venerdì 30 gennaio 2015

NILLA! VILLA!

NILLA! VILLA!
Matteo Toni
- Woodworm/La Fabbrica Etichetta Indipendente - 2014

Ormai è un marchio di fabbrica. Se passi per l'Emilia e ti imbatti nelle note di una Weissenborn o di una lap steel non puoi non pensare a Matteo Toni. Sempre smargiasso e intelligentemente guascone, il talentuoso musicista modenese si ripresenta con il compagno di mille battaglie Giulio Martinelli per il secondo album della sua/loro carriera dopo un fortunato tour passato su e giù per l'Italia a presentare il precedente album SANTA PACE. Coerente con l'immagine che poco per volta va consolidando proprio in sede live, Toni oggi alza i volumi, abbandona il taglio maggiormente acustico che ne aveva contraddistinto anche l'ep d'esordio QUALCOSA NEL MIO PICCOLO e svolta, fissando su questo NILLA! VILLA! le peculiarità più rilevanti che lo hanno messo a nudo non solo sulla psichedelica copertina candy-stripes, ma soprattutto attraverso le nuove canzoni prodotte in collaborazione con Franco Fucili. Irruenza, melodia, riff taglienti e orecchiabilità procedono ormai imprescindibilmente di pari passo anche in sala di registrazione, alternando roboanti distorsioni blues rock dal vago retrogusto tex mex (Dammi Una Sigaretta) a sognanti momenti di quiete e relax (La Fine Del Mondo) come se il passo pigramente felpato con cui procediamo attraverso la caraibica Kebabellaria ci conducesse in realtà nelle sudate spirali della stupefacente Musica Porno, primo singolo dell'album, impreziosito peraltro dai fiati di gran classe di Roberto Mancini e Max Marmiroli. Un tuffo rigenerante dove l'acqua forse è più blu, ma necessariamente anche più profonda e inesplorata. Mentre infatti l'intesa dei musicisti cresce quasi fosse un generatore umano di corrente ad alto voltaggio che elettrifica l'aria - rivelando un approccio sempre più caldo e immediato, decisamente molto meno cantautorale rispetto al passato - il risultato che si ha è quello di un lavoro maturo, composito e coraggioso, come il disco di un veterano surf-rocker metropolitano non pago delle consuetudini a cui tutti sembrano invece volgere l'attenzione. L'assenza di un vero e proprio brano di punta quale poteva esser stata nel recente passato la scoppiettante Bruce Lee Vs Kareem Abul Jabbar non scalfisce l'amalgama dell'album, per questo motivo ben più omogeneo nelle sue sfaccettature rispetto a SANTA PACE. Così, se la sfrontatezza liberatoria e un po' flower power che si respira da queste parti trova accondiscendenza guascona in Caos Adoremus parimenti ci sono uno spazio e un tempo per una riflessione amara, per un inatteso tuffo nella guerra dei nostri giorni, in cui i ritratti quotidiani di Pietro E Maria assurgono al ruolo di comuni exempla universali della porta accanto. Qui emerge l'altro fattore chiave del cd: la nostalgia, quella per una gioventù ormai anagraficamente lontana (Squalo) eppure ancora viva e rimarcata senza il timore degli anni che passano; mai compromessa quando si divincola nelle disavventure amorose de Il Tempo Dei Morti Viventi; spensierata nelle elucubrazioni della title track; interrogatoria nel sign ☮ the times declinato in Credi Ancora Nel Grande Blu?. Non più solo sentimento di rimpianto e lontananza, ma strana sensazione di irrisolta continuità temporale che scava negli abissi dell'ascoltatore, travalicando generi e irradiandosi silenziosa. Un ulteriore spunto di riflessione, maestoso come una parete di roccia marina sommersa con cui fare i conti tra la via Emilia e il West.

