martedì 30 ottobre 2012

FREE REIGN
Clinic
- Domino Records - 2012

Chi, dopo la buona accoglienza del precedente lavoro che aveva allargato la fanbase dei Clinic, si aspettava un BUBBLEGUM parte seconda rimarrà parecchio spiazzato dai ritmi ulteriormente meno frenetici di questo settimo album in studio per i geniali infermieri di Liverpool. Come del resto venne ugualmente colto di sorpresa al momento della pubblicazione del successore di DO IT!, a sua volta lontano per attitudine e sonorità dal suo più diretto predecessore VISITATIONS. E così a ritroso, via via fino agli esordi di INTERNAL WRANGLER, debut album rilasciato nell'ormai lontano 2000 dopo una manciata di promettenti ep. Eppure anche questa volta Ade, Brian, Hartley e Carl non si smentiscono. Risultano come sempre affascinatamente distinguibili dalla massa e dalla concorrenza; riconoscibili alle orecchie dei meno esperti. È "semplicemente" questione di stile. Inteso come classe e cifra qualitativa. Una forma mentis condivisa dal quartetto che consente di cambiare di continuo le carte in tavola e le regole del gioco, ma che mai compromette il risultato finale. Anticipato in primavera da Seamless Boogie Woogie BBC2 10pm (rpt), cordone ombelicale concesso rispetto all'immediato passato, FREE REIGN si rivela campione di minimalismo elettronico imbastito sulle trame sonore di tastiere e diamonica, alle quali chitarre, bassi e batterie si accodano e, nella loro immediata costruzione, si accordano. Il singolo Miss You rivela nel suo crescendo ipnotico nascoste atmosfere anni '80, sempre progressivamente misurate, che solo scavando in profondità è possibile recepire. Il lavoro di stratificazione condiviso con il nuovo produttore Daniel Lopatin è infatti certosino e meticoloso eppure risulta leggero all'ascolto, capace di accomunare l'ambient preferito da Oneohtrix Point Never alle sperimentazioni indie rock dei quattro inglesi. Le atmosfere jazzate della sospesa opener Misty tornano prepotentemente nel funk psichedelico di Cosmic Radiation, con punte di pulsante misticità primordiale. Mondi lontani e vissuti passati sono evocati dall'astratta progettualità di You, prima di scomparire nuovamente come in un buco nero nel nebuloso finale strumentale. Porto sicuro presso cui attraccare dopo questo frastagliato peregrinare è invece For The Season. Una impennata sonora caratterizza See Saw mentre King Kong è ipnosi tribale e percussiva. Con Sun And The Moon l'ossessiva ripetitività di musica e liriche tocca infine le corde emotive più primordiali dell'essere umano, disturbate tuttavia da impercettibili risonanze e interferenze. Un nuovo passo avanti verso orizzonti sconosciuti. Oltre ai più convenzionali lp e cd, per gli amanti del collezionismo più sfrenato pare interessante segnalare l'edizione limitata denominata UFO, uscita infatti nell'esclusivo formato frisbee (fosforescente, funzionante e privo di rincari rispetto a vinile e disco ottico) e fornita di un codice per il download diretto dell'album. Piacevolmente marziani in tutto e per tutto.

venerdì 26 ottobre 2012

giovedì 25 ottobre 2012

OFF THE BEAT
The Charlestones
- Moscow - 2012

Tempi moderni. Tempi che tradiscono certamente una attesa per una svolta sociale necessaria, ma che pure promuovono una accogliente carezza consolatoria offerta dai gesti e dai sentimenti più semplici e nobili alla base delle relazioni di ogni giorno. Uno sguardo sul mondo di oggi con gli occhi candidi e fiduciosi di chi ancora spera e crede in un futuro migliore. Il tutto partendo dall'esperienza di chi ci ha preceduto. Muovendosi sulle coordinate di un rassicurante brit pop che, andando alla radice, avrà sempre come minimo comune denominatore i Beatles, la formazione friulana dei Charlestons realizza alla sua seconda uscita un album sognante e di facile presa come forse solo un concentrato fra i migliori Oasis e i Blur meno sperimentali avrebbe potuto replicare sul finire del secolo scorso. Sarà la registrazione della voce, sarà la leggerezza delle melodie ariose e istantanee, sarà la relativa brevità del lavoro oppure, più semplicemente, sarà la freschezza dei vent'anni, ma questo OFF THE BEAT viaggia spedito e diretto, senza intoppi o arzigogolate soluzioni formali. Le orecchie più avvezze e mature al McCartney solista e al northern soul d'atmosfera apprezzeranno Eager Beaver e la sua immediata reprise mentre per i beatlesiani della primissima ora ecco la romantica The Girl Who Came To Stay. Una spinta maggiormente rock si avverte nella title track e nella descrittiva She Was A Firework, primo singolo scelto e modello per gli ulteriori quadretti di quotidiana normalità pennellati da Mattia Bonanni. "In fin dei conti - ci spiega lo stesso Mattia commentando la genesi dell'album - in questo disco c'è tutto ciò che amiamo. Non c'è molto da aggiungere. Emotivamente è stato piuttosto sentito. Ciò rende in qualche modo tutto un po' magico, come magica è pure l'attesa di poterlo fare ascoltare a tutti quanti." Così Let It All Hang Out si inserisce perfettamente nella descrizione appena fatta mentre Love Is A Cadillac recupera i tratti più popular di Brian Molko e compagni. Lo stesso si dica di The Clue, ma con maggiori, seppur sempre misurate, spigolature. Ancora i Blur di PARKLIFE, ma anche tanto Suede-sound in Energy, capace di unire gli archi dal mood spectoriano al pop più rotondo che ci sia, quai fosse un estratto dal celebrato COMING UP. Piace anche la bonus track Standing In The Prime Of Life, forse il pezzo più sperimentale dell'album con i suoi backwards di coda. E piace quella voce che sì, ha negli esponenti più prestigiosi del rock anglosassone (Brett Anderson su tutti) il riscontro più immediato, ma che guarda inconsapevolmente anche al di là dell'Oceano, al Perry Farrell più soft e innamorato. Bravi. E stilosi. Come si suol abusivamente dire in questi casi, it's only rock'n'roll, ma a noi piace. Come on! And jump to the beat!
 
