martedì 26 marzo 2013

1991

1991
Bad Black Sheep
- Valery Records -

Correre a ritroso nel tempo è un esercizio di stile che viene facile ai vicentini Bad Black Sheep. Il qui presente debutto per la Valery Records avviene dopo un paio di ep che già avevano fatto intuire negli anni passati il potenziale del giovanissimo trio formato nel non lontano 2006 dal chitarrista Filippo Altafini e dalla robusta sezione ritmica con il vizio del canto affidata al lungocrinito Teodorico Carfagnini e al biondo Emanuele Haerens. Ora, accumulata la necessaria esperienza che solo il contatto diretto con il pubblico dei concerti sa dare e grazie ad una produzione in cabina di regia affidata al veterano Sandro Franchin, uno capace nella prima metà degli anni '90 di contribuire in qualità di sound engineer ai successi nazionali tanto di Vasco Rossi, Enrico Ruggeri e Timoria quanto a quelli di Gino Paoli, Ivano Fossati e Paolo Conte, senza tralasciare la parentesi estera con Sade e Simply Red, è giunto il momento di tracciare una linea di demarcazione con il passato, che sia punto di partenza da cui muovere verso nuovi traguardi professionali e occasione di crescita formativa. In un vortice sonoro capace di centrifugare Nirvana, Ministri e Finley emergono idee chiare e buona padronanza dei propri mezzi; l'urlata opener 1991 (ma anche splendida ghost track acustica posta in chiusura di lavoro), scelta come primo singolo del cd, risveglia la mai sopita tendenza del power trio vicentino a porre l'accento su drammi e contese internazionali che ne hanno caratterizzato, seppure indirettamente, la crescita come esseri umani. "Il 1991 è l'anno in cui siamo nati tutti e tre. È un numero palindromo ed è anche l'anno in cui è iniziata la guerra in Iraq. Nei nostri 21 anni di vita e di telegiornali i conflitti in Iraq e in tutto il Medio Oriente ci hanno sempre accompagnato." E hanno accompagnato anche tutti noi, spettatori il più delle volte colpevolmente pigri e consapevoli; immobili perché sufficientemente privilegiati da vivere Altrove. Eppure i tempi bui erano già allora dietro l'angolo: Non Conta accampare ora scuse o tacciare il proprio vicino di scarsa lungimiranza. Nella accorata preghiera pacifista della già nota Didone c'è il rilancio, la supplica, il riscatto, la volontà di scindere il Bene dal Male, senza più far ricorso ad allettanti compromessi di confine. Bisogna correre ad un'Altra Velocità, la stessa che movimenta l'irruenza punk'n'roll di Mr Davis sulle frequenze di Radio Varsavia. I Cult di Ian Astbury e Billy Duffy rieccheggiano nelle trame chitarristiche di Fiato Trattenuto, felice rock ad alto voltaggio capace di lasciare il segno allo stesso modo della new wave latina che pervade la mistica Igreja de S.Maria, dalle inaspettate atmosfere care agli iberici Heroes del Silencio. Solo la punkeggiante cover di Cuccurucucu non convince in questo contesto, non tanto nella forma, comunque un po' stereotipata, quanto nella sostanza, a discapito del pur buono, e fin qui forse inesplorato, spirito adolescenziale messo in luce dai BBS. Non siamo affatto 1000 Miglia Sotto La Norma, ma di certo qualcosa potrà cambiare in meglio se gli sforzi dei vicentini verranno premiati. Non ci vuole molto altro. Pensieri semplici, familiari, a tratti anche elementari. Del resto Flaubert ce lo ha insegnato: la semplicità è tutto. 

