lunedì 30 maggio 2011

27-05-2011
- EBO TAYLOR live @ Conservatorio Cantelli
Novara (NO)

Spesso, in mille altre faccende affaccendati, non siamo in grado di regalare una pausa a noi stessi, non troviamo il tempo per rilassarci e staccare la spina. Guardiamo ben poco oltre il nostro orticello e non ci accorgiamo della Bellezza che circonda le nostre vite, lasciando magari ad imbonitori esterni e perlopiù superficiali quel privilegio che spetterebbe di certo anche ad altri più meritevoli. Ecco, uno degli eventi maggiormente in sordina di questo 2011 è senza dubbio la calata in terra italica del grande Ebo Taylor, personaggio a suo modo mitico, figlio di quell'Africa nera, terra del ritmo e culla della civiltà, abbandonata troppe volte a sé e sfruttata fino al midollo. Spesso defilato rispetto al music business internazionale, il musicista, classe 1936, non realizzava un album per il mercato mondiale da tempo immemorabile. La sua riscoperta ad opera dei lungimiranti Usher e Ludacris che ne campionano alcuni frammenti sonori spinge il veterano Ebo a realizzare il recente LOVE AND DEATH, quarantacinque minuti di pura energia afro, innestata su un innato gusto per il ritmo che non conosce confini di lingua, razza, religione. Portarla in giro per il mondo diventa una sorta di piacevole missione.

Dicevamo: in Italia tre sono le date fissate per questa fine maggio. Quella a cui decidiamo di partecipare si svolge a Novara, nel pregevole e opportuno spazio del conservatorio Cantelli, misconosciuto gioiellino di acustica, accogliente e ben organizzato, per merito del Novara Jazz, rassegna musicale giunta alla sua ottava edizione, sempre attenta a proporre in cartellone ottime e mai scontate performance. Sono passate da poco le 21:30 quando sul palco sale l'Afrobeat Academy, ensemble multietnico che accompagna il buon Ebo in questa sua avventura europea. Posizionatosi di fronte all'organo che farà bella mostra di sé alle loro spalle, i sette-musicisti-sette attaccano la storica Victory che mette subito in chiaro il mood della serata: suoni percussivi, primordiali, filtrati da funky, soul, rock e blues nell'accezione più ampia del termine, ma soprattutto tanto, tanto, tanto ritmo. È la batteria di Ekow Alabi a scandire il tempo, con le percussioni di Eric "Sunday" Owusa ad arrichirne le sfumature; Ben Abarbanel-Wolff al sax e Philip Sindy alla tromba innestano a loro volta colori caldi, solari, in una parola, vivi. Quindi ecco comparire Mr.Taylor, prendere posizione sullo stage, imbracciare la chitarra, intonare coi suoi compagni l'intensa Kwame, presente all'interno di LOVE AND DEATH in versione strumentale, ma pubblicata in questa veste su precedenti album di importazione, e ballare. Nell'arco di un'ora e mezza abbondante, tanto sarà infatti la durata del concerto preceduto dalla premiazione con la Chiave d'Oro per mano di Franco Zanetta, non ci sarà occasione di vedere la leggenda ghanese arrestare i suoi passi di danza che, poco per volta, riusciranno nell'impresa di smuovere e coinvolgere alcune frange di pubblico radunatosi ai fianchi del palco, festante e divertito.

La melodia di Oborekyair Aba è il terzo momento di festa che si sviluppa tanto sul palco quanto tra le poltroncine disposte di fronte e lateralmente ad esso. Mentre le note si susseguono, Ebo continua il suo ballo tra
un breve assolo di chitarra e l'altro, lasciando l'incombenza di cantare Croonan Dey al fido tastierista Henry Taylor, autentico coordinatore della band e in evidenza pure sull'inno Mizin, apprezzatissima composizione, oggi leggermente velocizzata nei ritmi, ma dilatata nei tempi per consentire a Taylor di far scorrere le sue dita lungo il manico della SX Les Paul in un bell'assolo e continuare nell'incessante missione di smuovere il pubblico presente. È tempo di Love And Death. Composta in occasione del divorzio dalla moglie negli anni '70 e riproposta sul comeback album del 2010 in una nuova versione matura e sempre meditativa, pur non rinunciando a ritmi dal sabor latino, ciò che colpisce è la sua urgenza espressiva e di comunicazione che traspare anche attraverso il ballo di Ebo, concesso alla sua chitarra, sposa per una sera, compagna per la vita. Adesama è motivo di festa: Ebo raggiunge Owusa e, chitarra a tracolla, si unisce per un'istante alle percussioni prima di tornare al canto e al ballo mentre Patrick Frankowski, al basso, elabora una solida base per i fiati jazzati che, non eccessivamente invadenti, si insinuano con il loro sapore latino prima di un breve assolo di batteria ad opera di Alabi.

Il suadente ritmo circolare di Obra e la carica tribale di Kwaku Ananse sono altri momenti imprescindibili della serata, dilatati ben oltre le loro esecuzioni in studio e sottolineati da un Taylor sempre più a suo agio, visto il progressivo coinvolgimento degli italiani in sala, ora provetti ballerini tra poltroncine e parterre. L'ennesimo classico highlife proposto è Ather Abroba; in questo caso è Henry Taylor ad occuparsi delle linee vocali mentre Ebo danza, balla, torna un istante alle percussioni, regala un paio di assoli ed infine, a musica conclusa, saluta tutti sventolando un simbolico fazzoletto bianco. Ma il pubblico ne vuole ancora. E non è ancora tempo per i bis. Che fare? Accalorato per la performance fin qui tenuta, con quello stesso panno bianco a detergergli il sudore, l'antico amico e collaboratore di Fela Kuti torna al microfono, accorda nuovamente la chitarra e regala una preziosa interpretazione fuoriprogramma in compagnia dei soli Alabi, armato di mojo maracas, ed Owusa, naturalmente al bongo. Applausi, tanti applausi, ognuno dei quali è davvero stra-meritato per questo signore innamorato della vita, e standing ovation. E ora sì, siamo davvero giunti al gran finale. Dopo un doveroso spazio dedicato all'Afrobeat Academy che esegue un altro classico qual è Come Along, è l'indiavolato ritmo di Heaven a divenire il pretesto per l'ennesima danza scatenata sul palco e l'occasione per il quasi omonimo Henry di condurla a termine con J.J.Whitefield, fin qui nelle retrovia per dar giustamente spazio alla chitarra di Ebo, a centellinare le note fino al termine del pezzo. Serata stupenda, partecipata, vissuta, indimenticabile. Un plauso agli organizzatori e imperitura stima per un piccolo grande uomo destinato a lasciar un segno enorme nella Musica che conta. Quella che poggia sul ritmo della vita.

Andrea Barbaglia '11

nb: si ringrazia per le fotografie pubblicate Max Catanzaro

mercoledì 25 maggio 2011

LOVE AND DEATH
Ebo Taylor
- Strut Records - 2010

Dal cuore dell'Africa nera ecco un precursore, una guida, un autentico big dell'Afrobeat che alla veneranda età di 74 anni pone fine ad un silenzio discografico internazionale lungo tutto una vita e grazie alla sempre competente Strut condensa in poco meno di 45' suggestioni, suoni e sapori di tutta una nazione, di tutto un continente. L'incedere ipnotico e ancestrale di Nga Nga diventa un classico fin dal primo ascolto e ci avvicina ad un mondo comunque altro rispetto al nostro, nel miglior modo possibile in questi difficili anni di faticosa e non sempre convincente globalizzazione, attraverso cioé le differenze. Le differenze di lingua e di ritmo, sempre così vitali quelli africani, sempre più omologati e sintetici quelli occidentali. African Woman è un antico funk che ha il sapore di oasi ristoratrice, doveroso e lussureggiante omaggio alla generatrice dell'universo, donna splendida e affascinante, tanto terrena quanto legata alle sfere della volta celeste. Il magico e tragico racconto di Love And Death è tratto dagli standard di Ebo e verte sulla contaminazione tra l'afro jazz e l'R&B di miglior fattura mentre scorrono malinconiche le immagini di un matrimonio poco felice. Mizin è il nuovo inno: cantato nella propria madrelingua subisce l'affascinante ripetitività del ritornello e dei fiati che fanno amare il singolo scelto per la diffusione discografica fin dalle prime note, teletrasportandoci davanti a interi villaggi e popolazioni danzanti in festa. Due gli strumentali: la nuova Kwame, composizione dedicata al primo presidente del Ghana indipendente Kwame  Nkrumah ed impreziosita da una chitarra acustica in continuo assolo flamencato sopra ad un tappeto di organi e percussioni contrappuntato dagli immancabili fiati, e l'altro grande classico del repertorio di Mr.Taylor, qui rispolverato con una veste solo leggermente più "moderna", la jazzata Victory dall'indomito sax. Oborekyair Aba è un esempio di world music corale che va a gareggiare perfino con le tastiere dei...Doors (!?!) mentre la suadente Obra chiude il cerchio delle danze e accarezza l'ascoltatore sul far della sera. Coadiuvato da un manipolo di strumentisti provenienti tanto dall'Africa (il chitarrista Oghene Kologbo, il drummer Ekow Alabi) quanto dall'Europa (Patrick Frankowski al basso, il chitarrista J.J.Whitefield e Thomas Myland al clavinet e all'organo, tutti provenienti dalla Germania) e dal continente nordamericano (il trombettista canadese Stu Krause e il sax baritono di Ben Abarbanel-Wolff direttamente dagli Stati Uniti) raggruppatosi sotto il nome di Afrobeat Academy e di stanza a Berlino, Ebo Taylor dunque ammalia senza volerci mai far capitolare, ma obbligando piuttosto le nostre membra, troppo spesso irrigidite da vite sedentarie e monotone, ad una incessante danza tribale, originale e primigenia, pulsante lo stesso ritmo del nostro cuore. Noia, stanchezza e depressione sono perciò del tutto estranee e bandite da quanto apprendiamo grazie a questo tuffo sincero e illuminante nel Continente Nero. Restiamo in fremente attesa per le tre tappe live dei prossimi giorni, rituali a cui non vogliamo mancare.

