venerdì 29 agosto 2014

UN DIO FURIOSO

UN DIO FURIOSO
Na Isna
- autoproduzione - 2014

Mettiamo subito in chiaro una cosa: Na Isna è molto più che una band. Na Isna non si limita a concludere la propria parabola vitale realizzando dischi ed esibendosi in concerti. Na Isna è innanzitutto un modo di intendere la vita e relazionarsi ad essa con un approccio essenzialmente di riconoscenza e amore gratuiti verso la propria terra e le proprie origini. Presa in prestito dall'onomastica dell'etnia Balanta, comunità dell'Africa occidentale originatasi in Guinea Bissau, l'espressione "Na Isna" quale sinonimo di attaccamento e appartenenza alle proprie radici, essa è divenuta in un secondo tempo la sigla discografica dietro cui si celano cinque musicisti carpigiani riunitisi su impulso del cantante Marco Lodi. Se Jinn in Caos e Like a Shadow? sono nomi che ai più risulteranno sconosciuti è giusto ricordare come da queste stesse formazioni della provincia modenese sia germinato un seme nuovo che, senza rinnegare il passato, avrebbe rielaborato antiche strutture compositive sviluppando nuove linee guida alla base di UN DIO FURIOSO. E sono quasi riti di passaggio anche le dieci tracce che vanno a comporre questa riuscita autoproduzione supportata dall'entusiasmo della band e dalle coproduzione artistica di Andrea "Druga" Franchi - una vita al fianco di Paolo Benvegnù, nella non facile sfida di emergere dal sempre più caotico magma discografico. Del resto i Na Isna sono pur sempre quelli che resistono; così, caparbiamente incuranti degli ostacoli mediatici, eccoli andare avanti per la loro strada con quel bagaglio di idee che ha saputo prender forma e consolidarsi in un rock chiaroscurale, sostanzialmente elegante e rabbiosamente intimista, dal sapore tribale. Della percussività primigenia il gruppo pare non riuscire a fare senza. Percussiva come un'accetta che lenta, ma meccanicamente inesorabile abbatte una pianta è infatti la batteria marziale di Un Attimo, appiglio a cui ci aggrappiamo quando i ritmi incalzano e la nave con la quale siamo salpati da un porto sicuro per un viaggio di cui ancora ignoriamo la meta viene squassata dalle onde sempre più alte e impetuose di una tempesta marina che ci ha sorpresi al largo. Torna solo in apparenza la calma con Stri-Stri, singolo poggiante su un arpeggio acustico, ipnotico e dinamico che valorizza la voce espressiva di Lodi e ne asseconda la solitaria tensione poetica. La stessa che anima il racconto de Il Gobbetto Del Parco, maratona coldplayiana capace di tenere alta l'attenzione grazie anche all'impegno strumentale del quintetto emiliano, prima di confluire nella melanconica Sui Tuoi Passi. Ipnotica e meditativa Canzone Della Torre Più Alta aveva già lasciato intendere che il leitmotiv dell'album si sarebbe sviluppato seguendo queste direttrici con una particolare attenzione alle forme mutuate Oltremanica; a volte speziate (Tigri Dagli Occhi), altre semplicemente rinvigorite da qualche comunque timido accenno di elettronica (Un Flusso). A rischiare di compromettere però il tutto ci pensa la durata forse eccessiva di qualche pezzo; una maggiore capacità di sintesi che non distolga l'attenzione dalla cura alle liriche, senz'altro uno dei punti di forza del gruppo, gioverebbe a rendere più accattivanti narrazione e intento comunicativo. Ma oggi era giusto rompere gli indugi e proporsi senza rete nell'intricato girone degli outsider. A soluzioni di labor limae meno convenzionali ci si penserà domani. Senza rimpianti.        

