OBTORTO COLLO
Pierpaolo Capovilla
- La Tempesta - 2014
Ce l'aveva confidato lui stesso lo scorso anno, a margine di una delle tante repliche dello spettacolo La religione del mio tempo. "Sto lavorando con calma a due album. Uno è in collaborazione con Paki Zennaro", suo raffinato partner artistico proprio in quei reading dedicati a Pierpaolo Pasolini e con il quale si era affinata una buona intesa fatta di suoni minimali e parole recitate con trasporto e determinazione. OBTORTO COLLO è il risultato di quelle session e di quelle giornate, primo album solista per Pierpaolo Capovilla temporaneamente lontano dal suo Teatro degli Orrori. Per chi ha alle spalle almeno due album fondamentali come l'ottimo A SANGUE FREDDO e l'ancor più liricamente intenso e vissuto IL MONDO NUOVO le strade erano due. Ridursi al silenzio, magari optando per un album ambientale o comunque pressoché completamente strumentale oppure percorrere una via diversa, lontana dal rock sanguigno e fisico proposto in compagnia di Giulio Ragno Favero, Gionata Mirai e Francesco Valente. Capovilla accetta la sfida. Raccoglie i suoi appunti, ne redige di nuovi e apre lentamente la porta che conduce alla parte più intima di sé. Come rinnovarsi senza perdere un grammo di credibilità maturata in oltre vent'anni di carriera? Continuando a seguire i propri impulsi, affiancati da comprensibili dubbi e umane insicurezze, lasciando spazio all'uomo prima ancora che al portafoglio. A tratti controversa, quella proposta attraverso canzoni come Invitami e Dove Vai è una discesa tutt'altro che rilassata a lidi più pop, confidenziali, lineari, ma ugualmente articolati. Aguzzando l'ingegno e rivolgendosi, fra gli altri, a tutti quei musicisti che hanno reso fin qui il lavoro di Edda per Niegazowana un must discografico senza se e senza ma, l'operazione è un tentativo di dare nuova veste alle parole mai parche di un autore capace - merce sempre più rara - una volta ancora di dividere critica e pubblico. New skin for the old ceremony cantava Leonard Cohen giusto quarant'anni fa. E c'è molto del poeta canadese nel nuovo lavoro; non nei suoni scelti, ma nella capacità di raccontare storie in prima persona mantenendo un punto di vista comunque esterno. Storie di violenza domestica, come quella narrata in Quando che avremmo visto tranquillamente nel repertorio popolare del grande Jannacci, e di discriminazione sociale (Irene). Racconti in cui l'isolamento e le difficoltà affrontate dagli uomini trovano una muta risposta ora ne Il Cielo Blu ora più semplicemente al tavolino di un bar, sia che ci si trovi nel cuore magico di Torino (La Luce Delle Stelle) oppure a milleottocento chilometri di distanza dalla Mole Antonelliana in quel di Bucharest. Capovilla sceglie la via popolare eppure è quella meno facile; senza dubbio la più rischiosa. Infischiandosene di logiche e consensi facili tira dritto per la sua strada edificando mattone dopo mattone, canzone dopo canzone, un nuovo ponte di comunicazione con l'esterno, senza troppe illusioni, ma con il consueto sguardo disincantato, razionalmente emotivo. Nulla è difficile per chi ama. Neppure riempire quel vuoto incolmabile dentro sé riversato obtorto collo.
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