lunedì 23 maggio 2011

LA VOGLIA DI ANDARE, LA NECESSITÁ DI OSSERVARE

In vista di una prossima recensione dell'esordio discografico coi Pineda e alla luce della convincente data al Magnolia di un mese fa, ecco riproposta una chiacchierata col buon Umberto Giardini, datata 2009, in occasione del suo brillante passaggio sul palco de Le Piccole Iene durante la presentazione di quel che, alla luce degli eventi post 2010, è da considerarsi ufficialmente come ultimo cd in studio del progetto Moltheni, quell'intrigante I SEGRETI DEL CORALLO già segnalato su queste pagine. Uno sguardo nel passato per ricordare momenti intensi.

L'altra sera, conversando del più e del meno, dicesti che nel 1994 vedesti i Nirvana live qua in Italia. Eri già rientrato dalla Scozia o saresti partito per quella terra negli anni a venire?
Moltheni: Ero già rientrato in Italia da tre anni. È stato un viaggio casuale, volevo vedere un paese di cui nessuno parla mai. Credo sia servito a capire le differenze tra dove sono nato e un paese vicino, ma diverso soprattutto nella società. E' stato un periodo da pendolare, tre anni di avanti e indietro, con periodi più o meno lunghi a Glasgow.

Solitamente però nelle interviste si va a "pubblicizzare" l'uscita del nuovo album. A dir il vero il tuo ultimo cd è uscito lo scorso anno e con recensioni più che positive. Puoi svelarci quali sono i "segreti del corallo"?
Moltheni: Sono i segreti che ci inibiscono, che non diremo mai. Le tematiche che hanno contraddistinto la stesura delle liriche di questo album sono state dettate dai miei stai d'animo legati e condizionati dal tempo. Una specie di maturazione nella disillusione della vita e della felicità in genere. Una sorta di distacco. La lavorazione dell'album è stata immediata per la scrittura dei brani, ma lenta e minuziosa per le fasi della registrazione in cui abbiamo deciso di lavorare in una certa maniera. Tutto ciò che si ascolta è voluto, risentito tante volte e accettato.

L'aver ripreso e modificato due brani come In Porpora e Suprema quale significato ha avuto nell'economia del cd?
Moltheni: Secondo me nessuna, addirittura volevo fare un album di 9 tracce, un disco breve, fuori moda.

A fianco della tua attività di cantautore-musicista troviamo quella di vigile del fuoco. Quest'esperienza ha influito sulla stesura dei brani?
Moltheni: No.

Non tutti però sanno che oltre a queste due professioni sei anche attore. Franco Battiato nel suo film PERDUToAMOR chiese che fossi proprio tu a interpretare Szabo Balaban, personaggio cinematografico dietro cui si cela il Lucio Battisti ai suoi esordi.
Moltheni: Già. Ho reagito molto bene a questa proposta anche se difficilmente mi emoziono con il cinema italiano in genere. È anche vero che mi ha onorato il fatto in sé e per sé poiché Lucio Battisti è l'unico cantautore italiano che ho seguito nella sua splendida carriera; l'unico capace di scavare e restare nel mio stomaco.

Nella colonna sonora di quello stesso lungometraggio compare anche una sua cover, quella Prigioniero Del Mondo che è uno dei pochi brani non firmati dalla coppia Mogol-Battisti. Una scelta voluta o dettata semplicemente, per così dire, da esigenze di copione visto che il tuo ruolo era appunto quello di un Battisti esordiente?
Moltheni: Non l'ho mai saputo poiché quello che ho cantato mi è stato suggerito dalla produzione, soprattutto da Franco Battiato.

Si nota da sempre la presenza di brani strumentali su tutti i tuoi album come se fosse un'urgenza creativa che non necessita di parole per completarne il significato.
Moltheni: Esatto, soprattutto per il fatto che spesso le parole non servono, sono di troppo.

Altra peculiarità è il packaging dei booklet: a partire da SPLENDORE TERRORE l'immaginario rappresentato dalle fotografie ha sempre un qualcosa di onirico e nel contempo kitsch.
Moltheni: Secondo me non c'è nulla di kitsch, tutt'altro. Credo che le copertine degli ultimi lavori siano molto romantiche e sfiorate dalla delicatezza, spesso ombrosa, mai solare.

L'uscita de I SEGRETI DEL CORALLO è stata accompagnata dalla realizzazione di un videoclip che sta ancora avendo una buona visibilità. Successivamente il disegnatore Roberto Amoroso s'è occupato di realizzare una graphic novel a partire proprio da ciò che compare nel video. Puoi parlarcene?
Moltheni: Mi spiace, so del lavoro di Roberto Amoroso, ma io non c'entro nulla.
Ho solo dato l'ok per la realizzazione del suo mondo visionario disegnato, ma non so altro.

Se dividiamo la tua carriera in due fasi sbagliamo?
Moltheni: No, è esattissimo. Entrai nella Cyclope Records tramite un demo che lasciai a Carmen Consoli. Credo che lei, conoscendola, lo buttò via, ma forse l'avevo spedito anche a colui che sarebbe diventato il mio produttore, Francesco Virlinzi. Fu lui che gestì il progetto fin dall'inizio, pensando e credendo di poter ottenere dal mio lavoro e dalla mia spiccata predisposizione ad un certo linguaggio risultati dignitosi nella scena alternativa italiana. Francesco conosceva neanche a farlo apposta Battisti a memoria.
A La Tempesta invece arrivai semplicemente incontrando ad un concerto a Ferrara Enrico Molteni. Con lui molto direttamente mi confrontai e decidemmo subito di poter lavorare assieme. Sia lui che Davide Toffolo furono di parola e poche settimane dopo il tutto si era concretizzato. Con loro ho sempre avuto un rapporto estremamente buono e cordiale, legato sulla fiducia reciproca e sulla libertà di fare cose di buon gusto. Il rapporto che ho avuto e ancora ho con Enrico Molteni ha giovato tantissimo a Moltheni e a ciò che anche in futuro produrrò.

Ora sembra che la tua musica sia più libera e ti rappresenti di più. Non che prima non accadesse, ma a volte affioravano qua e là levigature che tendevano a far sembrare i brani dei primi due album pezzi che sarebbero potuti appartenere tranquillamente anche ad altri artisti.
Moltheni: Non lo so davvero... La verità è che all'epoca cercavo me stesso, proprio a livello artistico e personale. Oggi, da tempo, mi sono ritrovato e finalmente mi riconosco. So quello che debbo fare; all'epoca me lo consigliavano gli altri.

Sei consapevole di aver raggiunto anno dopo anno, lavoro dopo lavoro, uno stile tutto tuo e di avere una tua cifra stilistica riconoscibilissima?
Moltheni: Sì, sì, ne sono consapevolmente felice. È una conseguenza di quello che s'è appena detto, viene tutto da lì.

Puoi parlarci dei secret show? Cosa sono? In che modo sei entrato in contatto con chi che se ne occupa?
Moltheni: Sono concerti privati negli appartamenti di chiunque voglia Moltheni a casa propria, in una dimensione intima e diretta. Ci si siede per terra, tra cuscini, tappeti e candele, si chiacchiera, si beve, si mangia e io canto. Ci si guarda negli occhi e si sorride, scambiandosi opinioni e curiosità.