giovedì 29 gennaio 2015

BELLANDARE

BELLANDARE
Aida Satta Flores
- Riserva Sonora - 2015
 
È prevista per il 3 febbraio la pubblicazione del nuovo album della vulcanica Aida Satta Flores, artista siciliana di lungo corso, sarda di origine, palermitana di nascita, ma nomade a tutti gli effetti per vocazione. Lo sapeva l'incommensurabile Augusto Daolio quando, innamoratosi artisticamente parlando di una allora quasi esordiente Aida volle produrne con occhio lungimirante il primo album insieme ai suoi Nomadi e portarla in tour con loro. Era il 1992. Di lì a qualche mese il grande novellarese ci avrebbe prematuramente lasciati, ma quell'incontro, nato sulla base di un'empatia unica e complementare avrebbe lasciato ad Aida una consapevolezza nuova riguardo al ruolo dell'Artista tout court e alla sua vera essenza. La stessa percezione che, approfondita dal naturale corso dell'esperienza, ritroviamo oggi ampliata e consolidata in A Cuore Nudo, canzone manifesto con cui iniziano le attese danze del nuovo lavoro. Sì, perché BELLANDARE arriva a ventitré anni di distanza da IL PROFUMO DEI LIMONI e a oltre dieci dal successivo VOGLIO PORTARTI MUSICA; nel mezzo la pratica, l'intuizione, l'avventura con l'ottima Aida Banda Flores e, soprattutto, con la vita "perchè ho vissuto, ho fatto concerti, ho tentato di realizzarmi come persona; ho viaggiato", ma anche pagato il tributo quando necessario. Ecco il motivo di una attesa così lunga per un nuovo lavoro che ha saputo convogliare un po' tutte le precedenti produzioni musicali che hanno contraddistinto il percorso umano e artistico della Satta Flores. Innanzitutto le sue due principali anime, quella ironico-teatrale (Tacco E Stacco, A Me Mi Piace Vivere Alla Grande) e quella da chansonnier (Il Mare È Sempre Più Nero in compagnia di un intenso Mimmo Locasciulli, Perereca De Vovò, Tutto Bene), che guarda anche all'America di Bob Dylan, quella dei sogni di libertà, istrionica e carica di ideali (La Solitudine Magnifica); in secondo luogo, l'attenzione naturale a tutto quanto le sta intorno e la capacità, la cura, l'abilità nel saper assorbire l'energia vitale che si genera nell'aria da tutti quei particolari all'apparenza insignificanti, ma che ridefiniscono costantemente il sale della nostra vita, rinnovando attraverso immagini e parole mai banali, un repertorio in continua mutazione, in grado di sorprenderci ogni volta con gli occhi lucidi. "In alcune canzoni (Il Ballo Della Vita) volevo sentire le mosche volare su carcasse di cavalli morti tra i deserti dell'Umanità e le chitarre di Vincenzo Mancuso hanno interpretato alla perfezione questa atmosfera da melanconica "fine del mondo" - afferma disinvolta la cantautrice - In altre (Baci E Spine) volevo un "mitra musicale" contro le brutture del mondo e Giovanni Sollima ha interpretato alla perfezione questa mia "chiamata alle arti" o più semplicemente all'Umanità che stiamo perdendo, alla Bellezza, alla Poesia, alle Identità." È un fiume in piena, una scoperta continua la nostra Aida: noi, mentre BELLANDARE gira senza soluzione di continuità in modalità repeat all, ci lasciamo piacevolmente travolgere da questa sua rinnovata esuberanza zingara e soprattutto da quella voce così importante che la rendono graffiante e potente interprete dei nostri giorni. Un'artista unica, generosa, sicura e indipendente, che vive sanguigna la propria missione con intelligente ironia e penetrante determinazione. Un intervallo di poetica lucidità nei disordini della vita. Chiudiamo con un augurio solare, una prova di primavera rivolta a chi saprà ascoltare e a cui guardiamo con fiducia e riconoscenza: "Vi porto nel cuore, un po' come Ago. Grazie per quanto vorrete fare in nome della libertà dell'Artista! E anche della vostra! Baci di sole. Aida".

martedì 27 gennaio 2015

SELF PORTRAIT - EP

SELF PORTRAIT - EP
The Wheels
- My Place Records - 2014

Negativi di una estate; autoscatti di un momento. In questo mite scorcio di inverno gli isolani The Wheels si abbandonano a un piacevole, ma forse un po' datato, brit rock d'annata per quella che è la seconda uscita ufficiale della loro giovane vita musicale. Formatosi infatti all'alba del 2011 il trio sardo rilascia oggi l'ep SELF PORTRAIT, arrivato a circa due anni dal precedente HERE AND NOWHERE, con una carica emotiva meno fragile rispetto al passato più prossimo, riversata in cinque canzoni prevalentemente nate sul confine tra melodie di ampio respiro e riconoscibili flussi umorali i quali, come è giusto che sia in questi casi, non rinunciano ad appoggiarsi al collaudato schema strofa-ritornello, ma anzi si sviluppano intenzionalmente proprio lungo questa direttrice all'insegna di un pop-rock metropolitano di immediata fruizione ed elegante matrice espressiva. Nei venti minuti scarsi che seguono l'ascoltatore non troverà nulla di fuori posto o di particolarmente approssimativo, riscontrando piuttosto nell'esecuzione dei Wheels una perfetta circolarità tra suono e intenzioni. I primi capaci di reggere il confronto con formazioni estere ben più blasonate grazie anche al lavoro in sala di registrazione coordinato da Gabriele Boi; le seconde, più nette e meno enigmaticamente personali, espressione concreta di una consapevolezza maggiore non più ripiegata su sé stessa, ma anzi maggiormente aperta al confronto con l'esterno, peculiarità quest'ultima maturata anche attraverso una intensa attività live nel corso degli ultimi mesi e coronata dalla prestigiosa partecipazione all'International Pop Overthrow Festival presso il mitico Cavern Club di Liverpool. Se fin dall'attacco di Anyway è chiaro come  le chitarre si siano irrobustite in maniera decisa e se già Real Real Condition rivela poco dopo tutti i buoni propositi del trio Farci-Ramon-Tocco - pur non facendolo emergere  tra le molte proposte ancora affezionate a certe sonorità che guardano agli anni '60 (Carry On con le sue tastiere mutuate dai Procol Harum) - è nelle pieghe melanconiche di Ego che troviamo la sua reale e contraddistintiva essenza, il suo naturale nucleo pulsante, foriero di tutte quelle energie vitali qui opportunamente rinchiuse, ma alimentate con passione, cura e costanza al fine di esplodere poi con irruenza contenuta nella promettente The Best Is Yet To Come. Una dichiarazione di intenti senza dubbio sincera e di buon auspicio che solo il tempo saprà tuttavia confermare oppure, ahimè, ridimensionare; anche questo è segno di quella globalità spesso spregiudicata in cui viviamo, specchio dei tempi con tutti i suoi pro e i relativi contro. Per il momento, vista anche la giovane età della band, l'urgenza di trovare una strada ben definita e l'entusiasmo per i primi traguardi raggiunti, testa bassa e pedalare: non per essere sbrigativi e mancare l'obiettivo, ma all'opposto per non disperdere le opportunità sul cammino investendo male tempo ed energie. (Pro)fumo di Londra e nostalgia, meraviglia continua e rapimento del cuore. 

