mercoledì 30 ottobre 2013

l'intervista

ILVOCIFERO: TRA NICHILISMO E POESIA
 
Solitamente a fine anno uno sguardo ai mesi che ci hanno accompagnato a ridosso dell'inverno diventa tappa quasi obbligata. È tempo di consunti e di bilanci. Nell'anno 2013 IlVocifero non solo si candida, ma a detta di chi scrive, guadagna a piene mani la palma di miglior realtà musicale espressa oggi dal nostro paese. Una forza della natura così viscerale e visionaria, solo in apparenza misteriosa, che, come ci racconta Walter Somà, sintetizzando diversi percorsi umani concepisce un modo nuovo di rapportarsi con la realtà e le sue convenzioni. Senza fare sconti a nessuno. Neppure a sé stessa. Questo è IlVocifero. Persona plurale. Unica. Trina. Molteplice.
 

Chi o cosa è IlVocifero? Come, dove e quando comincia l'avventura tua in compagnia di Aldo Romano e Fabio Capalbo?
Walter: IlVocifero è prima di tutto Aldo, Fabio e Walter che in maniera un po' atipica fanno uscire questo disco.  L'idea è che questa esperienza artistica possa poi esistere anche attraverso altre espressioni ed altre persone che in qualche modo ne estendano la voce. La musica rimane comunque il nucleo centrale. Ed una poetica da cui partire. Già ora, per esempio, esistono delle stringhe di fumetto disegnate da Giovanni Rabuffetti, fumettista geniale, in cui IlVocifero è un personaggio che dà vita a parole di Aldo. Mi piacerebbe che IlVocifero fosse un contenitore aperto, che quindi non contiene; una casa che puoi frequentare. Con Aldo del resto ci si conosceva da sempre. Siamo entrambi di Settimo Torinese, città a cui abbiamo dato i natali. Poi ci siamo persi di vista per tantissimi anni; anni in cui sentivo sempre un senso di sospensione nei suoi confronti. Una sorta di incompiuto, che volevo compiere. Ci siamo ritrovati ed in un paio di giorni abbiamo suonato le canzoni del disco. Come se già esistessero. Ma, a parte tre, esse non esistevano. Lampo. Con Fabio invece ci siamo conosciuti qualche anno fa, per via del progetto solista di Edda. Io con Stefano avevo scritto tante canzoni prima del suo esordio con SEMPER BIOT e Fabio ha avuto l'intuizione di andarselo a cercare per proporgli una pubblicazione per Niegazowana dopo che per una quindicina di anni era sparito. Siamo subito diventati molto amici. Fabio ha a cuore la purezza delle cose. Quindi immaginati che vita fa!? E questa cosa la cerca per esempio nella musica oltre che nei lavori come regista, quindi è stato perfetto così: ci siamo capiti.

Dopo diversi anni e, appunto, ben due album con Edda realizzati tutto sommato dietro alle quinte, cosa ti ha spinto a passare dall'altra parte della barricata? Perché questa volta passerai dall'altra parte, vero?Walter: In realtà rimango sempre dalla stessa parte della barricata... che è la parte in cui c'è l'ispirazione iniziale, la scrittura, la progettazione, la produzione, ecc... Non ho spinta a suonare dal vivo se è questo che intendevi e mi soffoca un po' l'idea. Di spinta ne ho invece tanta a scrivere canzoni e ad attivare realtà, con l'idea che possano poi anche camminare senza di me. Da questa parte della barricata c'è un mondo intero pieno di altre barricate. E dietro il "dietro le quinte", c'è il muro del teatro. Oltre al quale c'è tutto. Qualcosa poi, toccato in forma d'arte, finisce dalla strada, dalla casa, dal prato, dal supermercato sul palco. In sostanza, scavo buchi cercando di aprire varchi.
 

Nei mesi passati siete saliti sul palco della Cooperativa Portalupi, nel Pavese, per quella che è stata la data zero; poi il silenzio. Come si articolerà il tour e in che modo pensate di portare dal vivo un album comunque complesso come AMORTE?

Walter: Bella domanda.  Oltre a Fabio alla batteria e ad Aldo alla voce c'è l'Ensemble Vinaccia che ha anche suonato tutto il disco e che seguirà dal vivo il progetto. Stiamo anche verificando l'inserimento di una voce femminile che affianchi Aldo dove serve. Dorina ora vive in Germania e sicuramente qualche volta verrà sul palco. Stiamo comunque facendo fatica a trovare spazi in cui suonare. Anzi, se qualcuno ci vuole aiutare ci chiami! L'etichetta Niegazowana sta cercando un ufficio booking, ma anche questa sembra una cosa molto difficile. Questa è una area di cui non riesco ad occuparmi.
 
