mercoledì 29 gennaio 2014

TUTTOBRUCIA

TUTTOBRUCIA
Monica P
- TF Records - 2014

Raccontano un mondo fatto di passioni e oscure intime tensioni le dieci storie a cuore aperto che compongono TUTTOBRUCIA il secondo album di Monica Postiglione, cantautrice rock di stanza a Torino, ma nomade occidentale per gusto e interessi. Esperienze di vita uniche e personalissime, primitive nel loro inevitabile accadimento, in cui il protagonista spende tutto sé stesso per vivere ogni istante come se fosse l'ultimo, come se non ci dovesse essere mai più un domani. Dopo un già promettente esordio discografico caratterizzato da sonorità robuste ed abrasive, tutto sommato inconsuete per il classico cantautorato italiano, il nuovo lavoro di Monica gratta con le unghie la superficie di A VOLTE CAPITA e ne approfondisce la già rimarchevole fragilità umana attraverso un processo di analisi che, abbassati i toni e asciugati i suoni, apre a una ulteriore crescita compositiva. Viaggia magari su più basse frequenze rispetto al suo predecessore, ma è un disco molto istintivo questo secondo estratto sulla ruota sabauda; in tal senso si sposano molto bene gli arrangiamenti internazionali dei nostri Sacri Cuori, patrimonio di eccellenza di una Italia, di una Romagna operaia tutta da tutelare, reduci da un never-ending tour come neanche il Boss, protagonisti socio-musicali dell'esperienza cinematografica Zoran, il mio nipote scemo e qui rispettosi nell'approcciarsi alla scrittura personalissima di Monica senza mai allontanarsi dal ruolo di abili sarti del suono. C'è il loro zampino nel minimalismo ad occhi chiusi di Dove Sei e Nuda Nel Buio; c'è la loro sensibilità, il loro gusto (Mai Più), la loro capacità di trovare il suono giusto al momento giusto tanto nell'incedere rituale e sciamanico di Mentre Balli, orchestrato al chiaro di luna nella notte dei tempi dall'ancestralità percussiva di Diego Sapignoli davanti ad un piccolo falò, quanto nell'elettronica analogica capace di donare un substrato ipnotico simil funk a Io Sono Qui con il piano elettrico in bella evidenza. E ci sono i loro buoni uffici nella chiamata dei (super)ospiti che benedicono con la loro presenza il percorso artistico della Postiglione. Su tutti Hugo Race in duetto, per la prima volta in italiano, proprio con lei nello spettrale singolo Come Un Cane, nera storia di mortificazione e depressione, evocata, maledetta, ma comunque affrontata con l'ostinazione della ragione, capace di sorreggerci attraverso tutti i gradi di dolore. E JD Foster in cabina di regia, già apprezzato accanto a Calexico, Marc Ribot e al Vinicio Capossela più cupo di DA SOLO. Gli anfratti freddi e bui della title track rivelano inattesi scorci pop, ma le atmosfere sabbatico-rarefatte di Lasciami Entrare sono il cinematografico lungo addio in progressione che chiude ogni altro discorso mentre una nebbia fine e sottile sale lenta, ci avvolge, si insinua nei pensieri e obnubila la mente. Disco intimo, minimale, per certi aspetti confidenziale nella sua matura e totale apertura al mondo, TUTTOBRUCIA vagheggia un anelito di normalità in questo continuo stato di confusione e nevrosi che opprime il nostro vivere contemporaneo. Non una sola nuova lacrima andrà versata; quelle piante in tempi antichi evaporeranno con il primo sole del mattino.
 
un link al seguente post è presente qui: http://www.facebook.com/monicapmusic

martedì 28 gennaio 2014

SEGNI (e) PARTICOLARI

11 febbraio 2014
SEGNI (e) PARTICOLARI
Alberto Patrucco e Andrea Miro'
con Ricky Gianco, Enrico Ruggeri, Enzo Iacchetti e...
Barclays Teatro Nazionale, Milano 
 

In anticipo d'un soffio sull'uscita dell'album – prevista per il 25 febbraio – e di qualche mese dall'avvio del tour estivo che lo riguarda, ma leggermente in ritardo sul veglione di san Silvestro, Alberto Patrucco e Andrea Miro, con la complicità di Enrico Ruggeri, Enzo Iacchetti, Ricky Gianco e... (chi verrà, vedrà!...) presentano per la prima volta in pubblico, il frutto di un appassionante lavoro durato quasi due anni.
 