lunedì 26 gennaio 2015

SIMPLICITY: THE UNIVERSE (EXTENDED)

SIMPLICITY: THE UNIVERSE (EXTENDED)
The Panicles
- autoproduzione - 2014

Dimenticatevi le zoppicanti titubanze prodotte dall'incerto ep L'ALBA  È L'ORA MIGLIORE PER TORNARE e riportate indietro la mente al fortunato esordio del pirotecnico IN DENMARK. Recuperate anche da un punto vista prettamente lessicale le radici anglosassoni del progetto i rinnovati The Panicles tornano a fissare su disco quello che da sempre sanno fare meglio: suonare un rock di impatto che affonda le proprie radici in terra d'Albione quando gli allora scapestrati Rolling Stones mischiavano con intuito e buon gusto blues e psichedelia, rock'n'roll e rhythm'n'blues, assurgendo presto al ruolo di variante sporca e cattiva degli antagonisti Beatles. Omaggiando un periodo così ricco di spunti e creatività, senza disprezzare tutto ciò che da allora il Regno Unito è stato in grado di dare alla musica, il trio capitanato da Mik Stefanuto si presenta ai vecchi fan con un cd nuovamente di alto livello con lo scopo di continuare il viaggio e conquistarne di nuovi. Quando le prime delicate note di Simplicity cedono ben presto il passo ad un intenso pezzo in crescendo, è chiaro che il gioco è fatto. Il sound è tornato fluido e dinamico, scarno, ma mai eccessivamente garage; con parsimonia, qualche concessione alle migliorie che la tecnologia ha saputo compiere nel campo dell'elettronica in questi ultimi anni ha sì ammorbidito gli spigoli più duri, ma sempre in favore della forma canzone. Che guarda più che mai agli U2 (Feeling High, Revolution, la versione acustica di I Fall) senza perder di vista il lavoro composto e prodotto da Travis, Ocean Colour Scene e Keane. Un bouquet di suoni che l'autoproduzione una volta ancora lascia libero di diffondersi nell'etere, mescolando comunque esigenze commerciali a input personali che sono tributo ai maestri di una vita e come tali essenziali per strutturare un percorso altrimenti povero di contenuti. Soprattutto l'abbandono della lingua italiana ha evitato certi scivoloni che una scrittura ancora in divenire non perdona. Il fatto di vivere a Pordenone e quindi in un territorio che potremmo definire di confine ha senza dubbio favorito questa scelta naturale e indicato nuovamente la via maestra da seguire in attesa magari di sciacquare i panni in Arno per un prossimo futuro. Ora è tempo di inserire il jack nell'amplificatore e suonare il più possibile su tutti quei palchi che sapranno credere in un progetto artistico nato quasi per scherzo, ma che potrebbe rivelarsi ben più concreto di quello che è dato pensare. Essenziale sarà la sua messa a fuoco. Concreta, significativa, dettata da necessità. Qualsiasi intuizione o temporaneo colpo di fortuna infatti non garantisce né durata nel tempo né un ritorno sistematico di qualsivoglia natura; già una presa di coscienza a riguardo è un buon punto di partenza, ma comprendere se una applicazione metodica e adulta indirizzata al proprio svago cammini con le proprie gambe è il salto di qualità che ogni musicista dovrebbe innanzitutto tenere a mente per comprendere quanto la musica possa essere tangibile ragione di vita o semplice, magari anche proficuo, passatempo. Sogni di rock'n'roll, siete voi la causa di tutto.