Di questi tempi trovare un lavoro discografico in cui produzione e missaggi non siano all'altezza della situazione è abbastanza raro. Qua a far la differenza rispetto ad altre uscite assai ben curate è la resa sonora che per quanto in presenza di un album ricco di umori, risulta sfacciatamente calda, "sporca", quasi ci trovassimo di fronte ad un live non dichiarato.
Walter: Credo che moltissima resa sonora del disco dipenda dal grande qualità del lavoro di Davide Tessari che ha seguito tutto il progetto come fonico, tecnico di studio e nel mixaggio. Ha colto in profondità l'essenza del progetto e di fatto ne è entrato a far parte, suonandoci anche. Nella lunghissima lavorazione del disco Davide è stato il perno sicuro attorno cui sono girate tutte le diverse fasi. Stiamo valutando di fargli un monumento. Ci interessava comunque esprimere una profondità ulteriore rispetto al suono degli strumenti e della voce. Come recuperare un ambiente molto nostro.

Ci sono dei punti fissi in questa avventura musicale?
Walter: Forse l'amore? Forse la morte?
 

E nel mezzo?
Walter: La volontà e la ricerca di coscienza.
 
Con che criterio vi siete orientati per la scelta delle canzoni? Cos'è rimasto nel cassetto?
Walter: Come ti dicevo, a parte tre mie canzoni che Aldo aveva sentito e che mi propose di fare insieme, ed un brano che Aldo aveva ideato con un suo amico, il resto l'abbiamo messo a fuoco all'istante. È comparso ciò che serviva. Compresa una improvvisazione che Dorina aveva registrato al volo e che voleva buttare. Me la feci regalare e ci lavorammo su. È Lucyd, il primo singolo. Nel cassetto? Restano molte canzoni che noi non abbiamo ancora sentito.
 
Per quanto stratificato AMORTE è un disco diretto, in cui i sentimenti vengono messi a nudo. Perché cantare l'amore?
Walter: L'amore è il tema totale, secondo me. La lente attraverso cui guardare tutto e la chiave per decifrare le cose. Quando non c'è ne senti la potenza in virtù della sua assenza. È provenienza e destinazione; è l'interrogazione che ti fa capire molto bene come sei messo. Mi riferisco all'amore in senso ampio, non solo ciò che riguarda le relazioni umane. L'amore come spinta costruttiva, una linea che, almeno secondo me, porta ad una idea di Dio. Ed io ne devo fare ancora tantissima di strada. Spero di averne il tempo. Non mi hai chiesto della morte. Hai fatto bene.

 
Non ti ho domandato della morte perché, a mio avviso, non è un sentimento, ma uno stato, una condizione, per l'esperienza che ci è dato fare, immutabile. Però rimedio all'istante: perché cantare la morte in un mondo che continua in fin dei conti a temerla, forse davvero ultimo tabù rimasto per l'essere umano?
Walter: È vero, anche se in effetti la morte, in questo nostro lavoro, penso si possa intendere in maniera più simbolica. Come per esempio in Lucyd quando scrivo "nei movimenti che fai, l'amore ha uno strano sapore di morte e ti vedo senz'anima. tu dove sei? ti voglio vivo. senza libertà l'amore è una malattia." In questo caso la morte è la non presenza a sé stessi, la mancanza di libertà, la dipendenza e temi di questo tono. Come faccio ad amare pienamente se non ho il governo della mia esistenza, se sono stato schiavo delle abitudini ("dell'abitudinario siam proprietà privata", scrive e canta Aldo), se passiamo l'esistenza in uno stato di vita apparente come morti viventi? È camminare sui binari che non sono i tuoi. Parliamoci chiaro: c'è una imposizione. Un lavaggio del cervello da quando sei bambino e neanche sai parlare. Una induzione continua. Un falso sé calcificato. Ricordi? "Tu dove sei? Io sono qua. Ciao ciao bambino, fango di dio."
 
L'avere oggi tra le mani il disco che volevate realizzare, provocatorio con raziocinio, sincero e senza compromessi,  può risultare controproducente da un punto di vista commerciale oppure è lì a testimoniare la bontà del vostro operato?
Walter: A noi interessava essere liberi e fare una opera che rappresentasse ciò che avevamo dentro. Mi chiedi se è controproducente da un punto di vista commerciale, ma io non so neanche se esiste un commercio musicale. Il tempio è stato occupato alla fine. Ci si è rinchiusi dentro a vendere e comprare. Anche icone sacre. Molti sono rimasti fuori senza soldi e senza prodotti. Gli altri, dentro, sono come in preda ad un delirio di cannibalismo. Finite le cose da commerciare e dediti ora al consumo della carne a volte, sotto ipnosi, spingiamo anche per entrare nel tempio e partecipare, dimenticando o non sapendo che significa dare sangue. Nel senso horror del termine. Sarebbe bello invece creare isole a cielo aperto dove non c'è commercio, ma scambio teso a costruire.
 
Qua e là se ne fa cenno: IlVocifero ha fatto esperienza di Dio?
Walter: Dio è una musa ispiratrice.


