sabato 29 novembre 2014

ASTEROIDI

ASTEROIDI
Alia
- Neverlab Dischi - 2014

27 marzo 2014. La prima volta che ascoltai live Alessandro Curcio, già ufficialmente presentato agli astanti di allora come Alia e intento anche a mia insaputa a presentare in anteprima alcuni estratti di questo esordio discografico successore dell'ep digitale ÀRIA, ero rimasto abbastanza indifferente di fronte alla proposta per sola chitarra e voce che si stava esibendo in quel momento sul palco. Anzi, con sufficienza avevo ipotizzato che sarebbe stato meglio trasferirmi al bar del locale in attesa dell'headliner della serata. Nulla di lui mia aveva colpito se non la curiosità di capire cosa mai di speciale potesse partorire e proporre di lì a qualche mese questo scricciolo di cantautore pop in compagnia dell'ex Amor Fou Giuliano Dottori, come era stato annunciato a fine esibizione. L'attesa ha fugato dubbi, sciolto remore e svelato l'arcano. ASTEROIDI è quanto di più lontano ci si poteva attendere dopo quella scarna prova in una notte di inizio primavera. Il suo ascolto rivela infatti una profondità d'animo delicatamente feroce, capace di far emergere una realtà interiore complessa, a tratti insicura e contradittoria, ma sempre lineare, sfruttando la quale Curcio non ha remore nel mettersi lentamente a nudo attraverso metafore e immagini tratte dal vissuto quotidiano, protetto in qualche modo dall'anonimato delle sette note, a fuoco e netto. Spariscono le indecisioni acustiche, supportate invece da una intelligente veste di moderno pop elettronico old style che non disdegna di farsi contaminare a seconda delle opportunità: si guadagna in incisività mentre sequenziale si fa il racconto delle proprie radici. Bouquet ad esempio, ci indirizza verso ambienti sonori ben noti agli amanti del Moltheni ultima maniera, ma lasciandosi pervadere da un senso di sospensione inusuale che attraversa l'ascoltatore mentre, in contemporanea, una storia d'amore tormentato si consuma e muore nella formalità di un matrimonio. Di contro, la Vesta Version, posta in coda al lavoro, con il giusto mix di synth e percussività elettroniche mostra l'ottimo lavoro fatto in sala di incisione, con quell'ammiccante riff di chitarra funky e la dilatazione dell'assolo rock in stile Roger Nelson che nella struttura del pezzo omaggia addirittura i Queen del tanto bistrattato HOT SPACE. Se il dinamismo non è comunque la cifra stilistica del cd sarà ugualmente difficile non arrendersi di fronte alla scattante Case Di Ringhiera che con la sua descrittività nostalgica di un passato vissuto solo di striscio impone una riflessione sull'incomunicabilità delle nostre presunte certezze con il mondo esterno e confessa l'anima reale di tutto il lavoro. Con gli Erasure nel cuore, la title track Asteroidi riprende esattamente dal punto in cui Alan Sorrenti con i suoi figli delle stelle aveva svoltato, ma facendo tesoro dell'esperienza mistica del Battiato "fisiognomico" di metà anni '80, abitante mondi lontanissimi, nascosti da quell'ombra della luce che Verso Il Centro rivela. A proposito di incanto, è piacevole ritrovare Raffaella Destefano nell'ode felina Cats, graffiante l'anima nella stessa misura in cui le impronte dei nostri amici a quattro zampe sanno lasciare il segno sul cuore, elogio di una intimità casalinga non immune da difficoltà relazionali, mentre in Goldie Hawn è netto il tocco di Cesare Malfatti che qui si ritaglia un cameo alla chitarra. C'è spazio per la non sempre facile coesistenza fra solitudine e fede, quando una delle due estremizza la propria posizione (Musa), e si indaga con serenità il tema dell’omosessualità (l'importante Corteccia). Che bellezza poter cambiare opinione e ammettere di avere sbagliato!? Sì, perché Curcio con il suo leggero dream pop cantautorale ha saputo scardinare le impressioni della nostra prima volta e ha aperto nuove porte di ascolto come fa quell'onda sonora che nel silenzio si propaga, misteriosa, attraverso il vuoto cosmico di Keplero.