martedì 20 gennaio 2015

FINALMENTE A CASA

FINALMENTE A CASA
AIM
- autoproduzione - 2015

Che il passaggio all'italiano sortisca sempre cambiamenti per qualunque band italica nata, cresciuta e stabilizzatasi in un alveo linguistico anglo-americano è cosa abbastanza comune e risaputa. La difficoltà maggiore è quella di mantenere il più possibile inalterata l'essenza che l'aveva contraddistinta e fatta riconoscere dal pubblico fino a quel momento. In alcuni casi è non soltanto un passaggio obbligato, ma una vera e propria opportunità che se colta al volo porta principalmente benefici (Afterhours); in altri rischia invece di far precipitare le cose e affossare quanto di buono realizzato (Senzabenza); in altri casi ancora, una lama a doppio taglio, voluta, rincorsa oppure soltanto suggerita, ma gestita in maniera altalenante (Linea 77) con il rischio di far seguire a lavori riusciti e convincenti album eufemisticamente sottotono quando non imbarazzanti. Insomma, con la lingua di Dante non ci si può improvvisare provetti oratori da un giorno all'altro né credere che sia facile diventarlo solo perché si è della stessa madrelingua. Il trio brianzolo degli AIM (vi ricordate i gemelli Camisasca al Tambourine di Seregno? Li avete incontrati ora al Circolo di Mariano Comense?) lo ha sempre saputo e prima di inanellare infatti nove brani filati senza far ricorso al prezioso schermo linguistico proveniente dalla terra d'Albione ha dovuto (e saputo) intraprendere un lungo viaggio, cominciato, guarda caso, con il precedente WE ARE SAILING in compagnia del ministro Federico Dragogna e approdato FINALMENTE A CASA con la complicità dell'amico Fabrizio Pollio a distanza di ben quattro anni da quel primo tentativo. Li ricordavamo - specie in sede live - tumultuosi, aggressivi, melodicamente spartani e coinvolgenti; li ritroviamo, fin dalle prime note della title track, sempre ad alto voltaggio, ma anche molto più proiettati verso una sorta di post rock sognante, dilatato e altamente condizionato dalla necessità di comunicare la propria visione del mondo attraverso la propria lingua madre. L'irruenza dei giorni passati non è andata perduta dunque, ma si è affievolita un certa vigoria in molti di quelli che potremmo considerare gli episodi chiave del nuovo lavoro. Vittoria ad esempio è lascivamente perfetta, ha la stoffa per diventare un brano imprescindibile nelle prossime scalette, ma fa a pugni con il repertorio "classico" cantato - e urlato - da Marco Fiorello. Anche la successiva Dormo In Te svela nuovi lati della band, che meritano senza dubbio di essere approfonditi nel loro sincero ed emotivo intimismo. E che dire della programmatica Mi Vuoi Migliore? Introdotta da un riff di chitarra semplice ed evocativo insieme, si sviluppa epica, con passione, come se gli AIM si trovassero in mare aperto a lottare con le onde per mantenere sicura la rotta, mescolando gli antichi fasti alla recente svolta, portando con sé aspettative e ricordi. Quando il tentativo di riportare in vita un passato che non si può e non si deve cancellare si fa più impellente non tutto è ancora a fuoco (Nel Nuovo Giorno) e convincente (Dove È Ancora Più Profondo); eppure, saltando dentro al fuoco, bastano davvero pochi, vorticosi istanti nella lavatrice per poter urlare con convinzione Voglio Il Mio Tempo, potente rivendicazione di stile e personalità. Cano ergo sum.  