E come tale deve avervi guidato attraverso il caleidoscopio di emozioni scaturite dal cd. Rock, teatro, musica popolare, jazz e canzone d'autore: questo e molto altro si trova nel vostro esordio. Avevate messo in preventivo di partorire un'alchimia così intensa?
Walter: L'intensità sicuramente. Ma non c'era in preventivo una idea legata ai generi. Io dall'inizio dicevo che avrei voluto trovare un punto di incontro tra Sex Pistols e Pink Floyd! Tra l'attitudine nichilista e una poetica visionaria e trascendente. Tutto qui. Per quel che riguarda strettamente la musica c'è una apertura mentale completa. A me non interessa una codifica.
 
Nella vita un po' di scotto da pagare devi probabilmente metterlo in preventivo: tu, come dicevamo, hai lavorato con Edda e Aldo, personalità uniche e genuine in questo senso.
Walter: Aldo Romano e Edda, sono persone con cui sento una forte connessione spirituale, di intimità. Grande amore che si esprime in uno spazio di libertà che trascende il carattere. Ci siamo sempre dati tantissimo, vicendevolmente. Una continua inversione di ruoli. Così come con Dorina, con cui lavoro tantissimo. Siamo tutte persone pesantissime e leggere al tempo stesso.
 
Perché a tuo avviso c'era necessità di un lavoro come quello de IlVocifero?
Walter: Per diversi motivi. Io personalmente avevo bisogno di fare un lavoro molto forte ed occuparmi dell'intero processo della realizzazione di un disco. In Italia, anche se magari passerà quasi inosservato, credo che servano lavori come questo. Trovo che AMORTE abbia una grande carica eversiva, nel senso di rovesciare il tavolo, incarnare una diversità. Credo che parole come controcultura, underground, poesia e la bellissima parola "indipendenza" siano, nel nostro contesto, ben rappresentate. Così come follia e voglia di comunicare. Quindi vi avviso che se ci chiamassero a Sanremo o nel carcere di San Vittore a portare AMORTE, ci si va. A San Vittore con messaggio d'amore; a Sanremo come detenuto in sciopero della fame che vuole comunicare un messaggio legato al diritto.


L'apertura a collaboratori esterni è stata naturale trattandosi di amici prima ancora che musicisti; chi fra loro ha saputo meglio calarsi in questa realtà?
Walter: Mah, direi tutti. Ognuno a proprio modo. I ragazzi dell'Ensemble Vinaccia sono stati fantastici e ci hanno addirittura accolti  in casa loro recependo un approccio musicale completamente diverso da quello a cui sono abituati. Carlo Sandrini ha scritto gli arrangiamenti per archi e fiati con una tale vicinanza che sembra cresciuto con noi a Torino! Edda e Gionata Mirai sono fatti della stessa pasta de IlVocifero, ci si conosce bene e non avevo nessun dubbio sugli esiti. Mi viene da dire qualcosa in più su Dorina. La sua presenza è stata molto forte. In questi giorni abbiamo fatto le riprese del singolo Lucyd, con Fabio alla regia, e salta all'occhio subito quanto sia dentro allo stesso tipo di energia. Con lei sto lavorando al suo disco solista insieme proprio a quel Carlo Sandrini di cui sopra. E mi colpisce quanto siano sottili i confini di questa comune esperienza artistica e umana.

In apertura a questa chiacchierata affermavi "mi piacerebbe che IlVocifero fosse un contenitore aperto, che quindi non contiene. una casa che puoi frequentare". Chi pensi accoglierà l'invito a far parte di questa famiglia allargata?
Walter: Ah, non ho idea... A me piacerebbe molto lavorare con gente giovanissima perché credo che ci siano delle energie accesissime là in mezzo. Ma anche con persone anziane.  Come area di azione sono spesso attratto dall'idea di operare per esempio con gente del mondo del teatro perché penso che sia uno dei pochi ambiti in cui si riesce ad osare di più. Invece una persona con cui sarebbe bello fare qualcosa è Silvano Agosti, ma lui ancora non lo sa. E se anche tu hai qualche proposta sappi che è ben accetta!

Guarda che ci penso sul serio?!
Walter: Perché no? Magari potremo fare qualcosa. Intanto però ti ringrazio tantissimo per l'attenzione e la disponibilità. ...Che dire? Sei stato paziente!