mercoledì 27 agosto 2014

ROYAL BRAVADA

ROYAL BRAVADA
Royal Bravada
- autoproduzione - 2014

Con una copertina che rimanda agli inarrivabili Queen e fa il verso ai conterranei Gerson i monzesi Royal Bravada arrivano al debut album forti di un buon hype e con le idee chiare in merito a come far suonare anche in studio il proprio lavoro. Catalizzare l'attenzione in poco meno di quaranta minuti può essere tuttavia un'impresa molto più ardua di una buona mezz'ora formato live quando non solo la musica, ma anche l'aspetto performativo contribuisce in maniera decisiva a formare le impressioni dell'ascoltatore. Qui è necessario allora dare fondo a tutto il bagaglio accumulato negli ultimi ventiquattro mesi di prove e concerti per giocare a carte scoperte e tentare di lasciare il segno fin da subito. Due chitarre, un basso, una batteria. La voce di Alberto Ciot. E una scrittura ritmico-testuale fondata sull'inglese che se da un lato avvicina la band nostrana a quelle ben più blasonate d'Oltremanica (Franz Ferdinand, Arctic Monkeys e Kasabian sopra tutte) dall'altro sembra essere a tutta prima anche più funzionale per il proprio progetto rispetto a quella sciacquata secoli fa in Arno dal Manzoni. Drawing Circles, Hold Fast e Thieves Friends confermano del resto quanto di buono ci era stato raccontato a proposito dello spavaldo gruppetto lombardo. Ciò che scaturisce da questa amalgama di persone, idee e suoni è un disco perciò piacevolmente frizzante e fresco, sicuramente derivativo, ma come prima prova è giusto non chiedere di più. Anche perché in realtà non tutto ruota attorno a quell'indie rock contemporaneo di stampo anglosassone cui accennavamo qualche riga fa e che tanto è andato per la maggiore negli ultimi tempi. In fin dei conti gli eterogenei ascolti del quintetto affiorano più o meno marcatamente in diversi episodi del cd. Il crossover pompato di Round The Corner e quello robusto di The Wolf rivelano ad esempio una predilezione per una musica sì dinamica, ma pur sempre compatto e vibrante. E se con l'intro della sognante Mad Dog si scrutano lontane oasi, intervallate da pianure progressive in pieno deserto, con Darkside Backyards si esplora addirittura un versante acustico altrimenti nascosto, inatteso e piacevolmente "di rottura" con il resto del lavoro, che crediamo verrà approfondito - magari ancora in piccole dosi - nel prossimo futuro. Ci sono perfino i fiati nelle sequenze electro-disco di Secrets?! Insomma, di tutto un pop. A non convincere granché resta invece l'ormai abusatissima cover in chiave rock dei Chemical Brothers Hey Boy Hey Girl, ma tant'è. Il dado ormai è tratto e indietro non si torna. Le mosse future della band saranno quelle decisive per capire se la stoffa dei Royal Bravada è di qualità superiore oppure sottile come un unico velo di organza. Può accadere di tutto a questo punto; basterà solo smarcarsi dalle proprie passioni e procedere spediti con il proprio passo.