venerdì 28 novembre 2014

RADICI

RADICI
Francobeat
- Brutture Moderne - 2014

È un nuovo orizzonte di bellezza altra quello contemplato dal flusso disordinato di pensieri e racconti generati, raccolti e donato ai posteri da RADICI. Il suggestivo progetto musicale patrocinato dall'intervento di un inizialmente disorientato Franco Naddei, figura di spicco per tutto il circuito musicale romagnolo, nasce in realtà dalla folle intuizione di Elisa Zerbini, educatrice presso la residenza per disabili mentali "Le Radici" di San Savino, piccolo borgo malatestiano sulle colline riminesi non troppo distante da San Marino. Dopo aver colto il potenziale espressivo e immaginifico espresso con una naturalezza fuori dal comune dagli ospiti della struttura in cui lavora, la giovane operatrice approccia il lungimirante musicista e propone una collaborazione che sia in grado di coniugare passione e spontaneità, meraviglia e stupore. "Avevo di fronte un patrimonio poetico da cui volevo essere invaso - racconta Naddei - Volevo mettermi in bocca quelle parole, quelle immagini surreali, taglienti, amaramente gioiose, scritte da gente pronta a barattare in qualsiasi momento una strofa felice per una sigaretta." Concetti, ragionamenti, discorsi che hanno il loro caleidoscopico senso d'essere nella continua rifrazione imposta dalla malattia mentale. Una esposizione che da semplice flusso costante diventa poi motore unico di mondi apparentemente solitari, chiusi e finiti in sé, risoluti come un punto, ma che all'improvviso deviano ed entrano in contatto fra loro, spesso cozzando l'un l'altro, fino a sprigionare una energia complessa e affascinante nella sua irripetibilità. Stimolo e terapia. Mai distanza. Laddove poi il linguaggio si rivela insufficiente per esprimere un campo della vita mentale che esula dalle potenzialità della parola ecco intervenire proprio la musica; sia essa il folk sghembo di Belluno oppure il cantautorato fiabesco de Il Principe E La Donzella che non disdegna incursioni nelle cantilenanti filastrock-e esistenziali esemplificate dall'intensità agrodolce di Io Ero Bellissima. Attraverso la sua peculiare capacità di esprimere l'inafferrabile essa supera la difficoltà della differenza, annulla i muri di silenzio e rivela l'insondabile. Una prerogativa che mette i brividi quando indirizzata verso la lucidità sgangherata di Pillole; che non è scostante disagio, ma specchio di una condizione umana talmente chiara e trasparente da risultare radicalmente espressiva e unica nella sua purezza priva di sovrastrutture e maschere. Così, se per noi Le Mie Meraviglie risultano essere anomalie dell'esistenza per gli ospiti sono il carburante essenziale da cui trarre naturale energia vitale tanto per la mente quanto per il corpo. E allora per una volta il mondo cambia marcia, va al rovescio, si capovolge e gira al contrario mentre gli ultimi davvero diventano primi e si assaporano piccole gioie quotidiane nei ritmi da disco-balera di È Bella La Pioggia. Un universo in cui Francobeat si è immerso candidamente: non più Piccolo Principe esploratore, ma essere umano inter pares, diverso fra i diversi, uguale fra gli uguali. Nel disarmante brain storming di irrazionale logicità creativa, reminiscenza di quella temporalità che esiste solo per chi non ha ricordi.