Andrea Barbaglia '13

martedì 22 ottobre 2013

L'ALVEARE

L'ALVEARE
Le Maschere di Clara
- Metro Music Network - 2013

Dopo ottimi riscontri a livello di critica del precedente ANAMORFOSI che aveva colpito attraverso il passaparola gli ultimi attenti fruitori di musica, il trio veronese de Le Maschere di Clara torna sul luogo del delitto con un album che è anzitutto un regalo proprio a quanti, fedelissimi, vivono la Musica come un qualcosa di imprescindibile anche in questi anni di difficile affermazione sulla scena, dando alle stampe addirittura un vinile, in parte ideale seguito del precedente platter, in parte lavoro sempre ambizioso, ma a sé stante. Con una dedica per ciascuna delle nove tracce ad altrettanti poeti e scrittori capaci di fare grande la nostra Italia con il laborioso operare nella quotidianità delle loro vite L'ALVEARE incapsula tutti gli elementi già noti della band veneta e, ora concentrandoli, ora sviluppandoli, produce nuova linfa ampliando il proprio bagaglio artistico. L'esperimento assai naturale di includere dove necessario un quartetto d'archi che veda nelle proprie fila il già celebre conterraneo Andrea Battistoni, salito agli onori delle cronache per essere stato il più giovane direttore d'orchestra ad aver calcato il podio del Teatro alla Scala, è novità che stuzzica la fantasia, ma forse non la più rilevante. Le intricate trame musicali di Rasoi Di Seta, con la voce di Laura Masotto a introdurci nel primo capitolo dell'lp, ci precipitano in una realtà di morte e rinascita in cui è il violino a svettare alto nell'aria nera e carica di elettricità mossa dal violoncello greve di Battistoni, anche se sono i martellanti rintocchi di basso e batteria a lacerare l'oscurità. Il Fu Mattia Pascal e Notturno, due motivi in cui compare il quartetto, sono pagine e partiture scritte da un Lorenzo Masotto, bassista nonché fratello di Clara, in gran forma, capace di tradurre in musica il proprio io artistico arrangiandolo con i suoi compagni di viaggio. La prima, ampiamente strumentale, riflette con ricchezza di particolari le capacità strumentali mai nascoste della band; la seconda, ancor più strutturata, concentra l'attenzione sulla maestria del piano e degli archi qui al servizio di una melodia raffinata che tratteggia una love song anomala fatta di silenzi e sinfonica incisività. "Estrapoliamo ogni nostra emozione interna cercando di ridipingerla su enormi tele musicali" - spiega Lorenzo - "Dover per forza dare un nome a un genere porta inevitabilmente l'ascoltatore a non essere libero di guardare oltre." Così, per evitare facili classificazioni, ecco che il pianoforte diventa espediente atto a introdurre, lieve, la leopardiana A Se Stesso, per poi ceder il passo in un'aura classicheggiante a un basso distorto, grasso e dark, recuperato dalla new wave anni '80 di Joy Division e primi Litfiba. Viene decisamente promossa a pieni voti l'armoniosità progressive di Fatti Non Foste A Viver Come Bruti la quale, oltre a farci apprezzare una volta ancora le doti recitative di Vittorio Gassman nell'introduzione estrapolata dal celebre spettacolo del grande mattatore sull'Alighieri, condanna definitivamente chi utilizza il dono dell'ingegno in maniera spregiudicata. C'è spazio per l'opera, con il mezzo soprano Alice Marini chiamata ad aprire e chiudere con l'aria Lascia ch'io pianga di Händel le sofferenze e gli orrori a cui Se Questo È Un Uomo si ispira, seguendo nei contenuti le orme di Primo Levi e nella forma quelle di Mimì Clementi. La strumentale Satura, legata a Montale, Prokof'ev e all'adagio latino del castigat mores, ipnotizza tanto quanto il grido di battaglia di Collezione Di Sabbia, cavalcata a ritroso nel deserto al tempo del Lawrence d'Arabia di David Lean musicato dal mito Maurice Jarre. All'opera grafica di Gessica Tanello su disegni dell'architetto Riccardo Cecchini spetta il compito di racchiudere visivamente 45 minuti di ragionata libertà espressiva, evasione totale e concreta contemporaneità. Le Maschere di Clara sperimentano e si confermano una volta ancora realtà viva e in fermento; il pubblico non se lo dimentichi.
 