lunedì 25 marzo 2013

PNEUMOLOGIC
Ornaments
- Tannen Records - 2013

Prendi due chitarre dai The Death Of Anna Karina, rispolvera il basso di Enrico Baraldi e adagia il tutto sulle pelli percosse da Riccardo Brighenti. Inspira ed espira. Lentamente. Ascolta il sangue fluire nelle vene. Respira e presta attenzione al tuo corpo. Un intenso calore lo pervaderà tutto mentre il cuore continuerà a pulsare con costanza diffondendolo capillarmente senza sosta attraverso ogni centimetro della tua pelle. In un abbraccio carico di suggestioni quasi esoteriche gli Ornaments sviluppano in musica la nozione del pneuma, "un soffio caldo che spira dalle esalazioni del sangue", per alcuni principio di tutte le cose e fonte di vita. Assecondando la tradizione, "dal cuore la corrente pneumatica si diffonderebbe nel corpo attraverso un sistema circolatorio simile a quello formato dalle arterie e dalle vene in cui scorre il sangue e, come tale, soggetto ad influssi di caldo e freddo". Diverse tuttavia sono le sue derive ontologiche maturate nei secoli; PNEUMOLOGIC è qui da intendersi dunque come una suite articolata in sette capitoli, prevalentemente strumentali, lungo cui le teorie legate al pneuma vengono via via analizzate, ora con cupi bagliori doom ora con più ancestrali ritmiche tribali. Sempre senza mai scadere nel pericoloso baratro della prevedibilità esecutiva. Pulse, Breath, Aer sono il primo trittico entro cui il post-rock del quartetto bassopadano si muove con disinvoltura svincolandosi a tratti dai facili cliché del genere; a ruota, Galeno, Pneuma e Spirit ribadiscono la bontà dell'opera, la prima per Davide Gherardi e soci in quanto a minutaggio dopo la promettente manciata fatta di demo ed ep, che si completa con l'estenuante tour de force proposto in compagnia dell'artista romano Tommaso Garavini con L'Ora Del Corpo Spaccato, sofferente quadro di boschiana memoria in attesa di redenzione. Non è certo un album di facile assimilazione questo PNEUMOLOGIC e sicuramente la tematica affrontata non aiuta per immediatezza o fruibilità; eppure gli ascolti ripetuti e una certa predisposizione d'animo colmano se non altro le distanze con la complessità e la densità di suoni (qua e là compaiono infatti anche synth, violoncelli e seghe armoniche) ed arrangiamenti di cui questo lavoro si fa portatore, scavando dentro noi un  percorso nuovo, di riscoperta. Nota di merito per il ricco artwork a cura di Luca Zampriolo che in collaborazione con Giampiero Quaini è stato capace di cogliere l'essenza nera di questa anima pulsante, concettualmente definita; ulteriore moto vivifico e vivificante che penetra nel nostro cuore fino a raggiungere capillarmente lo spirito.