giovedì 27 novembre 2014

PIETRAIA

PIETRAIA
Kabikoff
- Sinusite Records - 2014

Qui ci sono sette anni di pura energia repressa, lasciata pericolosamente (e volutamente) fermentare nel corso di una attesa troppo lunga. Poche storie: per quanto ci riguarda PIETRAIA è l'ultimo grande album di inediti targato 2014. In Italia e all'estero. Il corrosivo crossover dalle mille sfaccettature che già come Museo Kabikoff la band del tenace Alberto N.A. Turra - unico sopravvissuto della line up originale - aveva proposto grazie alla camaleontica performer Chiara Castelli, è mutato una volta ancora. In primis, Kia non fa più parte della partita dopo aver deciso di percorrere altre strade musicali legate a un suono profondamente elettronico, ma pur sempre umanamente sostenibile, in cui l'analogico si sposa alla perfezione con l'ingegnosità sua e del polistrumentista Kole Laca; seconda di poi, l'ingresso in pianta stabile del nuovo cantante Kino Deregibus ha contribuito a irrobustire - se mai ce ne fosse stato bisogno - l'attitudine in your face da sempre peculiarità del combo milanese. Una vena hardcore capace di iniettare nella proposta musicale della band, sempre almeno due passi avanti rispetto alle mode del momento, un dinamismo e una rabbiosa potenza dinamitarda abili nello sgretolare e mandare in frantumi ogni certezza fino ad oggi accumulata. Una sassata violentissima in piena fronte, capace di farci sanguinare copiosamente. E di lasciarci una cicatrice perenne; monito e avvertimento. Una esistenza quella dei Kabikoff che è valvola di sfogo per il talento del già citato Turra e dell'affiatata sezione ritmica composta da William Nicastro (Rezophonic, Max Zanotti) e Sergio Quagliarella (Mamud Band); una entità compatta, come un pugno chiuso, in grado di archiviare difficoltà personali e nascondere miserie esterne, abile nell'approcciarsi a un melting rock meticcio e aggressivo al punto giusto. Ci pensa Pupilla a rendere evidente tutto quanto, nella sua scattante e muscolare guerra di nervi che ci salva dall'abisso dell'appiattimento culturale insinuatosi fra la gente. Si ridefiniscono i contorni, quasi fosse un nuovo entusiasmante esordio, con un approccio strumentale eloquente, enfatizzato dall'irruenza di Kino, "controllatamente" allo sbando, controversa e salvifica. Fobie (Polpa), incubi (inQura), ansie, angosce: non mancano motivi per sprigionare una energia esplosiva proveniente direttamente dai bassifondi della società, ma più ancora da quelli dell'anima. La visceralità -core che a suon di metal, funk, prog, punk e molto altro ancora si fa largo tra le nove canzoni di PIETRAIA manifesta un disagio e una verve ugualmente simbiotiche, efficaci per far emergere in tutta la sua prorompente e spigolosa espressività l'insofferenza posta come condizione sine qua non per far compiere al rock la sua missione primaria: quella di agitare e scuotere le coscienze. Una lezione difficile da portare a termine, che non necessariamente i grandi, ma solo chi ci crede davvero è in grado di realizzare nel miglior modo possibile; un compito non meritevole di restare chiuso in un museo, ma che chiede piuttosto di essere affrancato da dogmi e sicurezze, dando il là ad una forma d'arte che non è celebrazione, ma vita. Anzi, che è celebrazione di vita. Insomma Kabikoff, bentornati!

lunedì 24 novembre 2014

ALL IMPOSSIBLE WORLDS

ALL IMPOSSIBLE WORLDS
HysM?Duo
- Wallace Records/Neon Paralleli/Il Verso del Cinghiale/Only Fucking 
Noise/Hysm?/Eclectic Polpo/Kaspar House Studio/Ashame/Qsqdr/Dente di Sega/Lemming Records - 2014

Ci accoglie con una distorsione l' HaveyousaidMidi?Duo che vede una volta ancora come protagonisti Stefano Spataro e Jacopo Fiore, coadiuvati qua e là per l'occasione da una manciata di improvvisati (poteva essere altrimenti?) ospiti sopraggiunti nello studiolo perugino di Ferdinando Farro per rifinire il loro sesto lavoro in studio. Saldamente al timone di comando per questa nuova avventura i bislacchi marinai del suono, autori di psichedelici esperimenti sonori avant-garde come RUMOR VINCIT OMNIA e il più recente e accessibile SCIENCE IN ACTION, si trovano oggi a solcare i mari sconfinati del rock meno convenzionale alla ricerca di nuovi mondi da colonizzare. Che non ci sia una vera e propria direzione unitaria lo si capisce dai continui cambi di rotta che, al solito, caratterizzano i brani contenuti anche in questo vinile, promosso da uno scatto in bianco e nero di Valentina Vagnetti, in arte VACVO. A differenziarsi dai precedenti album ci pensa tuttavia una sorprendente e nuova tendenza alla progressione costruita a suon di percussioni ed elettricità, priva di reali schemi compositivi, ma che, tentata la carta dell'evoluzione sonora, chiede - trovandoli - sostegno e aiuto nella messa a fuoco di idee e stimoli creativi. Una seconda, reale, concreta linearità riconducibile poi a ALL IMPOSSIBLE WORLDS è ravvisabile nel concept di fondo teorizzato e approfondito in musica dal duo tarantino. La ricerca personale, la conoscenza, il mutamento dell'esistenza, il linguaggio: sono queste le tematiche alla base di episodi sequenziali che vanno dalla camaleontica Leviathan Vs Predator alla conclusiva Death & Dreams passando per la composita I Want To Hug Everything su cui compaiono i sax incrociati dello Squarci(aci)catrici Andrea Caprara e di Francesco Li Puma, reclutato direttamente dagli improvvisatori collettivi Atomic Clocks. Eppure il raccordo lirico che al solito compare e viene generalmente sviscerato dalle migliori rock band mondiali attraverso suite musicali o testi fra loro concatenati, qua viene sì sfruttato nei titoli degli episodi che compongono il platter, ma solo accennato, fugacemente e quasi di nascosto, nelle poche parole, centellinate e minimali, proposte dagli HysM?. La decisione di affidarsi al potere immaginifico dei loro brani per liberare le emozioni da essi stessi prodotte e suscitate è sicuramente una scelta da un lato logica e ragionata, che libera da un ruolo ancora non richiesto di "frontman" i due musicisti; dall'altro spontanea e naturale, capace di rendere protagonista l'ascoltatore, inaspettato terzo incomodo della narrazione. È dunque possibile combinare l'approccio creativo dell'uomo con l'inesorabile andamento della natura? Nelle intenzioni tutto è ragionevolmente plausibile e ortodosso, ma non basteranno quaranta minuti di fiero avant-rock ad esaurire l'argomento. Forse non basteranno neppure una, cento, mille, infinite vite per farlo; meglio allora guardare al presente, credere in una parte di bugie e rapportarsi al mondo per quello che è. O per quello che crediamo sia. Sempre che mai qualcuno ce l'abbia richiesto.  

