martedì 24 luglio 2012

22-07-2012
- STEVE VAI @ Palazzo Bonacossa - 
Dorno (PV)

Giustamente un po' in sordina, rispetto al più sbandierato concerto dell'ennesima reincarnazione del G3 che vede protagonisti gli immancabili Joe Satriani e Steve Vai affiancati per l'occasione dal purpleiano Steve Morse, nei giorni precedenti l'appuntamento vigevanese del trio statunitense apprendiamo che la giunta comunale di Dorno, quieto paesone della Lomellina alle porte di Pavia, ha deliberato il conferimento della propria cittadinanza onoraria presso la Sala Consiliare del Palazzo Municipale al funambolico guitar hero newyorkese che, proprio come il suo maestro Satriani, tradisce fin dal nome chiare origini italiane. Steve Siro Vai. È proprio quel "Siro", secondo nome dal sapore quantomai esotico al di là dell'Oceano e d'abitudine lontano dalle cronache della carta stampata, il punto focale della questione; quel secondo nome così familiare in Lomellina e dintorni, dovrebbe invece balzare all'occhio di quanti non vivono nelle pianure lungo le sponde del Ticino, mettendo in moto quel processo per il quale la curiosità di risalire al perché delle cose porta a scoprire la storia delle persone; e "Siro" è testimonianza forte e chiarissima delle origini italiane, anzi pavesi e più ancora dornesi, del Nostro. Sì, perché di Pavia l'allora giovinetto che offrì a Gesù le proprie ceste di pani e di pesci resi famosi dall'episodio della moltiplicazione, e con il quale Siro viene identificato secondo leggenda, è il santo patrono. E per lui, da quelle parti, si mantiene da centinaia d'anni una devozione giustamente particolare. Basti pensare che non molto lontano da Dorno sorge addirittura l'abitato di Borgo San Siro, piccolo paesello sulla strada di collegamento tra Vigevano e Garlasco, non lontano dal ciglio del terrazzo che delimita la valle alluvionale del Ticino.

In quanto famiglia di emigranti, non si fa fatica a ipotizzare come i Vai, cognome assai diffuso nel Pavese, una volta sbarcati in America, abbiano voluto battezzare il piccolo Steve anche con un secondo nome a loro estremamente familiare e affettuoso (lo stesso nonno di Steve nato a Dorno nell'ottobre del 1887 in via Lazzaretto, si chiamava per l'appunto Siro), ricordo di quella terra natale ora lontana, ma mai dimenticata. Poi gli eventi della vita fanno il resto. Nell'arco di pochi lustri, a partire da fine anni '70, il piccolo Steve, classe 1960, compare già accanto all'inarrivabile Frank Zappa, sostituisce senza colpo ferire il dimissionario Yngwie Malmsteen negli Alcatrazz di Graham Bonnet, realizza il primo album solista (FLEX-ABLE) e ha il non facile compito di rivaleggiare, almeno virtualmente nelle fantasie dei fans, con l'innovatore della chitarra rock, quell'Eddie Van Halen all'epoca autentico re Mida  delle sei corde, poiché reclutato dal sempre istrionico David Lee Roth, ex frontman dei Van Halen, accanto al quale conosce il primo grande successo di massa. Passato nei Whitesnake di David Coverdale, in difficoltà a causa dell'infortunio occorso al titolare Adrian Vandenberg, contribuisce in studio alle registrazioni di SLIP OF THE TONGUE e partecipa al seguente tour mondiale confermando bravura e carisma espressi negli anni passati.