un link al seguente post è presente qui: http://www.facebook.com/thecharlestones

martedì 23 ottobre 2012

PROFUMI D'EPOCA
Lenula
Pelagònia Dischi / La Fabbrica Etichetta Indipendente - 2012
 
I Lenula sono una formazione brindisina attiva dal 2007. Come nella migliore tradizione dei piani quinquennali in musica, anche il trio composto da Gabriele Paparella, Ciro Nacci e Gabriele Conserva ha saputo dosare le energie per raggiungere piccoli, ma significativi obiettivi che potessero garantire loro una crescita graduale e costante. Già autori di un demo a metà 2010 e instancabili macchine da concerto nel tacco d'Italia fin dal loro esordio, approdano finalmente al primo lavoro su lunga distanza nel corso del 2012 dopo aver vinto il bando di concorso promosso da Puglia Sound Recording. Le dinamiche oblique proprie delle canzoni a manovella dell'istrionico Vinicio Capossela, l'irruenza animalesca degli scatenati Nobraino, dei corregionali Après la Classe e le atmosfere sognanti mutuate dall'ultimo Moltheni fanno di PROFUMI D'EPOCA un lavoro capace di captare trasversalmente le antenne di più bacini di utenza, tanto quelle più legate alla forma di cantautorato classico quanto quelle di chiara matrice rock. Già Notte D'Inferno è un ottimo esempio di questa psyco-patchanka sonora, carnale e profana, che si irradia nel noir di All'Interno e nella fulminante La Dea Dell'Amore, le cui certificate atmosfere Sixties vengono ben evidenziate dalle indiavolate tastiere che la sorreggono. In un battibaleno ci ritroviamo così a fischiettare con Paparella nella successiva Corsa Al Mondo, uno di quei brani all'apparenza innocui, incentrati su un motivetto di facile presa, ma che nella loro evoluzione rivelano inattese code strumentali non lontane da un certo progressive anni '70 ben radicato nella memoria collettiva. Fondo lega il vaudeville e l'Equipe 84 più sperimentale; cinematografica è invece la robusta Promessa, ciondolante e dinoccolata insieme. Uno Stato Di Confusione generale; voluto eppure assolutamente ben gestito dal trio pugliese, che nella melliflua canzone omonima coniuga spettralità e sospensione a una poetica e sanguigna carica rock. La stessa esplosione di watt anima l'irruente Il Naufragio e accellera la carnale Modellando La Notte. Chitarre acustiche si affacciano per la prima volta sulla scena e si affiancano, mai invadenti, alle onnipresenti elettriche nell'ulteriore lezione psichedelica di Senza Tempo. Notevole ancora una volta il lavoro di Nacci al Fender Rhodes, autentica firma sonora autografa di tutto l'album. Aria e sentori di mare nella conclusiva Profumi D'Epoca, quando la risacca si spiaggia pigra e ripetitiva sulle coste delimitanti il lungomare mentre una coppia cerca (e trova) intimità tra la sabbia e gli scogli. Parole di elogio pure per la splendida e accattivante copertina scelta per catturare l'occhio e la curiosità anche dell'ascoltatore più distratto senza discostarsi dalla finalità del progetto Lenula. Perché, come la pressoché omonima pianta selvatica dai fiori gialli che cresce spontanea in quasi tutta Italia, anche la band salentina ha una missione: essere rimedio universale contro le malattie del vivere moderno. Purificatrice. Per tutti. Senza controindicazioni.
 

venerdì 19 ottobre 2012

SANTA PACE

SANTA PACE
Matteo Toni
- Till Fizzy Records / La Fabbrica Etichetta Indipendente - 2012