mercoledì 19 novembre 2014

LE STANZE - EP

LE STANZE - EP
Distinto
- autoprodotto - 2014
 
Quattro tracce per indicare la via che conduce ad un maturo eppure sbarazzino cantautorato realizzato con una naturalezza che conquista fin dal primo ascolto, senza alcun timore reverenziale verso i big della canzone. Così si presentano i Distinto, originariamente duo di cantastorie dei giorni nostri allargatosi in occasione della registrazione de LE STANZE a trio grazie all'ingresso in organico di Paolo Perego alla batteria. Dopo aver appurato la bontà del loro operato non è ben chiaro perché Daniela D'Angelo e Daniele Ferrazzi si siano limitati a rilasciare soltanto un ep di quattro brani anziché dare un seguito più corposo al disco d'esordio IN GENERE; certo, le logiche della promozione avranno consigliato in tal senso e così facendo si sarà stuzzicata la curiosità dell'ascoltatore, ma è pur vero che l'appetito vien mangiando e quando le portate sono delicate e saporite insieme se ne vorrebbe ancora un po'. Subito. Melodie ariose, contrappunti chitarristici, una buona predisposizione alla narrativa: tutti elementi chiave per realizzare un abbozzo di sognante intimità e di ridefinizione della propria essenza in cui il percorso spesso faticoso della vita di ognuno entra di diritto nel novero degli insegnamenti che diventeranno universali, capaci cioè di integrare ciò che è noto con quanto è sconosciuto e lontano. Un'esperienza che riguarda ciascuno di noi e che i Distinto, attraverso una naturale predisposizione al confronto con l'altro, hanno saputo fissare nelle loro canzoni, declinando una sostanziale "universalità" del singolo nelle reciprocità che emergono e trovano così massima espressione proprio nei momenti di incontro e condivisione con il prossimo, unendo una sorta di esperienza formativa al divertimento e al coinvolgimento che la musica offre. A voler cercare nuove e ulteriori indicazioni nella rivelatoria immagine di copertina dell'ep potremmo tranquillamente pensare a queste quattro canzoni come alle fondamenta di una casa in costruzione, progettata tenendo conto delle proprie singole esigenze, ma anche di una più ampia e sinergica funzionalità univoca; ognuno ha il proprio spazio vitale, ma a sua volta questo è in aperta correlazione al suo altro speculare da cui dipende e a cui è indissolubilmente legato con tutti i benefici che ciò comporta. Ecco perciò come il monito a reagire e a non fermarsi di Camminare non solo non stona affatto dinanzi all'aperta critica votata all'ironia nei confronti di un "gettonatissimo" casco d'oro protagonista suo malgrado in Santa Caterina, ma addirittura ne rilancia con verve i punti salienti; così come il necessario fluire del tempo e della vita di Settembre si intona con il dialogo interiore brillantemente affrontato nella malinconica Meglio senza mai perdere di intensità, risultando idealmente vicina a chiunque sembra reggere a fatica l'offerta della vita. Daniela e Daniele hanno ora in mano i mattoni successivi per il completamento dei piani superiori e tutte quelle decorazioni essenziali affinché la costruzione proceda secondo tempi e ritmi prestabiliti, ma soprattutto affinché risulti funzionale e dignitosamente vivibile; in accordo con le unità abitative che li circondano e alla propria idea di collettività. In altre parole è la città che cresce. E loro con lei.     

