ROYAL BRAVADA
Royal Bravada
- autoproduzione - 2014
Con una copertina che rimanda agli inarrivabili Queen e fa il verso ai conterranei Gerson i monzesi Royal Bravada arrivano al debut album forti di un buon hype e con le idee chiare in merito a come far suonare anche in studio il proprio lavoro. Catalizzare l'attenzione in poco meno di quaranta minuti può essere tuttavia un'impresa molto più ardua di una buona mezz'ora formato live quando non solo la musica, ma anche l'aspetto performativo contribuisce in maniera decisiva a formare le impressioni dell'ascoltatore. Qui è necessario allora dare fondo a tutto il bagaglio accumulato negli ultimi ventiquattro mesi di prove e concerti per giocare a carte scoperte e tentare di lasciare il segno fin da subito. Due chitarre, un basso, una batteria. La voce di Alberto Ciot. E una scrittura ritmico-testuale fondata sull'inglese che se da un lato avvicina la band nostrana a quelle ben più blasonate d'Oltremanica (Franz Ferdinand, Arctic Monkeys e Kasabian sopra tutte) dall'altro sembra essere a tutta prima anche più funzionale per il proprio progetto rispetto a quella sciacquata secoli fa in Arno dal Manzoni. Drawing Circles, Hold Fast e Thieves Friends confermano del resto quanto di buono ci era stato raccontato a proposito dello spavaldo gruppetto lombardo. Ciò che scaturisce da questa amalgama di persone, idee e suoni è un disco perciò piacevolmente frizzante e fresco, sicuramente derivativo, ma come prima prova è giusto non chiedere di più. Anche perché in realtà non tutto ruota attorno a quell'indie rock contemporaneo di stampo anglosassone cui accennavamo qualche riga fa e che tanto è andato per la maggiore negli ultimi tempi. In fin dei conti gli eterogenei ascolti del quintetto affiorano più o meno marcatamente in diversi episodi del cd. Il crossover pompato di Round The Corner e quello robusto di The Wolf rivelano ad esempio una predilezione per una musica sì dinamica, ma pur sempre compatto e vibrante. E se con l'intro della sognante Mad Dog si scrutano lontane oasi, intervallate da pianure progressive in pieno deserto, con Darkside Backyards si esplora addirittura un versante acustico altrimenti nascosto, inatteso e piacevolmente "di rottura" con il resto del lavoro, che crediamo verrà approfondito - magari ancora in piccole dosi - nel prossimo futuro. Ci sono perfino i fiati nelle sequenze electro-disco di Secrets?! Insomma, di tutto un pop. A non convincere granché resta invece l'ormai abusatissima cover in chiave rock dei Chemical Brothers Hey Boy Hey Girl, ma tant'è. Il dado ormai è tratto e indietro non si torna. Le mosse future della band saranno quelle decisive per capire se la stoffa dei Royal Bravada è di qualità superiore oppure sottile come un unico velo di organza. Può accadere di tutto a questo punto; basterà solo smarcarsi dalle proprie passioni e procedere spediti con il proprio passo.
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