giovedì 27 febbraio 2014

PER TUTTI

PER TUTTI
Riccardo Sinigallia
- Sugar - 2014

Domenica 2 giugno 2013 eravamo come da tradizione a Cremona per quel gran bel festival multiforme che è Le Corde dell'Anima. Organizzata dal poliedrico Vittorio Cosma la rassegna si svolge solitamente in più giornate per dar modo a tutte le realtà coinvolte di avere un giusto spazio e la meritata attenzione. Musica e letteratura. Il canto e la parola. Avevamo annotato la presenza di Riccardo Sinigallia (peraltro collega di Cosma nel progetto Deproducers) nella giornata di sabato così come del resto ci eravamo appuntati quelle di Alicia Gimenez Bartlett, Vinicio Capossela e Tim Parks, ma l'improvvisa defezione di Franco Battiato e Manlio Sgalambro, unita invece alla concomitante doppia (e ghiotta) opportunità di assistere a due performance proposte altrove rispettivamente da Blastula e Pierpaolo Capovilla, ci aveva fatto desistere e optare per presenziare nella città del Torrazzo appunto ventiquattro ore dopo. Mai avremmo pensato di ritornare con la mente a quei giorni in occasione del LXIV Festival di Sanremo quando l'orecchiabilissima Prima Di Andare Via, uno dei due brani presentati alla kermesse ligure dal cantautore romano, a  Cremona presente insieme alla compagna Laura Arzilli in una chiacchierata con lo scrittore Lorenzo Amurri, sarebbe stata squalificata dalla gara perché già eseguita in pubblico proprio in occasione di quel pomeriggio cremonese. Una beffa, ma anche una leggerezza che si è trasformata in una trovata pubblicitaria in buona fede capace di catalizzare l'attenzione su Riccardo come forse mai prima d'ora. Una vittoria in termini di visibilità anche più significativa di quella ottenuta da chi sul podio sarebbe poi realmente salito. E una occasione per porre l'attenzione su un album come PER TUTTI che a otto anni di distanza dal precedente INCONTRI A METÀ STRADA rilancia lo stile personalissimo di Sinigallia presso il grande pubblico. Non una svolta copernicana rispetto al passato in termini di suono e tematiche, ma senza dubbio una nuovo portfolio musicale di momenti intimamente universali, meno elettronici e forse per questo anche più immediati e pop, come E Invece Io, lungo e comunque dilatato racconto introspettivo posto in apertura, rivela. Appassionato di musica e di parole, ma soprattutto affascinato dalle suggestioni che queste provocano nell'ascoltatore, Riccardo Sinigallia torna a raccontare sé e il proprio mondo, senza filtri. Riannoda i fili della sua storia, ne traccia nuovamente i contorni, ricordando episodi d'altri tempi, di amicizia e amore. È un salto nella propria memoria, negli anni dell'adolescenza e delle sue problematiche (Io E Franchino); ed è un tuffo nelle esperienze del passato più prossimo, ancora vivo nella memoria, ma proprio per questo pur sempre irraggiungibile, senza troppi rimpianti, come Le Ragioni Personali ammoniscono. Fotogrammi che gli occhi del cuore hanno saputo catturare per brevi istanti e che hanno saputo restituire emozioni espressioniste fissandole nel ricordo in maniera indelebile per aiutarci in un nuovo cammino. Quello della quotidianità e dell'urgenza dell'io, essere umano determinato da parametri oggettivi ed ambientali. Sembrerà così di viaggiare una volta ancora con la stessa valigia in due. Tu Che Non Conosci non puoi capire: il cuore è una ricchezza che non si vende, non si compra, ma si regala. E per me è importante.