Quanta energia nell'esordio di Matteo Toni!?! Il blues sporco, cattivo e geneticamente modificato di Bruce Lee Vs Kareem Abdul Jabbar promette (e mantiene) fin da subito grandi cose, rivelandosi all'istante motore a quattro tempi decisamente scoppiettante, sospingendo SANTA PACE in territori elettrico-acustici ricchi di accellerate ad alto voltaggio e ritmi tribali. Qualcuno forse ricorderà i sUngria, band emiliana di qualche anno fa dedita ad un crossover obliquo levigato da funk e dub, tra Rage Against The Machine, Bob Marley e Urban Dance Squad; ebbene di questa promettente, ma sfortunata compagine musicale Matteo fu la voce principale nonché il frontman, prima di abbandonare tutto e tuffarsi a capofitto tra le sfaccettate pieghe del cantautorato italiano e del songwriting d'Oltreoceano, con un occhio alla scuola di Muddy Waters e l'altro al percorso evolutivo di Ben Harper. Parte da qui, e dall'incontro con l'australiano Xavier Rudd, dai cui live set resta folgorato, il suo nuovo corso sonoro, armato di chitarra weissenborn e ben poco altro. Successivamente affiancato dal basso di Enrico Stalio e con Giulio Martinelli alla batteria, viene notato dall'allora Moltheni Umberto Giardini, il quale, visti talento e caparbietà nel giovane modenese, si prodiga nella produzione di un primo ep, quel QUALCOSA NEL MIO PICCOLO che gli consentirà di girare in lungo e largo per festival e club in attesa di nuove e più concrete soddisfazioni. Perso di vista Stalio, ma con Martinelli stabile dietro le pelli, arriva così il momento di tornare in sala di registrazione e fissare su nastro le nuove idee. Cinquanta minuti che rivisitano l'ultimo mezzo secolo di blues, reggae, rock e folk, con una versatilità e una padronanza dei mezzi tecnici invidiabile, a partire dai languidi ritmi giamaicani di Santa Pace, capaci di far smuovere fondoschiena e bacini, fino alla più canonica ballata descrittiva sintetizzata ne Il Canto Di Valentina e posta in conclusione del platter. A tutta prima, voce filtrata e ritmi contenuti ingannano le coordinate di Isola Nera, ma ben presto l'esplosione ritmica redhotchilipeppersiana di metà canzone funge da trampolino di lancio per innestare con l'amata lap steel sorprendenti dilatazioni space nella seconda parte, tutte tese a tracciare inattesi scenari psichedelici, quasi prog. Non troppo lontano dal miglior Roberto Angelini in una fulminante jam session condotta insieme a Jonathan Wilson, con Fidati Toni omaggia invece nel canto Moltheni, armeggiando tra corde e legno di chitarra prima dell'ennesima apertura visionaria sul cosmo. Meno eclettica, ma ugualmente ammaliante, Acqua Del Fiume è uno sguardo leggero sullo scorrere del tempo, con tanto di campane di paese registrate da Antonio Cooper Cupertino sullo sfondo. Non entusiasma particolarmente la secca I Provinciali Di Nuoto, un po' dozzinale nonostante il sempre valido lavoro strumentale, ma ci si riprende con l'accoppiata Alle 4 Del Pomeriggio (wah wah in levare e lontani sapori tropicalisti nel racconto di una tempesta equatoriale) e Alle 4 Del Mattino (cristallizata sospensione onirica, corale, malinconica, eppure positivista) attraverso le cui suggestioni rivivono e si moltiplicano le esperienze sensoriali legate alle peregrinazioni condotte dall'Europa ai Caraibi. Se arriva l'uragano meglio non partire. Fermiamoci qui. In santa pace. Aloha.
 