venerdì 11 ottobre 2013

IL BIANCO DEL MIGLIO VERDE

IL BIANCO DEL MIGLIO VERDE
L'Antica Fattoria dei Circuiti
- Som Non-Label - 2013

IL BIANCO DEL MIGLIO VERDE è l'album d'esordio de L'Antica Fattoria dei Circuiti, progetto solista di ambient-drone sviluppato da Samuele Palazzolo, multi-strumentista lombardo già noto agli esperti del settore per il suo passato (e presente) negli ELF, oggi deciso a far emergere dalla sua abituale tavolozza di colori sintetico-analogici tutte le sfumature del suo attuale stato di forma. Abbandonata ogni deriva di forma cantata, più nelle corde del progetto comunque sperimentale promosso in compagnia di Michele Colosio e Massimo Panella e sviluppato tra sottili melodie e accentuata psichedelia, Palazzolo abita qui un nuovo spazio, ampio e privo di confini fisici. Già Pioggia Nel Bosco, primo singolo estratto dall'album registrato in solitaria nella propria stanza sfruttando le potenzialità di un synth, un basso e un paio di chitarre, evidenzia la totale mancanza di vincoli e restrizioni, avvicinando l'ascoltatore a quello che sulla carta risulta essere una mancata colonna sonora a The Green Mile, film che nel 1999 si garantì ben quattro nomination agli Academy Awards di quell'anno rivelando al mondo intero le ottime capacità recitative di Michael Clarke Duncan, indimenticabile gigante buono, dentro e fuori il regno di celluloide, purtroppo recentemente scomparso. Chi seppe amare la versione cinematografica curata da Frank Darabont, e chi lesse avidamente l'ancora più completo plot narrativo del romanzo di Stephen King da cui il film è tratto e adattato, scoprirà nel disco del riccioluto polistrumentista atmosfere e luccicanze che si sposano perfettamente con il mood generale della storia. Sulla falsariga di quanto già viene messo in pratica con coraggio e gusto dall'Enrico Ruggeri di MUSTERI HINNA FÖLLNU STEINA, con cui Palazzolo deve essere per forza di cose in contatto, pochissime sono le sovraincisioni usate per ottenere ciò che arriva alle nostre orecchie. Non esiste del resto una formula matematica esatta che sappia ancora stabilire con precisione cosa merita di essere conservato e cosa no. È più semplicemente l'ispirazione che arriva dal silenzio, che non teme la solitudine, ma anzi la cerca e trova in lei moti creativi e suggestioni; è semplicemente la propria anima che si fa musica mentre noi ci lasciamo condurre per mano. Così l'attraversamento degli angoli più bui e oscuri della memoria nostra, di quella de Il Bianco Del Miglio Verde e di quella speculare de Il Nero Del Miglio Verde ci fa meno paura perché il ricordo del passato è vivo davanti ai nostri occhi, ma incapace di provocare angoscia reale mentre un inspiegabile senso di guarigione universale cade dall'alto. Nel luna park sospeso e sinistro gestito da Palazzolo c'è dunque un riscatto finale che rifugge le regole della vita e supera il confine della morte. È la luce fioca e pulsante verso cui tendiamo lentamente tutti, anche senza rendercene conto; è la luce sempre più forte che ci accecherà fino a farci precipitare in una spirale di condivisione e oblio. Con una sola finalità: Migliorare.
 
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giovedì 10 ottobre 2013

ANGELI E DEMONI

ANGELI E DEMONI
Rigo
- Rigo Records/IRMA Records - 2013
 
Non è solo il passato a essere glorioso per Antonio "Rigo" Righetti: davanti a sé, come sempre, c'è una strada che chiede di essere percorsa una volta ancora al ritmo di quel rock'n'roll che strega, scalda i cuori e rapisce l'anima. Tuttodunfiato e senza fermate intermedie. La musica del resto è per il veterano bassista emiliano una ossessione vera e propria, un bisogno primario. Lo ricordava anche l'ex compagno di viaggio Ligabue nella prefazione al libro Autoscatto in 4/4 che Rigo pubblicò nel 2011 allegandoci, guarda caso, un cd dal vivo in cui andava a testimoniare fedelmente le sue scorribande sonore nei piccoli club della provincia italiana che resistono e godono nell'offrire all'ascoltatore watt di grinta e dedizione alla causa, sbattendoti in faccia se necessario (e lo è!) gli umori, il sudore e la tenacia di chi sta su quel palco come se fosse in missione per conto divino. Rigo - sottolinea Luciano - "(...) ama la musica come pochi. La ama così tanto da avere costantemente aperta una specie di partita doppia con tutti i debiti e i crediti che verso la musica ha e di cui non vedrà forse mai il saldo." E al tavolo di questa infinita partita il rocker di Modena gioca tutte le sue carte continuando la sfida iniziata con l'ep SOLO, quella del rock cantato in italiano. ANGELI E DEMONI raccoglie così il testimone di quelle cinque schegge rilasciate soltanto dodici mesi prima e permette a Rigo di tornare in sala di incisione per raccontare nuove storie di quotidiana umanità attraverso i testi letterari scritti da Sara Del Popolo e qui opportunamente rivisitati nella forma. Affiancato alternativamente dalla batteria del solito tonante Robby Pellati e da quella della new entry Tommy Graziani con cui divide i palchi nell'avventura musicale dell'ex nomade Danilo Sacco, il Fender bianco pompa, entusiasta, energia a profusione. Asseconda le staffilate di Mel Previte, leader incontrastato alle chitarre elettriche; sprinta quando necessario. L'approccio alla materia è dei migliori con le ritmate Guardando Te e Ricorderò subito in bella evidenza; nel mezzo ecco comparire invece il rigo'n'roll impudente ed istintivo di Dimmelo, primo singolo di un lavoro che rallenta un poco per far spazio alle leggiadre melodie di Incanto, occasione in cui hanno buon gioco i cori di Katja Marun, da Rovereto via Guruflex, che impreziosirà con la propria voce anche la biografica Io Non Cambio Mai, la corale Proverai e Angela (in quest'ultimo caso non accreditata). In Cosa Mi Dirai fanno capolino gli arpeggi di Federico Poggipollini, ennesimo compagno di palco che non poteva rifiutare la chiamata per questo cameo. Occasione di future tirate strumentali nelle esecuzioni dal vivo, Tra Prendere E Lasciare cita il Lou Reed di Sweet Jane, ma anche, senza volerlo, il più nostrano e meno atteso Antonello Venditti di Benvenuti In Paradiso. Se Vuoi (Perdonami) è invece un pezzo ambizioso che si insinua in maniera graduale grazie sia alla sua struttura non convenzionalmente cantautorale e marchiata dal sacro fuoco del blues sia alle suggestioni che da esso scaturiscono. Così, mentre la strada chiama, in un ultimo sguardo allo specchio arriviamo alla conclusione del cd con il messaggio di libertà condiviso da Per Volerti Cercare. Ora è tempo di andare. Con sincerità, passione e generosità. Tre qualità che non mancheranno mai a Righetti e al suo rock stradaiolo, con un'anima e una importanza sociale non negoziabili come questo disco di contrasti è lì a testimoniare. "È un mestieraccio, ma non possiamo fare a meno di farlo."
 