Brani di FORMA MENTIS, il "Sacro Graal" della tua produzione, sono mai entrati a far parte, seppur rivisti e corretti, negli album successivi?
Moltheni: Solo Eternamente Nell'Illusione Di Te che è contenuta in TOILETTE MEMORIA; tuttavia FORMA MENTIS, nella sua interezza, non vedrà mai la luce.

A presto Umberto e grazie!
Moltheni: A te!
Andrea Barbaglia '11.

venerdì 20 maggio 2011

FUZZ ORCHESTRA

FUZZ ORCHESTRA
Fuzz Orchestra
- Wallace Records / Bar La Muerte - 2007

La colonna sonora di un film non ancora scritto? No: la colonna sonora postuma e non allineata di alcuni periodi della storia d'Italia del '900 realmente accaduti e tramandati dai libri e dai saggi di storia contemporanea. Ecco la sperimentazione che dunque non troverete nei cinema, ma che oggi potete portarvi comodamente a casa vostra, grazie alla scelta popolare della band di far scaricare addirittura gratuitamente il cd in questione a questo indirizzo. Trio post rock composto da Andrea Ciffo, fratello del più noto Dario, alla chitarra e alla voce, Marco Mazzoldi alla batteria e Fabio "Fiè" Ferrario alle essenziali manipolazioni analogiche, la Fuzz Orchestra illustra attraverso suoni, musiche e voci le otto tracce del proprio esordio discografico abbracciando un periodo che corre dalla resistenza antifascista della Seconda Guerra Mondiale agli anni bui del terrorismo tricolore a cavallo tra gli anni '70 e '80. Alla prima sono facilmente ascrivibili gli oltre sei minuti della poderosa Il Potere in cui compaiono, inglobati nel magma di note e rumori, tanto numerose voci di partigiani e combattenti superstiti recuperati da filmati d'archivio quanto le parole dello stesso Mussolini in uno dei suoi tanti discorsi propagandistici dell'epoca. Alla seconda, dopo la parentesi palpitante di Omissis, appartiene invece l'esplicativa Agosto 80, drammatica pagina sonora della strage di Bologna avvenuta alle 10:25 del 2 agosto di quell'anno presso la stazione ferroviaria del capoluogo emiliano e qui rievocata attraverso suoni concitati, disturbati e disperati uniti a più asettici stralci dei giornale radio dell'epoca a loro volta intrecciati con telefonate di rivendicazione e smentite ad opera delle Brigate Rosse. Senza soluzione di continuità ci ritroviamo ad affrontare quindi la sferragliante macchina rumoristica de La Bestia, inquietante accozzaglia di frustrazioni e deliri presto superati da Noscosmic, e la marziale Lili Marlene, depauperata rivisitazione di una certa malinconica grandeur della prima metà del Novecento e ora semplice spunto evocativo per la descrizione totalmente emozionale di un campo di battaglia ancora carico di morte e devastazione in cui pare addirittura di visualizzare davanti ai propri occhi i maleodoaranti cadaveri dei soldati in putrefazione abbandonati a cielo aperto. Un tentativo di fuga da quella realtà per gli sconfitti è affidata a Transport in cui un altro treno ora sbuffa sulle rotaie e corre senza mèta verso il Nulla. La conclusiva Eclisse Fuzz è l'unico brano realmente "cantato" da Ciffo seppur attraverso ulteriori filtri e raffiche noise che impediscono una lettura pulita dello stesso. In definitiva quello che si percepisce al termine di quest'opera prima è uno schiaffo assestato al buio, solo a tratti anacronistico e forse, anche per questo motivo, senza tempo. Una lezione di storia sui generis. Per guardarci dentro, allo specchio. Per non dimenticare.

mercoledì 18 maggio 2011

REZOPHONIC

REZOPHONIC
Rezophonic
- Sugar - 2006

"A Mario Riso sono bastati due giorni nell'Africa vera per sentire il bisogno di una "rullata" vincente, una rullata importante!" Così Icio De Romedis, attivista di AMREF Italia e della Nazionale Artisti TV, nelle parole introduttive al corposo booklet che accompagna il cd del progetto REZOPHONIC, l'acquisto del quale contribuisce alla costruzione di nuovi pozzi d'acqua in Africa, nel distretto amministrativo del Kajiado tra Kenya e Tanzania, a favore di chi ha veramente sete. Lo scratch di Dj Aladyn ci catapulta all'istante nel crossover fiero e potente del singolo Can You Hear Me? affidato alle brillanti voci di Olly, Cristina Scabbia e Marco Cocci coadiuvate dal growl di Gian Luca Perotti direttamente dagli Extrema. Ancora il cantante dei Malfunk è protagonista, questa volta in compagnia dei Linea 77 Emo e Nitto e del Folder Mana, di Riso's Beat, un brano impreziosito dalla tromba di Roy Paci e dalle chitarre di Stef Burns, Tommy Massara, J.L. Battaglion e Marco Trentacoste, co-produttore e man in the box dell'intero progetto. L'Uomo Di Plastica poggia inizialmente sui pianoforti di Morgan e di Pablo Von Roitberg per poi offrirsi all'ugola d'oro di Max Zanotti e al controcanto di Giuliano Sangiorgi; Andy regala un tocco di new wave mentre Roberta Sammarelli, piegata sul proprio basso, infonde ritmo circolare alla composizione ritmata dal drumming di Riso. Aperture solari in I Miei Pensieri grazie al trio Mancino-Sangiorgi-Ranzani e all'assolo di Cesare Petricich una volta tanto non relegato alle ritmica, qui appannaggio invece di Omar Pedrini e Nikki. La successiva I'm Junk, nu-punx italobasco dalle forte vena Sex Pistols, viene accreditata ai FFD feat. Mario Riso nonostante la presenza dei due No Relax Micky e Joxemi e gli scratch del solito Aladyn. Lo strumentale hard-funk di Alien vede un bell'interscambio tra le chitarre di Fabio Mittino, Michele Albè e Pier Gonella mentre Mario macina chilometri sulla macchina del ritmo. Il duo Riso-Bruni è autore di Qualcuno Da Stringere, altro episodio rilassato del platter che risente fortemente delle atmosfere degli ultimi Negrita; la presenza di Patrick Djivas al basso va ben oltre il semplice cameo rivelandosi pietra angolare del pezzo. L'urlo di Marco Cocci è supportato dagli acuti controllati di Zanotti su Non Ho Più Niente Da Dire, hard rock realizzato dai Malfunk al completo, ottimo in sede live e dalla carica esplosiva contagiosa. Altro must del cd è Spasimo, non a caso scelto come ennesimo singolo, il terzo, su cui è ancora una volta Zanotti a lasciare il segno nonostante le altrettante buone prove di Francesco Sarcina, forse un pò troppo melodrammatico, e il mai dimenticato David Moretti dai Karma e dai Juan Mordecai. Fantastica Black In Blue, ballabilissimo disco funk affidato al groove di Saturnino su cui Petricich e l'ex Lijao Fausto Cogliati ricamano trame chitarristiche mai troppo invasive e per questo adatte al mood spensierato e tropicale. In tutto questo susseguirsi di pesi medio-massimi del rock italiano poteva forse mancare Pino Scotto? A capo dei suoi Fire Trails e con l'innesto di un tonante Riso eccolo protagonista della già conosciuta Spaces And Sleeping Stone in cui non si può non citare l'ottimo steve Angartal e il suo assolo. Il "ritorno a casa" per il promotore del progetto Rezophonic si completa con l'estasi di Puro Incanto, classico hard rock dei Movida su cui è comunque il frontman Ranzani a far la differenza. Il remix di Can You Hear Me? affidato al N.A.M.B. Davide Tomat e all'Africa Unite Madaski è il preambolo per Il Riso di Tullio: batteria e percussioni affidate ai soli Riso e De Piscopo ci catapultano nel cuore dell'Africa nera, omaggio sincero a quel continente culla dell'umanità e del ritmo a cui tutti i soggetti coinvolti nel disco guardano tendendo la mano. Tante gocce, un solo fiume: che la solidarietà possa dunque scorrere vitale come la sua acqua.

sabato 14 maggio 2011

11-05-2011
- JOVANOTTI live @ Mediolanum Forum -
Assago (MI)

Abbiamo ancora davanti agli occhi il precedente Safari Tour, spettacolare mix tra nuove tecnologie e musiche vintage, letteralmente vissuto e portato in tutta Italia tre anni fa dall'instancabile maestro di cerimonie Lorenzo Cherubini, a suo modo, punto di non ritorno per quanto riguarda un certo tipo di spettacoli dal vivo quantomeno qua nello Stivale. Convinti dalla recente buona prova in studio e incuriositi dal fatto di capire se il buon Lorenzo sposterà ancora un pò più in alto l'asticella dei suoi show non ci lasciamo sfuggire l'occasione per partecipare alla seconda data milanese della nuova tourneé. La prima sorpresa, comunque annunciata, è la presenza per espressa volontà di Jovanotti di Le Luci Della Centrale Elettrica, supporter ufficiale in tutte le date primaverili, che sale sul palco in perfetta solitudine armato di chitarra, cuffie in testa e voce, nel microfono e nel megafono, per una mezz'oretta durante la quale fanno bella figura una manciata di estratti tanto dal primo cd CANZONI DA SPIAGGIA DETURPATA quanto dall'ultimo PER ORA NOI LA CHIAMEREMO FELICITÁ, album che lo stesso Jovanotti ha citato ripetutamente nelle interviste a ridosso l'uscita del suo ORA spendendo parole di sincera ammirazione.

