mercoledì 5 gennaio 2011

MOJO
Tom Petty And The Heartbreakers
- REPRISE - 2010

L'aveva dichiarato il buon vecchio Tom: il prossimo sarà un disco maggiormente blues-based. E questo è MOJO. Scordatevi perciò i brani in your face da 3 minuti o poco più che hanno fatto da sempre il successo degli Heartbreakers: qua siamo al cospetto di lunghe cavalcate basate su classiche progressioni di accordi come si evince fin dalle prime note dell'opener Jefferson Jericho Blues, richiamo al blues delle origini, riveduto e corretto in un crescendo di chitarre molto roots, accompagnate da pregevoli interventi di armonica del redivivo bassista Ron Blair, al rientro in pianta stabile negli Heartbreakers dopo la fugace apparizione otto anni prima per una manciata di canzoni su THE LAST DJ. La prima jam session vera e propria la si incontra nella seguente First Flash Of Freedom, lisergica e dilatata come forse mai era capitato di sentire su un album del rocker di Gainesville e sostenuta dal drumming semplice, ma efficace del sempre affidabile Steve Ferrone e dai contrappunti chitarristici di Mike Campbell e Thurston Moore. Un ruolo chiave in molte delle nuove composizioni ce l'ha Benmont Tench: hammond e wurlitzer colorano da sempre i dischi a cui partecipa, risultando vero e proprio marchio di fabbrica imprescindibile per le atmosfere tanto care ai fan di Tom Petty. Qui sfruttando questa sorprendente, ma naturale propensione alla jam, si ritaglia un grande spazio con spunti notevoli come è possibile notare nelle atmosfere sognanti di The Trip To Pirate's Cove, segnata dalla voce nasale di Tom, già protagonista a sua volta nella più rock Running Man's Bible. Candy e Takin' My Time mantengono il profilo (alto) da jammin' band, eppure il lavoro di labor lime c'è e nulla viene lasciato al caso come nella stupenda No Reason To Cry con Campbell alla lap steel. L'hard blues di I Should Have Known It rappresenta uno dei brani più spigolosi del platter con i suoi assoli e l'incattivita interpretazione del leader degli Heartbreakers che non le manda certo a dire alla donna cantata. Biascicante nell'amaro divertissement di U.S.41, Petty è protagonista di un'altra matura interpretazione in Let Yourself Go la quale, musicalmente parlando, non avrebbe sfigurato su un album come PURPENDICULAR, prima uscita del grande Steve Morse nei Deep Purple. Don't Pull Me Over è un reggae di protesta irrobustito dalle tre chitarre e con ancora un Tench sugli scudi; il lamento di Lover's Touch un'altra tirata blues riuscita come lo sciamanico testo che completa divinamente High In The Morning rituffandoci nelle piantagioni di cotone di metà Ottocento. La riflessiva Something Good Comin' riporta alla mente la storica Learning To Fly anche se più pacata ed essenziale. E mentre la giornata nei campi volge al termine ecco salire la preghiera conclusiva di Good Enough. Album non assimilabile al primo ascolto, cresce, e molto, sulla distanza. Nell'attesa un buon sigaro e due dita di whiskey possono farci compagnia.

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