Un recital nel quale ironia, musica e riflessione, per una volta, sono padrone di casa insieme alle parole e alle melodie di Georges Brassens, il più raffinato cantautore francese del secolo scorso, un artista unico, dotato di genialità senza eguali.
 
Un incontro tra canzone d'autore e comicità che si colorisce qua e là di suoni e poesia. Un appuntamento da non perdere. Uno spettacolo particolare che, neanche a dirlo, lascia il segno.
 
Biglietteria: http://www.ticketone.it (Segni e particolari)
 
 

venerdì 24 gennaio 2014

BURNING OF JOY

BURNING OF JOY - EP  
Boj
- TdE Music ProductionZ - 2013

C'è del funk in Val d'Aosta. Tanto funk. Si sapeva, l'avevamo toccato con mano e ce ne eravamo innamorati all'istante grazie alla formidabile Naif Herin che nell'arco di un lustro abbondante aveva sfornato album carichi di groove e passione per poi riversare tutta la sua creatività negli emozionanti live cui facevano seguito. Con lei in quella avventura multiforme non poté mai mancare Momo Riva, ossigenatissimo batterista dall'occhio lungo, dinamico programmatore di macchine, loopstation, MAC e, alla bisogna, estemporaneo chitarrista per progetti follemente rivoluzionari come il Femminino Anarchico Tour. In spasmodica attesa del rientro in campo di quella che le avvisaglie ci preannunciano essere sarà una nuova Naif, Momo si è imbattuto, un po' per caso un po' per destino, in un'altra emozionante voce femminile, sempre di stanza ad Aosta, ma con più lontane origini localizzate in quei Balcani che conobbero la guerra un ventennio fa. Dalla Serbia ecco oggi Bojana Krun, occhi scurissimi, lunghi rasta neri, pelle olivastra; a tutta prima un alter ego dark proprio di mademoiselle Herin. Tuttavia l'esordio discografico rivela presto che Boj, nome d'arte scelto dalla spigliata trentacinquenne per questa avventura tra le sette note, è, in parte, in discontinuità artistica con la storica sodale di Mr. Riva. Forte di un bagaglio culturale e di una esperienza umana totalmente differenti che l'avrebbero vista alla chiusura delle frontiere fuggire dalla propria casa paterna e girovagare in solitaria attraverso montagne e boschi dall'Ungheria alla Slovenia prima di un approdo sicuro in Italia (nascosta nel bagagliaio di un'auto), Bojana è figlia del suo tempo. Fin dalle prime note di Don't Judge Me risulta chiaro che l'ugola della cantante italo-serba sia estremamente graffiante come il suo temperamento, determinata come la sua cocciutaggine, libera come la sua anima. Il dinamismo rock e le liriche rappate dell'opener sprigionano di fondo un'attitudine soul tra le pieghe della sua voce, nera come la miglior Nina Simone e limpida come quella di Grace Slick, così come testimonia pure il successivo Wild Party allestito a suon di elettro-funk sincopato dai riflessi blues. L'affiatamento musicale con Momo, autentico mastermind dell'ep, porta alla realizzazione  di Bouche D'Argent, riuscito retaggio, tra caos e disordine, delle soluzioni stilistiche adottate dal mito comune Prince, con un occhio a P!nk e un altro a Vera Hall, quasi che le piantagioni di mais dell'Alabama fossero da sempre cresciute rigogliose nell'entroterra serbo e oggi avessero attecchito pure tra i monti della Vallée. Irrequieta, la Krunsi lascia andare a riflessioni più intime in Misunderstanding, scelta come singolo di lancio sfruttando un refrain che guarda al folk di KT Tunstall con tutto il mestiere di Linda Perry. Doing No Wrong vede un'impennata rabbiosa à-la Anouk, ma con un vibe funky e un Chris Costa al basso in più. Ritroveremo quest'ultimo ospite anche allo slap che contraddistinguerà La, La, Lies composta (guarda un po'?) proprio da quella Naif Herin di cui sopra, elegante in tutta la sua naturale compostezza dietro al piano per quella che ha tutti i crismi per tramutarsi on stage in una festante jam session dal piglio R&B. Sei brani e quasi mezz'ora di promettente musica. Si parte da qui: perché tutto comincia in un attimo, in un giorno qualunque della nostra vita, quando meno te lo aspetti. Questa è gioia vera. Per la quale vale spendersi e lottare.