martedì 18 novembre 2014

PIENA

PIENA
Tommaso Tanzini
Stop Making Sensible Records - 2014

Ore 10:30 del mattino di una giornata novembrina. Il freddo è particolarmente pungente oggi. La brina imperla ancora la monovolume nella corte mentre la strada digrada leggera verso la pianura, curva dopo curva. Hanno detto che c'è stata l'alluvione giù da basso. Qui siamo stati dei miracolati a sentire quanto raccontano riguardo ciò che è avvenuto tra Firenze e Pontedera. Ma anche il Casentino e la Maremma con Grosseto in testa non se la passano affatto bene. Ci sono state vittime in numero imprecisato. Hanno visto decine, centinaia di volontari scendere nelle strade per dare una mano e due braccia al fine di mettere in salvo il recuperabile e recuperare il salvabile. Li hanno chiamati angeli del fango; sono in prevalenza giovani, liceali e universitari, mobilitatisi per una causa comune che non ha né colore né bandiera. Sono in tanti; operativi lì, in quell'autunno del 1966, testa china e fiato corto. Faticano per liberare dall'acqua abitazioni e palazzi mentre il fango solidifica nei campi e incrosta strade, libri, vite. Come quella di Tommaso Tanzini, giovane pisano classe 1986 che di quel disastro idrogeologico consumatosi quattro lustri prima il suo concepimento non fu testimone diretto e nemmeno conseguenza consolatoria. Eppure nel suo esordio discografico, dopo l'esperienza chiusa anzitempo con i Criminal Jokers e quella sempre attiva con l'orchestra afro-beat Sonalastrana, c'è la stessa precarietà delle cose emersa prepotentemente dalle acque dell'Arno, per una volta causa di lutti e non più custode di storia. PIENA è il disco di un'anima inquieta infatti, dove l'ascolto e la composizione di ogni singola musica non hanno nulla a che spartire con la velocità di questi anni di consumistica liquidità artistica. È il rifugio per i propri pensieri e lo zibaldone di visioni personalissime sulla realtà che li circonda nonché sul proprio io in cui trovano fertile terreno decine di sollecitazioni e impulsi. Anche quando indolentemente invase da frustrazioni e pigrizie militanti. Lo testimoniano già le prime note de L'Immagine, opener in cui la distorsione di una fede testimoniata male dal suo ministro e interpretata anche peggio spalanca le porte del proprio mondo senza mai inventare spazi nuovi, ma semplicemente occupando quelli preesistenti. Che poi - a ben guardare - il tutto non si conclude in un semplice e improduttivo ripiegamento interiore; la ricerca di dialogo, la tensione allo scambio reciproco, lo sguardo rivolto all'esterno sono infatti una costante che si ripresenta lungo tutto il percorso sonoro tracciato dall'album e non solo nella successiva La Tua Tranquillità, sintomo evidente di una urgenza viva e in continuo movimento che, come un fiume per l'appunto in piena, inarrestabile e travolgente, ricerca uno sbocco naturale dove riversare tutta la propria energia. Un diario di bordo che si identifica perciò in un faticoso percorso umano scandito a più riprese da molte mirate parole e pochi funzionali suoni elettroacustici, motivo di sospensione e riflessiva poetica. Una educazione sentimentale in ultima analisi, che rifugge la solitudine, esorcizza il dolore e fissa una rarefatta immagine di sé, incerta, ma volenterosa storia di insondabile malinconia in cui specchiarsi.