Quelle stesse doti che gli consentiranno di iniziare una carriera solista stabile ancora oggi, priva di particolari cali di ispirazione e benedetta piuttosto dal successo di album come PASSION AND WARFARE e FIRE GARDEN. Oltre a continui e prestigiosi riconoscimenti a livello mondiale che fanno il paio con collaborazioni altrettanto altisonanti (Devin Townsend, Al Di Meola, Joe Satriani, Alice Cooper, Ozzy Osbourne...) e insolite (Eros Ramazzotti). All'insaputa di molti,
Steve Siro Vai porta così nel mondo quel briciolo di italianità che, vogliamo credere con un briciolo di orgoglio e presunzione, gli ha consentito di esprimersi da sempre con grazia e tecnica sopraffina, retaggio vivo di una tradizione che affonda le sue radici nella Storia e che in lui, virtuoso delle sei e delle sette corde richiestissimo dai grandi dello show biz, ha trovato nuova linfa vitale. Potevano forse i suoi "concittadini" italiani farsi sfuggire l'occasione di celebrare il loro più illustre emigrante? Così, prevista per le 15:30, la cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria presso palazzo Bonacossa, nel cuore dell'omonima piazza e centro cittadino di Dorno, ha visto la calda accoglienza tanto degli abitanti del comune pavese quanto quella di una buona schiera di appassionati che hanno tributato il loro entusismo nei confronti di un Mr.Vai a suo agio fin dal primo pomeriggio per le vie del paese. Accompagnato dalla moglie Pia Maiocco (ex bassista delle Vixen) e dai figli Jullian Angel e Fire, Steve si è intrattenuto qualche istante sotto il porticato di piazza Bonacossa prima di salire le scale che l'avrebbero condotto nella sala consigliare dove, successivamente, avrebbe ricevuto l'onorificenza per mano del sindaco Secondina Passerini e dell'Assessore alla Cultura Massimo Canevari, tra i promotori dell'iniziativa.

Facile riconoscere tra gli ospiti di giornata radunatisi al primo piano del palazzo un altro artista dornese, il poliedrico Marco Lodola autore di una delle sue celebri sculture luminose raffigurante ça va sans dire una chitarra, dono di tutta la comunità di Dorno al prestigioso guitar hero. Il quale, tra sorrisi, applausi e strette di mano, al momento dell'inno di Mameli poggia la mano destra sul cuore e segue di lì in avanti la cerimonia verosimilmente emozionato accanto alla moglie. Spetta così al Sindaco ricordare le motivazioni che hanno portato con orgoglio all'accoglimento della richiesta giunta all'Amministrazione Comunale in merito all'attribuzione di questa cittadinanza onoraria, citando le radici che legano Steve al paese dei suoi nonni e tenendo un breve excursus sulle sue attività lavorative ed extramusicali. A questo punto, supportato da un interprete sempre al suo fianco, è lo stesso Vai a prendere la parola, inizialmente in italiano, per un sentito ringraziamento alle Autorità e a Dorno tutta. "
È davvero un grosso onore per me ricevere questa onorificenza. Davvero non mi aspettavo una accoglienza così calorosa. Sono grato di fare parte di questa famiglia nella quale sono nato. I miei nonni qua di Dorno sono stati davvero molto speciali per me. Questo è il canale attraverso il quale ho appreso le mie radici italiane."

L'aneddoto del nonno che accompagna un piccolo Steve Vai in cantina per bere un po' di vino suscita parecchia ilarità in Sala e stempera per un istante la solennità dell'evento
. "Mi son sempre sentito a casa con la mia famiglia italiana; e sempre sono stato spinto a capire, ad apprezzare, le grandi qualità di questa mia eredità. La prima volta che venni in Italia, nel 1982, al seguito di Frank Zappa, presi dal suolo una manciata di terra e la baciai. ...Sapeva di sugo!?!" Ancora risate. "Perciò esser qui oggi e vedere i luoghi in cui mio nonno e mia nonna sono nati e cresciuti è davvero molto speciale per me e lo è a maggior ragione perché ho accanto pure mia moglie e i miei figli. Terrò sempre a mente quanto sia stato privilegiato per aver avuto tutto questo, e la mia carriera nella quale nulla deve esser mai dato per scontato. Ho sempre percepito un enorme supporto da parte del pubblico italiano. Quand'ero un bambino non avrei mai pensato di venir messo nelle condizioni di poter venire qui, in questa città, un giorno, e di avere una così calda accoglienza." Con i ringraziamenti a Mario Fava, suo cugino di secondo grado, alla extended family composta da ulteriori cugini e cugine, al Sindaco e alle Autorità di Dorno ha termine l'intervento diretto di Vai che con un conclusivo "Grazie a tutti!" riceve un ultimo applauso. A documentare tutto questo (e molto altro ancora, ne siamo certi) c'è pure Red Ronnie, abbastanza defilato, ma ben presente con la sua videocamera, che a riguardo di Steve Vai avrà modo di esprimersi in termini lusinghieri ("una persona davvero profonda") e amichevoli ("mi è piaciuto dialogare a lungo con lui") anche sulla sua pagina facebook. Il reportage della giornata sarà online nelle prossime settimane sull'ottima Roxy Bar TV; il risultato è garantito fin da ora.

