domenica 13 gennaio 2013

SEE YOU DOWNTOWN
SYD
- Etnagigante - 2013
 
Se l'electroclash, l'industrial e le contaminazioni tra rock e digitale con un sospetto di funk sono pane per i vostri denti SYD è la next best thing capace di deliziare anche i palati più esigenti. Una proposta tutta italiana, dalle indubbie potenzialità mondiali già ben sviluppate in questo esordio fulminante. Noto in precedenza con il nickname di John Lui, Marco Pettinato consolida il recente rapporto con Etnagigante sviluppando la sua idea di musica totale. Al suo fianco Roy Paci e Marco Trentacoste per una miscela esplosiva capace di non porsi limiti se non quelli fisici dell'oggetto cd. I rimandi sono principalmente d'Oltremanica e d'Oltreoceano, ma la melodia, stratificata sotto decibel e linee elettroniche, c'è ed è tutta italiana. Calda. Vitale. Forse è anche per questo che SEE YOU DOWNTON funziona così bene, proponendo una via alternativa, personale, capace di affiancarsi, affrancandosi, a quanto fatto da personaggi del calibro di Trent Reznor e Martin Gore; nomi fino a qualche anno fa impossibili anche solo da avvicinare per un progetto italiano. Ci sono così i Nine Inch Nails riletti secondo il gusto new wave dei primissimi Duran Duran nell'anthematico inno artificiale Broken Generation; si viene travolti dall'onda d'urto sollevata dal treno in corsa targato Apollo 440 di Stop To Rush mentre avanzano strisciando le ossessioni di I Hold You prima di aprirsi ad un refrein che pare proveniere dal Giardino del Suono di Chris Cornell e Kim Thayil; seppur mutuato dal Dave Gahan di ULTRA. Memore dell'esperienza in sala di produzione accanto agli Emoglobe e ai Mallory Switch, forte di quella consumata sui palchi con i mai dimenticati Deasonika e ampiamente appoggiato dal titolare del progetto SYD, Trentacoste spinge violentemente sul tasto dei bits (la torbida frenesia chimica di To The Deeper Space è uno degli esempi più lampanti), mantenendo tutto quel fascino dark che la band di Max Zanotti era in grado di sprigionare accanto ad un voluminoso muro di suono ancora oggi insuperato. Non un passo falso negli oltre 50 minuti di foga musicale. Every Grain ha il santino di Mike Patton per benedirla così come How Many Reasons guarda ai lavori di Rob Zombie pur viaggiando su binari rock più convenzionali. Eppure all'interno di questa opera prima non mancano l'ossessivo trip hop dei Massive Attack più oscuri e quello del Tricky più luciferino. Just For A While riesuma i ritmi febbrili della club culture per trascinarsi liquida e digitale sui dancefloor di mezzo mondo prima di stupire con l'impennata rock del finale. Frozen mescola a sorpresa il blues della West Coast alla pece mansoniana per un potenziale singolo à-la Death in Vegas. Compressi e dilatati i Chemical Brothers non potevano certo mancare e il loro spirito anima la devastante Trip To Miami posta giusto un passo prima della fine. Spettacolare, e non poteva essere altrimenti, la chiusura ai limiti dell'electroclash affidata alla frenetica Sinner, vellutato proiettile adrenalinico sparato a tradimento. Gran lavoro davvero; una ventata di energia trasversale capace di attraversare lo Stivale prima di scuotere i cinque continenti. Con attitudine e classe.
 
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