lunedì 1 dicembre 2014

INDIANA - EP

INDIANA - EP
Indiana
- autoproduzione - 2014

Chi cercasse un filo rosso capace di unire le sei tracce rinchiuse in quell'uovo di Colombo che si rivela essere questo caleidoscopico INDIANA dovrebbe pazientare un poco prima di giungere, in ultima analisi, alla lapalissiana soluzione finale. Non si cerchino chissà quali astrusi temi o fili conduttori mutuati chissà da quali narrazioni fantascientifiche. La semplicità è infatti l'anima che contraddistingue i nuovi Indiana e con loro le canzoni andate a definire l'omonimo secondo ep nel proprio personalissimo paniere musicale. Una semplicità che alla fine è facile cogliere tra le pieghe di loop sequenziali e sintetici campi sonori, tra folle e visionaria psichedelia anni '60 - con Beatles e Syd Barrett nel cuore - e una indole ottantiana rivolta allo shoegaze e al dream pop d'annata con un approccio articolato eppure votato a lasciare in un angolo l'aggressività preferendole piuttosto uno sviluppo dinamico che dia un equilibrio all'apparenza labile, ma, sulla lunga distanza, costantemente bilanciato. Sfruttando al meglio una strumentazione analogico-minimale e le caratteristiche del sintetizzatore, autentica arma di distrazione di massa capace di regalare suggestioni low-fi e surreali visioni di confine, il trio bergamasco sviscera un percorso stralunato, ma pur sempre facilmente assimilabile facendo di necessità virtù. L'abbandono di uno dei componenti della formazione originale è il motivo principale delle perplessità del trio rimanente che, a questo punto della storia, fa quadrato attorno a sé e sfrutta la tecnologia a disposizione per rielaborare idee e intuizioni. Simili nella sostanza a quanto proposto nel precedente ep LA STRADA, ma differenti nella forma, con la strumentazione elettronica a sopperire alla mancanza umana di Gabriele Mazza (ancora presente nella digressione onirica di Tu Mi Fai Vivere - nemesi della Svegliami fedele alla linea - e nel lamento anti-cantautoriale della trasognante e spostata Vorrei Vivere Con Poco). Il risultato finale è di difficile catalogazione, ma enigmaticamente seducente e catchy. Ossessivo come la smargiassa Exploding Plastic Inevitable, costruita su un riff elementare ripetuto ad libitum;  riflessivo come quando prende piede una deriva esistenzialista nell'immaginifico non-sense di Anche Se Qua Tutto Muore. Destinata a fare gli onori anche in casa altrui è però la melodica Laverò Le Rocce, con gli echi in reverse di un sergente Pepper A.D. 2014 e altre soluzioni tecniche in fase di arrangiamento per dare il segno di complessa disorganicità tematica. La bellezza di tutto questo marasma ordinato è data dal fatto che gli Indiana hanno il coraggio di sognare, di trasporre concretamente le proprie utopie e i propri deliri in forma compiuta senza dimenticare il gusto per la sperimentazione, ma senza nemmeno perdere di vista quello che ad altri livelli potremmo definire "gusto del pubblico". Non sarà semplice essere in un prossimo futuro chirurgicamente tranchant con le molte pulsioni che ora alimentano e spingono sempre verso lidi opposti la caravella pilotata da Marco Novali con il contributo fondamentale del tastierista Gabriele Mazza e della curiosità strumentistica del chitarrista Rajiv Olivato, ma prima o poi ciò dovrà necessariamente accadere. E saranno nuovi fuochi d'artificio per uno spettacolo pirotecnico senza precedenti. Il domani è ancora tutto da scrivere. ps: "Parlare di musica è come ballare di architettura"? Sono d'accordo.

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