A Steve non resta altro che ricevere le congratulazioni e la scultura di Lodola ("la porterò con me sul palco"), pergamene e ceste di prodotti tipici della zona, nonché l'abbraccio dei suoi concittadini. Poi, tra un autografo e una fotografia, è tempo di tornare all'aperto, in piazza, per far tappa tutti insieme al bar del paese, a due passi dal Municipio. Un gelato in totale relax, seduto in mezzo ai parenti e con il contorno degli abituali avventori, è la sintesi di questo insolito pomeriggio dornese per il signor Vai. Che non termina qui la visita nei luoghi della sua famiglia. Un ultimo sguardo alla piazza principale di Dorno, ancora quattro chiacchiere con i presenti e qualche fotocamera che scatta un ricordo; poi via, sulla Chevrolet messa a disposizione dall'organizzazione del Festival 10 Giorni Suonati che lo attende a Vigevano questa sera, alla volta della cascina Taccona, sulla strada tra Dorno e Scaldasole dove nel giugno del 1896 nacque sua nonna Alessandrina Ernesta Ravetta. Lì, in una sorta di raccoglimento emotivo, c'è tempo per toccare con mano le mura dei cascinali in cui umili braccianti e contadini si sono succeduti negli anni alimentando con il loro lavoro e le loro vite tutto un intero territorio. Ci sono i solchi nel terreno, il sudore degli uomini e quella degli animali.

C'è lo scorrere inarrestabile del tempo. C'è modo di respirare l'aria afosa della campagna pavese, immersi nelle risaie e nei campi di frumento battuti dal sole, lontano tanto dal traffico cittadino quanto dal caos delle vita convulsa della nostra epoca. C'è il contatto con un vivere altro, antico, scandito oggi come allora dai ritmi della natura, e per questo non meno operoso, ma anzi ben più faticoso e gratificante. Un ritorno alle origini. Un tuffo importante nella memoria. Per questo non osiamo avvicinarci. Non ci spingiamo oltre e piuttosto restiamo in silenzio coi nostri pensieri, sotto il sole cocente, a qualche metro di distanza da Steve e dal piccolissimo gruppetto che lo accompagna, confusi con il paesaggio, eppure privilegiati per essere presenti in questo suo momento di contemplazione personale. Il concerto di questa sera è lontano. I clamori del tour, con le sue scadenze e tempistiche, pure. Non ci sono applausi, urla o fischi. Tutto è racchiuso in una bolla e ancora per qualche istante congelato, sospeso, rinviato sine die. Misteri dell'Amore alieno. Circondato dall'affetto dei suoi cari, con discrezione e deferenza,
rispettoso di quel passato che aveva potuto conoscere fino ad oggi solo attraverso i racconti e le visioni dei suoi familiari, Siro Vai osserva, domanda, riflette e conserva gelosamente tutto dentro di sé. Benedicendo con molta probabilità in cuor suo i suoi antenati e il territorio circostante. Proprio come, ci piace pensare, quel primo vescovo "itinerante" che nel corso del IV secolo dopo Cristo evangelizzò questa vasta area dell'Italia settentrionale, parte integrante della pianura padana su cui edificarono appunto la stessa Ticinum e il piccolo toponimo di Durnae. Casa tra le case, culla di civiltà.