giovedì 23 gennaio 2014

UNO BIANCA

UNO BIANCA
Bologna Violenta
- Woodworm/Wallace Records/Dischi Bervisti - 2014
 
Torna Nicola Manzan. E lo fa con il disco più concettuale della sua carriera. Un album intriso di umori e sensazioni che non guardano semplicemente al noir, ma lo travalicano addirittura, sfociando attraverso il consueto guazzabuglio sonoro proprio dell'artista veneto nella violenza reale che contraddistinse le cronache di un passato non troppo lontano nella memoria collettiva di un'Italia da saldi di fine Prima Repubblica. Non solo il Paese, ma anche i morti sono reali come ben documenta la cruda copertina (18 Agosto 1991 - San Mauro Mare (FC): Agguato Auto Senegalesi) che accompagna questo cd; e reclamano Giustizia. Non è un retaggio degli anni di piombo. Non sono i servizi segreti deviati. Non c'entrano Gheddafi o Saddam. La banda della Uno Bianca è una cellula impazzita. È il crollo delle certezze. È la realtà distorta. È quello che non può essere e non deve accadere. È una mattanza. Gratuita e spiccia. Malata. Una sventagliata di mitra nella notte e in pieno giorno. Nevrotiche, feroci, disturbanti, di cattivo gusto, insindacabilmente fastidiose per la sconcertante drammaticità rievocata, le rumoristiche ventisei tappe di avvicinamento ai titoli di coda di quel 29 Marzo 1998 - Rimini: Suicidio Giovanni Savi che racconta vergogna e dolore straziante di un padre (classe 1926) che, ultima vittima dei killer, figli suoi, paga addirittura per loro, sono una riflessione profonda sulla follia umana e le sue dinamiche intrinseche. Sostenuto da numerose partiture classiche di archi come mai accaduto fino ad ora in studio di registrazione, lo strumentale grindcore manzaniano è scandalo per i benpensanti. Manzan è il Duchamp dell'estremo. I fratelli Savi il grimaldello che scardina le regole. E lo fanno in maniera scientificamente seriale a partire da quella prima rapina sulla A14 al casello autostradale di Pesaro che il 19 giugno 1987 segnò l'inizio dei crimini perpetrati dalla banda. Un colpo capace di fruttare al commando 1.300.000 lire, inizio di una escalation di ben altra violenza che nel corso di sette anni lascerà dietro di sé 24 omicidi e oltre 100 ferimenti. Il clamore sarà dato dall'aggravante che della "Uno Bianca" ben cinque elementi su sei si scoprirà essere poliziotti regolarmente in servizio tra la Questura di Bologna e il commissariato di Rimini. L'abominio dei servitori dello Stato contro i propri colleghi e i cittadini tutti sono il pretesto per raccontare uno spaccato sociale che di lì a poco sarebbe profondamente mutato una volta per tutte. Forse in peggio. Immersi anche noi nella cronaca di quei giorni grazie alla guida all'ascolto proposta nel booklet dell'album, il passato riaffiora in tutta la sua allucinante brutalità mescolandosi presto a rabbia e incredulità. Caduto il velo grottesco dei precedenti lavori emerge nel progetto Bologna Violenta la serietà che la Storia impone responsabilizzando il polistrumentista trevigiano nella sua ferma condanna circa l'efferatezza dei crimini narrati. Non una apologia alla criminalità organizzata, ma al contrario una preghiera per tutte le sue vittime e una denuncia - viva - a loro imperituro ricordo.
 