martedì 19 agosto 2014

L'ANGELO RINCHIUSO

L'ANGELO RINCHIUSO
Aldo Tagliapietra
- Clamore - 2013

"Io non sono un uomo del passato e nemmeno un uomo del futuro. Io viaggio nel tempo - prigioniero del vento - sulle ali dell'eternità." Questo è Aldo Tagliapietra oggi. Questo è il sintetico ritratto che meglio esprime l'essenza dell'Uomo prima ancora dell'Artista che per decenni ha contribuito a forgiare con Le Orme un sound unico e riconoscibilissimo in Italia e all'estero, autore schivo eppure determinante per la quadratura del cerchio, perennemente innamorato del suo lavoro. Se dopo il mesto divorzio dalla band madre che, ricordiamolo, contribuì a fondare nel lontano 1966 qualcuno avesse ipotizzato un sereno e tranquillo ritiro a vita ascetica e contemplativa in qualche locus amenus tra Veneto e India, la produzione discografica post Orme del musicista muranese è qui a dimostrare con veemenza l'esatto opposto. Con una progressione oggettivamente quasi insperata - visto il glorioso passato e la possibilità di vivere di rendita con nuovi live improntati su un facile revival - alle soglie dei settant'anni Aldo vive una seconda giovinezza ed estrae dal proprio quadernetto degli appunti note e pensieri capaci di puntellare quella che possiamo considerare una carriera solista vera e propria. Magari non cercata, ma vissuta con la solita passione e il noto impegno; di certo non come una parentesi minore. Abituato a ragionare in gruppo, Tagliapietra conferma dalla precedente formazione gli affiatati Former Life Matteo Ballarin e Andrea De Nardi, coadiuvati dal già noto Manuel Smaniotto, e, indicando la via, si fa accompagnare dai giovani trevigiani in un onirico viaggio sinergico. Una sfida senza più compromessi che richiede, ma al tempo stesso implementa, energie e forza comunicativa. Se NELLA PIETRA E NEL VENTO, il precedente album rilasciato nel 2012, andava ad esplorare la dimensione prog su un impianto fondamentalmente pop L'ANGELO RINCHIUSO, pur non rinunciando mai alle imprescindibili linee melodiche tanto care a Tagliapietra, si inserisce senza dubbio in maniera più completa nel solco della tradizione progressiva. Neanche troppo paradossalmente è proprio la melodia ad accentuare l'essenza prog delle nuove composizioni, assemblate spontaneamente in una elegante suite di quasi quaranta minuti, sganciandosi da statici cliché formali che vorrebbero sempre la tecnica prevalere sul buon gusto. Riflessi Argentati, breve raccordo strumentale tra la circolarità di Io Viaggio Nel Tempo e la cosmica riflessione interiore di Storie, è uno dei tanti esempi in tal senso, favoriti dalla felice scansione narrativa del platter incentrata sulla visita notturna ad un vecchio da parte di quell'angelo che dà titolo al disco e al successivo, intimo, dialogo tra le parti. Sarà questa stessa creatura ultraterrena a restare imbrigliata tra i fitti reticoli della memoria umana allorquando, passati in rassegna i ricordi del tormentato signore, giungerà ad una nostalgica immagine famigliare: quella di due pianeti lontani, localizzati in simbiotico parallelismo nelle profondità dell'universo. Lo sfavillante Felona e l'oscuro gemello Sorona sono una volta ancora lì davanti ai nostri occhi, in tutto il loro fascino astrale, quarant'anni dopo la loro prima apparizione. Qui la rivelazione. Al nostro fianco infatti la creatura celeste ed l'essere umano assumono i contorni di proiezioni dello stesso Tagliapietra, con la prima tutta intenta a lenire i dolori del secondo. Il sontuoso Magnificat finale rafforza l'accorata preghiera laica e chiude il lavoro risuonando in una esistenza che è verità di fede. Come gli angeli custodi; invisibili e silenziosi, ma sempre accanto all'uomo. Prova ad alzare uno sguardo verso il cielo e tutto capirai.

lunedì 18 agosto 2014

KARMA - GNUQUARTET IN PROG

KARMA - GNUQUARTET IN PROG
GnuQuartet
- autoproduzione - 2014

E finalmente è accaduto. È accaduto che il ben noto GnuQuartet, da anni spalla musicale di gran lusso per decine e decine di artisti maggiormente esposti da un punto di vista mediatico, abbia deciso di scendere in campo con un lavoro sorprendente e anomalo. Almeno al giorno d'oggi. Sia chiaro: che la musica classica incontri il rock e ne influenzi - arricchendole - certe strutture e armonie non è certo una novità di questo secolo. I prodromi vanno forse ricercati nel lontano 1969 quando gli allora rinnovati Deep Purple, capitanati dal mai dimenticato Jon Lord e con la new entry Ian Gillan alla voce, seppero fondere le proprie inclinazioni più propriamente heavy con il canone classico della Royal Philharmonic Orchestra di Londra condotta da Malcolm Arnold. Da allora l'incontro fra i due mondi seppe operare una vera e propria fusione allorquando sulla scena comparvero una nutrita schiera di band e musicisti, spesso tecnicamente sopraffini, capaci di dar il là a quello che in Italia andò inizialmente sotto il nome di pop, ma che all'estero veniva raccontato come progressive rock. Se qui da noi il trittico di complessi più celebrato (Banco del Mutuo Soccorso, Le Orme, Premiata Forneria Marconi) fu in grado di produrre dischi ancora oggi ritenuti in grado di rivaleggiare con i nomi più altisonanti d'Oltremanica e d'Oltreoceano, fuori dai confini patrii la musica avrebbe ricevuto una uguale attenzione grazie a formazioni altrettanto blasonate e competenti. Del resto la classica, quasi patrimonio nazionale, era già stata utilizzata nel decennio precedente per nobilitare attraverso le orchestre canzoni superficialmente considerate leggere, ma evergreen a tutti gli effetti: come non ricordare gli ensemble orchestrali diretti dal maestro Ruggero Cini o da un giovane Ennio Morricone? Che dire del lavoro negli studi dell'RCA? E dei contributi di Gian Piero Reverberi, Louis Bacalov e Angel "Pocho" Gatti perché non parlare? Nel 2007 i Nomadi di Beppe Carletti, nella prima metà dei '70 coadiuvati dal direttore argentino, avrebbero riportato in auge tutto il loro repertorio incidendo un emblematico doppio live album in compagnia della Omnia Symphony Orchestra diretta da Bruno Santori, a sua volta conduttore di quella Symphsonic Orchestra protagonista solo lo scorso inverno con la PFM de IN CLASSIC, una nuova lettura trasversale e sperimentale in equilibrio tra classica e prog. Così il quartetto ligure composto da Stefano Cabrera, Roberto Izzo, Francesca Rapetti e Raffaele Rebaudengo con una simile tradizione alle spalle in KARMA - GNUQUARTET IN PROG decide di omaggiare le proprie passioni condensando le quattro individualità nell'articolata Stereotaxis, sconfinato volo pindarico realizzato su più piani interpretativi, nonché autentica, spericolata sintesi fra folk, prog, jazz e - ça va sans dire - classica. L'unico inedito del cd diventa in realtà occasione per intuirne le direttrici principali sviluppate di lì a poco a partire dal genio di Frank Zappa (Peaches En Regalia), passando per gli attesi Pink Floyd (The Great Gig In The Sky con il prezioso featuring vocale di Durga McBroom-Hudson) e i barocchismi rock degli Yes (Roundabout), fino ai maturi Genesis di Hairless Heart. Conclude l'esperienza un sentito omaggio al primo esperimento italiano di musici e orchestra. Concerto Grosso 1, I Tempo, Allegro è infatti il giusto tributo a quei primi, conterranei e seminali New Trolls nell'ennesima rilettura per soli archi e flauto capace di dare un seguito, una progressione, a quel tesoro musicale che li ha preceduti completando inconsciamente quanto proposto sull'Adriatico dai romagnoli Quintorigo. Un "deposito di esperienze e storie del passato che attiene all'inconscio, al fluire continuo della vita ed alla sua capacità di trasformazione". Forse che qualcuno ha parlato di karma?