Andrea Barbaglia '12

Un ringraziamento particolare va alla Pro Loco di Dorno per la gentilezza dimostrata e il reperimento delle fotografie di Francesco Sisti

sabato 21 luglio 2012

NERVI

NERVI
Alessandro Bono
- / - 2011

Nel settembre del 1994 sarebbe dovuto uscire il nuovo disco di Alessandro Bono. A febbraio dello stesso anno quel ragazzo biondo, un po' guascone un po' no, che il grande pubblico aveva avuto modo di conoscere e apprezzare solo due anni prima in duetto con Andrea Mingardi al Festival di Sanremo, era salito per la terza volta nella sua breve e promettente carriera sul palco della kermesse ligure (la prima fu nel lontano 1987), questa volta in una forma fisica ahimé irrimediabilmente precaria, ma finalmente tra i cosiddetti Campioni, con una canzone interessante eppure non fortunata con le giurie come Oppure No. Tre mesi dopo il rutilante bailamme dell'Ariston, Alessandro se ne era andato, all'alba di un mattino di un giorno di primavera, sopraffatto da un tumore ai polmoni aggravatosi a causa delle complicanze dell'AIDS. Con sé portava un carattere buono anche se a volte difficile, privo di egoismi e facile all'amicizia disinteressata. Un ragazzo grintoso e semplice; pieno di voglia di vivere certo, pur tuttavia fragile e vittima di umane debolezze che l'hanno sottratto a neanche trent'anni all'affetto della piccola Vittoria. È il 2011 quando nella rete appaiono un poco a sorpresa ben sette suoi inediti, alcuni sicuramente destinati al disco in lavorazione in quei primi mesi di diciassette anni prima, altri già eseguiti in precedenza, ma mai pubblicati. La raccolta di demo scaricabile gratuitamente dal sito internet del cantautore viene ribattezzata NERVI e regala un Alessandro Bono in ottima forma. Dato il carattere carbonaro delle registrazioni, non ci si soffermerà troppo a disquisire sull'ovvia perfettibilità dell'opera, ma piacerà far di necessità virtù, approfittando di queste versioni stripped down per ascoltare da vicino il mondo interiore che l'autore ha saputo e voluto esprimere, con tutte le sfumature del caso. Quel che colpisce è infatti la voce di Alessandro, così cruda e spogliata dagli arrangiamenti definitivi, fino a quel momento curati da Mario Lavezzi, scaraventata al centro dell'attenzione, protagonista assoluta mentre canta di dolori e occasioni sprecate, di errori e speranze, con quel sorriso solare di chi affronta la vita non per sfida, ma con curiosità, come una scoperta continua, e che alla fine si ritrova però vittima di un meccanismo più grande di lui. Si parte con l'elegante pop rock di Lacrime Salate, episodio di per sé già compiuto e ben definito, malinconico, ma al tempo stesso capace di quel riscatto provvidenziale, autentico colpo di coda capace di rimetterci in carreggiata. Accompagnata esclusivamente da un piano come nella miglior tradizione cantautorale romana anni '70, Baby è dichiarazione di intenti: spregiudicata e spensierata, a voler rispecchiare la natura irrequieta di Bono. Irrequieta come la scattante Nervi, sincero ritratto di un non vincente. Con Traffico la discesa nei gironi infernali conduce nuovamente dritti al dramma della droga, tra illusioni e menzogne. Da brividi la crescente tensione emotiva di Stretto Fra Morse, urlo mostruoso e disperato che sale alto in cielo, alla ricerca di una soluzione definitiva per una indicibile quanto insopportabile forma di sofferenza. Patisce la veste di provino la sola Doppio Gioco, ma con la conclusiva e nera Bambina il livello qualitativo cresce per un'ultima volta. Il crudo vissuto impressionista di vita tossica e morte testimonia, se mai ce ne fosse ancora bisogno, le grandi doti di comunicatore di Alessandro, pittore della parola concentrato a ritrarre il battito vitale del cuore, in ultima analisi mai soppraffatto dalle miserie umane. Del resto "ogni giorno che va via è un quadro che appendo. Mi piace vivere." Grande Alessandro. In anticipo su tutti e su tutto. Anche sulla morte.