un link al seguente post è presente qui: http://www.facebook.com/bolognaviolenta

mercoledì 22 gennaio 2014

WIRES

WIRES
7 Training Days
- autoproduzione - 2013
 
Per essere solo al secondo album i 7 Training Days meritano davvero un grosso plauso. È gratificante per tutti avere tra le mani un album come WIRES, concentrato di rock in costante equilibrio fra un approccio anni '70 e tutta la modernità dell'underground anni '90. Nel solco delle grandi collage band americane (i R.E.M. su tutte) e con la psichedelia di quelle alt rock inglesi (Radiohead) il quartetto di Frosinone padroneggia in maniera fresca e disinvolta questi elementi base innestando di volta in volta sventagliate British, spleen grunge e rotondità pop. Sono decisamente lontane le titubanze espresse in cabina di regia da A SAFE PLACE, disco d'esordio ancora un po' acerbo che aveva il pregio di compattare se non altro per la prima volta quattro musicisti desiderosi di svoltare dopo l'esperienza con altri progetti meno fortunati. I Will, ad esempio, riprende solo lontanamente  in parte le dinamiche slowcore care alla band, preferendo bilanciare la composizione testuale e la parte strumentale, irrobustendone il suono e realizzando un significativo passo in avanti nella direzione che il gruppo si era proposto di seguire fin dai loro esordi. A colpire in positivo è anche la varietà di genere che emerge da tutto il cd, segno di quanto i molteplici ascolti musicali di gioventù e oltre abbiano fatto breccia non solo nelle orecchie, ma direttamente nell'essenza delle persone coinvolte. Fili della memoria che oggi, nel concreto, legano senza soluzione di continuità il pop rock à-la Supergrass di You Are Not Me alla catarsi targata Radiohead di Gone; mescolano i vibrati emozionali omaggianti Nirvana e Pearl Jam di Life alle atmosfere collage-grunge di Something More Clear (Jerry Cantrell nelle vesti di un Michael Stipe prima maniera?) con un cantato vicino a quello del Billie Joe Armstrong più maturo. E si potrebbe andar avanti così per molto altro tempo ancora citando influenze più o meno evidenti (Wilco, The National, Led Zeppelin...) che si susseguono per tutto il cd senza che mai questo si riveli essere un semplice lavoro manieristico. A definirne l'essenza c'è infatti tutta la vitale determinazione dei singoli componenti, cocciuti e tenaci, tesi ad alzare l'asticella della loro preparazione e della loro passione un po' più in alto, per tentare di raggiungere il traguardo successivo visto come crescita tangibile e non illusoria. Tre mesi in studio, dodici take di voce nell'arco di una sola giornata e nessuna strategia per inseguire quell'idea di freschezza che solo il rock'n'roll ha saputo regalare fin dalla sua nascita. Un approccio legato ad una immediatezza che è una volta tanto non sintomo di frettolosità e approssimazione, ma semplicemente espressione di urgenza creativa. Insomma, buona la prima. E sotto con la prossima. Se per tutte le band che ci sono in circolazione bastassero sempre e solo sette giorni di addestramento per ottenere risultati così ragguardevoli beh, saremmo decisamente in un altro mondo. Un gran bel mondo. 
 