mercoledì 26 febbraio 2014

ADAM CARPET

ADAM CARPET
Adam Carpet
- Rude Records - 2014

Adam Carpet è un sogno. È una visione. È la realizzazione di ciò che era in potenza ed ora è divenuto realtà. È un atto concreto. È una svolta per molti. È rischio. È avventura. È libertà. Non ci sono vincoli, non esistono regole programmatiche: solo la creatività e l'improvvisazione di cinque menti e dieci braccia che si sono messe a disposizione reciprocamente. ADAM CARPET è un disco di testa e, molto, molto di pancia. È la colonna sonora attuale per le vite dei protagonisti che si celano dietro questo nome e dentro questa entità. Sperimentale, aperta a influenze e collaborazioni la band milanese è una sorpresa continua, tutta da scoprire. A partire dagli avveniristici live act implementati da quel video-mapping, studiato e messo a punto in collaborazione con  il collettivo Akme, che diventa ogni volta caratteristica peculiare, sebbene non determinante, di ogni centellinata esibizione. Il suono che si trasfigura in immagine e colore. La forma che restituisce onirici impulsi sonori e psichedelia contemporanea. Geometrie caleidoscopiche che sono proiezioni di altri mondi, porzioni, composte e ricomposte, di un vissuto in continuo e costante movimento. Due batterie e due bassi pronti a sfruttare il ritmo, rispettivamente percosso e accarezzato, per sviluppare piani e dinamismi, e un Giovanni Calella, a suo agio tra synth e chitarre, solitamente perno (anche visivo) su cui far ruotare tutto. Anticipato nel dicembre del 2012 da un paio di concerti a Roma e Milano, e inizialmente uscito solo in digitale con una distribuzione nei negozi in versione bundle composta da seedcard con codice per il download digitale e una t-shirt contenute in un box di carta riciclata, l'esordio omonimo per la nuova band di Diego Galeri vive di strutture analogiche e profondità elettronica. Gli impulsi costanti garantiti da lui e dall'altrettanto noto collega di pelli Alessandro Deidda reggono le sorti tanto degli episodi distorti (la sperimentale Jazz Hammerhead) quanto di quei momenti più dinamici come The Charge e Cowgirl In The Shower. In perfetta simbiosi e interazione con i bassi di Edoardo "Double T" Barbosa e Silvia Ottanà costruiscono architetture mobili (I Pusinanti) e liquide (Manmasquerade); forgiano episodi compiuti come Carlabruni? e il singolo Babi Yar. Anche quando l'assetto muta, specialmente on stage, e certe parti vengono dilatate (Human Crossing) mentre altre sono completamente ignorate, quasi tutti i brani restano imprescindibilmente legati fra loro. Alla decina di episodi che compongono questo debutto si sommano qui due brani aggiuntivi rispetto all'edizione digitale dell'anno passato. Di Dream City, abbiamo già avuto modo di parlare nei mesi scorsi in occasione dell'uscita di ARTISTI VARI RISUONANO I FRIGIDAIRE TANGO, intelligente compilation dedicata alla seminale band trevigiana dalla quale è tratto. La drammatica Future Teen Idol è invece parte integrante della soundtrack realizzata per il film Venezia Impossibile, lungometraggio a zero budget presente alla seconda edizione del Venice Film Market in occasione della 70^ Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, ispirato all'omonimo romanzo pubblicato da Marco Toso Borella e diretto dal cineasta William Carrer. Due cadeau che completano il lavoro degli ultimi due anni, nato con lo spirito di avventura e proseguito credendo fermamente nel risultato finale. In attesa degli sviluppi futuri già in corso d'opera. Il guerriero è vivo ed è tornato.
 
