I VIVI
Il Fieno
- autoproduzione - 2015
È bastato un ascolto e ci è sembrato di conoscere I VIVI da sempre. Suggestione? Empatia? Istinto? È la prima volta che a noi capita una cosa simile con Il Fieno eppure dopo l'ultima mezz'ora di ascolto ci è sembrato di essere assai contigui all'universo sonoro e testuale che il quartetto lombardo ha proposto fin dai suoi primi vagiti musicali; ci pare infatti di aver già vissuto sulla nostra pelle, in diversi momenti della nostra vita, quel malessere, quell'amarezza, quel lucido disincanto che Gabriele Bossetti ha deciso di cantarci qui con tanta veemenza - e quel pizzico di sufficienza che forse fa la reale differenza rispetto al passato più prossimo - anche se non abbiamo ancora capito cosa ci avvicina realmente alla band meneghina arrivata oggi al primo album dopo le positive critiche di settore ricevute per le precedenti uscite discografiche. Due ep, il secondo dei quali contenente quel sentito omaggio al maestro Jannacci che prese forma nella cover di Vincenzina E La Fabbrica, e un discreto seguito di appassionati. Può bastare solo questo per spingerci a voler approfondire il discorso intrapreso meno di un lustro fa da questo gruppo di operai delle sette note? Sono la già conosciuta Del Conseguimento Della Maggiore Età, i due nuovi singoli Hiroshima (cantautorale e riflessiva) e Poveri Stronzi (battagliera e acre) graffi indelebili di un nuovo percorso esistenzialista con tutti i crismi da matrice generazionale? Non lo sappiamo ancora. Solo il tempo chiarirà tutti questi punti e premierà o meno tutte le relative aspettative accumulatesi con essi. Quel che è certo, al momento, è che I VIVI pur essendo un disco che lascia aperti molti interrogativi, porta a compimento una prima parte di percorso, una prima fase di ricerca, con la determinazione di chi crede nel lavoro che fa e con i propositi più nobili da perseguire di conseguenza. Una rappresentazione parziale della realtà, vista con occhi molto meno ingenui di un tempo, nella quale specchiarsi riconoscendo il proprio privato all'interno di un meccanismo ben più generale e generalista verso cui non viene espresso giudizio di sorta. Un pop adulto, personalissimo, sospeso tra sospiri new wave (Oslo) e afflati post punk (Maelstrom), dalla spiccata responsabilità creativa sempre attraversata da una immobilità di fondo forse non voluta - e da un certo punto di vista evitata - ma inevitabilmente presente e opportunamente rivisitata in cui la nostalgia per il passato è superata dall'attesa per il futuro anche quando incerto e apparentemente poco sicuro. C'è insomma una fiammella di velato e, potremmo dire, cinico ottimismo, privo di trepidazione, che spinge in direzione opposta al vento che soffia in questi anni di crisi in cui Il Fieno si è trovato suo malgrado protagonista, tra palchi e realtà. È il richiamo alla sincerità, alla naturalezza con la quale spogliarsi delle proprie difese che ci farà risultare trasparenti, franchi e schietti; il ponte con una modernità non più dipinta con i colori del sogno, ma ancora carica di stimoli vitali, irripetibili come sono gli anni migliori delle nostre vite. Non merce rara, ma neppure corrispondenze comuni.
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