Purtroppo chiedere attenzione anche a quanti sono sistemati nel parterre sotto al palco, realizzato a tau, con una lingua centrale che avanza tra la folla per una ventina di metri, è cosa ben difficile e il buon Vasco Brondi, alla sua seconda apparizione di fronte a questo pubblico, riesce nell'intento solo a partire dall'urlo disperato de La Lotta Armata Al Bar quando ormai il tempo a sua disposizione volge però al termine. Ciò nonostante gli applausi dalle tribune consolano la surreale apparizione del ferrarese, autentica punta di diamante della Musica italiana, per nulla a disagio in questo contesto particolare. L'allestimento del palco per l'headliner della serata richiede una quarantina abbondante di minuti allo scadere della quale, sul maxi schermo apertosi di fronte a noi, compare il Piero Angela di Viaggio Nel Cosmo, direttamente dalla puntata del giugno 1998 in cui l'argomento principale riguardante supernove, quasar e buchi neri veniva affrontato facendo ampio uso di tecniche di computer grafica, le stesse, potenziate, che troveremo quest'oggi.

Chiuso il sipario elettronico, nel Forum si fa completamente buio. Alcune fotocamere tentano inutilmente di cogliere anticipatamente qualche movimento sul palco. Inutile. Aumentano le urla. Partono le prime note registrate di Megamix mentre sullo schermo si forma un'immagine stilizzata di barca a vela, la stessa presente sul volto di Cherubini nella copertina di ORA, e alcune informazioni sulla città di Milano si susseguono, andando ad elencare alcuni suoi punti di forza. Luce e fumo quasi dal centro palco. E Lorenzo finalmente compare. Fatti quattro scalini si ferma; in giacca e cravatta, scarpe di strass, immobile, fissa dritto di fronte a sé il vuoto colmato da migliaia di persone. Poi un rapido sguardo allo schermo alle sue spalle e via, di corsa, a capofitto lungo la pedana che lo porta in mezzo alla gente. La sua gente. Tra luci, flash, videocamere e cellulari impazziti, il palazzetto milanese, da qui in avanti, si trasforma in una enorme discoteca, assordante, eccitante e contagiosa.

Megamix si fonde con Falla Girare, uno dei tanti must di BUON SANGUE, va a citare le parole magiche di Safari (..Fuoco! ..Acqua!! ..Elettricità!!!), quindi ri-parte a razzo con l'avveneristica La Porta È Aperta su cui un Saturnino, in una "sobria" tenuta dorata, si regala il primo spot col suo basso, motore pulsante per la successiva Amami, tra le più ballate di tutto il concerto grazie all'ottimo lavoro di Christian Rigano, alle tastiere e all'elettronica. Una boccata d'aria arriva con L’Elemento Umano mentre sullo schermo si materializzano, nel finale, le immagini di un uomo che si tuffa nel vuoto cui fa seguito una zoomata dal buio dello spazio, ben oltre la Via Lattea, via via, giù sulla Terra, negli Stati Uniti d'America, in un prato cittadino su cui riposa lo stesso Jovanotti, nel cui corpo scendiamo attraverso l'epidermide fino al dna, esaurendoci nell'oscurità del mistero della vita.

È La Notte Dei Desideri: si salta e non si sente più il bisogno di soffrire. "Esprimete un desiderio, Milano!" e Mezzogiorno ne esaudisce parecchi mentre Saturnino e Riccardo Onori affiancano uno scatenato Cherubini, qui per la prima volta dall'inizio della serata leggermente col fiato corto, in continuo e perpetuo movimento. Per rifiatare, un sorso d'acqua e ancora due passi di danza. -Ricorderai d'avermi atteso tanto, e avrai negli occhi un rapido sorriso- . Questo l'sms inviato col T9 e proiettato alle sue spalle, citazione ungarettiana in omaggio all'affezionata mamma Viola, ricordata ne Le Tasche Piene Di Sassi, cantata all'unisono dal pubblico femminile e in medley con l'altrettanto amata Come Musica, con Lorenzo per un istante accoccolato al pianoforte di Franco Santernecchi per una versione confidenziale della stessa, e l'imprescindibile A Te che si segnala anche per un buon assolo di Onori.

"Guardiamoci negli occhi va, che fino adesso... vorrei vedervi occhi negli occhi, in faccia, uno per uno. (...) Ci riuscite voi a bilanciare quello che vi preoccupa con quello che vi entusiasma? A far prevalere quello che vi entusiasma? (...) Questo è il nostro tempo. È qui e adesso che ci giochiamo tutto. Questo tempo è il nostro tempo ed è una grande opportunità. (...) tre lettere: Ora." Spinta da una macchina ritmica precisa e affidabile come può esserlo quella formata dal già citato Saturnino in compagnia del confermatissimo Gareth Brown alla batteria e a Leo Di Angilla alle percussioni, la title track dell'ultimo album avanza monolitica, come le navi speculari che compaiono sul wall, spazzando via dubbi e perplessità sulla sua tenuta live e confermandosi brano di punta non solo in studio. Inarrestabile e profonda.

A ruota libera ecco quindi l'elettronica evoluta de Tutto L'Amore Che Ho, la tecno-trance di Io Danzo fusa con frammenti sparsi di Non M'Annoio, Tanto³ e Penso Positivo, e i Battiti Di Ali Di Farfalla, che incorporano una citazione de Una Tribù Che Balla, mentre Cherubini ha modo di sfidare un suo doppio elaborato dai computer e proiettato sul maxi schermo, prima di sedersi dietro una batteria e dar via al panico delirio ritmico-percussivo de L’Ombelico Del Mondo. Rimasto in maniche di camicia, a spasso per il palco, inesauribile commistione di carne e ossa tenuta in vita dal suono della Terra, Jovanotti centra nuovamente il bersaglio con l'ennesimo sing-along della serata: è infatti la citazionistica Mi Fido Di Te a compattare le voci in un solo canto che non conosce soste né pause nel ricco bailamme di luci e colori.

Il mega-medley acustico eseguito poco dopo con tutta la band all'estremità della lingua del palco è infatti un susseguirsi di successi quali Piove, Punto, Bella, Ciao Mamma, l'accenno a Il Capo Della Banda, Dabadabadance e Una Storia D'Amore. Brividi su Fango per la commozione che affiora prepotente in forma di lacrime negli occhi di Lorenzo, presto esorcizzata con una corsa e una danza liberatoria in prossimità della batteria. Così, mentre sullo sfondo scorrono filmini amatoriali di un giovane Jovanotti, è già tempo della recente Quando Sarà Vecchio, mixata con la citazione old school di Ci Si Skiaccia e perfetta intro a Ragazzo Fortunato, hit ventennale che a questo punto della serata può essere affrontata solo in canottiera, continuando a correre in lungo e in largo per il palco, raggiungendo le gradinate di destra, quelle di sinistra, stringendo mani e dando l'high five a chiunque.
 

Davvero Il Più Grande Spettacolo Dopo Il Big Bang! Nettamente il brano più rock di queste due ore, con Onori e Saturnino mattatori assoluti insieme al Cherubini da Cortona nel vestire i panni di consumate rockstar, l'attuale singolo in rotazione sulle piattaforme musicali impressiona per la dirompente carica che sprigiona, segno di come in studio il potenziale sia rimasto un pò nascosto. Piccola sosta. Sullo schermo compare la scritta O■▲ ed è tempo dei bis. "One, two, three, four..": Baciami Ancora è l'ennesimo tripudio, regalato dal Grande Lorenzo in completo bianco e col sorriso sincero e pulito che da sempre lo contraddistingue. "Grazie-grazie-grazie-grazie-grazie-grazie. Grazie ragazzi, grazie. Non mi ricordo altre parole; solo questa parola qua. Adesso dovrei.., di tutte quelle del vocabolario mi viene in mente questa in questo momento. Grazie. Grazie."