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martedì 25 febbraio 2014

SEGNI (E) PARTICOLARI

SEGNI (E) PARTICOLARI
Alberto Patrucco - Andrea Mirò
- Anyway Music - 2014

Pur non essendo mai stato autore troppo noto in Italia Georges Brassens con la sua indole pigra e schietta, sempre al passo con i tempi, ha saputo lasciare il segno in più di un professionista della nostra canzone d'autore. Maestro indiscusso fra gli altri di Fabrizio De André, traduttore ad inizio carriera di una mezza dozzina abbondante di canzoni che si prestavano alla traduzione senza particolari voli pindarici e artifici linguistici (la celeberrima Il Gorilla è fra queste) l'irriverente artista di Sète riceve a oltre trent'anni dalla sua scomparsa l'ennesimo atto d'amore da parte del mai banale Alberto Patrucco, verace equilibrista della parola, libero osservatore del quotidiano e colto filologo musicale con una passione esagerata per il baffuto concittadino di Paul Valery. Giunto al secondo capitolo e mezzo della sua recente produzione musicale se, come dovuto, consideriamo parte integrante del tutto l'ep omonimo allegato ad un libro lapidario come NECROlogica Alberto non modifica la propria dedizione al lavoro per il quale abbiamo avuto la buona sorte di conoscerlo. Ne cambia solo, in parte, il vestito sonoro. Dopo il lussureggiante esordio di CHI NON LA PENSA COME NOI, impreziosito da una pletora di Musici e Artisti d'altissimo rango e prestigio che donarono una veste cantautorale estremamente ricca e ricercata alle dodici canzoni prescelte e, ricordiamo, quasi tutte originariamente pensate per sola voce e contrabbasso, con SEGNI (E) PARTICOLARI il taglio oggi si fa più rock. La scelta è pressoché obbligata e felice se sulla propria strada si ha la possibilità di incontrare anime affini come la vulcanica Andrea Mirò che di lì a poco avrebbe saputo coinvolgere l'altrettanto artisticamente irrequieto Enrico Ruggeri. Impostato una volta ancora il lavoro in compagnia dell'indispensabile Daniele Caldarini, supervisore della quasi totalità degli arrangiamenti, Patrucco, come in un autentico gioco di squadra, passa presto la palla a Mirò e compagni in cabina di regia, per poi chiedere la triangolazione decisiva e finalizzare da autentico attaccante di razza. Dopo le tante esecuzioni dal vivo negli spettacoli teatrali trovano così definitiva sistemazione su disco altri tredici brani scelti seguendo ciò che il proprio cuore suggeriva. Ecco perciò la storica La Cattiva Reputazione, uno dei brani cardini di Brassens, fare il paio con le recriminazioni beffarde di Se Soltanto Fosse Bella, arricchita dai fiati à-la Chicago e dall'intervento vocale di Enzo Iacchetti, e con l'irriverente Nonno Riccardo affidata ad un esuberante Ricky Gianco. Si ritaglia un angolo tutto suo Andrea Mirò con l'intensa (poteva essere altrimenti?) Penelope; Ruggeri fa lo stesso sposando l'ottima La Domanda Di Non Matrimonio costruita sulla chitarra gipsy di Marco Nista. E che emozione ascoltare di nuovo accanto alla coppia Mirò-Ruggeri gli interventi alla batteria dello storico Champagne Molotov Luigi Fiore, le centellinate note di pianoforte di Pino Di Pietro e la chitarra sempre più raffinata di un rocker come Luigi Schiavone. E ancora: il mito Ellade Bandini, il "fibrillante" Eugenio Finardi nel dolceamaro racconto de La Principessa E Il Musicante che pare provenire direttamente da un album della Cramps, i compagni di palco Ale e Franz ai cori della sempre attuale Il Re, l'arpa celtica di Vincenzo Zitello e il violoncello di Mattia Boschi nella tormentata Ragazze Di Vita, il "Billa" Davide Brambilla alla tromba, ma soprattutto alla fisarmonica della maestosa Il Grande Pan, vertice del cd per densità di contenuto. Nota di merito a Francesco Gaffuri, da sempre discreto e misurato collaboratore di Patrucco, che qua irrobustisce il sound, ora al basso ora al contrabbasso, confermandosi affidabilissima spalla per più celebrati colleghi. Al comico brianzolo il merito invece di restituire una volta  ancora attraverso la sua caratteristica "non voce" l'anima delle acute composizioni di Brassens, salvandole dall'oblio italico e restituendole integre all'attualità, mantenendo la propria cifra stilistica nelle fedeli traduzioni senza ritocchi alla metrica. Perché Brassens è "parole che suonano e musica che parla". E Patrucco la sua più sincera incarnazione. Ça va sans dire.
 
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venerdì 21 febbraio 2014

ATTO II

ATTO II
Lucifer Big Band
- Bloody Sound Fucktory/HYsM?/Lemming/Neon Paralleli - 2014

