ROCKNADO
Un Giorno di Ordinaria Follia
- autoproduzione - 2015
Minacciosi fin dall'immagine di copertina i padovani Un Giorno di Ordinaria Follia entrano a gamba tesa nell'universo musicale italiano proponendo un roboante mix di rock duro che fissa le proprie radici nell'humus grezzo e distorto di cui si sono alimentate formazioni storiche d'oltreoceano come Kyuss, Foo Fighters, Down e Monster Magnet, ma che non ha lasciato indifferenti a suo tempo gli Stone Temple Pilots di Scott Weiland e i Corrosion of Conformity targati Pepper Keenan, riuscendo ad attecchire perfino nella penisola scandinava grazie a Spiritual Beggars ed Hellacopters, tutti, a loro volta, indistintamente debitori nei confronti dei seminali MC5, precursori di quel Detroit sound a cavallo tra 60's e 70's che seppe produrre un evergreen come KICK OUT THE JAMS. Scafati, brutti, sporchi e cattivi, i "cugini" Fumara non si perdono in troppe sottigliezze e per mettersi alla pari degli illustri colleghi di cui sopra decidono fin dalle prime esplosive note dell'aggressiva Polar di affrontare l'ascoltatore di petto, chiudendolo da subito in un angolo con il chiaro intento di fiaccarlo ai lati e tramortirlo, macinando riff muscolari e mulinando nell'aria vigorosi fraseggi punk prima di assestare il colpo del KO scaricato in soli ventidue minuti di chitarre stoner e groove esplosivo. Compatti ed efficaci. Del resto la risolutezza con cui tutto ROCKNADO - secondo lavoro ufficiale dopo l'esordio datato 2011 - viene presentato anche in concerto lascia intendere una coerente componente artistica della band a 360 gradi, bilanciando gli aspetti più prettamente musicali con quelli derivati e presi in prestito da un immaginario cinematografico che nella pellicola di Joel Schumacher Un giorno di ordinaria follia appunto trova il suo più che convincente vertice. Così agli UGdOF tocca il compito di mettersi nelle condizioni migliori per riscrivere una colonna sonora di un cortometraggio metropolitano incattivita, rabbiosa e allucinata, che abbatta confini prestabiliti e facili pregiudizi, incalzante accompagnamento per una nuova Arancia Meccanica in salsa patavina per la quale alla regia è stato scritturato un inatteso Tarantino nostrano, tutto intento a tirare le fila di una trama anabolizzata da nuovi impulsi e irrobustita con un sound citazionista quanto si vuole, ma ben riuscito e coinvolgente. Quasi fosse un nuovo capitolo di una saga in cui esasperazione e dramma sono esposti secondo una caratterizzazione maggiormente accentuata e a tratti distruttiva, i cinque musicisti senza giacca, ma ancora in cravatta si muovono scorretti e allucinati in una ostinata ribellione al sistema, controversa lotta di classe dalla quale emanciparsi con ogni mezzo, pedine loro malgrado di un ingranaggio lento e inarrestabile, destinato a travolgere ogni cosa. Una estenuante prova di forza costruita su coordinate artistiche sedimentate nella memoria, ma sistematicamente rinnovate dalle problematicità del quotidiano, credibile ed inesausta fonte di soprusi al calor bianco. Del resto, che la realtà spesso superi la fantasia ne siamo purtroppo un poco testimoni tutti; e proprio in questi casi anche "se vai a cercar fortuna in America ti accorgi che l'America sta qua".
Nessun commento:
Posta un commento