E dopo un divertente siparietto con una bambina sulle gradinate, ecco la chiosa finale: "Noi stiamo andando in giro a fare meno chiacchiere possibili. Stiamo andando in giro a portare quello che sappiamo fare: la festa. Cerchiamo di portare, di seminare l'entusiasmo, l'energia se possibile, perché crediamo, e credo, che sia una linea di resistenza oggi quella di praticare l'allegria. Il più possibile, il più possibile." Un pò a sorpresa è La Bella Vita a chiudere allora le danze e i festeggiamenti odierni, con il pubblico ancora intento a ballare sul frenetico ritmo afro-blues. Improvvisatosi direttore d'orchestra sui generis, tra un passo di danza e l'altro Jovanotti dirige, dopo averli presentati tra gli applausi del sold out milanese, i suoi compagni di un viaggio divenuto nel volgere di poche ore un grandioso e luminoso party aperto a tutti. Luminoso sì, ma ad impatto zero
dato che tutte le emissioni di Co² consumate ogni sera vengono controbilanciate da 12.000 alberi piantati in Camerun. Prova superata: bravo Lorenzo! Ah, scusa: è qui la festa?

Andrea Barbaglia '11

martedì 10 maggio 2011

CANZONI NEL VENTO LIVE 1987-1989
Nomadi
- I Nomadi - 2011

Un pò a sorpresa esce in questo scorcio di primavera il qui presente live album che va a completare le registrazioni dello storico doppio album IN CONCERTO - LIKE A SEA NEVER DIES, della relativa vhs, oggi reperibile in dvd, IN CONCERTO, CASALROMANO 1989 e dei brani live presenti su ANCORA NOMADI. Come lo scarno booklet (unica pecca del progetto) ci segnala, si tratta di una dozzina abbondante di brani conservati fino ad oggi negli archivi della band emiliana ed eseguiti nei concerti di quegli anni a Cremona, Casalromano, Lugo, Spezzano e Modena, da sempre terreni fertili e produttivi per fans e amici. Complice la raggiunta indipendenza discografica ecco che i Nostri possono permettersi di muoversi come meglio credono immettendo sul mercato un gioiellino che forse la vecchia guardia del popolo nomade attendeva da molto. Fa un certo effetto leggere nuovamente, dopo più di due decadi, la dicitura "Nomadi: Augusto Daolio, Beppe Carletti, Dante Pergreffi, Gianpaolo Lancellotti, Christopher Dennis", formazione a suo modo storica, prima dello scisma del 1990 che non pochi strascichi ha portato con sè negli anni a seguire, e che i più giovani hanno potuto solo conoscere attraverso i racconti e le mai sufficienti tracce video ed audio che affiorano ancora oggi dalla rete. Sì, ma la scaletta? È una sorpresa: messi da parte tanti successi già rintracciabili su raccolte più o meno dozzinali indiscriminatamente presenti sul mercato, qua si predilige fare spazio a brani solo apparentemente minori, manna dal cielo invece per la vecchia guardia. Si parte con una versione davvero divertente de Il Fiore Nero a cui Augusto modifica, trattenendo a stento le risa, la parte finale "dedicata" all'amico Jimmy e che ci fa capire il criterio e il comune denominatore scelti per assemblare questo live: la gioia e la spensieratezza di condividere istanti di semplicità e complicità tra persone che si vogliono bene e che si rispettano in un tempo sì ormai passato, ma non così lontano. La successiva Riverisco cattura e restituisce nella sua limpidezza, grazie al lavoro in cabina di regia del fido Atos Travaglini, addirittura il suono argentino del fischio dell'Artista di Novellara che prima accompagna l'acustica di Dennis poi si lancia nella sostenuta doppietta estrapolata da ANCORA NOMADI, l'ineluttabile Tu Che Farai e l'avvincente Il Seme. Brividi con Auschwitz (Canzone Del Bambino Nel Vento) presentata come inossidabile e che ha la tempra dell'acciaio a cui fan seguito i toni paterni e risoluti di Aiutala. L'arrangimaneto de Il Paese Delle Favole, regalata agli amici di Busseto, è quello originale: niente fisarmoniche, ma tante tastiere, a tratti new wave, su cui Daolio anticipa di una decina d'anni Serj Tankian e i suoi System Of A Down. Scorrono fluide e frizzanti come il lambrusco il rock di Sera Bolognese e de I Tre Miti; poi, la sempre avvincente Gordon ci proietta, anche per merito del vorticoso basso di Pergreffi e dei fraseggi di Dennis, in un'altra dimensione, fantastica e fuori dal tempo mentre la voce di Augusto è l'ennesimo valore aggiunto a uno dei vertici del cd. Ultima sorpresa la salsedine rock di Costa Dell'Est che pone in bella evidenza l'assolo di Chris; la vibrante Ho Difeso Il Mio Amore e l'immancabile Io Vagabondo, poggiando sul rassicurante tocco alla batteria di GPL, chiudono infine i conti. Col passato? O con il futuro? Tra due anni, per il cinquantesimo, probabilmente lo scopriremo. Manteniamo il cuore vivo.

lunedì 9 maggio 2011

CROCI
Miura
- 2008 - Target Music

Secondo parto in casa Miura. E primi obbligati cambi di organico. L'esordiente Jack, protagonista tre anni orsono sull'album IN TESTA, ha lasciato infatti posto al frontman dei Mauvasie Max Tordini che ha il compito non facile di occuparsi di tutte le voci principali della band quando, sul disco precedente, a dividere questa fatica trovavamo anche uno dei padri fondatori della band e colonna ritmica dei Timoria al pari del grande Diego Galeri, il mai dimenticato Carlo Alberto Pellegrini, Illorca. E proprio l'assenza fisica di quest'ultimo al microfono, e prima ancora al basso, sopperita dallo "sdoppiamento" strumentale del chitarrista Killa e dall'innesto in qualità di session man di Marcello Todde dei Matra e di Walter Clemente direttamente dai Deasonika, è l'inevitabile (temporanea?) sostituzione che il rovinoso incidente automobilistico occorso a lui e all'amico Galeri in quel di Vigevano la notte tra il 13 e il 14 settembre del 2004 ha obbligato ad operare. La croce che la band ha deciso di portare. Anticipato così tra lo scetticismo generale dallo splendido singolo M.A.I.A. in cui compaiono la giovane cantautrice padovana Lubjan e il veterano Mirko Venturelli dei Giardini Di Mirò, la nuova fatica della band di Diego Galeri e Killa è un concentrato di rabbia e tensione verso l'alto sintetizzate dal roccioso riff e dalle melodiche linee vocali dell'opener Linea Di Confine in cui Clemente sprinta sul basso per farci capire come questo strumento continua ad avere un ruolo decisivo nella musica dei Miura. Del resto nei crediti il nome di Illorca ricompare qua e là sia nelle musiche che nei testi, testimonianza di come mentre il fisico possa essere stato fortemente provato dal destino, la mente è costantemente lucida e sempre analitica, tratto distintivo del bassista bresciano. Così ecco lo space rock di Sassi (Aprile 2007) e l'incedere tonante di Vile che si apre a sonorità tanto care ai Timoria usufruendo della leggiadria della già citata Lubjan. Su musiche firmate dalla coppia Capasso-Galeri, la strepitosa Scompaio ospita la voce inconfondibile di Moltheni così come l'altrettanto riconoscibile wurlitzer del sodale Pietro Canali prima che il dilatato finale venga affidato alla chitarra del Maestro Giorgio Canali, amico di tante vecchie battaglie e sempre pronto a dar il suo contributo alla causa del rock in qualità di produttore artistico. Semidei (Io Sarò Tutto) possiede un bel bridge, un gran ritornello e tutta la furia di Galeri scaricata sul drum kit, ma evidenzia una chitarra acustica superflua e comunque eccessivamente alta al confronto con quella elettrica e alla potenza sonora sprigionata anche in sede live. Dettagli che passano in secondo piano rispetto alla poesia raccolta di Perle E Fiori e alla sperimentazione de Il Cielo In Una Stanza, classico di Gino Paoli riarrangiato in chiave stoner grunge  che, se all'inizio non suscita particolare interesse, già al secondo ascolto rivela un potenziale notevole. Eremita Metropolitano è l'unico testo affidato alla penna di Tordini che si supera nei pezzi conclusivi: mentre in Mantra pare di ascoltare un duetto virtuale con Andrea Scaglia e i Ritmo Tribale della nuova civiltà del 2000, con (Quello Che Volevi) L'Uomo Buono si compie la sintesi dell'esperienza Miura 2008: ruvidità, groove, linee secche e perentorie, attitudine in your face sono proprie del loro dna e slancio sicuro verso un futuro, dopo i recenti eventi, senz'altro più roseo. In bocca al lupo ragazzi.