giovedì 21 marzo 2013

DUE ANNI DOPO
Cesare Malfatti
- Adesiva Discografica - 2013

"Il motivo di questo disco, due anni dopo, è raccontare che sono partito da un esperimento, compreso il cantare, e poi piano piano, con la scusa dei concerti, tutto è diventato più naturale, più solido, (...) un po' più rock". Era andato oltre le più rosee aspettative l'esordio solista di Cesare Malfatti. In una dimensione casalinga capace di bilanciare inaspettate esigenze di curiosità cantautorale con una inesausta tensione al Bello, CESARE MALFATTI andava a riempire un vuoto creativo emerso dopo la separazione consensuale dal compagno di scorribande sonore Mauro Ermanno Giovanardi con un approccio tanto minimale quanto coraggioso. Solitamente in casi di questo tipo grava perciò una responsabilità non di poco conto, quella di dare un seguito ben argomentato in grado di mantenere le aspettative fino a quel punto realizzate. Una volta ancora Malfatti sceglie invece una strada alternativa per raccontarsi, preferendo spostare l'accento sulle dinamiche esistenti tra l'artista e il suo lavoro, per "far capire quello che succede normalmente a un disco", quando questo, dopo essere stato completato in studio e dato alle stampe, acquista man mano corpo fin dalle prime uscite live e si trasforma, diventando gradualmente altro. "Succedeva così anche con i La Crus - afferma il cantautore milanese - e questo ci piaceva, perché era un modo nuovo di sentire la nostra musica". Così, una volta ancora slegato dai canoni promozionali tradizionali della discografia contemporanea, DUE ANNI DOPO focalizza la dimensione cantautorale di Malfatti ampliando nel contempo lo spettro delle sue collaborazioni. Il passaggio da una dimensione solitaria a quella di una factory sui generis sta alla base del rinnovamento sonoro di cui tracce come Andate Via, Il Bilancio, Mi Han Detto Che e Posso Fare A Meno beneficiano ampiamente. Il roommate Dodo NKishi alla batteria, l'eclettico Giovanni Ferrario prevalentemente al basso e alla tastiera, un prezioso Manuel Agnelli all'ultracentenario piano verticale di casa Malfatti, il violino di Vincenzo Di Silvestro sono i sarti di questo anomalo atelier in cui i capi disegnati a suo tempo dall'amico Cesare sviluppano nuove linee guida. Piacciono gli accompagnamenti vocali in Ma Perché e Soltanto Tu così come il rallentamento trip hop di Fermati Milano e l'arpeggio prolungato su cui viene costruita Quello Che Abbiamo. Tutte canzoni che fanno il paio con la solitaria riflessione esistenzialista de La Notte Bagna o con la sempre splendida Sembra Quasi Felicità, altrettanto note e ugualmente felici nella nuova veste sonora. Rispetto al passato solo l'ordine delle canzoni è differente; per la proprietà commutativa il risultato (positivo) non cambia. Piuttosto si amplia, grazie a quel goloso paio di inediti posti in chiusura al cd. Caratterizzata dal violino di Di Silvestro e dalla voce della moglie Stefania Giarlotta, Due Di Uno è una domanda di Malfatti sussurrata alla persona amata e declinata secondo i canoni della ballad rock; A Te, composta a quattro mani con la scrittrice Laura Facchi, rinnova invece l'ottima performance vocale della Giarlotta accarezzando atmosfere seducenti che avvolgono l'ascoltatore in un abbraccio consolatorio dopo un ultimo monologo indirizzato alla Nera Signora. Balliamo... Balliamo...
 

mercoledì 20 marzo 2013

25 marzo 2013
A ME MI ...DOMANI
Serial teatrale
di Alberto Patrucco e Antonio Voceri
Teatro Nazionale - Milano (MI) 
 

Nato da una intuizione di Alberto Patrucco questo spettacolo è il secondo capitolo di una trilogia pensata per rendere omaggio a una città che più di molte altre ha subito influenze diverse, ha accolto le persone più disparate da ogni dove e, ancora oggi, è capace di farsi amare e odiare allo stesso tempo.

“A me MI” è una rappresentazione corale che, pur mantenendo una sua originale continuità narrativa, si rinnova nei contenuti di serata in serata, alternando a un cast fisso degli ospiti speciali. Lo spettacolo è un graffio sulla Milano di ieri e di oggi, o meglio, uno sguardo disincantato sulla società meneghina.
 
Sul palco si alternano alcune maschere della comicità italiana che si ritrovano a contatto con la modernità o con le nostalgie per un tempo che fu: l'uomo  analogico (Zuzzurro) e quello tecnologico (Gaspare); uno straniero (Luca Koblas) alle prese con una Milano vista da est; il saggio professore (Antonio Silva) che racconta la "lingua madre", o meglio, di come parlava sua mamma; il critico letterario (Federico Valera) che recensisce e segnala libri che non usciranno mai... Così che il volto di Milano si deforma e diventa sorriso, risata, sberleffo.

Tra un quadro e l'altro, la corrosiva comicità di Alberto Patrucco che accompagna l'intero percorso, congiungendo col filo spinato della satira e della grande canzone d'autore le diverse parti di questo varietà; per l'occasione impreziosito da una carrellata di ospiti d'eccezione come Enzo Iacchetti, Andrea Mirò e Paolo Pasi; al solito supportato dalla sottofondo musicale della Sotto Spirito Band guidata da Daniele Caldarini.