giovedì 7 agosto 2014

TRISTI TROPICI

TRISTI TROPICI
SUS
- Technicolor Dischi - 2014

Arruolato in pianta stabile il polistrumentista Fabio Pocci il trio toscano dei SUS (misterioso acronimo che rivela un ben più diretto e "lazy" Succede Una Sega) si ripresenta con un secondo lavoro discografico dalle enormi potenzialità, coordinato da quella vecchia volpe dell'indie italico che risponde al nome di Fabio Magistrali. Variando su più registri e temi musicali, come in parte già accaduto nel precedente album di debutto IL CAVALLO DI TROIA, Alessio Dufour e compagni decidono di assemblare un dinamico guazzabuglio sonoro puntando una volta ancora sulle loro indubbie capacità esecutive che vanno di pari passo anzi, trovano proprio terreno fertile nelle composizioni liriche del fantasista Alessio Chiappelli, membro sussico ad honorem. Grazie infatti a testi poeticamente stranianti capaci di unire la verve aulica e immaginifica del conterraneo Alessandro Fiori alla lucida analisi di piccole realtà quotidiane di un disincantato De Gregori di periferia, i SUS concretizzano con disinvoltura il disco più maturo eppure ineccepibilmente estroverso della loro fin qui breve storia. TRISTI TROPICI rivela infatti un deciso passo in avanti rispetto all'esordio di ormai un lustro e mezzo fa, ampliando il loro neanche troppo malcelato orizzonte critico e mantenendo intatto il gusto per lo sberleffo che ne contraddistingue da sempre le esibizioni dal vivo. Come se ci trovassimo su un mirabolante ottovolante alla fiera di Quarrata in un Lunedì Feriale qualunque è un attimo passare dagli offici ministeriali dei Fratelli Calafuria più subdolamente dark alle orge compassate de Il Cerchio, raga cantautorale capace di mostrarci come sarebbe potuto essere oggi Bugo se non si fosse fatto volontariamente distrarre dal giro giusto anziché venir folgorato sulla via delle major da, per esempio, un Lucio Dalla d'annata. Si corre, si lotta, si sgomita per uno smartphone, dimenticandosi di tutto e tutti; non c'è futuro ne Il Campo Aspirazioni, come del resto è semplice lasciarsi assoggettare dalla massa e rinunciare alla propria sacra individualità se si Accetta Il Mistero che ci fa tutti uguali. Summa del pensiero chiappelliano è poi la splendida title track, disilluso viaggio verso il sogno latino di una terra che non c'è, adeguatamente commentata in musica dalla band che condivide gli umori chiaroscurali mai riscattati da una inazione generazionale fatta di scuse e giustificazioni. Da qui si sviluppa un lungo e continuo carosello evocativo capace di correre rapido attraverso miracoli che sarebbero piaciuti a Battiato (1984) e ingorghi di cervelli in fuga, in coda al check-in verso la libertà (Amo La Gente Che Smette) senza mai rinunciare al brivido della velocità immaginifica che il pensiero offre prima di spiaggiarsi, esausto, presso il Lungomare Vuoto Di Follonica, onirica costruzione cinematografica utile ad indicare una nuova direzione, e una comprensione in ultima analisi politica, della realtà. Fatta di opportunità e occasioni nuove, imprevedibili, rivoluzionarie. Mentre l'Italia continua a giocare a carte e a parlare di calcio nei bar...  