Strappi, brusii, vortici e spirali di suono, ritmiche analogiche, spie, clangori, interferenze, feed back, tessuti di plasma, fruscii, lamenti, onde sonore cicliche e distorte, voci dall'inferno. Inaugurata sul finire del 2013 la stagione dei progetti solisti in casa The Great Saunites con il secondo album di Billy Torello a.k.a. Leonard Kandur Layola nonché alter ego di Angelo Bignamini, tocca proprio a quest'ultimo rilanciare ora la sua personale big band luciferina abbandonando temporaneamente gli abrasivi terreni visionari del progetto madre in combutta con il sodale Atros (Marcello Groppi) e quelli sorprendentemente ben più tradizionali legati a ponti sull'Adda in costruzione e pulci pesanti come elefanti tracciati in compagnia di Luigi Zanoni, per procedere nelle oscure spirali di noise arcano e ambientale prodotte da questo ATTO II, sequel sparagnino al debut album ATTO I ed evocativo parto discografico influenzato dal sottovalutato, ma estremamente valido ep UGO, omaggio postumo in musica all'omonimo pittore lodigiano Maffi scomparso qualche tempo prima. Registrate da Michelangelo Roberti e masterizzate da Riccardo "Rico" Gamondi le uniche due tracce del cd-r vedono Bignamini in pieno trip creativo, incurante di regole e strategie, ma vincolato da una naturale predisposizione al salto nel buio che improvvisazione e sperimentazione sul campo impongono. È il suono così a viaggiare libero nelle cavità e nel vuoto attraverso cui si propaga, frastagliato dagli eventi, manovrato da Bignamini e modellato a suo insindacabile gusto. "In ATTO II convivono le manipolazioni elettroniche e le visionarie trance sonore dei Grateful Dead, il noise ferino e l'ambient estatico, la filosofia "oscura" di Eraclito e i demoni surrealisti di J. G. Ballard": uno zibaldone redatto con mano ferma, sviluppato in tutta la sua significanza per mezzo del flusso incessante di suoni che, prendendo vita, prima si contorcono su sé stessi, poi si distendono e infine, per volontà umana, cessano - spettrali - ogni attività. Una occasione per vedere evocati attraverso soundscapes convulsi landscapes mentali così concreti da rapire l'attenzione, far cadere in trance l'ascoltatore e riportarlo alla realtà solo al cessare dello scampanellio finale, ipnotico incantesimo magiko e sabbatico. Un nuovo passo verso la percezione dell'impercettibile, un approfondimento degli abissi che il suono slegato dalle convenzioni lascia emergere dalla sua dimensione più sconosciuta raramente fatta oggetto di studi da parte di ricercatori e analisti. Un ultimo passaggio attraverso la zona grigia prima di vedere un bagliore laggiù in fondo. Ormai è già tempo di risveglio. In attesa dell'atto successivo. Iam ite: missa est.
 
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martedì 18 febbraio 2014

DROP

DROP
Tying Tiffany
- Trisol - 2014

Ciò che a tutta prima colpisce di questo quinto lavoro in studio per Tying Tiffany è sicuramente l'immagine di copertina, per la prima volta non autoreferenziale e commissionata ad Annita Rivera, graphic designer spagnola più nota col nome d'arte di Plastica. "Le ho raccontato con immagini la mia visione di DROP - racconta Tiffany - un oceano, inteso come spazio infinito, gocce come piccoli pianeti e la connessione con la natura. Annita ha reinterpretato con il suo stile astratto e surreale, ma perfettamente rigoroso, una sorta di mondo parallelo dove il colore non è protagonista, ma lo sono forme, linee e concetti." Una chiave di lettura capace di rivelare visivamente in maniera assai evidente, attraverso un equilibrio geometricamente stabile e calmo, un desiderio forse più profondo dell'artista patavina, quasi che la sua volontà attuale sia infatti quella di confondersi nel flusso incessante che regola il mondo, il cosmo, l'universo. Lo stesso DROP è un contenitore capace di fondere senza soluzione di continuità il precedente ep ONE, rilasciato nel corso del 2013 per il solo mercato statunitense, a una mezza dozzina di nuovi pezzi che ne completassero la visione di universalità, di farsi tutt'uno con il Creato. Un desiderio questo che si riflette pure nei suoni del disco, mai così eterei ed emozionali pur restando nell'ambito dell'elettronica di ricerca. Forse DROP è realmente il lavoro più personale di Tying Tiffany. È il disco intimo, quello in cui per la prima volta davvero lei si mette a nudo di fronte al mondo, ma prima ancora di fronte a sé stessa, senza specchi o maschere, ma con tutta l'onestà intellettuale di cui un essere umano sa essere capace. Quella stessa onestà che aveva animato la community delle Suicide Girls di cui un'allora intraprendente ragazza dal caschetto nero corvino faceva attivamente parte, ma ulteriormente svuotata da ogni forma di apparente esibizionismo. Uno step beyond dunque nel proprio cammino, alla ricerca di una bellezza interiore per la quale vale la pena spendere sempre maggiore attenzione. Anche il canto diventa così finalmente mezzo di espressione, spogliato dai ritmi forsennati e ossessivi di frastagliato glitch e break beat mutuati dalla scena rave ed electro punk anni '90 a cui eravamo stati abituati. È come se dopo aver preso coscienza dell'oscurità oggi ci si interrogasse sull'essenza della vita umana, sull'unicità e sulla consapevolezza di ciascun essere vivente, nella sua solitudine (A Lone Boy) e nel suo vivere senza apparenti vie di fuga (l'Aphex Twin ovattato e meccanicamente attivo di No Way Out). Meno rumore e più attenzione alle dinamiche, marziali, geometriche come si diceva all'inizio, ma anche naturali e fluttuanti: in Deep Blue River c'è addirittura un sample del canto delle balene che è per definizione un canto celeste seppure marino, insondabile, ma emozionante e funzionale. È il richiamo a quella Pangea cosmica espressa anche dal lavoro di Plastica; è la volontà di una musicista di rimettersi in discussione attraverso forti spinte motivazionali capaci di abbracciare quello spazio infinito che è innanzitutto dentro noi, fino a dissolversi in un oceano di silenzio. Alla ricerca della pace. E il naufragar - una volta ancora - m'è dolce in questo mare...