mercoledì 9 ottobre 2013

SHINE

SHINE
Teresa Mascianà
- Top Records - 2013
 
Ooops, she did it again. A solo un anno di distanza dall'esordio DON'T LOVE ME, a sua volta preceduto dall'ep OUT OF THERE, la giovane cantautrice calabrese Teresa Mascianà torna più agguerrita che mai con un secondo album di indie rock senza fronzoli, coadiuvata dagli inseparabili Donatori di Organo, una formazione allargata di nerboruti musicisti di talento provenienti dalla punta dello Stivale. Dopo aver portato la propria visione esterofila della musica tanto in Italia quanto, appunto, sul territorio europeo, forte della propria esperienza sul campo in qualità di sound engineer (Roy Paci, Aretuska, Il Parto delle Nuvole Pesanti) e, non ultima, grazie anche all'opportunità di aprire nelle Midlands e in Scozia per l'immarcescibile veterano della chitarra Uli John Roth, Teresa continua a tracciare con semplicità le coordinate di un rock che pare discendere dal movimento delle cosiddette riot grrrls che nella prima metà degli anni '90 incendiò la West Coast degli Stati Uniti. Ma non si tratta di imitazione pedissequa: nel lavoro della Mascianà ci sarà pure meno rabbia di formazioni come L7 o Babes in Toyland, ma questo è proprio ciò che favorisce un maggiore dinamismo e la stessa spontaneità che anima episodi come la punkeggiante Away e la genuinità riflessiva di Shine. La spensieratezza di Have A Good Time si concretizza in una linea di basso, addomesticata da Giovanni Brancati, su cui si impernia un pop rock frizzante; alla base del cantautorato folk di Melissa Knows troviamo la stessa solarità californiana a cui le bellezze naturali di Calabria nulla hanno da invidiare. La ricetta ricalca verosimilmente quanto già apprezzato in passato, ma qua e là ecco nuovi ingredienti capaci di speziare la proposta. Le novità maggiori provengono dalle tastiere di Angelo Sposato che caratterizzano la dilatazione spazio-temporale di Carry Me On e intrecciano un tappeto etereo per l'odi et amo di Crazy, in cui giganteggia pure il chitarrista Enzo Rotondaro. Ispirata alla vita del missionario monfortiano Vincenzo Troletti che ha votato la propria esistenza alle cure dei bambini del continente africano, la redhotchilipeppersiana Africa è uno degli episodi più riusciti al pari dell'ipnotico scioglilingua eritreo Gundo Senado ("insegnatomi da mia nonna reduce dalle colonie africane" ricorda Teresa) con cui si integra alla perfezione. Nonostante la scelta di cantare in inglese sia stata fino ad ora estremamente naturale, vista la musicalità delle composizioni che calza a pennello con la lingua d'Oltremanica, a grande richiesta arriva anche il primo brano cantato in italiano dalla Mascianà: Non Ci Penso Più focalizza l'attenzione sulle miserie di uno stalker perverso e confuso che sprofonda nell'oblio di un garage rock acustico e urgente. Se l'autoproduzione ha garantito una volta ancora la maggiore libertà di espressione possibile è anche vero che figure di spicco quali Kim Gordon, Patti Smith, PJ Harvey, ma anche Kate Pierson e la nostrana Angela Baraldi sono solo alcune delle molte influenze che, scavando tra i solchi di questo cd, affiorano in tutta la loro determinante essenza artistica sviluppando tra passato e presente un bel dialogo, molto personale, con l'ascoltatore. Anche questo è il rock. Compagno di vita oggi e per sempre.
 