un link al seguente post è presente qui: http://www.facebook.com/7trainingdays

martedì 21 gennaio 2014

UN AGOSTO SENZA UOVA

UN AGOSTO SENZA UOVA  
Tange's Time
- autoproduzione - 2013

Dopo l'iniziale ep TERMOMETRO PER USO FELINO datato 2009 lo scapestrato gruppo carpigiano dei Tange's Time giunge contro tutti i pronostici della vigilia forniti dagli allibratori d'Oltremanica all'agognato disco d'esordio portando con sé, e mantenendola inalterata, tutta la carica dirompente e irriverente cui aveva abituato con le sue performance live. Non ci si lasci però fuorviare troppo dai continui slanci di grassa demenzialità e delirante follia cui Simone Tangerini e soci guardano con occhio furbo e porcino. La goliardia di grana grossa e il conseguente behaviour sopra le righe, per quanto espressi in sovrabbondanza anche in UN AGOSTO SENZA UOVA, sono molto spesso maschera triviale sotto cui alberga a conti fatti un citazionismo, se non colto, di certo nobile e degno di nota, che affonda le proprie radici nella cultura popolare più ampia possibile e per il quale vale la pena approfondire gli sviluppi di lavori come questo, segno di come la band abbia dalla sua migliaia di ascolti, eterogenei e compositi (il rap doorsiano di Animaletto; il beat swingato della sbilenca Caratteri), e che la cafonaggine rozza e cattiva sbattuta in faccia all'ascoltatore (Topo) sia solo apparente quando non ironica. Certo, chi cerca pagine di aulica letteratura musicale nel singolo hard funky L'America Ti Derna oppure avventurandosi nelle improbabili ricerche sentimentali di Ho Conosciuto Una Teepa dopo aver ricordato con eccessiva adrenalina I Primi Giorni Dell'Asilo resterà profondamente deluso; ma non è questo quello che si chiede a chi ha mire espansionistiche verso altri lidi per continuare in primis a favorire l'anonimato di quello skianto di pennuto che ha prestato il proprio volto per la copertina. Se però attraverso la carismatica figura di Sasà Salsiccia e le sofferenze che L'Estate porta con sé si riuscirà ad intravedere i risvolti di critica sociale presenti in Sigaretta Elettrica allora anche l'intellettualoide della porta accanto avrà trovato pane, ricco d'amido, per i propri denti. E troverà - forse anche con sorpresa - un ben poco velato attacco alla reale incompetenza delle istituzioni nella già nota e purtroppo profetica Kataklisma, qui proposta come bonus track finale dopo la prima comparsata in tempi niente affatto sospetti sull'ep di debutto della formazione emiliana. Improbabile incrocio padano tra Elio e Le Storie Tese e Trombe di Falloppio, con più convenzionale capacità strumentale, ma non meno fantasia narrativa, i Tange's Time brillano di luce propria, calcano irriverenti i palchi della Bassa e, cosa non da poco, resistono all'usura del tempo con serafica determinazione. Dicono di loro: "l'ironia e la pazzia su sfondo rock." Uno sfondo che per i Nostri più che un sostantivo di genere maschile pare un verbo in prima persona singolare. Grandi.
 

lunedì 20 gennaio 2014

l'intervista

CAPITANO, MIO CAPITANO
 
La Toscana è da sempre fucina di spiriti liberi e ingegnosi. Cosimo Messeri è uno di questi. Vulcanico eppure metodico e lucido artista a 360 gradi, figlio dell'incontenibile Marco Messeri e dell'altrettanto creativa Luisanna Pandolfi, dopo i buoni riscontri ottenuti con i suoi lavori cinematografici se ne è uscito allo scoperto anche in campo musicale, con una passione enorme per la Swinging London e le belle melodie. Autore di se stesso, consapevole della precarietà artistica che da sempre è convivente con l'uomo comune, senza seguire alcuna strada privilegiata eccolo gettarsi a capofitto nell'ennesima avventura che è anche confronto con le proprie radici. Qua di seguito trovate la nostra constatazione amichevole dopo un tamponamento sfiorato con il suo Transit lungo le strade che da Fiesole portano a Roma.
 

Cinema e musica: quale di queste tue due passioni hai sviluppato gradualmente e quale è stata invece una folgorazione vera e propria?
Cosimo: Cinema e musica. Entrambi mi hanno folgorato immediatamente, e subito è stato come se non ci fosse più nient’altro intorno, come se nella vita non potessi fare altro. Il guaio (?) è che quando lo capii ero ancora al liceo e per questa mia assenza mentale, presa giustamente dai professori come sprezzante indifferenza, fui bocciato e ribocciato!
 
Dopo l'esordio e una carriera nel mondo della celluloide ecco un tuffo nella musica con un lavoro composto e suonato quasi interamente da solo. Perché un disco ora? Quale aspettative nutri sulla sua riuscita?
Cosimo: Carriera?! Ma carriera di che? Trovo ridicolo chi fa questo lavoro e parla di carriera; è un linguaggio ministeriale, da corridoio. Sono sempre stato d’accordo con mio padre e Paolo Poli quando dicono: "Ma quale lavoro, noi facciamo gli scemi sulle montagne russe!". Per quanto mi riguarda vivo la mia vita al meglio delle mie possibilità, cerco continuamente di assomigliarmi e di dimenticarmi di me!
Ora ho fatto un disco e non nutro alcuna aspettativa sulla sua riuscita. Primo perché come diceva Eduardo il pubblico è un blob imprevidente e imprevedibile, e secondo perché per me questo dischetto, e sottolineo per me, è un lavoro più che riuscito!
 
Talmente ben riuscito che non hai sentito neppure l'esigenza di affidarti ad altri musici, se non che per piccolissimi interventi. Ascolta, chi si nasconde dietro lo pseudonimo di Apollo Vermut? Non sarà davvero il baronetto Macca?
Cosimo: Beh, se Capitan Confusione son io, Apollo Vermut è... Madame Bovary!
 