giovedì 13 febbraio 2014

YELLOW MOOR

YELLOW MOOR
Yellow Moor
- Prismopaco Records -

"Perché non facciamo un disco? Non credi sia arrivato il momento?" A tutti gli orfani e a tutte le vedove di Juan Mordecai, supergruppo nato dalla fusione dell'anima creativa dei sodali David Moretti e Andrea Viti che nell'anno del Signore 2.0.0.7., conglobando al proprio interno l'altra metà dei Karma più tutta una serie di eccellenti amici musicisti, ebbe l'ardire di pubblicare un "febbr-eccitante" disco d'esordio di folk psichedelico imbastardito da uno stoner rock acido sferzato dal vento caldo e polveroso del deserto californiano, farà certamente piacere sapere che dopo sette anni di distanza da quell'unicum musicale e da una manciata di strepitosi live c'è ancora tempo per continuare a sognare. Yellow Moor infatti è il nuovo progetto di Mr.Viti che, affiancato al canto dalla performer visiva Silvia Alfei, si cimenta nuovamente in prima persona con una band solida e affiatata (a sostenere le sorti del duo ci sono infatti 3/5 dei veronesi Facciascura, in passato già protagonisti di un duetto con Moretti sulla classica Il Cielo e ampiamente debitori degli storici Karma) la quale, pur contribuendo a disegnare nuovi scenari sonori solo in apparenza più melodici, accentua senza filtri il lato tormentato di Mordecai. Ed è un fiume in piena quello che sgorga da Castle Burned, con quel suo appeal tutto aliceinchainsiano, il raddoppiamento delle voci - effettata quella di Viti, pulita quelle del coro - la batteria quadrata e le distorsioni di chitarra in bella evidenza. È il sogno che si materializza nuovamente; l'utopia che si dissolve per diventare realtà. Un'alchimia catartica, grintosa e ondivaga, che coinvolge e sconquassa le anime attraverso la sua tensione ritmico espressiva. A riannodare le fila dei discorsi passati ci pensa ora They Have Come, futuro singolo sciamanico, cronaca di confusione e smarrimento che pare sequel non voluto di quel Demon Lover cantato proprio da Viti in conclusione a SONGS OF FLASH AND BLOOD. L'intro vagamente beatlesiano di Across This Night regala presto la certezza che l'intreccio di voci di Andreino e Silvia funziona a meraviglia così come l'innesto dei Facciascura pare assai efficace per restituire vibrazioni positive in mezzo alla tempesta (Inside A Kiss). Più nervoso l'assalto sonoro di Seven Lizards, visionaria riflessione sulla condizione umana che fa il paio con gli echi di registrazioni americane alla base dell'equilibrio per chitarra elettrica e voci espresso dalla tagliente Ghost. Del resto, a spiegare per filo e per segno quello che è uno spaccato di quotidianità fatto di ossa rotte, tagli alle mani, ferite, fallimenti, incubi e rinascite non basterebbe un libro intero. Andrea e Silvia lo sanno bene perciò condensano e sintetizzano le loro esperienze in un'anima sola, dall'attitudine elettrica, ma ancorata ad un epicureismo di fondo, immateriale e delicato, quasi spirituale, che cozza contro le aspettative di tante ipotetiche Supastar. Dicono che bisogna saper convivere con i propri demoni: questa però è la vittoria della vita su di loro. Una vittoria volutamente sommessa, ma definitiva che si lascia suggestionare dai colori del paesaggio che ci circonda; sfumature e gradazioni di un giallo grano intenso, come la landa davanti ai nostri occhi. Un giallo capace di riportare il sorriso e la serenità, lenire le ferite e restituire la fiducia. "L'elefante lento torna sempre alla carica."
 