domenica 8 maggio 2011

06-05-2011
- HUGO RACE & THE FATALISTS live @ Auditorium Piazza della Libertà -
Bergamo (BG)

Non si è fatto ancora in tempo a metabolizzare la dinamica prestazione di Tolo Marton che è già tempo del co-headliner della serata: prima delle due date italiane in un tour che di lì a qualche giorno lo porterà in Polonia, Germania e Repubblica Ceca, l'artista australiano spalleggiato dalla sua backing band tricolore, investe di sciamanico mistero il palco dell'Auditorium bergamasco. La chitarra di Antonio Gramentieri e le chincaglierie percussive di Diego Sapignoli saturano l'atmosfera e preparano le tenebre; nella penombra avanza la figura alta e magra del musicista australiano accolta da un lungo applauso partecipe, ma che tuttavia non spezza l'incantesimo in cui siamo già stati catapultati. Il tradizionale In The Pines svela un retrogusto forte e meditativo, mentre le chitarre, secche e riverberate, duettano solitarie nel deserto. Da qui all'omaggio ai Dirtmusic il passo è estremamente breve: per sopperire all'assenza dei suoi compagni di viaggio Eckman e Brokaw, Still Running viene solo in parte riarrangiata mentre l'inserzione della lapsteel viene affidata al navigato Gramentieri, motore pulsante di questi Fatalists.

Tempo di accordare l'Epiphone per la successiva scarica di rock. "Insonnia... una parola bellissima...": Slow Fry poggia totalmente sulle chitarre, ma è il sorprendente Giovanni Ferrario a guadagnarsi la dovuta attenzione per una prestazione al basso che consente di amalgamare il drumming deciso e netto con i ritmi nervosi della scatenata accoppiata Race-Gramentieri che qui, in sede live, molto devono ai Cult del periodo ELECTRIC. La profondità di Sorcery, oltre a pagare il giusto tributo ai True Spirit, incanta e lascia ipnotizzato l'ascoltatore, sortilegio benevolo e salvifico, destinato a rompersi solo per far posto ad una doppietta davvero ben riuscita proveniente da FATALISTS. Rifacendosi alla manifestazione odierna, la voce cavernosa di Hugo, giacca, camicia e collanina costantemente immutabili al loro posto, introduce, per metà in italiano per metà in inglese, una prima storia, direttamente dalla Germania centrale: è quella dell'uovo d'oro di serpente, The Serpent Egg appunto, visionario sogno che sembra sempre più reale man mano che lo si descrive e racconta attraverso note calde, dilatate, febbricitanti.

In Too Many Zero, futuro singolo accattivante e smaliziato, possiamo apprezzare oltre ad una prova maiuscola di tutta la band, la figura di Marta Collica, musicista di prestigio nel panorama rock nazionale ed internazionale già accanto all'ex Bad Seed nel progetto Sepiatone, presente alle tastiere, ai cori e defilata sulla sinistra dello stage; tuttavia è con No Stereotype che si torna ad incendiare le polveri del palazzo, sfruttando l'alternanza tra i momenti più sostenuti e quelli meno esagitati che si ravvisano nella struttura della canzone mentre l'ottimo Ferrario, signore d'altri tempi, passeggia in tondo durante il caotico finale affidato all'interazione tra la Epiphone 335 di Race e la Telecaster di Gramentieri: grandi! Altra canzone dei True Spirit che ben si amalgama con il mood della serata è la successiva 53rd State, psichedelica cavalcata polverosa dal finale torrido, dilatato e sgranato come i grani di un rosario, dopo che Sapignoli placa le pelli della sua batteria. Dope Fiends è raccolta per tre quarti della sua durata, salvo subire un'impennata quando Gramentieri, ancora lui, si prodiga in un assolo decisamente sonico che conduce al gran finale, tirato, sofferto ed orchestrato nuovamente dall'elegante frontman australiano, mai fuori posto anche in questi momenti più coinvolgenti.

È Before The Flood l'ennesimo blues lisergico che ci accarezza durante la serata e che fa il paio con la sognante e spettrale Will You Wake Up, riuscita cover del già fenomenale brano presente su I DREAMED THAT YOU VISITED ME dei connazionali Mysteries e fonte di brividi costanti. Gli applausi sempre più convinti da parte del pubblico spingono i cinque sul palco a una monumentale Pay For The Truth, sfrontata nella sua irruenza sonora, tagliente e aggressiva, ultimo istante di carica rabbiosa prima che si ceda il passo alla più riflessiva Call Her Name, opener di FATALISTS e questa sera posta in chiusura dello spettacolo, origine e fine di tutto il percorso affrontato. Spettacolare performance. Altro genere rispetto a, per certi tratti, l'inarrivabile Tolo Marton, eppure tanta, davvero tanta classe regalata tra un accordo e l'altro anche a quanti erano accorsi più per il chitarrista trevigiano che per l'"italo-australiano" più fascinoso che abbiamo, per una musica che vive di chiaroscuri e che trova in Race e nei suoi splendidi compagni di band una delle sue espressioni migliori in ambito mondiale. A presto cari songwriters e cari storytellers...

Andrea Barbaglia '11

sabato 7 maggio 2011

06-05-2011
- TOLO MARTON live @ Auditorium Piazza della Libertà -
Bergamo (BG)

Dopo l'abbuffata prog in compagnia di Aldo Tagliapietra e Tony Pagliuca, questa sera ritroviamo l'ottimo Tolo Marton nelle vesti, per lui a tratti anche più consone, di puro chitarrista. Non ci sono trame pianistiche, non ci sono mondi evocati ed evocativi, niente fronzoli od orpelli manieristici: stasera, grazie alla curatissima rassegna Songwriters & Storytellers promossa dalla sinergia tra le associazioni Soffia Nel Vento e Geomusic, c'è semplicemente un uomo al servizio di uno strumento, la chitarra appunto, forse uno dei rari casi per cui è davvero corretto parlare di prolungamento naturale della propria persona, commistione naturale fra individuo e opera umana. Anche più del di lì a breve co-headliner della serata, quel fascinoso Hugo Race che coi suoi Fatalists ha comunque ben impressionato Tolo nelle prove pomeridiane. Per scaldare l'ahimé non particolarmente folto pubblico della serata, la scelta di aprire la serata ricade su un classico di Booker T & The MG's, Time Is Tight, il cui suono di organo che nella versione originale concede una sfumatura di sospensione e pacifica meditazione, viene qui surrogato dal levigato tocco di Stratocaster di Marton mentre la sezione ritmica, affidata al fido Andrea De Marchi e al basso di Walter Dal Farra, porta a compimento il brano con molto mestiere.

Si inizia a far sul serio dalla successiva doppietta affidata a Two-Five-Two-Four-O, rock'n'roll estratto dal primo vero album solista LET ME BE datato 1982, col ritmo in crescendo che smuove dalle accoglienti poltroncine del teatro, e alla storica ed avvincente Back To My Youth che va a citare Burn dei Deep Purple in un vorticoso tourbillon dal quale non si può restare insensibili. Quando si dice che uno la Musica ce l'ha nel sangue e dà del "tu" al proprio strumento, il pensiero corra all'Artista trevigiano; ora intento a smorzare i ritmi, deliziando la competente platea con la delicata melodia di See The Time, eccolo prodigarsi in un vero e proprio duetto con la sua Stratocaster, a volte relegata al controcanto, altre autentica voce solista, da cui veniamo rapiti grazie al mood di sospensione in grado di esprimere i giorni felici della nostra gioventù. Che una tale peculiarità sfugga alle masse è un dato di fatto, eppure la tenacia è sempre premiata, oggi con un applauso spontaneo che scaturisce anticipatamente rispetto alla conclusione del pezzo e di lì a poco ripetuto per l'esecuzione magistrale di Red House. Superfluo forse ricordare come nel 1998 Marton abbia trionfato a Seattle presso il Jimi Hendrix Electric Guitar Festival, unico europeo peraltro nell'albo d'oro della manifestazione a potersi fregiare di tale titolo, ma i sette minuti lungo cui si snoda l'esecuzione del classico tratto da ARE YOU EXPERIENCED sono lì a dimostrare e confermare se mai ce ne fosse bisogno, innanzitutto la bravura del Chitarrista e, in seconda istanza, il perché di siffatto premio.