mercoledì 17 ottobre 2012

ENDIMIONE
?Alos - Xabier Iriondo
- Brigadisco - 2012

Cosa può accadere quando una voce sovrumana in cerca di note incontra un agitatore musicale con la necessità opposta? La risposta è qua, incisa su questo splendido vinile 12" che, prendendo le mosse dai Madrigali di Antonin Artaud (ritratto ora giovane, ora anziano nell'espressiva serigrafia di fronte e retro copertina a cura dell'ottima Valentina Chiappini), viene in ultima istanza intitolato a ENDIMIONE, mitico re dell'Elide, figlio di Zeus e della ninfa Calice secondo alcuni, fantomatico pastore della Caria secondo altri. "Nel primo dei Madrigali di Artaud è proprio questo personaggio della mitologia greca ad essere citato; la sua figura ci è parsa perfetta per rappresentare l'unicità e la bellezza del nostro duo." Così Xabier Iriondo, a proposito di questo progetto che lo vede, infaticabile, nuovamente protagonista con Stefania Pedretti, per gli amici tutti "la sig.na ?Alos", dopo l'esordio dello scorso anno su 45 giri. "A livello tematico non c'è un rapporto vero e proprio con il primo 7", ma a livello sonoro direi che quello è stato l'incipit!". L'album ha preso così vita dalla lettura dei Madrigali, sette poesie ancora oggi facilmente rintracciabili in varie raccolte di scritti del commediografo francese, e "dalla decisione di ridare voce proprio ad un personaggio meraviglioso come Artaud, mostrandone il lato geniale, ma anche quello sofferente", prosegue Stefania. I testi, contenuti nell'lp, tradotti in italiano dal francese e opportunamente modificati dall'ex componente delle mai dimenticate Allun, qui alla sua prima prova vocale con la lingua madre e lontana da qualsivoglia strumento suonato in prima persona, diventano il punto focale su cui ruota l'ispirazione. Rapidamente, e in maniera spesso volutamente disturbante, torna dunque in vita una serie di personaggi e figure realmente incontrate e vissute da Artaud negli anni in cui recitò al cinema e in teatro. Si comincia con il poeta Georges Gabory, avvolto dall'elettronica spinta e morbosa prodotta da Iriondo, prima di risorgere, autorevole, dagli inferi della psiche umana. I rintocchi a morto simulati dall'italo-basco con il suo Mahai Metak, introducono e chiudono la rappresentazione sommessa e raccolta di Robert Mortier. Profumo di incenso, tessuti in seta d'organza e atmosfere bizantine per l'attrice parigina Marguerite Jamois, prima del Medioevo fisiognomico di Hieronymus Bosch declamato nella grottesca Florent Fels ("Quando il vescovo morì apparve il diavolo"). Simone Dulac è asfissiante ed intensa avanguardia dislessica che cresce nervosa e nevrotica. Evocata, l'amata Genica Atanasiou avanza a fatica tra i corridoi di un leggiadro vaudeville mitteleuropeo, contrastata dal feroce growl della Pedretti; la satura Charles Dullin è urlo di disperazione, esasperata tensione rivolta alla metafisicità, nel tentativo di allontanarsi dal disagio psicofisico che tortura l'uomo. Un ultimo invito, quello al Cruel Restaurant, duetto per sole chitarre scritto ex novo dall'accoppiata Iriondo-Pedretti espressamente per questo progetto, ha la funzione di sedare sinteticamente il paziente, quasi fosse una massiccia iniezione di farmaci e stupefacenti mirata alla quiete finale. Spettrale e angosciante. Giunta è la fine, tra l'incuria e la sporcizia. "Non ho più nulla da dire, ho detto tutto ciò che avevo da dire."
 

lunedì 15 ottobre 2012

INFECTION
Miss O
- Addictive Noise Records - 2012

È un lavoro maturo, attento, ragionato, realmente internazionale, quello realizzato dalla mai dimenticata Odette Di Maio, già cantante dei Soon a cavallo di quei nostri prolifici anni '90 e successivamente sparita dai riflettori del grande circo mediatico in cui, a torto o a ragione, la band era ad un certo punto approdata. INFECTION è l'inizio di una nuova era, fatta di contaminazioni e incanto, di suoni liquidi e produzioni cristalline. Sognante quanto basta, emozionante mai per onor di firma, il progetto realizzato a quattro mani con Jan De Block, talentuoso polistrumentista belga, è un deciso step in avanti rispetto al già apprezzabile trip hop metropolitano sviluppato con l'amico Lorenzo Bianchi (a.k.a. Lorbi) in RING; qua le sonorità più legate al Bristol sound si fondono e vengono armonizzate ad importanti strutture acustiche capaci di conferire una cifra stilistica davvero dinamica, con quella sensibilità pop mai perduta o rinnegata. Disco solo apparentemente notturno in cui viene comunque bandita ogni asperità sonora, il ritorno di Odette sa veicolarsi in maniera agile e fascinosa attraverso ritmi e armonie improntate ad una raffinata ricerca, con il costante utilizzo della lingua anglosassone quale via privilegiata di comunicazione. A Talk To Me spetta il compito di portare l'ascoltatore sui sentieri già percorsi dai Morcheeba di BIG CALM con una fascinazione però tutta italiana che viene replicata con ottimi risultati in Getaway (Dido che incontra i Portishead e se ne innamora) e da In Motion. Si cambia registro con il pacificato dramma amoroso di The Neptunian, la confidenziale Butterfly e il folk americano su cui si sviluppa l'idea di My Wish, a rispolverare quel songwriting d'Oltreoceano riportato prepotentemente in auge a livello mondiale dalla premiata ditta Plant-Krauss con lo strepitoso RAISING SAND e sperimentato comunque a suo tempo dalla stessa Di Maio, in compagnia del newyorkese Ben Slavin, con il progetto The March. Night Ride è una desertica sceneggiatura dark puntellata da atmosferici interventi di tromba che Luc van Lieshout pesca direttamente dai seminali Tuxedomoon; la spettrale profondità celeste di My Wildest Time ben si accorda alla sognante Sensitivity, capace di gettare un ponte tra Martina Topley-Bird e gli U2 di POP, con chitarre orientaleggianti a rimescolare le carte in tavola. Intimistiche ballate per piano e voce, 61 Cravings e la sofferta The Girl rimandano alle composizioni di Tori Amos mentre non va a cozzare con lo spirito globale del lavoro, ma anzi lo completa e impreziosisce, la solarità malinconica della candida The Country. Spetta a Back Home suggellare l'esordio di Miss O, giusto epilogo capace di trascendere le divisioni di genere e funzionale a richiudere il cassetto dei sogni da cui ha preso le mosse tutta la vicenda narrata. Un sogno condiviso, armonico e spontaneo. Lampi, bagliori, scintille capaci di innescare la sacra fiamma delle emozioni.
 