lunedì 19 gennaio 2015

I VIVI

I VIVI
Il Fieno
- autoproduzione - 2015

È bastato un ascolto e ci è sembrato di conoscere I VIVI da sempre. Suggestione? Empatia? Istinto? È la prima volta che a noi capita una cosa simile con Il Fieno eppure dopo l'ultima mezz'ora di ascolto ci è sembrato di essere assai contigui all'universo sonoro e testuale che il quartetto lombardo ha proposto fin dai suoi primi vagiti musicali; ci pare infatti di aver già vissuto sulla nostra pelle, in diversi momenti della nostra vita, quel malessere, quell'amarezza, quel lucido disincanto che Gabriele Bossetti ha deciso di cantarci qui con tanta veemenza - e quel pizzico di sufficienza che forse fa la reale differenza rispetto al passato più prossimo - anche se non abbiamo ancora capito cosa ci avvicina realmente alla band meneghina arrivata oggi al primo album dopo le positive critiche di settore ricevute per le precedenti uscite discografiche. Due ep, il secondo dei quali contenente quel sentito omaggio al maestro Jannacci che prese forma nella cover di Vincenzina E La Fabbrica, e un discreto seguito di appassionati. Può bastare solo questo per spingerci a voler approfondire il discorso intrapreso meno di un lustro fa da questo gruppo di operai delle sette note? Sono la già conosciuta Del Conseguimento Della Maggiore Età, i due nuovi singoli Hiroshima (cantautorale e riflessiva) e Poveri Stronzi (battagliera e acre) graffi indelebili di un nuovo percorso esistenzialista con tutti i crismi da matrice generazionale? Non lo sappiamo ancora. Solo il tempo chiarirà tutti questi punti e premierà o meno tutte le relative aspettative accumulatesi con essi. Quel che è certo, al momento, è che I VIVI pur essendo un disco che lascia aperti molti interrogativi, porta a compimento una prima parte di percorso, una prima fase di ricerca, con la determinazione di chi crede nel lavoro che fa e con i propositi più nobili da perseguire di conseguenza. Una rappresentazione parziale della realtà, vista con occhi molto meno ingenui di un tempo, nella quale specchiarsi riconoscendo il proprio privato all'interno di un meccanismo ben più generale e generalista verso cui non viene espresso giudizio di sorta. Un pop adulto, personalissimo, sospeso tra sospiri new wave (Oslo) e afflati post punk (Maelstrom), dalla spiccata responsabilità creativa sempre attraversata da una immobilità di fondo forse non voluta - e da un certo punto di vista evitata - ma inevitabilmente presente e opportunamente rivisitata in cui la nostalgia per il passato è superata dall'attesa per il futuro anche quando incerto e apparentemente poco sicuro. C'è insomma una fiammella di velato e, potremmo dire, cinico ottimismo, privo di trepidazione, che spinge in direzione opposta al vento che soffia in questi anni di crisi in cui Il Fieno si è trovato suo malgrado protagonista, tra palchi e realtà. È il richiamo alla sincerità, alla naturalezza con la quale spogliarsi delle proprie difese che ci farà risultare trasparenti, franchi e schietti; il ponte con una modernità non più dipinta con i colori del sogno, ma ancora carica di stimoli vitali, irripetibili come sono gli anni migliori delle nostre vite. Non merce rara, ma neppure corrispondenze comuni.

venerdì 16 gennaio 2015

DISORDINI

DISORDINI
Hikobusha
- Seahorse Recordings - 2014
 
Reduci. Non lo siamo forse un po' tutti? Gli Hikobusha, nel cui nome si avverte la storpiatura della parola giapponese hibakusha in crasi con il ben più lombardo bauscia che tradisce l'origine brianzola del quartetto, non hanno mai fatto mistero di sentirsi dei veri e propri sopravvissuti, per nulla miracolati, di fronte all'imbarbarimento contemporaneo delle nostre città. All'avanzare del Grande Freddo socio-culturale la formazione di Davide "Gammon" Scheriani ha creduto opportuno indagare le nevrosi dell'essere umano, individuo socievole e aperto al dialogo quando anche vuoto e privo di contenuti, ma ragionevolmente solitario ed ermetico, "rattrappito" nelle dinamiche più intime che lo riguardano. DISORDINI è il terzo album di una carriera ormai decennale che ha saputo far fronte a mutamenti e gestazioni di organico importanti anche quando dolorosi, utili a definire un percorso sempre in costante evoluzione e, di contro, a impedire una discesa altrettanto spedita nella lordura discografica. Guardando al Thin White Duke come nume tutelare, assorbendo energie da tutta una complessa estetica mitteleuropea anni '80 e innestando su di essa massicce dosi di elettricità rock capaci di lavorare anche per sottrazione, il guerriero Hikobusha avanza nel nuovo magma di stranezze e suggestioni apparentemente prive di logica che lo circondano; immagini e stereotipi insoliti, ma frusti che l'abitudine tende a incensare e a proporre come plausibili dopo averci offuscato i sensi. La sopravvivenza è la sua missione. Nient'altro. Per ottenerla occorre scardinare queste convenzioni polimorfe date ciononostante per assolute e definitive, sospendendo una volta per tutte il giudizio e ripartendo da zero. Se l'Arte serve a pulire lo sguardo sarà essa stessa l'arma in mano ai Nostri, anche quando gelide impalcature strutturali tenteranno di spersonalizzare il pensiero. Ad introdurci in questa dimensione di cantautorato alternativo tra minimalismo e amplificazioni analogiche ci pensa la voluttuosa Obliquità, singolo realizzato con la partecipazione della camaleontica Monica P, a metà strada fra i Ritmo Tribale di Sogna e il carneade Erz della dimenticata Whore. Da qui in poi, salvo qualche manierismo new wave di troppo e una quasi maniacale selezione di termini desueti e ricercati che rallenta solo in parte la fruibilità della proposta, sarà una discesa costante e mirata nei gironi di un subconscio complesso e frammentario, attraversato dal cantato/recitato di Gammon dove alla raffinatezza linguistica ostentata verranno applicate con metodo trame sonore sospese e irrisolte, ideale sintesi tra la consapevolezza di un agire accettato come sfogo anche violento e la sua relativa vertigine. Spazi vuoti da riempire e fame per l'ignoto: queste le spinte propulsive per un lavoro meditabondo che si insinua a mo' di cuneo in un meccanismo lucido e paradossalmente universale, fatto di fallimenti esistenziali, ferite perfette e nere dipendenze. Uno scarto di cinematografica civiltà post moderna a cui forse solo Il Meraviglioso Ragazzo Invisibile saprà dare una risposta adeguata ricomponendone vizi e virtù; l'essenziale è non avere ora fretta di capire. 