giovedì 13 novembre 2014

PAREIDOLIA

PAREIDOLIA
Marina Rei
- Perenne - 2014

Per capire l'attuale percorso discografico di Marina Restuccia bisogna avere la pazienza di tornare indietro nel tempo di qualche anno quando, a fronte dei ripetuti riconoscimenti avuti con l'exploit discografico Primavera, si è fatta sempre più impellente per la cantautrice romana la  necessità di abbandonare gradatamente il patinato mondo sanremese e, più ancora, un certo tipo di carrozzone mediatico. Con una urgenza e una consapevolezza sviluppatesi in maniera lenta, ma incontrovertibile infatti Marina Rei si accorge presto che il successo fondato su un paio di hit, raggiunto senza troppa fatica e portato avanti in un secondo tempo quasi per inerzia non fa per lei. Non è nella sua indole, non fa parte del suo bagaglio culturale né famigliare. Insofferente e determinata, con carattere e metodo, eccola dunque nei primi anni del nuovo millennio studiare nuovi tracciati e percorrere strade alternative al business costruito nelle stanze dei bottoni prima ancora che nelle note di una chitarra o di una melodia senza tempo. Dopo una falsa partenza utile comunque per prendere le misure al nuovo corso, Marina decide di fare davvero sul serio e di mettersi in proprio, un po' per questa impellente necessità artistica, un po' per motivi più prettamente terreni e contingenti. Così facendo la canzone italiana restituisce al mondo della musica tutto un'artista in grado di sorprendere per una libertà espressiva sempre più matura e la mancanza di confini sonori che, appuntamento dopo appuntamento, spingono il limite un po' più in là. PAREIDOLIA è il quarto album di questa ritrovata indipendenza discografica, il secondo per la piccola etichetta Perenne dopo il raffinato rock chiaroscurale del precedente LA CONSEGUENZA NATURALE DELL'ERRORE. Se allora una pletora di inattesi ospiti (su tutti un convincente Pierpaolo Capovilla protagonista nel sofferto singolo E Mi Parli Di Te, ma anche il premio Oscar Ennio Morricone nella rivisitazione orchestrale della sinigalliana Che Male C'è) aveva arricchito la proposta della cantautrice romana prima ancora che incuriosito l'ascoltatore, oggi c'è forse meno varietà per quanto concerne i nomi di richiamo, ma sicuramente anche una maggiore omogeneità di risultato e, di conseguenza, una inferiore dispersione tematica. In cabina di regia troviamo innanzitutto Giulio Ragno Favero - che darà una grossa mano anche in sala di incisione occupandosi della (quasi) totalità di chitarre, bassi e synth - arruolato con entusiasmo e cocciutaggine nonché condivisore di un progetto in cui l'attenzione è focalizzata in ultima analisi su uno storytelling che non guarda in superficialità lo scorrere della vita, ma che lo approfondisce con passione e istintività. In secondo luogo, quella riconoscibilissima vena malinconica divenuta quasi una cifra stilistica della Rei è declinata attraverso taglienti sfaccettature che portano non ad un pericoloso ripiegamento passivo, ma molto più dinamicamente alla riflessione attiva. Profonda, sincera e aperta alla speranza. È la capacità di dare emozioni in cui credere senza necessariamente fornire strumenti per capire ad emergere con prepotenza tanto tra le note serrate di Sole quanto in quelle della sontuosa ed emozionante Del Tempo Perso, il must del cd, passando per il rap della title track. Una evoluzione costante, non ancora esaurita, specchio per idee chiare e multiformi. Del resto l'eterea chiosa finale affidata ad una delle canzoni più belle di sempre come Annarella è lì a testimoniarlo con forza e determinazione.

mercoledì 12 novembre 2014

STAVOLTA COME MI AMMAZZERAI?