 
I dischi d'esordio sono solitamente e in larga parte album autobiografici; le canzoni di CAPITAN CONFUSIONE abbracciano un ampio periodo della tua vita oppure sono composizioni recenti, databili ad un più ristretto periodo?
Cosimo: A parte alcune eccezioni sono perlopiù canzoni recenti, vicine nel tempo, vicine al me di adesso eppure già lontanissime.
 
Oltre a diversi brani sviluppati secondo forme classiche per la canzone pop cantautorale mi hanno colpito tutti quei pezzi più brevi posti quasi a mo di raccordo tra una canzone e l'altra, pensieri che nello spazio di pochi secondi sanno fornire mondi ben più vasti.
Cosimo: Mi sono sempre piaciuti gli intermezzi brevi, che dicono tutto e nulla e lasciano la voglia di farsi subito riascoltare. Così nel disco ho disseminato queste pagliuzze  (Forse troppe? Ma no...)  qua e là.
 
Una influenza evidente che si materializza tra i loro solchi è senz'alto quella proveniente da una band di Liverpool: che rapporto hai con la musica dei Beatles?
Cosimo: Che rapporto si può avere con i Beatles se non di spassionata e sincera gratitudine? Mi sembra un miracolo e sono contento che siano esistiti davvero! E lo stesso vale per Fellini, Chaplin, Socrate, i Monty Python: ogni tanto per fortuna esplodono delle supernove che illuminano questo mondo poverello.
 
 
Che fine hanno fatto i Plastic Macs ovvero la band con cui "esordisti" tempo fa nel mondo della musica?
Cosimo: I Plastic Macs... sono stati un bel momento spontaneo e doveroso, di passaggio e roccioso. Ma soprattutto felice. Due canzoni nell'album vengono da quel periodo e mi ha fatto piacere portarle con me in questa nuova avventura. Ora il batterista fa il disc jockey, il bassista è diventato avvocato, il chitarrista sta in Bolivia a piantare il riso per i bambini poveri e io sono rimasto l'unico disoccupato!

Nei tuoi lavori cinematografici che ruolo ha avuto fino ad ora la musica? La scelta ad esempio di occuparsi di un artista ai più sconosciuto come Emitt Rhodes sembra far trapelare una attenzione verso artisti di nicchia, ma capaci di arrivare alle masse se solo supportati anche da un pizzico di fortuna in più.
Cosimo: Credo che tutte le arti si parlino tra loro. Mai in maniera esplicita sia chiaro, ma si parlano eccome. Pittura, poesia, letteratura, cinema, musica… The One Man Beatles, il mio filmetto su Emitt Rhodes, mi ha confermato in questa mia convinzione. Ma con Emitt è stato soprattutto un incontro umano, una rivelazione emotiva per lui e per me: dall'altra parte del mondo ci può essere qualcuno che ci vuol bene senza motivo!

Tuo padre Marco avrà senz'altro guardato i tuoi film, ma a proposito del cd quali sono state le sue reazioni e i suoi commenti?
Cosimo: È molto difficile giudicare artisticamente il lavoro di una persona cara. Bisognerebbe astrarsi, far finta di, ma alla fine rimane sempre un giudizio drogato. Mio padre no, è molto anglosassone in questo: se c'è da sculacciare sculaccia da sempre senza pietà. Ma il disco gli è piaciuto. È lì che ho capito che forse anche lui non è poi così distaccato… o magari è davvero un bel disco!
 
 
Hai intenzione di portare sul palco le tue canzoni oppure attualmente sei già impegnato in altri progetti?
Cosimo: La domanda sul live è una di quelle domande per cui ogni volta mi piacerebbe trovare una risposta che fosse di soddisfazione per chi mi pone il quesito. La scusa ufficiale – e verosimile – che uso è quella che sto preparando il mio primo film, quindi anche volendo non avrei il tempo di suonare dal vivo. La verità è che c'ho paura e per ora non ci penso nemmeno! Un'altra verità, non meno importante, è che la musica io la intendo così, concetto nato in una cameretta e da ascoltare in un'altra cameretta, da soli. Comunque non è detto che un po' più in là, magari con il secondo disco, non inizi anche a fare dei piccoli concerti… ma come vedi sono già troppe risposte per essere vere!