Tolo infatti non si limita ad imitare, l'errore più grave che si potrebbe commettere di fronte a brani di per sé immortali, ma inventa, spinge, sprinta e decellera come solo i grandi, senza rinunciare a mettere il proprio imprimatur con il suo modo, unico in tutto il mondo, di estrapolare dalle sei corde note e colori che neanche Hendrix. My Place Is Close To You sembrerebbe così una dichiarazione di intenti rivolta proprio all'indimenticabile genio della sei corde prematuramente scomparso nel 1970 se solo non si conoscesse la proverbiale modestia del nostro guitar hero, tanto schivo e riservato nel quotidiano quanto determinato e grintoso quando si tratta di aver un jack e una spia accesi: vibrante e costantemente sul filo del rasoio per intensità, è l'ennesimo brano ripescato dal suo esordio solista su lunga durata a macinare chilometri lungo la strada del cradle rock. "Quando ho iniziato a suonare la chitarra, la prima volta che mi è capitato di prendere in mano uno strumento a sei corde, eravamo nel 1966 e la prima cosa che ho incominciato ad imparare è stata questa cosa qua..." e parte l'inconfondibile La Resa Dei Conti, brano che darà il via ad un sentito omaggio al Maestro Morricone attraverso un medley personalissimo che si dirà concluso solo dopo esser tornati al tema de Per Qualche Dollaro In Più.

Degni compagni di questo polveroso viaggio nel West, De Marchi e Dal Farra assecondano l'estrosità di Marton senza mai rubare la scena e anzi, piegano nuovamente la propria bravura di fronte a The Ballad Of High Noon, brano portante della colonna sonora di Mezzogiorno Di Fuoco di Fred Zinnemann, perfetto gemello rispetto al precedente episodio cinematografico in musica. Ciò che viene annunciato come l'ultimo pezzo è probabilmente l'esempio più rappresentativo dello stile complesso e personalissimo di Tolo che con gli anni si va sempre più definendo. Su queste pagine abbiamo già affrontato l'immaginifico e commovente landscape sonoro di Alpine Valley con parole che lo stesso Tolo non ha esitato ad apprezzare direttamente, segnalandoci come la frase a suo tempo usata ("...suo caratteristico e personalissimo suono elettrico ottenuto quasi "per sottrazione", con le note che vengono letteralmente estratte dalle corde attraverso le proprie dita, conferendo così una leggerezza unica all'insieme" - ndr.) "mi ha molto colpito perché nessuna era mai riuscito a descrivere così bene certe situazioni che escono dal mio modo di suonare." Ebbene, anche questa sera le chiacchiere stanno a zero. A volte non basta solo ascoltare: bisogna vedere per capire. Tutta questa meraviglia sonora viene  così nuovamente offerta alle decine di fortunati appassionati che esplodono in un convinto applauso costringendo il trio ad un paio di bis necessari per chiudere ulteriormente in bellezza. Le note leggere di I'm Going Home sono ben presto spazzate via dall'irruenza nervosa e spastica di Manic Depression che regala gli ennesimi fenomenali assoli conditi da improvvise impennate da standing ovation, sempre eseguiti con una sicurezza e una padronanza dei propri mezzi davvero impressionante e non comune. E se realmente appartenesse ad un'altra razza? Beh, non ci sorprenderebbe affatto. Il vero stupore è rendersi conto che siamo solo a metà serata...


Andrea Barbaglia '11

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venerdì 6 maggio 2011

ARIA
Gianna Nannini
- Polydor - 2002

La frequentazione intensa degli ultimi anni con la scrittrice Isabella Santacroce ha portato l'immarcescibile Gianna Nannini alla stesura dei tredici episodi che vanno a comporre il suo vulcanico tredicesimo disco in studio, quattro anni dopo il chitarroso CUORE. Anticipato dal pucciniano singolo omonimo Aria, già presente con qualche leggera modifica nella colonna sonora di Momo Alla Conquista Del Tempo dodici mesi prima, il nuovo lavoro dell'artista senese è un altro passo avanti all'interno della sua vasta e brillante discografia. Più elettronica, affidata al glaciale Christian Lohr, a contaminare le chitarre sempre in bella evidenza; testi post atomici e dal sapore pulp grazie al contributo della già citata Santacroce. In poco meno di un'ora la Nannini sciorina un repertorio che va dall'effettato Volo di apertura, al secondo estratto fieramente rock di Uomini A Metà, le cui aperture ariose del ritornello vengono sostituite dalle frammentate costruzioni elettro-meccaniche, a tratti jungle, di Dj Morphine, secca e disperata caduta negli inferi del cd, fino a raggiungere il trip hop conclusivo di Nuova Era, non così lontana dai primi vagiti musicali di fine anni '70. Su tutto trionfa una volta ancora la voce dell'artista senese, rocker di lusso, dalla mai completamente riconosciuta caratura internazionale, ben più V-E-R-A di tante popstar spacciate per signore della canzone alternativa durate l'istante di uno sbadiglio. Comunicativa nella sognante Sveglia, Gianna tocca altissime vette nell'eccezionale trittico affidato a Immortale, Meravigliosamente Crudele (con un indiavolato mandolino ad opera di Mauro Pagani) e alla spirale ipnotica di Amore Cannibale, perle straordinarie e  vertici di un album davvero hors catégorie che mai si adagia, ma anzi sgomita, vive di slanci sinfonici e conduce l'ascoltatore a spiccare spericolati voli oltre ogni umano ostacolo, frenetici ed estatici. Seppur disseminata di beat e chitarre sferzanti, Mio ha una sezione orchestrale, affidata alla London Session Orchestra condotta da Gavin Friday, che mette i brividi mentre le parole mescolano sensazioni cyborg a sapori sensuali. L'arrangiamento acquatico-digitale di Crimine D'Amore posiziona una volta ancora sotto un cono di luce la voce, a tratti effettata a tratti pulita, inserendo a metà esecuzione un buon assolo di chitarra, necessario e gradito contraltare sonoro che per un istante cattura la nostra attenzione. Una moderna Avventuriera in tenuta quasi jungle è quanto confezionato dall'abito cucito dal solito Lohr e che veste Battiti E Respiri mentre nuovamente orchestra e moderno sound si sposano consapevolmente di fronte a Un Dio Che Cade. Chi si aspettava una copia del precedente e fortunato CUORE, tutto chitarre e  attributi, forse storcerà un pò il naso; chi è avvezzo ad aggiornamenti nel sound per continuare a sperimentare con intelligenza e curiosità senza adagiarsi sui comunque meritati allori, battezzerà ARIA lavoro entusiasmante e ricercato. Dopo aver toccato il cielo, il prossimo passo sarà guardare dentro l'anima.    

lunedì 2 maggio 2011

BUBBLEGUM
Clinic
- Domino Records - 2010

Sesto album e sorprendente cambio di rotta per i quattro medici di Liverpool. Spinto dal tenero e, forse proprio per questa ragione, così maledettamente efficace puppet-video ad opera di Peter Fowler, il singolo I'm Aware riesce nella non semplice impresa di intercettare in questo scorcio di secolo una nuova fetta di pubblico al di là e al di qua della Manica rallentando per l'occasione i ritmi, solitamente più punkeggianti e nervosi, e facendo affidamento ad una sezione archi arrangiati dal produttore John Congleton, già al fianco di Black Mountain, The Polyphonic Spree, St.Vincent e This Will Destroy You tra gli altri. La dolcissima Baby ricalca un pò questa nuova avventura sonora dei Clinic, accattivante e catchy. Si prosegue su binari consolidati con la title track, accesa prima dalla sventagliata wah-wah iniziale, mentre Ade Blackburn, frontman e chitarra ritmica, sussurra il testo alle nostre orecchie criptico, e dalla batteria "piena" di Carl Turney poi, protagonista successivamente pure in Lion Tamer, un ritorno all'antico art sound, seppur aggiornato, con l'inserimento di tastiere ed effetti che contribuiscono a dargli nuove sorprendenti sfumature. Sfumature di varia natura: in Milk & Honey il ritmo caraibico-campestre si fa pervadere dal suono di tastiera e da un rilassante intervento di chitarra acustica ad opera dello schivo Hartley. Linda è in buona sostanza una ballad per sola chitarra e voce, riverberata, qui contaminata da macchine e archi per un risultato celestiale. Con questi sei brani termina a questo punto ciò che tempo fa si sarebbe correttamente definito come lato A del disco. Una pausa prima di addentrarci nella side B giunge con il misterioso racconto di Radiostory affidato alla voce dell'amico Jason Evans; è un intermezzo musicato dai Clinic che riconquistano presto le redini del gioco a partire dalla mescolanza di suoni e stili presenti in Forever (Demis' Blues), davvero grande qui il lavoro del buon Brian Campbell al basso e all'accompagnamento vocale, ed Evelyn, introdotta addirittura da uno xilofono prima di sciogliersi in un rock elettro-garage. Ancora spazio alla contaminazione con gli strumenti più disparati in Another Way Of Giving poi via, allacciate le cinture, si parte! Destinazione? Lo spazio siderale in compagnia de Un Astronauta En Cielo, unico strumentale del cd e dall'anima trip hop. Veniamo catapultati nuovamente sulla Terra giusto in tempo per ballare il valzer sbilenco di Freemason Waltz e solo qualche istante prima di concludere questo pirotecnico viaggio tra galassie zuccherose e pianeti sconosciuti affidandoci all'introspettiva riflessione di Orangutan. Tanta la carne al fuoco dunque, eppure ha già da tempo superato abbondantemente la prova live, sia in patria che all'estero. Dai Clinic viene, in ultima analisi, la prova provata di come si possa rischiare, cambiare pelle, rinnovarsi anche dopo diversi anni di attività pur conservando le proprie caratteristiche di sempre. Certo, è questione di stile. E questo non tutti possono permetterselo. Cheers guys! C u soon! 

