MY BROTHER THE GODHEAD
Veracrash
- Go Down
Records - 2012
Never judge a book by its cover. Mai giudicare un libro dalla sua copertina. E
neppure un disco. È il caso ad esempio di questo interessante MY BROTHER THE GODHEAD che, pur
avvalendosi di una parte grafica capace addirittura di fuorviare almeno
inizialmente (il packaging in realtà è ben più curato) l'ignaro consumatore di musica, per la prima volta avvicinatosi al
lavoro della band milanese dei Veracrash, è in realtà capace di sprigionare
energia da tutti i solchi per la gioia degli amanti di stoner e territori limitrofi. Convinto forse dalla intestazione verde fluorescente di trovarsi di fronte all'ennesima proposta
di musica elettronica fatta di dubstep e hardcore simil-Skrillex, l'appassionato di Fu Manchu,
Motorpsycho, Corrosion of Conformity e Crowbar di cui sopra lascerebbe sugli
scaffali un meritevole ed intenso coacervo di aggressiva psichedelia metal (Remote Killing) contaminata da mai
sopite pulsioni grunge (Lucy,
Lucifer) e inattesi inserti ambient (Trees Falling Upwards) proveniente dal nostro Paese. Fortunatamente il
buon impatto del precedente 11:11,
già a marchio Go Down Records, fa drizzare le antenne di fronte alla scritta
Veracrash e l'acquisto a scatola chiusa del loro qui presente secondo album in
studio risulta quasi d'obbligo. Vuoi perché il quartetto di Francesco Menghi
dal vivo è sempre stato capace di mantenere le promesse e di allargare la
propria fanbase; vuoi perché un deciso passo in avanti era a questo punto
atteso da molti. Tra questi cultori troviamo Dango, al secolo Niklas Källgren,
chitarrista degli svedesi Truckfighters, letteralmente innamoratosi della band
milanese durante il suo passaggio al Live at Heart, tra i più importanti
festival della penisola scandinava, a tal punto da invitarla nuovamente in
Svezia per la realizzazione del nuovo album. Registrato in soli sedici giorni, non senza qualche inevitabile e comprensibile tensione, MY BROTHER THE GODHEAD getta le
fondamenta per la nascita di quello che nelle intenzioni del gruppo è un suono
riconoscibile e maturo, personale, capace di rivaleggiare senza alcun timore reverenziale con le
pari proposte europee ed internazionali. Il centrifugante singolo Kali Maa mette già in luce quelle che saranno alcune delle linee guida del progetto: velocità e badass attitude per un aggressivo biglietto da visita. Atmosfere dilatate (A Blowjob From Yaldabaoth), accellerazioni fulminanti, riff che paiono rasoiate al limite del punk (We Own You, Bitches), linee vocali
violente e sempre chiare anche quando sepolte nel mix, la maligna spirale di Allies From The Mirror Megaverse, sono poi il mezzo per veicolare nei restanti episodi del platter (consigliatissimo il vinile trasparente con una grafica differente sempre ad opera di Alessandro Tosatto) liriche oscure che
optano per una trattazione di tesi cospirazioniste e cyber-gnostiche. Una manciata
di ospiti (il batterista dei Witchcraft Oscar Johansson; Dave, voce dei pesaresi
Zippo, e il già citato Källgren) contribuiscono infine ad impreziosire il tutto senza stravolgerne i contenuti. Nei suoni e nelle idee.
Lesson learned.
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