Abbiamo citato tra gli altri Beatles, Monthy Python, il grande Paolo Poli, tuo padre Marco: qual è il tuo sentimento con il tempo che passa, con le tante persone che direttamente o inconsciamente ti hanno formato?
Cosimo: Ho un sentimento molto profondo verso queste entità, una commossa e sincera epifania. E sono riconoscente a persone come Marco Lodoli, Carlo Mazzacurati, Nanni Moretti, veri e propri fari per me, nello stesso modo in cui sono riconoscente a Federico Fellini, Charlie Chaplin, Italo Calvino, che invece non ho mai conosciuto. Ma non importa, quello che mi doveva arrivare m'è arrivato attraverso il loro lavoro, tramite quello che hanno fatto e che adesso è qui, per tutti, come in un prodigio. È cosa rara entrare naturalmente in confidenza con persone speciali, illuminate, e in questo, per nascita, sono stato molto fortunato.

Tra vinile, cd o mp3 tu da fruitore di musica scegli?
Cosimo: Scelgo la musica che mi parla, ogni mezzo è lecito musicassette incluse, e credo perfino nel sistema radiofonico italiano…!
 
Andrea Barbaglia '14

giovedì 9 gennaio 2014

L'ORDINE NATURALE DELLE COSE

L'ORDINE NATURALE DELLE COSE - EP
L'Ordine Naturale Delle Cose
- Hot Studio Records - 2014

Hanno un asso nella manica i promettenti custodi de L'Ordine Naturale Delle Cose: la viola di Enrico Cossu. Il lungocrinito musicista di chiare origini sarde si rivela essere infatti l'elemento che meglio è in grado di caratterizzare la proposta del quintetto parmigiano cresciuto a pane, grunge e alt rock e intercettato nei mesi passati dalle antenne ricettive di Omid Jazi quando ancora si esibiva nei locali della Bassa sotto altro moniker. Nati infatti come The Strange Situation nell'inverno del 2011 su spinta dell'allora vocalist Daniele Urbano, dopo aver pubblicato in sestetto un cd d'esordio non troppo fortunato in termini di esposizione mediatica, ma ugualmente curato e propositivo (l'autoproduzione "col cuore in mano" di DENTRO), in seguito all'allontanamento dello stesso Urbano e con il passaggio alla voce di Stefano Cavirani nella primavera del 2013, fino a quel momento chitarrista principale della band, i futuri L'Ordine Naturale Delle Cose avrebbero optato appunto per un nuovo nome e una nuova ragione sociale pur di non disperdere quanto di buono realizzato fino ad allora. Con un gruppo quindi già rodato e affiatato anche in sede live si tratta ora di tastarne comunque l'amalgama sui nuovi pezzi e verificare la tenuta del nuovo frontman il quale, non rinunciando alla sua sei corde, si trova ad essere in ogni caso supportato da altri due chitarristi, Gioacchino Garofalo e Mattia Amoroso, capaci alla bisogna di switchare rapidamente al basso incrementando così le possibilità di ulteriori sequenze narrative per un sound che nelle intenzioni del quintetto vuole mantenersi aperto e in continua evoluzione. I quattro brani raccolti in questo primo ep sono in ultima analisi però ancora interlocutori. Sicuramente, pur mantenendo una melodia di fondo mutuata dalla precedente esperienza discografica, è cresciuta in maniera esponenziale la potenza di watt prodotta e scalpitante è l'urgenza di comunicare. A lasciare il segno è, come si diceva in apertura, la "diabolica" viola di Cossu la quale si ritaglia un piacevolissimo assolo che porta a conclusione l'opener Questa, regge le sorti della retrospettiva, ma poco convincente La Volta Buona, orchestra Opaca, la migliore del lotto con la sua coda strumentale che è vetrina per tutti i musicisti, e cresce lentamente nella sospensione di In Punta Di Piedi, un non finito molto kuntzianamente derivativo nella sua alternanza fra la quiete e l'irruenza di cui strofe e ritornello sono intrisi, ma forse anche l'episodio più indicativo di un passato non ancora completamente lasciato alle spalle. Jazi interviene discretamente nella registrazione, inserendosi in punta di piedi con le sue tastiere in due brani, senza interferire troppo nella struttura delle canzoni. Non resta che attendere le future mosse de L'Ordine. Se tutto andrà come deve andare il (nuovo) esordio del gruppo su lunga distanza colmerà le lacune e metterà a fuoco i pregi del combo emiliano; diversamente nuove soluzioni per i suoi componenti si prospetteranno all'orizzonte. Questioni di tempo e di tenacia. È la legge della vita. La risposta definitiva è solo rimandata.