Uno spettacolo da non perdere. Non fosse altro per poter affermare senza il rischio di incorrere negli strali dell'Accademia della Crusca, "A me MI". Dove, parafrasando Tino Scotti, "A" è preposizione; "me" pronome e "MI" la targa. 
 
BIGLIETTERIA
Prezzi dei biglietti
categoria A: 39€
categoria B: 33€
categoria C: 27.50€
 
Orario spettacolo:
lunedì 20:45
 
Per informazioni e prenotazioni:
02.00640888
dal mercoledì al sabato
dalle ore 15.00 alle ore 18.00.
 
Ritiro dei biglietti:
La biglietteria è aperta dal martedì al venerdì dalle ore 14.00 alle ore 19.00 con orario continuato. Il sabato e la domenica dalle ore 12.00 alle ore 19.00. In occasione degli spettacoli del lunedì, la biglietteria sarà aperta dalle ore 17.00 alle ore 19.00.

I biglietti acquistati su internet con modalità ritiro presso il luogo dell'evento possono essere ritirati dal giorno stesso dell´acquisto e fino a 30 minuti prima dell´inizio dello spettacolo.
 

martedì 19 marzo 2013

RETURN TO ZOOATHALON
Sananda Maitreya
- Treehouse Publishing - 2013

Realizzato secondo una ormai usuale tradizione in quattro sessioni che abbracciano questa volta un arco di tempo compreso tra il febbraio e il dicembre del 2012, il ritorno all'attività discografica per Sananda Maitreya prende oggi la forma di un lungo concept album incentrato sulle dinamiche intercorse nella quotidianità dello Zooathalon, realtà di livello altro, parallela al mondo razionale così come sperimentato attraverso i nostri sensi, e capace di rinnovare con la stessa freschezza compositiva i fasti del precedente THE SPHINX, rivelatorio masterpiece dell'artista americano da diversi lustri residente a Milano. Protagonisti principali di questa nuova opera rock a 360 gradi scritta, arrangiata, prodotta e suonata dal solo artista americano sono le figure chiave dello scienziato Robert Taylor Zippenhaus e del direttore d'orchestra Ruggiero Tommaso Zepperelli, soggetti, individualità lontane fra loro, ma unite da un obiettivo comune, da una missione, l'unica possibile, che germoglierà dentro loro e che si rivelerà capace di realizzarli completamente: mettere nuovamente piede a Zooathalon. Maitreya si appresta perciò a ridisegnare mondi e universi coincidenti fatti di accordi e corrispondenze, ricorrendo a un largo uso di tutta quella musica che è suo e nostro bagaglio culturale. Gli amati anni Settanta si annunciano così in multiformi espressioni: sono fonte primigenia tanto per i ritmi dell'Africa nera proposti da Brimstone Follies quanto per le eleganti atmosfere suggerite dalle chitarre wah wah di DFM (Don't Follow Me), potenziale singolo seducente e ondivago, e Just Go Easy. Si insinuano tra le spigolose note di Dancing With Mr. Nostalgia e Tequila Mockingbird qualche istante prima di esplodere dirompenti nell'amore bollente cantato in She's Not Right; penetrano la brezza zeppeliana di Hurricane Me & You e carezzano la coralità di Free To Be. La particolarissima e calda voce di Sananda sa toccare le corde giuste nelle interpretazioni di Where Do Teardrops Fall? e Ornella Or Nothing, inaspettato tributo alla nostra Ornella Muti, urlando tutto il disagio interiore in Save Me. C'è spazio per gli Stones di Brian Jones (Walk Away (Ghost Song)), per gli Who (Kangaroo) e i territori desertici del New Mexico (Albuquerque). Dopo le rocambolesche avventure del possibile alter ego Stagger Lee la quadratura del cerchio si completa con l'ottima Return To Zooathalon. In chiusura ecco infine l'omaggio all'antica amica Whitney celebrata in maniera raccolta dal delicato strumentale per solo pianoforte The Last Train To Houston. Sananda non manca certo di aggiungere tasselli preziosi nella costruzione della sua sempre più luminosa e pacificata carriera. Il ritorno a Zooathalon non è così un ritorno a quel passato che non può tornare, ma l'indicazione di un equilibrio musicale vivo che nella sua complessa semplicità è fedele ritratto delle sue aspirazioni. Un nuovo, ulteriore, sereno approdo. Il prezzo del biglietto è imposto dall'impegno nel viaggio. "The more you try to escape, the deeper you go into it."
 