venerdì 4 ottobre 2013

BUONGIORNO

BUONGIORNO
cocKoo
- Volume! Records - 2013

In un mondo occidentale sempre più frenetico e agitato da sollecitazioni, stimoli e distrazioni è difficile ritrovare sé stessi in qualità di soggetti pensanti. Allontanare la facile equazione che vede l'uomo contemporaneo passivo oggetto seriale, ricettivo a meccaniche stimolazioni commerciali e manipolato attivamente da neanche poi tanto occulti poteri forti è il desiderio a cui i cocKoo anelano. La band astigiana, prodotta una volta ancora da Max Zanotti, giunge al suo secondo album consapevole di come per risvegliare le coscienze intorpidite da questo coma indotto serva innanzitutto un forte scossa emotiva, capace di ristabilire una scala di valori altrimenti irrimediabilmente perduta. In questo particolare contesto sociale torna ad assume alto valore un concetto altrimenti giudicato frettolosamente in maniera negativa; quello di crisi, momento certamente di sofferenza e difficoltà, ma anche di riflessione e, in ultima analisi, di valutazione e scelta, che invita l'individuo a guardare appunto dentro di sé per ripensarsi e poter andare avanti. Gli stessi cocKoo dopo un periodo di instabilità successivo al rilascio del debut album LA TEORIA DEGLI ATOMI, si reinventa a distanza di qualche anno con una percezione del mondo differente. Smussati gli angoli delle sonorità rock con cui li avevamo conosciuti, Alberto, Andrea, Luca e Silvio svoltano lasciandosi sedurre dal synth rock anni '80 e '90 di Gary Numan e Depeche Mode. Ci troviamo in un pulsante mondo digitale fin dalle prime note di Le Distanze (Solo Lamenti) con la voce di Andrea Cerrato a sintetizzare, con quel suo piacevole taglio pop, le vocalità del miglior Francesco Renga di epoca Timoria e quella espressiva di Nek. Sembrano riferimenti azzardati e fuori contesto sonoro, ma l'impronta vocale di brani come Baby (selezionata fra le 60 canzoni finaliste di Sanremo 2013), in cui la visione del mondo è vissuta come un riflesso di ciò che possediamo dentro, Nel Bianco Dei Tuoi Occhi e La Leggenda Personale si accosta senza difficoltà a quella di Mr. Neviani. Certo, suoni e aspettative sono totalmente differenti: la dichiarazione d'amore al motore del nostro corpo contenuta in Casa, i dinamismi rock di Kafka e i ricordi filiali de La Parte Più Eterna Del Mondo trovano costruzioni elettroacustiche che risentono in buona parte della mano del loro produttore artistico anche quando più melodiche (Il Mio Corpo, freddo e etereo sguardo onirico sul tempio della nostra anima). L'aggressiva Supernova controbilancia la splendida title track, unico momento acustico per chitarra, voce e poco altro dopo la pioggia di beat, groove e melodia che costituirà anche la scia luminosa de La Cometa dall'intro tastieristico in odor di europop, ma assolutamente efficace e luminosa. C'è ancora spazio per un ultimo conclusivo pezzo, realizzato in collaborazione con Zanotti; Lady G chiude il cerchio della ricerca e spalanca la porta alla certezza e alla verità. Per cambiare il mondo circostante basta cambiare sé stessi. Solo in questo modo possiamo affrancarci dalla schiavitù di ciò che, tormentandoci, ci circonda e spaventa. In un concept album non dichiarato i cocKoo si muovono emotivamente a loro agio tra new age e spiritualismo. Non immediati, ma senz'altro in ascesa. Anche Asti è in fermento.
 
un link al seguente post è presente qui: https://www.facebook.com/pages/cocKoo/42229865732?fref=ts

giovedì 3 ottobre 2013

MULCH

MULCH
Kalweit and the Spokes
- IRMA Records - 2013

È un disco dai forti sapori autobiografici questo MULCH, secondo album per il progetto sonoro capitanato da Georgeanne Kalweit, americana di Minneapolis trapiantata nel Salento dopo gli anni milanesi al fianco dei Delta V con cui assaporò un buon successo di massa nella prima metà degli anni '00. Orfano già da qualche tempo di Leziero Rescigno, ma galvanizzato dall'ingresso in formazione di Mauro Sansone, batterista per Cesare Malfatti e Giuliano Dottori, il trio che ha in Giovanni Calella un vero e proprio asso nella manica, capitalizza l'esperienza del precedente AROUND THE EDGES affiancando al classico connubio chitarra-basso-batteria costruzioni elettroniche che ben si sposano con la visionarietà fascinosa dei testi, come sempre appannaggio di Georgeanne. È uno sguardo sul presente che non dimentica le origini, quel terreno fertile, quell'humus da cui tutto ha avuto inizio. Sono le radici d'Oltreoceano, mai dimenticate in questi vent'anni e più di Italia nonostante l'inevitabile scorrere del tempo che, lungi dal modificarle in maniera sostanziale, avanza tuttavia inesorabile, muto testimone di vite ed esperienze. Così anche se non più la bambina di una volta, la cui immagine appare comunque nella foto di copertina intenta a giocare con del muschio accanto ad una delle sue sorelline, la sensuale artista italo-americana fa il punto della situazione servendosi di tanti piccoli racconti popolati da personaggi reali e immaginari che sono la sua cifra stilistica, bagaglio cantautorale impossibile da scordare. Così la percussività di Kate And Joan svela poco a poco una quotidianità cristallizzata dall'evocativa voce della Kalweit, a suo agio con le soluzioni sintetiche, ma ugualmente asciutte che Calella innesta qui e nella solitudine specchiata di Liquor Lyles, canzone dal nervoso vibe new wave capace di usufruire di una vincente resa pop non troppo lontana dai migliori Shivaree che la candida a futuro singolo. Si viaggia a ritmo di Garbage tra le incomprensioni affettive di No Need e le memorie sospese di Appliances, folk rock alternativo, desertico e circolare, di forte impatto. Murky Stuff a sua volta è country rock sbruffone, nero, da saloon, trasfigurato sinuosamente da soluzioni elettroniche che spariscono (quasi) completamente nel sarcastico omaggio alla bambola più famosa al mondo, protagonista suo malgrado in Barbie Bit The Dust, altro episodio che meriterebbe maggiore esposizione mediatica, dall'attitudine punkeggiante e iconicamente metropolitana. Le divagazioni strumentali di Pea Green Sky confluiscono rapidamente nell'ansiogena ripetitività crepitante di Hank's Hour fino a trovare degno contraltare sonoro nel decadente recitativo che connota l'oscura Wetutanka e traendo forza tanto dalle partiture per violino affidate a Eloisa Manera quanto in quelle dedicate al clarinetto basso suonato da Nicola Masciullo. Calella si ritaglia un ruolo da protagonista nell'ampio finale strumentale di Pull The Drapes, altrimenti esercizio di stile per la voce di Georgeanne, e reinventa, affiancato dallo Gnu Quartet, un vecchio brano scritto anni fa con Rescigno. Fifth Daughter, orchestrale e cinematografica com'è in questa nuova veste, funge da ottima chiusura musicale su cui scorrono i titoli di coda di questo secondo lavoro discografico dato alle stampe dal trio italo-americano. Non c'è alternativa ai pensieri intimi e inespressi che la mente partorisce e lascia sedimentare in noi lungo gli anni della nostra esistenza. Solo suggestioni che ritornano tra melodia e moderata sperimentazione. Per capire, leggendo fra le righe, dove stiamo andando.