martedì 7 gennaio 2014

UNA VOCE POCO FA

UNA VOCE POCO FA
Il Genio
- Egomusic - 2013

Chi pensava che Il Genio fosse una one hit wonder del nuovo millennio grazie all'exploit virale della celeberrima Pop Porno che li aveva fatti conoscere ad un pubblico mainstream il più trasversale possibile dovrà una volta ancora ricredersi. Eccoli infatti di nuovo in pista con il loro terzo lavoro discografico, primo per la piccola, ma agguerrita Egomusic di Verbania dopo i trascorsi con la major Universal e l'esordio per la storica Cramps. UNA VOCE POCO FA è il miglior biglietto da visita per mettere a tacere lo scetticismo riguardo ad un progetto che non ha mai vissuto vere fasi di stanca, ma anzi ha saputo rinnovarsi nel suo genere ampliando l'organico in sede live e lasciandosi contaminare dalla baraonda sonora proposta da quella factory metropolitana aperta che risponde al nome di Rock'n'Roll Circus Experience e di cui Alessandra Cortini e Gianluca De Rubertis fanno parte fin dalle prime apparizioni. Titolato come la celebre aria del Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini da cui pure l'indimenticabile Giuni Russo trasse spunto per la sua Una Vipera Sarò, il nuovo disco mantiene l'omogeneità del precedente VIVERE NEGLI ANNI X, probabilmente il disco più curato e ragionato della loro carriera, unita alle sempre gradevoli atmosfere confidenzial-retrò che hanno fatto la fortuna del duo pugliese di stanza a Milano. Certo, non troverete romanze, virtuosismi lirici o chissà cosa; il registro non cambia (chi cerca novità sonore in casa de Il Genio si rivolga all'esordio solista di De Rubertis AUTORITRATTI CON OGGETTI, maggiormente cantautorale, a tratti addirittura deandreiano), ma la melodia messa al servizio delle parole giuste e dei suoni più accattivanti è l'arma vincente per vincere la diffidenza altrui e raggiungere un pubblico ampio e numeroso. Scelti come singoli apripista la surreale, eppure attualissima, Bar Cinesi e il ballabile bubblegum elettronico Amore Di Massa veicolano già da qualche tempo il nuovo lavoro della coppia Cortini-De Rubertis la quale, in vista dell'imminente tour di supporto al nuovo lavoro, si farà affiancare on stage dalle vibrazioni percussive di Alessandro Deidda e dall'ombroso Dario Ciffo alle chitarre, inedito quartetto tutto da scoprire. Motivi orecchiabili, ritmo e gusto retrò: una formula vincente, ma mai stantia. La giocosa sensualità di Motivi Plausibili mescola la transalpinità di Françoise Hardy e Serge Gainsbourg al glamour di Air e Phoenix; La Percezione Del Buio E Della Luce è tra i passaggi meglio riusciti con un largo impiego di chitarre e una lunga coda strumentale come mai prima d'ora se ne erano sentite da queste parti. Segue l'irrazionalità rock di Tipi Logici mentre crollano le certezze di Un Uomo Impossibile. Si torna presto in pista da ballo con lo scatenato funk sintetizzato dell'ammiccante Dopo Mezzanotte e con il twist'n'pop di Groenlandia, "coveraccia" degli iberici Los Zombies; un drink ancora al bancone del bar e poi via, tappa al Piper con il beat del Duemila di Bene Mediamente Tanto. Sognanti, evocativi, a tratti pure esotici, Cortini e De Rubertis sostengono con il loro esempio ciò che anche Proust dichiarò a suo tempo e cioè che la musica popolare è l'anima della gente. Senza isterismi e senza patetici snobismi. Tra qualche anno, ripensando a questi momenti, sorrideremo e li ricorderemo con amore aspirando un'ultima boccata di fumo da quell'ultima sigaretta accesa nel freddo della sera.
 
un link al seguente post è presente qui: http//www.facebook.com/ILGENIOPaginaUfficiale