YELLOW MOOR
Yellow Moor
- Prismopaco Records -
"Perché non facciamo un disco? Non credi sia arrivato il momento?" A tutti gli orfani e a tutte le vedove di Juan Mordecai, supergruppo nato dalla fusione dell'anima creativa dei sodali David Moretti e Andrea Viti che nell'anno del Signore 2.0.0.7., conglobando al proprio interno l'altra metà dei Karma più tutta una serie di eccellenti amici musicisti, ebbe l'ardire di pubblicare un "febbr-eccitante" disco d'esordio di folk psichedelico imbastardito da uno stoner rock acido sferzato dal vento caldo e polveroso del deserto californiano, farà certamente piacere sapere che dopo sette anni di distanza da quell'unicum musicale e da una manciata di strepitosi live c'è ancora tempo per continuare a sognare. Yellow Moor infatti è il nuovo progetto di Mr.Viti che, affiancato al canto dalla performer visiva Silvia Alfei, si cimenta nuovamente in prima persona con una band solida e affiatata (a sostenere le sorti del duo ci sono infatti 3/5 dei veronesi Facciascura, in passato già protagonisti di un duetto con Moretti sulla classica Il Cielo e ampiamente debitori degli storici Karma) la quale, pur contribuendo a disegnare nuovi scenari sonori solo in apparenza più melodici, accentua senza filtri il lato tormentato di Mordecai. Ed è un fiume in piena quello che sgorga da Castle Burned, con quel suo appeal tutto aliceinchainsiano, il raddoppiamento delle voci - effettata quella di Viti, pulita quelle del coro - la batteria quadrata e le distorsioni di chitarra in bella evidenza. È il sogno che si materializza nuovamente; l'utopia che si dissolve per diventare realtà. Un'alchimia catartica, grintosa e ondivaga, che coinvolge e sconquassa le anime attraverso la sua tensione ritmico espressiva. A riannodare le fila dei discorsi passati ci pensa ora They Have Come, futuro singolo sciamanico, cronaca di confusione e smarrimento che pare sequel non voluto di quel Demon Lover cantato proprio da Viti in conclusione a SONGS OF FLASH AND BLOOD. L'intro vagamente beatlesiano di Across This Night regala presto la certezza che l'intreccio di voci di Andreino e Silvia funziona a meraviglia così come l'innesto dei Facciascura pare assai efficace per restituire vibrazioni positive in mezzo alla tempesta (Inside A Kiss). Più nervoso l'assalto sonoro di Seven Lizards, visionaria riflessione sulla condizione umana che fa il paio con gli echi di registrazioni americane alla base dell'equilibrio per chitarra elettrica e voci espresso dalla tagliente Ghost. Del resto, a spiegare per filo e per segno quello che è uno spaccato di quotidianità fatto di ossa rotte, tagli alle mani, ferite, fallimenti, incubi e rinascite non basterebbe un libro intero. Andrea e Silvia lo sanno bene perciò condensano e sintetizzano le loro esperienze in un'anima sola, dall'attitudine elettrica, ma ancorata ad un epicureismo di fondo, immateriale e delicato, quasi spirituale, che cozza contro le aspettative di tante ipotetiche Supastar. Dicono che bisogna saper convivere con i propri demoni: questa però è la vittoria della vita su di loro. Una vittoria volutamente sommessa, ma definitiva che si lascia suggestionare dai colori del paesaggio che ci circonda; sfumature e gradazioni di un giallo grano intenso, come la landa davanti ai nostri occhi. Un giallo capace di riportare il sorriso e la serenità, lenire le ferite e restituire la fiducia. "L'elefante lento torna sempre alla carica."
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