un link al seguente post è presente qui: http://www.facebook.com/Clinic e qui: http://twitter.com/#!/clinicvoot

domenica 1 maggio 2011

30-04-2011
- NAIF live @ Maison Musique -
Rivoli (TO)

Localizzata all'interno di un pregevole contesto scenico che appaga anche gli occhi, la Maison Musique è davvero una interessante location musicale presso cui ristorare il corpo e la mente. Diversi ambienti, tutti nello spazio di pochi metri, consentono un completo e distensivo viaggio sonoro pre e post concerto, come purtroppo capita di rado. Aver così modo di ritrovare Naif proprio qui, dopo lungo tempo e in seguito al suo meritato successo in terra francese dei mesi precedenti è più di un caso: sicuramente vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole. Noi, grati di tutto questo, più non dimandiamo. Da una quindicina di giorni è stato pubblicato il nuovo cd LE CIVETTE SUL COMÒ e il suo battesimo live sul suolo italico si è già compiuto sia nella capitale sia a Milano con tanto di gradita ospitata dell'amica Paola Turci e di recensioni estremamente positive che ingolosiscono un pò tutti i suoi fan.

Mentre il fedele
Naifunklub si è già organizzato per tempo schierandosi nelle prime file dell'auditorium, qualche istante prima del concerto di questa sera la stessa Naif compare, un pò a sorpresa, per salutare amici e conoscenti negli spazi antistanti il sorprendente bar da cui, dopo un rapido drink, tutti si spostano per dirigersi in sala. Buio. Poi una voce. Quella da crooner di Claudio Bovo registrata per introdurci, beffarda e sarcastica, una scoppiettante versione di Parto Per La Luna, primo singolo del nuovo lavoro che vede il power trio composto da Christine, Momo e Manouche trovare affiatamento all'istante mentre il pubblico, costretto dalle poltroncine, prende divertito le misure sulla serata. "Buonasera, benvenuti nel mio villaggio!" Dopo una breve presentazione della serata che ci attende, l'invito esteso a tutti, anche ai suoi musicisti: "...Manouche, entriamo nella foresta..."

La cadenzata La Festa Delle Lucciole permette alla giovane valdostana di giocare col suo basso, suonato, abbracciato, coccolato e assecondato con carica funk prima di passare alla esorcizzante Una Giornata Triste, concreto esempio di interazione diretta con il suo pubblico, che già l'ha mandata a memoria e la canta come se si trattasse di un vecchio classico, ed ennesimo estratto dal nuovo album suonato quasi per intero al termine delle due ore di live. Un pezzo a cui si dichiara essere molto legata è Lasciami Sognare Un Pò, scritto in una mattinata casalinga, a letto, e successivamente pensato perché venisse interpretato addirittura da Giorgia, fonde le capacità strumentali e vocali di Naif con una piccola, ma deliziosa coreografia mimata per continuare a volare, appesa ad un filo, accanto al suo Amore.

Manouche centellina lampi di classe pura nelle note introduttive della passionale e rockeggiante È L'Inferno che vede agitarsi il fin qui composto parterre e mostrare i muscoli al trio sul palco. Ci si ricompone con L'Uomo Delle Poche Parole, dedica per tutte quelle persone che sì parlano poco, ma che in realtà nascondono per una forma di innata pudicizia grande saperi e sagge verità a differenza di quanti invece, tracotanti e sciocchi, amano aprire la bocca solo per darle fiato; facile vedere nel protagonista della canzone il ritratto affettuoso di papà Herín. Applauso obbligato per l'ospite della serata: l'armonicista Dave Moretti duetta con la band e il centinaio di paganti sulle note di Menestrello Da Strapazzo, rivisitata e corretta sempre secondo i dettami dell'ultimo lavoro in studio e ora dilatata nel finale, ottima occasione per una improvvisata jam session.

Momo si segnala, oltre che per le mille facce che solo i batteristi sono in grado di assumere mentre suonano, per una generosa prestazione che consente a Naif di abbandonare il basso, ballare, incitare la gente e portarsi al pianoforte accompagnando il tutto dalla nuova postazione raggiunta. Pubblico in delirio! Eppure, senza nulla togliere a quanto abbiamo assistito fino ad ora e a ciò che di lì a poco ascolteremo nel proseguio della serata, l'apice del live arriva proprio in questo istanti. Capolavoro, almeno per chi scrive, de LE CIVETTE SUL COMÒ, Annarosa pietrifica dall'emozione, lucido e nostalgico ritratto di un'Italia tanto contadina quanto montana che le nuove generazioni  non potranno mai conoscere, omaggio e ode in musica ad una vita d'altri tempi di cui oggi restano solo poche tracce: un corso d'acqua, un lavatoio, forse una nonna.

E se a cotanta classe sommiamo l'e-c-c-e-z-i-o-n-a-l-e ed imprescindibile Perlina non resta che una sola cosa da fare: dar libero sfogo ai propri sentimenti, piangere, ridere, emozionarsi. Irreale il silenzio con cui vengono eseguiti in sequenza i due brani, solo piano e voce ricordiamolo, e liberatorio è lo scrosciante applauso che le accoglie.  Brividi. A stemperare l'atmosfera ci pensa una ancora emozionata Naif con la presentazione dei suoi rientranti compagni di palco, Momo al cajon e Manouche sempre all'acustica, con cui si dà vita alla divertente Ho Perso Una Canzone, quella "bella", quella "scritta per vincere Sanremo", smarrita, ahimé chissà dove, anche se noi, ne siamo certi, sappiamo verrà ritrovata e allora... non ce ne sarà per nessuno!! Nell'attesa, ci accontentiamo di un accenno a Hit The Road Jack  prima del divertente siparietto con Manouche, in versione schiavo vessato dalla tirannica marchesa Naif, che precede la sempre affascinante Goccia una volta ancora impreziosita in sede live dall'assolo di kazoo.

Faites Du Bruit ormai non solo è il brioso invito che Naif rivolge a tutti quanti i suoi sostenitori, ma è divenuto il colorato messaggio posto in bella vista su alcune t-shirt da ora in commercio quale omaggio visivo alla Nostra che dirige ancora una volta i cori del pubblico. Una rapida accordatura di basso mentre Momo e Manouche iniziano a jammare e nasce una cattivissima versione di Io Sono Il Mare, priva delle tastiere che solitamente la introducono, ma mai così vibrante ed esplosiva come questa sera, con la bionda cantante che amalgama questa insolita carica rock con il groove funk che scorre dentro lei e con il pubblico che esplode in un ruggito finale decisamente adeguato. Entusiasmante. Che poi Goodbye London abbia trovato spazio sul nuovo cd pare sia merito anche dei
nostri inviti pubblici (ma allora è vero che Christine & C. ci leggono?!?) e privati, ed il calore con cui le persone, ormai completamente in balia del ciclone Naif, ne accompagnano il ritmo contagioso con i piedi e con le mani testimonia di come sia stato tutt'altro che un azzardo: braviSSima!

Due i bis: con un Momo estemporaneo suonatore di xilofono, l'omaggio alla Canzone italiana viene assicurato da Gaber e dalla sua Lo Shampoo nelle cui portanti pieghe teatrali piace scorgere, chissà?, sviluppi futuri a cui Naif non potrà sottrarsi. Per par condicio, evidente tributo alle proprie radici di confine, ecco infine la Piaf di Non, Je Ne Regrette Rien, decisamente grintosa e adeguata conclusione di un live una volta ancora diverso dai precedenti, sempre coinvolgente, appagante e, a suo modo, taumaturgico. Che poi a conclusione dello stesso si continui a parlare di Musica con la stessa Naif, l'inarrestabile Momo, il sornione Manouche e quanti decidono di fermarsi ancora per diversi minuti preziosi, beh, è un'altra magia per molti, ma non per tutti. E domani, che giorno sarà? Io prometto di guardare lontano.

Andrea Barbaglia '11

un link a questo report è presente insieme a molto altro qui: http://naifunklub.blogspot.com/2011/06/tornati.html