un link al seguente post è presente qui: http://www.facebook.com/missoworld1 e qui: http://twitter.com/miss_O_world 

venerdì 12 ottobre 2012

MONNA LISA STORE
Flowers
- Aka Fruit Records - 2012

For Anytime. Scelta quantomeno insolita quella di promuovere il proprio album di debutto con l'ultimo pezzo presente in scaletta. Il giovane e spensierato trio piacentino dei Flowers parte dunque dalle fondamenta di questa scorrevole e assai godibile opera prima per fornirci le giuste coordinate della band. L'aria che si respira nell'accogliente e fornitissimo MONNA LISA STORE è calda e familiare; proviene direttamente da Oltremanica. Alex, Mel e Steve ne sono rimasti affascinati, hanno raccolto giusto il necessario per la trasferta in terra d'Albione e si sono lasciati trasportare dagli eventi. Da Fiorenzuola d'Arda a Londra in meno di due ore. Con tanto di soggiorno e visite ludico-culturali nelle varie contee inglesi per approfondire il modus vivendi del luogo. Magari dopo una piacevole, quanto opportuna, tappa in qualche ruspante pub di campagna. Presto il trio entra così in contatto con una realtà dinamica, ricca di spunti e intuizioni che richiedono con urgenza di essere messi in musica. Amanti delle sonorità rock sfornate dal Regno Unito senza soluzione di continuità a partire dalla fine dei Sixties fino a metà dei 90's, e aggiornate ai giorni nostri grazie a formazioni quali Editors, Arctic Monkeys e Kooks, i Flowers non si lasciano sfuggire l'opportunità di sfoderare grinta ed entusiasmo attraverso una decina di schegge guitar-oriented realmente incisive, capaci di segnalarsi per la freschezza, ma soprattutto per una concreta efficacia realizzativa, che permette loro di evitare brillantemente il rischio incipiente di una anonima caduta nella spirale modaiola del vintage rock. Bignami del rock anglosassone dunque, brani come la mancata hit radiofonica Lily, la cameratesca Four In A Row e la trasognante Let Me avrebbero potuto far la fortuna del canzoniere di Supergrass e Blur, così come Ocean Colour Scene e Placebo sono numi tutelari rispettivamente per il Country Shop di Andy MacFarlane, in libera uscita dai  Rock'n'Roll Kamikazes, e l'androgina Easy To Do Hard To Explain. La più articolata Heart Of Life, con tanto di colto richiamo al De Profundis di Oscar Wilde e la presenza di Paolo "Apollo" Negri all'hammond, si rivela più oscura del previsto, garantendo tuttavia sulle capacità di evoluzione del trio italiano in ambiti appunto meno festaioli e più riflessivi. Il tastierista dei Link Quartet si ritaglia ulteriore spazio nell'adrenalinica  It's Gonna Be All Right, segnalandosi come perfetto contraltare alle rasoiate per Les Paul dell'infuocato finale 70's, mentre Just Another Song viaggia spedita sui dancefloor di alternative rock come piace a noi. Ultima dose di energia il rock'n'roll di Free My Mind. Come fare per mantenere questo standard qualitativo anche dal vivo? Intanto, ecco il contribuito di un quarto Flower, Mark, arruolato alle tastiere; seconda di poi, l'indispensabile risposta di pubblico, capace di regalare la giusta grinta in uno scambio di energia d'altri tempi. Incrociamo le dita affinché tutte le promesse vengano mantenute. E Monna Lisa torni con loro in Italia.

