L'AMORE È UN PRECARIO
Uross
- autoproduzione - 2013
In quasi tredici anni di carriera il monopolitano Giuseppe Giannuzzi in arte Uross è giunto al secondo lavoro discografico mantenendo un low profile che non ha affatto intaccato le sue buone doti di cantautore già in parte riscontrate nel precedente 29 FEBBRAIO (LO SQUILIBRISTA). Se però l'esordio discografico ufficiale, registrato in compagnia dei cosiddetti Anartisti per quella che in ultima istanza poteva considerarsi una band vera e propria dedita ad una canzone d'autore ricca sì di contaminazioni, ma mai realmente svincolata dalle maglie del pop rock, aveva fatto ben sperare il suo seguito è una piccola, significativa, rivoluzione. Dopo un paio di anni il progetto Uross torna infatti ad identificarsi con il solo rosso frontman che cappeggia ora sulla copertina de L'AMORE È UN PRECARIO. Accompagnato da Andrea Acquaviva al basso e Andrea Brunetti al pianoforte e alle tastiere, unici Anartisti sopravvissuti alla fatica precedente, Uross dà briglia sciolta alla sua passione mai sopita per un rock meticcio da cui trae linfa vitale e, con tanta buona volontà, allestisce un ensemble di otto elementi pronto a musicare le numerose storie da raccontare, una volta ancora punto di forza della sua vicenda artistica. Anche quando le cose non girano per il verso giusto come accade ad esempio nel singolo Claustrofobikronico, poco accattivante e inspiegabilmente scelto come brano di punta a scapito di episodi ben più concreti e funzionali a tale scopo. Maggiore impatto avrebbero avuto probabilmente canzoni già assimilate nei live come Chiedi Alla Polvere oppure episodi più enigmatici come Ego, da annoverare senza dubbio tra le migliori tracce del cd accanto alla seduttiva Noir, così ricca di suggestioni e fascino, e alla polverosa Cane Vagabondo, western desertico dal retrogusto new wave che pare tratto dal canzoniere litfibiano di Gianluigi Cavallo e dai Simple Minds di inizio anni '90, sospesa com'è tra i bassopiani del Sertão e il Joshua Tree. Anche Bu$ine$$, caratterizzata dall'Hammond di Brunetti, cavalca la felice onda del latin rock fiorentino caro al duo Pelù-Renzulli mescolandosi un po' a sorpresa, ma con risultati apprezzabili, con il crescendo sonico dei Marlene Kuntz. E se il riuscito tributo a Rino Gaetano concretizzatosi nella rivisitazione de Il Cielo È Sempre Più Blu, interpretato nelle battute iniziali à-la Dente meglio di Giuseppe Peveri, è un altro bel biglietto da visita, risulta altrettanto piacevole ascoltare le atmosfere del cantautore di Fidenza fondersi con quelle dei Negrita più recenti nel duetto con Angela Smeralda presente in Sto Così Scomodo Che Resto. Ancora un po' di pepe nel ritmato Flusso D'Incoscienza che fotografa la nostra condizione umana e infine tutti pronti a marciare cinematograficamente Al Mio Funerale. È tempo di percorrere nuove strade e andare Lontano, molto lontano. Verso l'infinito. Così, giusto per capire come andrà davvero a finire.
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