mercoledì 6 agosto 2014

TUTORIAL

TUTORIAL
Dilaila
- Niegazowana - 2014

...Che disco!?! ...Che disco!?! ...Che disco!?! Come fare a lasciarselo sfuggire e a non parlarne!?! Frizzante, arioso, malinconicamente retrò, briosamente contemporaneo. Difficile trovare al giorno d'oggi un lavoro intelligentemente pop, scevro da facili soluzioni ad effetto e ricco di contenuti duraturi. TUTORIAL ha il piglio e la statura artistica dell'evergreen, quarto disco di una band giunta ormai al quindicesimo anno di attività e sempre troppo lontana dai riflettori e dalle passarelle che contano. Capitanati dalla spumeggiante Paola Colombo, gran voce e personalità scenica molto intensa, i Dilaila tornano sul luogo del misfatto dando alle stampe il lavoro più maturo e completo della loro ultradecennale carriera; non sempre facile da portare avanti, ma sostenuta con abnegazione da una caparbietà e da quell'incrollabile pazienza che solo chi crede davvero nei propri mezzi sa come sfogare attraverso le proprie passioni. Grinta e carattere insomma, che trovano stimolo e linfa vitale dalle avversità continuando a rispondere alle esigenze espressive che si hanno dentro. Queste le caratteristiche principali che vibrano tra i riverberi e le storie di disperata quotidianità delle nove nuove canzoni scritte da Luca Bossi e Claudio Ciccolin con lo zampino determinante della Colombo. Che apre, spalanca le porte della sua vita esponendosi in prima persona come mai prima d'ora, raccontandosi a cuore aperto, trovando la giusta comprensione e la perfetta alchimia compositiva negli storici compagni di sempre. Sonorità genuine sulla scia del precedente ELLEPI', già ampiamente elogiato per la freschezza compositiva e le efficaci soluzioni armoniche, ma con un quid che fa la differenza: la capacità di portare a livelli poetici parole ordinarie che nel canto della mora interprete lombarda vibrano, trasfigurate, con atipica liricità. "Oggi ti senti così e pensi sia normale guardare negli occhi le tue PENTOLE": così si apre Storia Di Una Scema Che Diventò Farfalla e così si apre il disco. Se dire "pentole" con lo stesso trasporto con cui si potrebbe dire la parola "amore" o "vuoto", se portare una frase di questo tipo ad un livello di inquietudine che nasconde un mondo intero ti viene naturale, beh, allora significa avere i crismi dell'Artista. L'ha fatto per decenni Enzo Jannacci; lo fa tutt'oggi il ritrovato Stefano Rampoldi. Paola Colombo è sulla loro scia. TUTORIAL è tutto questo. E non rivela punti deboli. Mai. Pur affondando le radici nella tradizione della canzone italiana anni '60 non si incappa in alcun modo nel facile ripiego manieristico che avrebbe concesso sonni tranquilli e la felicità del portafogli. Senza disdegnare l'esperienza performativa della Summer of Love i Dilaila abbracciano una porzione davvero ampia di storia della musica, da Mina ai Doors passando per i Beatles e la Caselli, in una sua costante rivisitazione e correzione alla luce delle correnti del nuovo secolo, sottolineando l'aperto contrasto tra l'attuale mondo tecnologico in cui stiamo vivendo e l'immaginario genuino, sincero e autentico proposto con disinvoltura fin dall'artwork del cd. Costruttori di idee e belle canzoni. Bravi Dilaila. Perché al mondo c'è sempre voglia di belle canzoni. PS: grazie Walter per avermelo ricordato.