STAVOLTA COME MI AMMAZZERAI?
Edda
- Niegazowana - 2014

Siamo arrivati a tre. Soltanto un lustro fa sarebbe stato impossibile crederlo. Anche solo ipotizzarlo. Ma Stefano Rampoldi è davvero tornato. Ed è tornato per restare. A suo modo ovviamente, mai sereno fino in fondo, ma capace di domare debolezze e tentazioni che in passato avevano schiacciato l'uomo prima ancora che l'artista. Con una consapevolezza sempre estremamente lucida: "io sono Edda, questo lo so; è un problema aggiunto a quelli che non ho", canta nell'infuocata Bellissima. Così, dopo l'urgente essenzialità acustica che fece di SEMPER BIOT una gemma di rara bellezza all'interno del panorama discografico italiano e accantonate (in parte) le sinfoniche orchestralità che impreziosirono i contenuti nell'atteso sequel ODIO I VIVI, oggi è il momento di un ritorno. Un ritorno al rock, quello essenziale, rabbioso e incontenibile; magari sboccato, eppure anche per questo sincero e senza filtri. Quel rock che in quanto tale non promette mai facili via di fuga né tantomeno di salvezza; ma che è in grado di segnalartene. Quello che ti ricorda come le cose non vanno mai per il verso giusto e che anzi, per cercare di trovare una soluzione positiva tocca darsi da fare. Muoversi. Agire. STAVOLTA COME MI AMMAZZERAI? è il disco della svolta. Verso cosa? Tempo al tempo e lo si capirà. Non necessariamente il più diretto, ma certamente quello che meglio sintetizza l'attuale stato delle cose in casa Rampoldi. Il pretesto è in ultima analisi proprio il contesto famigliare che si materializza concretamente fin dalla copertina del cd su cui compaiono in una fotografia d'epoca mamma Edda con Stefano, il gemellino Luca e la più grandicella Claudia. Papà Adriano è al di qua dell'obiettivo e il destinatario del caustico singolo Pater, brano che troverà un corrispettivo femminile nel moderno odi et amo di Mater, a un passo dalle verità nascoste contenute nella conclusiva Saibene. Supportato dalla batteria pestona di Fabio Capalbo e affiancato da una chitarra elettrificata come quella di Davide Lasala è facile rivitalizzare oggi antichi pregi sonori relegati in un angolo durante i periodi più bui. Diventa più semplice far esplodere l'attitudine in your face che caratterizza la scossa dell'incandescente Stellina e le nervose accelerate della vorticosa Ragazza Meridionale, episodio al limite di un hardcore punk rivisitato. C'è sempre spazio per la sperimentazione lo-fi (Piccole Isole) e per la sospensione emotiva (Mela, Peppa Pig, Tu E Le Rose), ma a dominare un disco pazzesco come questo è la personalità strabordante di Edda capace di rivelarsi sia nei diversi piani interpretativi di Coniglio Rosa sia negli "sbracamenti" à-la Mike Patton che determinano la riuscita della splendida Mademoiselle. Tutti questi cambiamenti hanno avuto ripercussioni sulla scrittura delle canzoni? Un tempo scambio e compenetrazione di umori fra le anime inquiete di Edda e del fido Walter Somà diventano oggi, principalmente, libero concepimento del solo cantante milanese trovatosi, più per motivi logistici che altro, a confrontarsi solitario con le proprie intuizioni, ardito gesto di naturale anticonformismo e inconsapevole provocazione. Documento importante fra psichedelia magmatica e ferocia espressiva STAVOLTA COME MI AMMAZZERAI? sgombera il campo da dubbi e traccia nuovamente il solco tra Edda, l'uomo solo al comando di oggi, e Edda, l'uomo solo di qualche tempo fa. Con imprevedibilità e stupore, caratteristiche immutabili di vera bellezza.

martedì 11 novembre 2014

DON'T TAKE IT PERSONALLY

DON'T TAKE IT PERSONALLY
Niagara
- Monotreme Records - 2014

Quando il disincanto è alle porte e lo sguardo sul mondo contemporaneo si ingrigisce non resta che trovare rifugio altrove. I Niagara non ne fanno una questione di stato, non impongono diktat né si ergono a profeti di una felicità definitiva, ma si tuffano semplicemente a capofitto in un universo caleidoscopico e multisfaccettato che possa in primis rispondere alle proprie esigenze esistenziali. Davide Tomat e Gabriele Ottino, un passato comune nei N.A.M.B. e un presente fatto di costante sinergia creativa, rilasciano il secondo lavoro del loro nuovo progetto con questo in mente: concretizzare l'infinita vibrazione sonora racchiusa dentro sé in un tentativo di superamento del formato elettronico così come oggi viene inteso, ampiamente diffuso e, in sempre più numerosi casi, purtroppo banalizzato. Con una preparazione interdisciplinare di alto livello il duo piemontese rielabora trame melodiche e scelte tecnologiche in favore di un substrato compositivo profondamente acustico (Laes sopra tutti) - solo in un secondo tempo rivisitato (Else, il singolo Currybox, il rallentato crescendo di sospesa glacialità prodotto da Popeye) e corretto da strumenti analogicamente elettronici - che sappia restituire l'umanità ai macchinari usati in sala di incisione e riproposti con naturale disinvoltura in sede live. L'equilibrio tra uomo e macchina non è mai messo in pericolo. Quando il vibrato pulsare di JohnBarrett rilascia le sue prime oniriche frequenze e ci introduce nella dimensione atemporale di DON'T TAKE IT PERSONALLY risulta infatti chiaro come il personale tentativo di ricerca stilistica cominciato con il precedente OTTO confluisca oggi in una varietà di temi capace di autorigenerarsi e spaziare dalla fascinosa operosità sintetica su cui poggia FatKaoss alla torbida fluidità trip hop della quale è imbevuta Speak&Spell. Ciò che ne deriva è un diffuso senso di sognante abbandono in cui la nostra coscienza viene proiettata, cullata da una minimale, seppur enfatica, immediatezza che raggiunge l'apice nella conclusiva Bloom senza mai risultare stucchevole o artificiale. Parlare di innovativa forma di easy listening forse è ancora prematuro, ma tra le righe è piuttosto facile scorgere a orecchio una deliziosa forma d'arte capace di ridefinire l'essenza del genere per porsi come possibile futuro termine di paragone. Estroso, ma non eccentrico. Sofisticato, ma mai pretenzioso. La deriva cinematografica del cd è poi l'asso nella manica del dinamico duo Tomat-Ottino che come in una vagheggiata nuova età dell'oro lima, filtra, taglia e cuce landscapes sonori autosostenibili e assimilabili a una presa di coscienza che è manifesto del proprio sentire. Il coraggio di immaginare un progetto dal taglio internazionale partendo una volta ancora dal collettivo Superbudda di Torino merita perciò attenzione e supporto. Nuovi disciplinati strumenti per correggere le miopie uditive del Millennio sono in fase di studio nel laboratorio sabaudo; tecnici preparati vi lavorano alacremente coinvolgendoci a briglia sciolta.