martedì 9 ottobre 2012

SILO THINKING

SILO THINKING
Makhno
- Wallace Records/Neon Paralleli/Hysm?/Brigadisco - 2012
 
""Silo thinking" è il termine inglese usato per definire il "pensare a comparti stagni". Io ho utilizzato molto il "silo thinking" in momenti in cui i problemi da affrontare erano troppi e i rischi di non trovare soluzioni altissimi. Il riferimento è dunque molto personale, ma è anche un po' la storia del disco e dei brani. Ho lavorato in modo da trovare per ognuno di loro una soluzione particolare, come se ogni episodio qui presente fosse un comparto stagno, anche se poi inevitabilmente (sia nel caso del disco che nella vita) ti rendi conto che le metodologie per trovare soluzioni, spesso, sono le stesse." Così parlò Paolo Cantù da Monza. Chitarrista per convenzione, suonatore a 360° per passione, orgogliosamente Makhno per scelta di vita, il protagonista delle eclettiche scorribande sonore di Tasaday, Six Minute War Madness, A Short Apnea e Uncode Duello, solo per citare alcuni ensemble musicali a cui ha donato la propria visione sonora, concentra oltre trent'anni di attività in altrettanti minuti spesi per definire in questa opera prima l'essenza e lo stile che ne hanno caratterizzato la carriera, in un continuo ed inesausto slancio creativo votato alla sperimentazione e alla ricerca del suono migliore; convogliato, "catturato", ma subito lasciato (ri)fluire attraverso l'uso controllato dei più svariati strumenti a propria disposizione. STILO THINKING è la conferma di tutto questo. A partire dalla più totale, solitaria autonomia esecutiva con cui la strumentazione è stata trattata. Basso, batteria, drum machines, voci, clarinetti, nastri, le immancabili chitarre, le registrazioni e perfino il mix: tutto qui fa capo al solo Cantù. Tutto parla di e per lui. Ne racconta la storia, confinata probabilmente al di là di quella porta under lock and key che campeggia in copertina. Ricordare diventa lo sforzo utile a ricostruire il proprio percorso. E noi, per farlo, forziamo, apriamo e spalanchiamo quell'accesso così tanto serrato. Con Remember inizia questo percorso intimo, di immagini e sensazioni che si credevano confinate in un angolo della memoria; le atmosfere dei Suicide prendono presto il soppravvento, ma sono potenziate da un intreccio chitarristico dissonante cui sottende una linea di pianoforte che andrà a chiudere questo primo, necessario, brano. Inno della resistenza anarchica ucraina guidata dall'irriducibile Nestor Makhno (da cui deriva il moniker del progetto), La Makhnovtchina diventa cantilenante ed ossessiva nenia tribale, frastagliata, robotica e meccanica, prima di cedere il passo al rock post industriale di Ulrike. Zena "è una cosa che ho trovato in rete, ed è appunto il racconto degli scontri a Genova del 30 giugno 1960 contro il congresso fascista organizzato in città" con un rimando ai migliori Fuzz Orchestra. Il lato A del vinile si chiude con Stiv, il fiero saluto all'amico Stefano "Stiv" Livraghi, leader dei Tupelo scomparso nel 2000 in seguito ad un drammatico incidente stradale. Le infinite possibilità che l'alternanza suono-silenzio regalano ci introducono il tappeto sintetico dell'esasperato dialogo a una voce di Father And Son. Fine Della Storia? No. Unica concessione esterna a questo documento sonoro privato, la voce familiare di Federico Ciappini cresce stentorea nell'impetuosa Custer, conferendole un alto senso di fatale partecipazione e titanica tragicità. Musica carbonara. Meravigliosa. E viva. E immensa. Come la nostra vita. Come le nostre donne. Come le nostre musiche e le nostre grida.
 

venerdì 5 ottobre 2012

ARMI
Alessandro Grazian
- Ghost Records - 2012

Finalmente è arrivato. Il terzo album di Alessandro Grazian vede la luce in un temperato venerdì di inizio ottobre dopo una attesa lunga addirittura quattro anni da quell'INDOSSAI, ricercato lavoro, colto e raffinato, che ne aveva già consacrato le indiscusse doti cantautorali su una più ampia scala di genere dopo il compiaciuto noviziato di CADUTO. Non era bastato il complementare ep L'ABITO, né l'essersi cimentato in altre discipline artistiche ad ingannare questa trepidante attesa. Dopo una colonna sonora finita addirittura in concorso al Festival del Cinema di Cannes per il cortometraggio L'Estate Che Non Viene del regista Pasquale Marino, al termine di un percorso pittorico culminato in una manciata di personali, Grazian, tra una sempre più volutamente sporadica apparizione live e qualche ospitata su dischi e compilation altrui, riordina le idee chiudendosi in sala di incisione per quella che, secondo gli intenti e le dichiarazioni dello stesso autore, potrebbe avere il sapore di una svolta rock. E se dovessimo prestare credito ad Armi, frenetico ed arrabbiato singolo dalla speziatura punk scelto per annunciare il ritorno discografico del Nostro, non avremmo difficoltà a credere ad una rivoluzione copernicana vera e propria ("meglio, è molto meglio, più che un buon consiglio, un bel falò"). Pure la scelta di condensare in soli otto episodi il nuovo corso sa di ferrea presa di posizione sull'attuale orientamento musicale intrapreso, andando a porre l'accento sulla predisposizione a giocare questa volta all'attacco, alzando, se necessario, i volumi e la voce. Anche a mo' di sberleffo; compatta rivendicazione di indipendenza e autonomia decisionale dai giochi di potere legati al mercato discografico. Una molotov incendiaria insomma, ma, ricordando l'esperienza del primo Ruggeri, ancora con tanto champagne! Sì, perché la furia rock della title track e la carica epilettica dell'arrabbiato elettrotango in levare Non Devi Essere Poetico Mai, cantato come se i CCCP-Fedeli alla Linea non si fossero mai sciolti, vengono controbilanciate dalle sognanti atmosfere de Il Mattino e dalle progressioni Seventies della delicata Helene, ricettacoli di atmosferici synth capaci di disegnare scenari una volta appannaggio di viole e violini. Pochi ospiti; praticamente il solo Leziero Rescigno con il quale Grazian, trovata la giusta intesa artistica, suona e produce l'intero album. Già presentata a pochi eletti oltre un anno fa in sede live, Soltanto Io fa ora bella mostra di sé regalando momenti di psichedelia pop nascosta tra le pieghe di sonorità liquide e lunari. Torna l'attitudine al canto ferrettiano nelle strofe dell'ottima Nonchalance mentre la preghiera laica di Estate non recide completamente il cordone ombelicale delle passate produzioni, andando a recuperare in parte le atmosfere care a Diteci Che Siamo Sani. Alla cinematografica ed esortante Se Tocca A Te, con il suo tremolo di chitarre desertiche à-la Santa Sangre, spetta infine il compito di chiudere il lotto. Da sempre artista colto e raffinato, Alessandro Grazian veste ora i panni di esteta cosmopolita e metropolitano; certo, non barricadero e rivoluzionario tout court, ma capace di pungolare innanzitutto sé stesso per stimolare opportune reazioni all'esterno. Un'urgenza sempre più pressante; una necessità sempre meno procrastinabile.
 