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mercoledì 12 febbraio 2014

STILE DI VITA

STILE DI VITA
Facciascura
- Cabezon Records - 2013

Se vivessimo in un mondo capace di procedere in maniera lineare oggi i Facciascura sarebbero visti senza dubbio come naturale evoluzione di un certo sound mutuato in Italia nella prima metà degli anni '90 da band come Karma e Six Minute War Madness, a loro volta ampiamente debitrici di tutta quell'ondata alternative proveniente nello stesso lasso di tempo da Seattle e dintorni, che avrebbe finalmente trovato una collocazione di stile e di mercato - perché anche di questo bisognerebbe parlare - autorevole e prestigiosa. Probabilmente anche gli orfani e le vedove di Timoria, Ritmo Tribale, Fluxus e C.S.I. affollerebbero oggi i concerti del quintetto veronese e non si lascerebbero sfuggire l'opportunità di far proprio un album come STILE DI VITA che distanzia anni luce l'esordio di QUANTI NE SACRIFICHERESTI? per qualità, suoni, arrangiamenti, potenza e produzione. Un album al quale riviste specializzate e non si interesserebbero, curiose e avide di retroscena sulla sua genesi e sulle biografie dei musicisti che ne hanno contribuito alla realizzazione. Un album che, dopo gli opportuni ascolti, occuperebbe ore di conversazione e disamine tra gli appassionati di rock robusto, felici di aver tra le mani l'ennesima prova maiuscola, anticipata dallo strabordante singolo Intercapedine, di una band italiana probabilmente destinata, andando avanti di questo passo, a rivaleggiare con i colleghi d'Oltremanica e d'Oltreoceano. Il fatto che con il cambio di millennio le chitarre siano state generalmente sostituite nei favori dei più giovani da macchine, strumenti elettronici e campionatori non ha di certo sminuito il valore intrinseco all'opera dei fratelli Cappiotti, ma ha privato i Facciascura di una giusta e meritata visibilità cui avrebbero potuto tranquillamente aspirare un ventennio fa. Eppure, proprio perché i tempi sono cambiati, il pubblico, quello attento tanto alle novità quanto ai numeri primi, ricerca e chiede maggiore onestà. Oggi più di prima. Già l'attacco al fulmicotone di VJ è un ottimo biglietto da visita con cui il quintetto scaligero decide di presentarsi, tra assoli di chitarra, ritmiche serrate e una credibilità vocale capace di assorbire, man mano che si va avanti nell'ascolto di questo secondo capitolo discografico iniziato grazie ai buoni uffici del mentore Giancarlo Onorato e proseguito con la produzione dell'attento Andra Viti, sfumature mutevoli e differenti energie. Per nulla statici nelle loro convinzioni sonore il gruppo lascia confluire in STILE DI VITA tutte le proprie caleidoscopiche influenze. È sì (post) grunge made in Italy, ottimo per pareggiare le frizzanti trovate sonore di Soundgarden e Malfunkshun, tra le realtà più aperte del genere; ma è anche visionarietà desertica (i Doors di Maggie M'Gill) e soprattutto gusto per la melodia. Una peculiarità questa tutta italiana a cui non ci si può fortunatamente sottrarre. Basti pensare alla voluttuosità che avvolge l'onirico sonnambulismo di Vuoi Sapere Perché Non Dormo Più Di Notte o all'abbraccio pomeridiano di Alaska. Uragano, con i Timoria nel cuore, anche grazie all'intervento misurato di Paolo Benvegnù nei cori alleggerisce altrimenti le vorticose spirali che le danno respiro. E che dire di Shawn Lee, fantasista della musica, che stravolge la fangosa New Songs Are No Good? Ma non sono gli ospiti a contare realmente nell'economia del cd. Sono molto più semplicemente le canzoni, la passione e il gusto con cui i Facciascura capitalizzano tutte le pulsioni sedimentatesi nel tempo dentro di loro, recipienti in carne ed ossa pronti ad esplodere come un vaso di Pandora benefico. Termometro umano del fermento e del furore che alberga nell'underground italiano. Avanti così.
 

