglese si bilancia spesso con l'atteso ritorno dell'italiano, quasi a sottolineare l'alternanza tra gli stati d'animo che la lingua di Shakespeare è capace di rendere al meglio grazie a parole funzionanti a mo' di ideogrammi (The Hill) e le immagini più descrittive e definite tracciate con la lingua di Dante (Non Ho Creduto Mai). La melodia riveste quel ruolo preciso e decisivo nell'economia di tutto l'album tale per cui non faticheremmo a concepire i dieci episodi di BLANK TIMES, qui completati da qualche soluzione tastieristica e da una sezione ritmica ben presente, ma mai invasiva, come semplici provini per chitarra e voce. Sobri e urgenti come il percorso attuale di un artista che ha fatto dell'essenzialità una ragione artistica e di vita tout court.
 

Nessun commento:

Posta un commento