un link al seguente post è presente qui: http://www.facebook.com/pages/Alessandro-Grazian/59512921717

mercoledì 3 ottobre 2012

CUCINA POVERA
ManzOni
- Garrincha Records - 2012

I migliori. Sono i migliori. Inutile tentare di smentire una tale, lapidaria, affermazione. I ManzOni sono in assoluto stato di grazia e, se mai ci fosse competizione, al momento, non potrebbero temere rivali. Giovani o veterani che siano. Diretti, poetici, profondi, inanellano una serie di uscite discografiche talmente alte da far impallidire ogni altro collega che nel corso degli ultimi anni abbia tentato anche solo di elevare le proprie rime ad una forma popolare capace di unire fruibilità e impegno. Da qui si impara la storia. Quella personale, capace di assumere un carattere universale attraverso gli occhi e le parole dell'inarrivabile Gigi Tenca, uno che paura di aprirsi al mondo proprio non ha. Un amante del rock e della pittura contemporanea (la programmatica scelta del nome ManzOni è opera sua), ma anche grande cultore dei fornelli e della buona cucina. Un uomo realmente più unico che raro, che ama la vita e conserva intatti lo stupore e la leggerezza del fanciullino tanto caro al Pascoli. Un poeta dei giorni nostri che attraverso i suoi racconti incarna la genuinità della provincia italiana, così schietta e viva, a tratti malinconica e qualche volta anche autodistruttiva. Eppure sempre pura, autentica e spontanea. Al suo fianco, immancabili, ci sono da tempo gli antichi compagni di viaggio nei Maladives Emilio Veronese e Carlo Trevisan, supportati dagli irrinunciabili Fiorenzo Fuolega e Ummer Freguia: cinque elementi diversi fra loro, ma accomunati da un sentire, da una koiné antica che è linguaggio comune, musicale e non. Magari portato all'eccesso, come capita nella dilatazione strumentale de La Strada, eppure sempre votato alla semplicità. Quella stessa semplicità che fa del vortice sonoro di Mario In Diretta TV, brano già provato in sede live con ottimi riscontri al pari della volutamente sgrammaticata Scusami, il vestito adatto al veemente, ma misurato, attacco ad una realtà cinica e amara. Vanno dritte al cuore le immagini private, commoventi, tratte Dal Diario, A Mia Madre mentre con sguardo compassionevole e benigno anche una bestemmia, lasciata solamente intuire, appare nuda in tutta la sua disarmante inutilità. Si chiude l'omaggio alle proprie origini con l'analitica descrizione di A Mio Padre, un tuffo nell'oceano dei ricordi di bambino e ragazzo. Un cantastorie moderno questo Luigi Tenca, capace di stupire con le sue innate doti di affabulatore: Una Garzantina, primo singolo estratto, è l'ennesimo quadro neorealista tracciato con parole franche su un post rock netto e melodico. Più onirica la rumoristica ...Ed Ecco L'Alba, quasi destrutturata, ma che piano piano cresce e si autoalimenta nel suo incedere marziale e meccanico, tra loop e giustapposizioni di suoni. Ancora un ultimo taglio di assoluta poesia nel lacerato spleen de In Toscana (mi dispiace / avevo prenotato anche il sole / non doveva piovere quel giorno) e una richiesta che non troverà mai risposta negli stratificati incroci chitarristici su cui poggia Dimmi Se È Vero. Storie, viaggi, racconti. I ManzOni sono le nostre guide. I nostri mentori. Giganti. Fragili come un fiore, ma robusti come il diamante. Naturali. Sanguigni. Con un cuore grande così. "Ecco, io racconto storie per chi vuole ascoltare; e per chi non vuole ascoltare... fa lo stesso." Grazie di esistere Gigi.
 

lunedì 1 ottobre 2012

in concerto

29-09-2012
- PAOLO CANTÙ_MAKHNO live @ Villa Morgana
San Colombano al Lambro (MI)