mercoledì 5 febbraio 2014

FIUME VERTICALE
Barachetti / Ruggeri feat. Michele Gazich - 2014
 


Otto chitarre elettriche suonate da ventilatori nella prima videoperformance del duo formato da Luca Barachetti (ex Bancale) e Enrico Ruggeri (ex Hogwash) in collaborazione con il violinista Michele Gazich e il videomaker Martino Pinna. Dal vivo. In una sola ripresa.

lunedì 3 febbraio 2014

(NON HO) NIENTE DA SOGNARE

(NON HO) NIENTE DA SOGNARE
Alanjemaal
- Fermo / Spento - 2014

Perché occuparsi di cinque musicisti che all'alba del 2014 pubblicano un cd volutamente fuori moda che pare arrivare direttamente dalla prima metà degli anni '90 del secolo scorso? Perché loro, all'epoca, c'erano. Anzi, spinti da una passione enorme per la loro musica, hanno sudato, sgomitato e lottato per tentare di far parte integrante di un intero movimento, quello dell'allora cosiddetto "nuovo rock italiano", capace di sdoganare anche all'interno del proprio sottobosco, sonorità provenienti da Oltreoceano (Nirvana, Hüsker Dü, Screaming Trees) con la familiarità di quelle stesse band americane verso cui erano debitori e una peculiarità melodica tutta italiana. Il ricordo sonico dei macheriesi Rude Pravda, 4/5 dei quali hanno dato origine proprio agli Alanjemaal, corre rapido ad una dozzina di pezzi distribuiti equamente su un paio di cassette autoprodotte tra 1995 e 1998 per poi disperdersi nel nulla, dopo la fuoriuscita dall'organico del bassista Agostino Rubelli l'anno seguente. In realtà le principali difficoltà del nuovo corso, che vedeva sempre al timone della nuova band il vociante chitarrista Alberto Casiraghi supportato dai due abili Lucchini (Marco alla chitarra e Gianfranco alle tastiere) e da Andrea Ventura alla batteria affiancati ora dalla new entry a quattro corde Alessandro Polito, nascono da motivi di ordine pratico prima ancora che qualitativo. La delusione di non aver trovato un riscontro immediato all'interno del mondo discografico nonostante tutto l'impegno profuso e l'interesse sincero del guru Fabio Magistrali, oggi di nuovo al loro fianco, sarebbe andata di pari passo con le incombenze inderogabili che la quotidianità di una vita fatta di famiglia, figli, lavoro, non lavoro, bollette da pagare, riserva a ciascuno di noi. Addirittura un intero album, registrato nel 2001 con in testa e nel cuore i Motorpsycho, sarebbe stato rimandato sine die per ben undici anni finché l'ennesima autoproduzione avrebbe finalmente assicurato la luce all'esordio degli Alanjemaal nella primavera del 2012. A quel punto gli ingranaggi della macchina erano già stati riattivati, oliati e rimessi in ordine; e allora perché non ripartire proprio dalla ruggine? Detto fatto. Il quintetto lombardo, forte di nuovi consensi e appuntamenti live, ritrova la verve dei giorni migliori, jamma e sperimenta. "Se DALLA RUGGINE era il disco della ripartenza dopo un periodo troppo lungo di inattività, (NON HO) NIENTE DA SOGNARE si interroga sui nostri ultimi anni, sulla complessità del nostro presente, sull'incertezza del futuro di chi vive questo tempo" - ci tengono a far sapere gli Alanjemaal. Mentre Il Sonno Della Ragione continua a generare mostri ecco così spiegato come il gorgo frenetico in cui è precipitata la civiltà metropolitana odierna si rifletta presto in quello sonoro di Noia E Paranoia e, dopo essersi inabissato nella pachidermica e caustica Invernomuto, riemerga dalla centrifuga di Te Ne Vergognerai, scalpitante anthem del nuovo corso. Non più lunghe cavalcate strumentali, ma una maggiore immediatezza, un suono più diretto e meno meditato, seppure sempre stratificato (Impassibile) e nell'insieme complesso (Il Primo Vento). La forza irresistibile si scontra una volta ancora con l'oggetto inamovibile. È una sfida titanica quella messa in musica da Casiraghi e soci. Una storia, la loro, da portare ad esempio per tutti quei ragazzi che dopo due mesi di cantina già si piangono addosso. Sì insomma, una roba folle. Bentornati.
 