martedì 1 ottobre 2013

TEEN

TEEN
Glitterball
- autoproduzione - 2013

Terzo album per il duo pescarese dei Glitterball e nuovo tuffo nelle atmosfere rarefatte e sperimentali care a Giovanni Lanese e Barbara Sica. "TEEN è finalmente un disco e noi siamo soddisfatti quando accade questo perché solo così possiamo buttare un lavoro alle nostre spalle e andare avanti nella nostra personale ambizione creativa; sperimentazione non solo sonora, ma anche di temi o, se vogliamo, di forme e timbri da dare ai discorsi." Il dream pop elettronico registrato in presa diretta con due microfoni durante le prove in una saletta di Pescara questa volta smette di restare confinato in un angolo dei ricordi degli anni '80 ed esce allo scoperto andandosi a confrontare con altri suoni e altre realtà sonore. Sono da vedere in quest'ottica le contaminazioni cinematografiche di Durango, tra Sergio Leone e il minimalismo reggiano degli Offlaga Disco Pax, così come la rivisitazione destrutturata dei Ramones, qui proposti in salsa new wave, de I Is Another. L'analogic rock del primo singolo Love Is Like Water, affiancato dal promo video affidato al filmaker Fabrizo Serra alias Fricso, è episodio che si rinnova poco più avanti con il vorticoso noise meccanico di Teens And Death On Credit, mantenendo pure una suggestiva cifra sonica nell'esistenzialismo dell'ottima La Folie Baudelaire, vetta strumentale dell'album.  Un leggero afflato trip hop si insinua fra le piaghe (sì, avete letto bene, le vocali sono quelle giuste) dark di Post, romantico manifesto sonoro cantato a due voci quasi all'unisono, ad evocare concretamente quella passione, quel sentimento, quella comunione di intenti alla base del progetto Glitterball. Suadentemente sintetici in I Am The Ocean, Giovanni e Barbara calano l'asso con Suicidal, riuscendo a far coesistere gotiche ritmiche vocali con le chitarre acustiche della West Coast in uno strano, ma apprezzabile connubio fra Cure e Eagles. "Del resto le idee sono di tutti e noi siamo unici, ma anche simili a tanti; è proprio nella somiglianza che vanno trovate le differenze." Così, senza volere scomodare necessariamente i grandi della new wave anni '80, la title track Teen pur affondando le sue radici e la sua essenza in un periodo ben definito e lontano nel tempo, suona estremamente contemporanea, andando a poggiare le proprie fondamenta su un nero basso onnivoro che fagocita senza sosta note primitive e oscure armonie, contrappuntate nel finale dall'innocenza percussiva di un vibrafono. C'è tempo ancora per sopravvivere alle nostre paure con il rock elettronico di I Fouled The Bed Of Dreams prima di guardarsi attorno e accorgersi che non siamo soli. È questa la necessità di avere stimoli e impulsi esterni, sollecitazioni che il contatto, l'apertura all'altro possono solo incentivare. Diversamente, no input no output. I Glitterball l'hanno capito e, fattisi carico della loro esperienza, hanno tentato di preservarsi, autentici e genuini, nella molteplicità delle diversità. Diretti, concreti e integralisti come solo la gioventù sa essere.
 
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