lunedì 3 novembre 2014

MUTATIONS

MUTATIONS
Obake
- Rare Noise Records - 2014

L'atto creativo non si manifesta mai nella stessa forma. Lo sanno bene gli Obake. Con MUTATIONS il rinnovato quartetto europeo gestito in coabitazione dall'illuminato demistificatore sonoro Eraldo Bernocchi e dal camaleontico artigiano musicale Lorenzo Esposito Fornari in combutta con le severe, ma fantasiose geometrie ritmiche del tentacolare Balázs Pándi e della new entry Colin Edwin, dà un ulteriore scossone alla scena heavy mondiale. In particolar modo a quella estrema, negli ultimi anni mai gerontocraticamente ancorata a credo e diktat formulari, in alcun modo fossilizzata e stantia, ma al contrario sempre più capace di contaminarsi quando realizzata dai giusti interpreti. Se già l'esordio omonimo aveva ampiamente impressionato con la sua cadenzata varietà di suoni e ricercate idee, l'attuale sequel targato Obake rivela nuovi, voluminosi, spettri sonori che mentre da un lato circoscrivono e approfondiscono il sound della band, dall'altro ne potenziano il messaggio artistico. Ci vogliono attenzione e destrezza per entrare negli irrazionali meccanismi marziali alla base delle belligeranti, ma duttili odi doom (Seven Rotten Globes) di questo lavoro ambizioso, sempre sul punto di evolversi progressivamente in camaleontiche sfuriate sludge (Seth Light) o in più quiete, ma pur sempre desolate, riflessioni al limite di un misticismo arcaico (Second Death Of Foreg) e sovrannaturale. Sono richieste preparazione e sensibilità per accondiscendere alle improvvise e deliranti costruzioni ambientali che sottendono a una mastodontica composizione jazzata qual è la visionaria Thanatos. Come se un superomistico incrocio fra il testamentario Chuck Billy e il deicida Glenn Benton venisse posto a capo di Ufomammut e Black Sabbath subendo una trasfigurazione ambient che differenzia e premia gli sforzi artistici del sorprendente combo. Quella stessa drone music da cui peraltro viene originata la fragile Burnt Down, in un dinamismo lento, ma inesorabile capace di forgiare un equilibrio apocalittico e immaginifico. Che scava; scava in profondità con consumata lentezza dentro insondabili stati d'animo personali, abissi ignoti dell'Essere, agitate realtà che aspettano solo di venire a nuova luce. Gli Obake portano appresso antiche chiavi pronte ad aprire serrature sigillate da millenni; conoscono i miti antichi e ne svelano l'accessibilità. Si può dunque ascendere in virtù di una forza che è discendente? La risposta è una volta ancora affermativa. Questione di (cupo) istinto e (freddo) raziocinio. Forse non sarà mai possibile capire l'essenza di un'altra persona, coglierne la reale natura; quel che è certo è che nel labirinto multidimensionale della sua esistenza sopravviverà sempre un dolore muto e isolato in grado di misurarne la resistenza. In solitudine. Come una katana che nel fendere l'aria traccia nel vuoto apparente nuovi segni e vecchi significati.