Giornata piovosa. Il temporale pomeridiano abbattutosi in questo sabato di fine settembre sulle campagne della Bassa non lascia presagire niente di buono. Scrutando però l'orizzonte, in lontananza, il cielo pare se non rasserenare almeno promettere una tregua nelle ore serali ormai sempre più prossime. Si decide così di partire, tra lampi e tuoni, alla volta delle colline di San Colombano al Lambro, abitato a sud di Milano al centro di un triangolo che vede nelle città di Pavia, Lodi e Piacenza i suoi vertici. L'occasione si concretizza dopo aver ricevuto il gradito ed inaspettato invito a partecipare alla presentazione del primo disco solista di quel veterano della scena underground milanese che risponde al nome di Paolo Cantù. Fin dai primissimi anni '80 il giovane agitatore musicale di allora, partito autodidatta dagli Orgasmo Negato (a.k.a. Nulla Iperreale) e ben presto approdato negli sperimentali Tasaday, con un passato nei primi, pionieristici Afterhours, avrebbe trovato nell'inesausta volontà di sperimentazione il fine ultimo della sua produzione, alternando le spigolose evoluzioni sonore dei Six Minute War Madness alle destrutturanti note oblique degli A Short Apnea; riappropriandosi oltre un decennio dopo dei suoi Tasaday e condividendo in compagnia del suo "allievo" Xabier Iriondo, altra infaticabile figura di riferimento tra studio e improvvisazione che mai ha nascosto la propria attenzione per lo stile di Cantù, i programmatici Uncode Duello. Ora, a due sole dozzine di mesi dai festeggiamenti per i suoi primi cinquant'anni, Paolo si regala il primo album davvero da solista, un vinile 12" che, anziché venire rilasciato a suo nome come ci si sarebbe potuto aspettare, colpisce la curiosità degli ascoltatori nella scelta dell'uso dello pseudonimo Makhno.
 
Ma cos'è o meglio chi è "Makhno"? Ce lo spiega lo stesso Cantù: "Makhno è stato scelto come nome del progetto prendendo spunto da Nestor Makhno, rivoluzionario anarchico ucraino. Ho letto un po' di cose è mi ha affascinato la storia, il personaggio e più in generale la sua vicenda. È stato il fautore delle prime comuni anarchiche di contadini, ma più che i riferimenti politici, che comunque mi interessano molto, è quest'idea del combattere a tutti i costi per una giusta causa, senza compromessi, e inevitabilmente finire da perdente, ad avermi affascinato." Trasposizione musicale di un sentire comune con questo leader del movimento di resistenza ucraino, l'album SILO THINKING sarà il piatto forte della serata. Anzi: il live sarà improntato esclusivamente su di esso e per una durata prestabilita di trenta minuti al massimo. Un'incursione. Costruttivista e d'Avanguardia insieme. Arriviamo a destinazione che la pioggia ha cessato di cadere già da qualche minuto. Buon segno. Villa Morgana si trova sulla salita che dal centro cittadino porta alla sommità del Colle fino a intersecarsi con le strade panoramiche della Madonna dei Monti e della Serafina. Accanto al corpo principale della costruzione novecentesca si trova l'omonima azienda vitivinicola che anche questa sera offre bevande e alimenti di respiro provinciale e regionale a tutti i presenti.
 
L'ambiente entro cui è stato ricavato anche lo spazio per la strumentazione è decisamente affollato e non sorprende che tra gli astanti-commensali di questa prima compaiano alla spicciolata il già citato Iriondo con il compagno di improvvisazione nei The Shipwreck Bag Show Roberto Bertacchini; il MoRkObOt Lan, al secolo Marcello Bellina, autore tra l'altro della mostra di disegni che completa l'appuntamento odierno, e Francesco Ciappini, fratello del più noto Federico, frontman dei Six Minute War Madness. Qualche sigaretta, un bicchiere di ottimo vino, molti sorrisi. Poi le declamanti parole di Zena, estrapolate chissà da quale documento sonoro scovato in rete, annunciano l'inizio della serata e anticipano il martellante incedere industrial di Ulrike. La Danelectro cede il posto alla SG per l'immediata rivisitazione rumoristica de La Makhnovtchina, inno della resistenza anarchica ucraina originariamente modellato sull'aria della canzone popolare Per Vallate E Per Colline dal poeta Sergej Alimov, il cui successivo interludio proveniente dall'ampli FBT, utilizzato per lanciare tutte le basi, è affidato alle note malinconiche di Remember. Torna la Danelectro, e arriva pure da una dimensione altra la lancinante voce, saturata, del compianto Stiv Livraghi, cantante dei Tupelo scomparso in un tragico incidente alcuni anni fa, con lo spigoloso omaggio di Stiv. Ottima la scelta di inframezzare fra una emozione e l'altra la soave Toccata in La di Pier Domenico Paradisi che anticipa prima Father And Son quindi Fine Della Storia. Il Marshall viene messo a dura prova dalle svisate e dai clangori elettrici, ma è pronto ad una ultima, scatenata, cavalcata. Custer è uno straordinario grido metropolitano di innocenza perduta, assalto alla diligenza del tempo che immobile va, tra il rimpianto del passato e il lacerante recitato contingente di Federico Ciappini. Cantù riavvolge i cavi della sua strumentazione. Noi quelli della nostra memoria.
 
Andrea Barbaglia '12

Ringraziamo l'ottima Cecilia Pirovano per la concessione degli scatti allegati. 
un link al seguente post è presente qui: http://www.facebook.com/wallacerecords qui: http://www.facebook.com/brigadisco.rec?fref=ts e qui: http://www.facebook.com/pages/Neonparalleli/412513845462818