un link alla seguente recensione è presente qui: http://alanjemaal.com/#e62/custom_plain e qui: http://www.facebook.com/Alanjemaal

sabato 1 febbraio 2014

PERSI NELLA NOTTE

PERSI NELLA NOTTE - EP
Les Enfants
- autoproduzione - 2013

I Les Enfants sono un gruppo di giovanissimi milanesi che è impossibile essersi persi nel corso degli ultimi anni. Chi bazzica regolarmente o anche solo di tanto in tanto i club, i locali o i circoli culturali sparsi nelle province del nord Italia non può non averli incontrati almeno una volta sul proprio cammino. Spesso in apertura a nomi al momento di maggior richiamo (almeno sulla carta); sovente in qualità di headliner, sicuri dei propri mezzi e galvanizzati dai costanti attestati di stima provenienti da più parti che, per chi ha scelto come loro di far davvero una palestra musicale seria e faticosa, monitorano in presa diretta il polso della situazione. PERSI NELLA NOTTE è la loro seconda uscita discografica, il gemello maggiore di quel primo ep omonimo che, uscito poco più di un anno prima, aveva consentito loro di iniziare a diffondere la propria musica anche concretamente nelle mani degli ascoltatori. Sostenuti ora da un nugolo di fedelissimi appassionati che sfruttando l'idea alla base di una piattaforma come Musicraiser li avrebbe aiutati a produrre questa nuova fatica, gli Infanti continuano a fissare su disco momenti allo stato attuale imprescindibili per rimpolpare i live, ma soprattutto utili per testimoniare la continua crescita creativa. Quattro ulteriori brani che vanno a comporre in maniera numericamente speculare il sequel delle ormai arcinote Questa Crisi Finirà, Io Voglio Bene Ai Miei Amici, Canzone Nuova e Piovono Cieli; quattro nuovi episodi musicali indispensabili per fornirci una visione sempre più ampia delle loro qualità e occasione per tirare le somme in vista della prossima uscita, finalmente, su lunga distanza. Punto di forza resta senza dubbio alcuno la maturità della voce di  Marco Manini, una delle più espressive e particolari se non addirittura - diciamolo pure - la più bella in assoluto fra le giovani generazioni, raro dono di natura e continua certezza tanto on stage quanto indoor. La scelta di usarla in abbinamento ad una scrittura testuale comunque semplice, ma niente affatto scontata, garantisce poi la "solita" ottima alchimia che viene sviluppandosi nei territori post rock cari alla band. In attesa di inserire a pieno regime anche in fase di scrittura un quinto componente che saltuariamente già compare nei concerti, le trovate sonore, spesso minimaliste, fatte di tastiere e metallofoni ad opera di Umberto Del Gobbo determinano un equilibrio onirico con le chitarre nel quale viene facile abbandonarsi come la breve intro strumentale che fa da cappello a Milano è lì a dimostrare. La freschezza compositiva dell'incalzante Dammi Un Nome e quella più tradizionale della conclusiva Prendi Tempo, unite alla naturale carica di entusiasmo dei vent'anni e ad una meticolosa precisione esecutiva, licenziano storie suggerite da un quotidiano colorato molto simile a quello ritratto nei quadri di Chagall. Anche l'attitudine gangsta di Cash è riconducibile a tutto questo dimostrando una volta ancora come i Les Enfants restino tra le più belle e credibili promesse che il panorama musicale contemporaneo italiano sia in grado di regalare. Pietra di paragone per tutti coloro i quali vogliono guardare il mondo di oggi con occhi nuovi, puliti, diretti e senza filtri. Per dare forma, colore e immediatezza ai propri pensieri.
 
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