lunedì 18 marzo 2013

FORMIGOLE
Toni Bruna
- Niegazowana - 2013
 
"C'è un filo rosso che unisce chi non si è mai conosciuto, che ci lega a qualcuno che forse incontreremo domani. C'è un filo rosso che guida e incrocia i nostri destini e ci porta ad amare a prima vista lo sconosciuto che è nella nostra vita da sempre". Così la scrittrice irlandese Josephine Hart nel suo romanzo di maggior successo Il Danno, bestseller internazionale di inizio anni '90 raccontato nella finzione cinematografica dall'indimenticabile cineasta francese Louis Malle in uno dei suoi ultimi lavori per il grande schermo. Riflessioni semplici e lineari che a ben vedere chi vive di Musica spesso si trova a realizzare in perfetta solitudine prima che, in un secondo tempo, vengano condivise da più parti. Il disco di Toni Bruna è uno dei tantissimi esempi concreti in tal senso. È la piccola pietra preziosa intagliata con cura e passione da mani esperte; la gemma rara recuperata e lavorata per la gioia del suo oculato possessore in una piccola bottega artigianale, lontano dagli occhi avidi prima ancora che indiscreti di chi non saprebbe come valorizzarla. FORMIGOLE è appunto quel filo rosso di cui sopra, capace dunque di unire e catturare l'interesse dei più attenti nel cui novero, da tempo, si è rivelato esserci quel chitarrista visionario che risponde al nome di Gionata Mirai il quale, non a caso, si troverà a dire a riguardo: "C'è  un  cantautore  triestino  molto  figo,  si  chiama Toni  Bruna...; a  lui  non frega niente di essere famoso, ma ha fatto un disco molto bello, uno dei pochi che ascolto attualmente senza premere “skip”." Già. Toni Bruna. Un nome in mezzo a tanti. Un nome comune che rivela però in soli 37 minuti una bellezza agrodolce unica, pura e incontaminata. Partendo dalle proprie radici, dalla propria terra, dalla sua storia e dalla sua lingua, qui rivoluzionario strumento unico di comunicazione. Ricordando con una chitarra carioca e alcuni inserti di tromba affidati a Massimo Tunin gli esuli istriani in esilio più o meno volontario del rione Baiamonti; avanzando con movenze sudamericane a piccoli passi tra i Pai De La Luce nel tentativo di sfuggire alla Nera Signora; narrando con indicibile leggerezza e forza descrittiva i miracoli pagani del Cristo De Geso, l'accidia mai passiva della Gente Che No Ghe Frega De Gnente e l'atmosfera accogliente e famigliare di Una Bela Casa, rifugio peccatorum e tomba della libertà insieme. Nell'emozionante e commovente folk-rock drakiano di Picar si pongono le basi per la successiva Sanantonio, smisurata preghiera animale densa di sofferente pathos caposseliano e tensione emotiva, costruita su un epico arpeggio ipnotico. Tesounasanta è arricchita dall'ennesimo fraseggio chitarristico mentre l'atmosfera campestre di Serbitoli sintetizza umori notturni e intime malinconie simili alle paure terrene della title track. Questo è il mondo di Toni Bruna. È i racconti contadini fra sacro e profano. È il Carso e la storia millenaria che lo accompagna. È le sue contraddizioni. È i bagliori della notte. È l'Enrosadira. Fotogrammi. Istantanee. Flash dai freddi colori pastello. Che colpiscono e abbagliano. Quasi accecano, talmente sono puri e incontaminati. Una primissima tiratura autoprodotta del cd venne resa disponibile anni fa solo nella zona di Trieste. Ora tocca all'Italia. Allargati gli orizzonti la vita e il passato scorrono inarrestabili. Legàti. Inscindibili. Incantevoli.
 