giovedì 15 gennaio 2015

UKIYOE (MONDI FLUTTUANTI)

UKIYOE (MONDI FLUTTUANTI)
NichelOdeon/InSonar
- Snowdonia - 2014

Accompagnato dal prezioso e complementare dvd Quickworks & Deadworks firmato da Francesco Paolo Paladino, regista d'avanguardia nonché ideatore del concept dell'album, esce per la sempre elastica Snowdonia il nuovo lavoro di Claudio Milano, meticoloso artista a tutto tondo giunto al secondo disco targato In Sonar e, contemporaneamente, al quinto lavoro complessivo se l'attenzione si sposta al suo cammino discografico percorso sotto la dicitura NichelOdeon. Che oggi le due realtà si incontrino e plasmino in un tutt'uno proprio con la realizzazione di UKIYOE non deve stupire; a prescindere infatti dalla ragione sociale con cui il musicoterapeuta tarantino si presenta, i mondi fluttuanti contenuti in questo ennesimo trionfo di idee e combinazioni di suono ben sintetizzano la tensione compositiva che da sempre lo anima. Inutile tentare una disamina matematico-didascalica dell'opera: per apprezzarla bisogna tuffarcisi dentro, lasciarsi travolgere e farsi trasportare dal flusso composito della musica che, per l'occasione suggestionata dalla cultura giapponese legata ad antiche stampe artistiche, diventa un vero e proprio racconto per immagini sonore e ideali cinematografici. Ciò che conta davvero è imparare come di consueto il linguaggio usato da Milano. Non il più comune senz'altro, ma quello più performante, votato alla commistione tra forma e sostanza, capace di trascendere la materia per condurci all'Essere, all'essenza delle cose. Un linguaggio che non parla una sola lingua, ma che sa farsi prima di tutto segno e segnale, in grado di rimuovere blocchi emotivi ed interiori, agile nell'andare in profondità perché minimo comune denominatore di quella forma primitiva di comunicazione da cui tutto ha avuto origine. Pur vivendo di stratificazioni esperienziali prima ancora che teoriche il bagaglio emotivo contenuto ad esempio nel canone classicheggiante di Veleno così come nella tripartizione libera di MA(r)LE oppure nella biblica esposizione de I Pesci Dei Tuoi Fiumi affonda le proprie radici in un humus primordiale che raccoglie tutte le sensazioni che ad esso si combinano. Forse il primo pensiero può correre a Zappa, nel suo caleidoscopico flusso di musica continua in cui la densità di scrittura e narrazione sono occasione di approfondimento e riscoperta; ma non può non essere meno paradigmatica l'esperienza di Demetrio Stratos, il cui pensiero vocale rivive negli esperimenti cre-attivi di Claudio. Non la summa del proprio lavoro, perché la meta di un ricercatore vocale è sempre uno step un po' più in là della volta precedente, ma una nuova sfida alle possibilità della creatività umana, lanciata con gusto e divertimento perché in fin dei conti questo UKIYOE tratta; una sfida che costa fatica, ma che è pur sempre ripagata da una soddisfazione personale utile anche per la collettività. "Dio è nei dettagli", sentenziò Ludwig Mies van der Rohe; trovarne traccia altrove è lavoro per menti aperte e curiose, mai paghe.

venerdì 9 gennaio 2015

CANCIARI PATRUNI 'UN E' L' BITTA'

