COMMODOR
Quiet Confusion
- Go Down Records - 2014
Quando capitano tra le mani dischi come questo COMMODOR non resta che fare una cosa: alzare il volume e lasciarsi scuotere dalla potenza sonora sprigionata della band di turno. Il quartetto veneto dei Quiet Confusion è solo l'ultima in ordine di tempo fra le promesse dell'agguerrita Go Down Records, da sempre intenta a promuovere un rock sincero ed esuberante, senza troppi fronzoli, carico di energia e sfrontata irruenza. Il veterano Dome La Muerte e i suoi Diggers, i brillanti rockers Small Jackets, i trevigiani OJM sono solo alcuni esempi di proposte uscite in questi anni dal cilindro dell'etichetta romagnola mentre la band fondata da Mattia Stefani cresceva a suon di prove e concerti. Giunti al secondo lavoro dopo il precedente cd JUNGLE e un artigianale ep d'esordio datato 2009, i Quiet Confusion inanellano una volta ancora una manciata di brani ad alto voltaggio spingendo sull'acceleratore se necessario e mettendo in evidenza il suono dinoccolatamente sfacciato cui ci hanno abituato con i precedenti lavori. Costruite su riff semplici, ma di sostanza le nove canzoni che compongono COMMODOR affondano le proprie radici nel vizioso garage rock che ha sempre deliziato le orecchie di impavidi ragazzini brufolosi di mezzo mondo nei loro assolati pomeriggi estivi, imbastardito da uno stoner massiccio e cresciuto tra accenni di proto-blues e festaiola indole punk. La sghemba Freak Out, le concitate stilettate di From East To West, la roboante carica sprigionata da Fat Flowered Smoking, i magici tribalismi doom a ritmo di slide caratterizzanti El Indio sono le nuove carte giocate senza troppi calcoli dalla band che nell'affiatata coppia ritmica Tommasi-Lonardoni e nella voce grunge del confermatissimo Antonio Cortina pesca il classico jolly capace di personalizzarle con matura padronanza dei propri mezzi. Già il ruvido singolo Livin' With The Sun, incendiario biglietto da visita proposto da tempo nei concerti, inquadra le coordinate entro cui la nuova release si muoverà. Ma è il suono chitarristico tutto a convincerci e a prendere il sopravvento, tracciando al tempo stesso idealmente un ponte spazio-temporale con quegli Stati Uniti d'America che oltre un ventennio fa seppero spazzare via come un ciclone la paccottaglia di pop scadente propugnata dagli anni '80 anche in campo rock. È questa la forza, ma per qualcuno purtroppo anche il limite, della Confusione Silenziosa; quella di non essersi affatto allineati alla "musica di Stato" propugnata oggi a spron battuto da tv e media ufficiali, ingannevolmente consolatori e così spesso seguiti acriticamente dalla massa, e avendo preferito piuttosto mantenere vivo quell'artigianale sacro fuoco artistico capace di incendiare i pensieri, dare smalto alle idee e illuminare con costanza coerenza e convinzioni. A volte non essere in linea con il pensiero comune è molto più di uno scotto da pagare; ma la soddisfazione nella resistenza e nel perseguire la propria passione con risultati comunque lusinghieri vale molto più di quei warholiani fifteen minutes of fame fino ad ora - purtroppo - mai negati a nessuno.
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