domenica 17 marzo 2013

SILENCE OF THIS TOWN
- Luca Milani - 2013
 

Primo estratto del futuro e atteso album LOST FOR ROCK'N'ROLL in uscita a settembre 2013.

giovedì 14 marzo 2013

TRAGIC TECHNOLOGY INC.

TRAGIC TECHNOLOGY INC.
Not Ordinary Dead
- 2419 Record Label - 2013

Nonostante tutte le traversie di line-up che hanno dovuto affrontare in quasi venti anni di carriera i Node non hanno mai deposto le armi, ma anzi avevano annunciato un nuovo album proprio in questo 2013, primo per l'ennesima nuova formazione assemblata negli ultimi mesi. L'arrivo di TRAGIC TECHNOLOGY INC. è però un grosso equivoco se riferito ai death-metallers lombardo-piemontesi fondati da Steve Minelli e Gary D'Eramo nel lontano 1994. Questi Node sono in realtà i NODe, acronimo riferito al più esteso Not Ordinary Dead; sono un duo allargatosi a quartetto, arrivano dalla Campania e si prodigano in un convincente mix di contaminazioni elettroniche che non disdegna incursioni nel rock e nella new wave; il tutto condito con quel pizzico di dark ad alto voltaggio di beat che in casi simili non guasta mai. Per evitare di incorrere in fastidiosi casi di omonimia continueremo perciò a chiamarli con il loro nome esteso, assai più eloquente e in linea con la proposta offerta. L'iniziale The Way I Do è una continua accellerata priva di attriti sull'acido asfalto dell'house, tra voci effettate e ritmi ben squadrati dal nucleo originario composto da Johnny Lubvic (prossimamente troveremo il nome di battesimo) e Kamoto San (alias Fabio Celiento), che portano in un baleno alle atmosfere sintetiche di Precinct Node care ad Alec Empire, ma filtrate dall'umore più intimo dei Depeche Mode. Piace la digitilizzazione di To Die 10000 Times (All About This), non certo un irrefrenabile riempipista, ma brano sinuoso e vellutato, capace di tenere sul filo del rasoio l'ascoltatore prima di abbandonarlo in vista della marziale Matter Of Time. Un uso della voce che riesce ad unire due anime inquiete come Dave Gahan e Brian Warner è l'elemento caratterizzante della disamina electro-rock esposta in Videocy; l'ossessiva Deadman Working è più macchinosa, non convince nella pronuncia delle strofe, ma mantiene una buona dose di oscuro disagio che troverà pieno compimento nella successiva Man In The Middle, forse l'episodio più riuscito del lotto. Spetta a Something Against Me proporre un nuovo crossover elettronico da dancefloor carico di svisate tastieristiche più in linea con alcuni episodi minori di Subsonica e del seminale Luca Urbani. Completano il lavoro una rigenerata Kinky Eyes e l'electro-beat di This Atomic Love, tracce provenienti dall'ep TUNING THE UNTUNABLE del 2012, ma per l'occasione opportunatamente remixate rispettivamente dal solo Pasquale Tarricone, navigato tastierista-compositore a.k.a. Pak T2R, e dai compaesani Moo'Nadir, nuovo trio electro-partenopeo con un buon futuro davanti a sé. Forse non ancora particolarmente innovativi, ma dotati di una indiscussa e ampia visione sul mondo elettronico, i Not Ordinary Dead vanno ad occupare quella casella lasciata inspiegabilmente libera nel puzzle musicale di Napoli e dintorni, dimostrandosi realtà importante per la crescita culturale del proprio territorio. Una Campania vitale, generosa e propulsiva, troppo spesso vittima solo perché in mano a carnefici.
 