CANCIARI PATRUNI 'UN E' L' BITTA'
Salvo Ruolo
- Controrecords - 2014

C'è una saudade tutta italiana che accompagna una buona fetta di musicisti meridionali trapiantati nel nord del Paese. Forse il caso più eclatante degli ultimi anni è quello dell'intraprendente Cesare Basile che all'indomani di una permanenza milanese fattasi forse un po' troppo uguale a sé stessa e priva di reali sbocchi creativi, abbandona tutto e, investito da nuovi stimoli, con una consapevolezza nuova, ritorna nella Trinacria natia dedicandosi a 360 gradi non soltanto nella produzione di lavori sempre più densi e significativi, ma proponendosi quale mente strategica per tutta una serie di attività artistiche confluite ne L'Arsenale, preziosa "federazione che raccoglie singoli, associazioni ed imprese, allo scopo di promuovere e tutelare le professionalità in ambito musicale ed artistico". Salvo Ruolo, originario di Barcellona Pozzo di Grotto, ma con dimora nella Padova dei giorni nostri, si pone sulla scia di quanto teorizzato prima e messo in pratica poi dal conterraneo Basile, valutando incredibilmente prezioso ed impagabile per il genere umano dedicarsi ad un lavoro all'apparenza effimero e volatile come possono esserlo le attività di concetto o la composizione di musiche, ma in realtà duraturo e permanente, in grado di prevalere sulle caducità temporali e sedimentarsi addirittura nella Storia. Autore già dell'interessante e consigliatissimo VIVERE CI STANCA, il cantautore siciliano torna sulla scena del crimine proponendo un secondo album che scava in un passato risorgimentale non nuovo per chi ha avuto a cuore la questione meridionale fin dalle sue origini, e ponendo l'accento su figure secondari assurte al ruolo di exempla non necessariamente sempre positivi, ma in grado di dare ampia credibilità a considerazioni e sentimenti nell'ottica di vinti e sconfitti; gli ultimi per intenderci, quelli che il più delle volte pagano la riuscita della storia ufficiale con la propria vita. Ciò al cospetto del quale siamo è dunque uno spaccato di storia d'Italia, musicato da Ruolo in compagnia di una pattuglia DOCG capitanata - e non poteva essere altrimenti - da Cesare Basile, che con il supporto della lingua siciliana antica (quella "studiata su vocabolari come il Mortillaro, cercato affannosamente e trovato in Canada, oppure sui racconti del grande linguista e medico palermitano Giuseppe Pitrè") entra nel retaggio culturale di chi ha davvero a cuore la sua terra e sa come restituire in questo nuovo millennio il ricordo antico di una Sicilia amara, quella delle lotte contadine, delle baronie agrarie, dell'analfabetismo e della miseria eppure non priva di valori codificati culturalmente. Quella la cui saggezza popolare è monito quando ricorda che cambiare padrone non dia mai la vera libertà; quella indirettamente finalizzata a raccontare l'epopea di una futura nazione sempre in bilico fra unità e malaunità. Un apparato destinato a sgretolarsi forse solo con la diffusione della cultura, con l'istruzione veramente obbligatoria per tutti, con il miglioramento delle condizioni generali della società. Ma Ruolo non vuole che questo folk blues di cui si fa interprete abbia una funzione consolatrice. Semplicemente, egli intona i suoi racconti alla visione di una nuova vita e di una nuova storia. Canzoni cantate ad alta voce portate dal vento. Per non dimenticare da dove veniamo e non averne troppa nostalgia.

giovedì 8 gennaio 2015

CRONACA E PREGHIERA

CRONACA E PREGHIERA
Cronaca e Preghiera
- autoproduzione - 2014

Da qualche tempo sull'asse Milano-Firenze c'è qualcosa di oscuro e sconosciuto che si muove con sferzante frenesia e sarcasmo. Sono quattro individui che hanno scelto di combinare le proprie esistenze all'interno di un progetto musicale dal più ampio respiro concettuale. I Cronaca e Preghiera nascono solo un paio di anni fa da una idea di Francesco Salvadori e Giuliano Billi, ma in poco tempo trovano nell'irrequieto Ljubo Ungherelli e nella complementare Vanessa "Miss Brady" Billa l'altra metà della storia e gli imprescindibili compagni di viaggio con cui sviluppare canzoni non necessariamente legate al senso tradizionale del termine, ma puntando ugualmente su strutture semplici e riconoscibili che possano aprire all'istante una breccia nelle orecchie dell'ascoltatore. Con una immediatezza e una certa semplicità anche piuttosto minimalista degli arrangiamenti la giovane band ha trovato quasi subito una formula efficace per veicolare i propri gusti musicali senza trascurare le "antiche" passioni soniche di gioventù. I CCCP - Fedeli alla Linea su tutti, ma anche Disciplinatha, Santo Niente e tutto quel post punk oscuro di fine anni '70, tra furore elettrico e un desiderio iconoclasta ancora attuale e vivo; anzi, decisamente rinnovato dalle contingenti condizioni di vita contemporanea. Una impalcatura dalle solide fondamenta dunque, che alla lunga pecca ancora un poco di autonoma personalità, ma che nell'omonimo debut album CRONACA E PREGHIERA lascia scorrere come un fiume nero enormi dosi di linfa vitale anche per l'immediato futuro. Un noir cinematografico all'ombra de La Croce, che in una sorta di dissolvenza incrociata muove da un brano all'altro attraverso sonorità accattivanti, ma ugualmente decadenti, fra psicotica crudezza e lucida perversione. Senza imbarazzi. Una litania industriale post moderna (Se Ho Fame Fumo) di elettronica asciutta, con derive poetiche inconsuete (Sogni Infranti A Paderno Dugnano), stralunate e strazianti, per una riflessione interiore che cerca un isolamento a tenuta stagna dalla nevrosi quotidiana in cui siamo piombati. Dinamica, come il giovane Danilo Fatur che vediamo idealmente dimenarsi al ritmo de Le Cose Sexy; mutevole, al pari della sopravvivenza suburbana vissuta al tempo della crisi con tutte le sue derive sociali, ridicole (Mi Sono Sposata Un Calciatore) e passibili di libertà che sembrano infinite nelle relazioni di coppia post Dolce Vita (Ucciderti A Rate). Lacrime di rabbia e non di commozione, ostentate, come le declamazioni a massimo volume de L'Abominevole Uomo Cupo, nel tentativo di capirsi su cose difficili e complesse come il tempo in cui viviamo. A testa bassa, con tutto lo sporco synth-etico possibile assorbito e rilasciato con intransigente rigore per oltre quaranta minuti di sopravvivenza al e nel quotidiano. Appunti di cronaca; accenni di preghiera.

lunedì 5 gennaio 2015

DELLA VITA DELLA MORTE

DELLA VITA DELLA MORTE
Della Vita Della Morte
- Eclectic Circus Records - 2015

Ascoltatelo, e domandatevi se non ha forse tutte le carte in regola per restare a lungo nelle playlist di questo 2015. DELLA VITA DELLA MORTE non è infatti solo il programmatico nome con cui Max Zanotti e DJ Myke hanno deciso di battezzare il loro nuovo, comune progetto musicale dopo il primo approccio consumatosi anni fa nella sospensione trip hop di Ti Ucciderò All'Alba, ma è anche - e soprattutto - l'omonimo disco d'esordio dei due veterani musicisti italiani che hanno incrociato parole, ragionamenti e suoni nel tentativo di percorrere una strada nuova, alternativa alle rispettive classiche linee guida con cui si sono fatti conoscere, senza per questo rinnegare alcunché del loro passato. Per dirla tutta, non è certo la prima volta che scritture rock cantautorali e metriche hip hop si fondono in un unicum musicale capace di sfruttare attraverso slanci elettronici tanto le descrittività delle prime quanto le quadrature pulsanti delle seconde. La mente corre ad esempio all'esperimento attuato con ottimi risultati dall'eclettica Andrea Mirò in combutta con il mad professor Marco Zangirolami in quella seconda metà sperimentale che va a comporre l'articolato ELETTRA E CALLIOPE e che, ancora in via di sviluppo, ha aperto con una certa continuità nuove porte di percezione anche a casa nostra. Se anche in DELLA VITA DELLA MORTE le vibrazioni del canto di Zanotti arrivano ugualmente al cuore di chi ascolta, la differenza sostanziale è la modalità con cui la coppia Micheloni-Zanotti si gioca, giustamente, la propria partita. Privilegiando una scrittura figurativa, per niente parca di parole, ma mai analiticamente descrittiva, è l'ambiente sonoro a farsi ricco e complementare, decisivo per tratteggiare un nucleo originario su cui poggiare e lasciar sedimentare parole e immagini evocative (Playmobile) poi miscelate da un caravanserraglio omogeneo nelle eterogeneità, sconfessando per questo un certo modo tradizionale di agire cantautoriale. E se l'ex Men in Skratch confeziona basi con una spontaneità curata spaziando naturalmente tra old school (Sembra Che Io Voli Via) e futuro (Non Ne Sbagli Una), il frontman dei mai dimenticati Deasonika ci mette la solita voce, inarrivabile ed emozionante, valore aggiunto luminosissimo pronto ad assecondare atmosfere fragili (la cover di Christina Aguilera Beautiful), impegnativi safari di rock mutante (Il Nuovo Charlot) e disidratato (la violenta Spot), down-tempo filastrokkati (Figlio Buono), anthematiche incursioni elettro-danzanti (In Ogni Luogo) ed eteree riflessioni rappate (Geniocidio). La capacità di non limitarsi, vissuta innanzitutto dai due autori come condizione sine qua non per realizzare il progetto, fuga ogni comprensibile perplessità proveniente dall'esterno, diventando motore propulsivo di un lavoro personale, disinvolto e fresco, ben poco condizionato stilisticamente. Nessuna opzione creativa viene trascurata o messa da parte; se ciò accade è solo per dare un senso di unità maggiore che non perda in potenza e significato. Una identità nuova, alternativa ai codici musicali più diffusi, che chiede di essere ascoltata ed assimilata senza pregiudizio. Anche la scoperta più banale richiede spesso uno sforzo straordinario; quando essa avviene a qualità inverse beh, è tutto molto più semplice.

giovedì 1 gennaio 2015

da KABARETT

ICH BIN DIE FESCHE LOLA
- Stellerranti - 2014


 
produzione: Marco Germani, Elisa Collimedaglia  
video: Elisa Collimedaglia