martedì 5 marzo 2013

COME SE FOSSI DIO
Leon
- Treparole - 2013

Io mi ricordo di Leon. Lui non può saperlo, ma ci siamo già visti. Era una serata di metà novembre, nel 2004, in trasferta nelle sperdute terre biellesi. Suonavano gli indimenticabili Trombe di Falloppio in una formazione a cinque davvero lussureggiante davanti a pochi, pochissimi eletti in quel mai troppo rimpianto tempio della musica che fu il Babylonia. Cinque euro l'ingresso. Forse pure una consumazione inclusa. Non so, non ne ho la memoria. Quello che ricordo bene è invece il quintetto di apertura, capitanato da un giovane che, nella risicata mezz'ora concessagli, seppe catturare con i suoi compagni di band l'attenzione dei presenti grazie ad una esibizione davvero vigorosa e convincente. Io mi ricordo degli Zoo. E mi ricordo di Simone Perron. T-shirt nera, jeans e un paio di scarponcini Timberland. Un demo registrato da poco in vendita a fine concerto. Poi non seppi più nulla. Almeno fino all'altro giorno quando premendo il tasto play venni colpito dal mix di elettronica-pop cantautorale di Come Se Fossi Dio, opener dell'omonimo cd d'esordio del progetto Leon. Una smaccatamente laccata copertina "graffiata" algidamente dal grafico Nicola Napoli (ex Godless Tree) diventa così il biglietto da visita per l'ennesima ripartenza del musicista valdostano, questa volta affiancato nella stanza dei bottoni dall'eclettico Pietro Foresti. Difficile ritrovare nei suoni oggi il giovane Perron di allora. Leon ha spazzato via le chitarre pesanti e la ritmica pestona; ha recuperato tastiere e chitarre acustiche, tracciato paesaggi meno claustrofobici, ma adulterato l'innocuo pop adolescenziale diffuso ai giorni nostri e virato su liriche volutamente provocatorie. Dirette. Senza filtri. Un percorso solo in parte simile al corregionale Francesco-C, il quale all'elettrica ancora non rinuncia e si dimostra sempre capace di felici intuizioni liriche; un percorso che per Leon è in fase di costruzione, tra creatività da incanalare e ferrea determinazione nel perseguire gli obiettivi. C'è spazio per la denuncia sociale di Nel Gin (rivisitata nel remix marpione targato Nedagroove) e per il disagio mentale prima ancora che fisico legato all'anoressia di Bellissima, vetta liquida del cd; si eleva un Canto Notturno e vengono tracciate Immagini più tradizionali, seppur venate da inquietudine e sofferenza dark, mentre centinaia di Profughi muovono verso la terra promessa. Non si rinuncia (giustamente) all'alternanza bilinguistica fra italiano e francese. La familiarità con la lingua d'Oltralpe, del resto già ampiamente manifestata in LITANIES, secondo album di un'altra precedenza vita artistica di Leon, gli El Negro, affiora infatti nella universale Encore e nei solchi di una irriconoscibile Wicked Game di isaakiana memoria, qui rimaneggiata ai limiti del trip hop e ribattezzata opportunatamente Jeux Dangereux. E c'è spazio pure per il latino nella dura condanna rivolta al clero corrotto dalla pedofilia della, a tratti, pretenziosa Ego Te Absolvo. Ancora poco più di tre minuti e l'esordio è completo. Ovattata, Giorni Di Pioggia spinge sull'accelleratore e sull'entusiasmo del rock, fin qui abbastanza tenuto in disparte, unendo Garbo e Subsonica, passato e futuro. La strada è dunque tracciata. Non resta che percorrerla. ps: chissà se Simone ha ancora quel cd degli Zoo da qualche parte...
 
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