mercoledì 18 luglio 2012

17-07-2012
- ENRICO RUGGERI live @ Castello di Ussel -
Châtillon (AO)

Oggi si va in montagna. Si sale in Valle d'Aosta. Occasione per questa estemporanea gita fuori porta è una tappa del Multimedia Tour di Enrico Ruggeri inserita nell'interessante contesto della rassegna musicale Musicastelle Outdoor organizzato dall'assessorato al turismo valdostano. Ripensando all'antica fede interista del cantautore milanese sorridiamo di fronte all'enorme "Benvenuti" tutto bianconero che ci accoglie poco dopo l'uscita autostradale. Del resto  proprio in questi giorni i campioni d'Italia della Juventus si trovano in ritiro a Châtillon per preparare la nuova stagione e la notizia del live di Ruggeri campeggia addirittura sui manifesti che svelano gli appuntamenti di contorno alla permanenza della compagine piemontese in Vallée. Anomalo, ma funzionale alle modalità con cui si è voluta allestire la kermesse musicale, è l'orario scelto per l'esibizione: le 17:30 di un caldo e solleggiato martedì, ai piedi del castello di Ussel, antica dimora degli Challant
. La piccola radura, letteralmente spazzata dal vento e presso cui si raduna un numero via via sempre più consistente di ascoltatori, è luogo di ritrovo per i volti noti dei fans dell'autore di Gimondi E Il Cannibale, canzone che avremmo visto bene eseguita in questo contesto, anche alla luce della partenza del 49° Giro della Valle d'Aosta avvenuta non più tardi di ventiquattro ore prima, con un cronoprologo serale presso il Forte di Bard. La pedana su cui è posizionata una strumentazione invero minimale (chitarra, basso, batteria, tastiera) è radente l'erba. Di transenne nemmeno l'ombra. Capita raramente di trovarsi di fronte ad un allettante scenario di questo tipo quando di mezzo ci sono giganti della Musica; un'occasione ghiotta da non lasciarsi sfuggire.

Alla spicciolata ecco quindi arrivare Enrico Ruggeri seguito come sempre dal fido Luigi Schiavone, dall'immarcescibile Fabrizio Palermo e dal sempre affabile Marco "Nano" Orsi. Poco dopo le 16:00, mentre alcuni sfoderano sorprendenti creme solari dalle protezioni più svariate, iniziano le prove che regalano in poco meno di mezz'ora ben mezza dozzina di canzoni. Da Prima Del Temporale a La Vie En Rouge, passando per Quante Vite Avrei Voluto e Ti Avrò, fino a La Preghiera Del Matto e al duetto con l'ex Kymera Davide Dugros in Il Mare D'Inverno, scorrono veloci alcuni fra i momenti più intimisti e conosciuti del Nostro. Regolati volumi e suoni e scattate alcune fotografie, è il tempo per il cambio d'abito d'ordinanza. Ore 17:40, si parte. Seduti, su invito del solerte presentatore di giornata, ma si parte. Prima Del Temporale evidenzia fin da subito un buon lavoro di chitarra che si completa e culmina nell'assolo finale sottolineato dagli applausi. "Buonasera, buon pomeriggio. Complimenti a voi, complimenti a chi organizzato tutto questo. È molto bello." Le note dell'RD 170, appannaggio di Palermo, sono quelle de Il Portiere Di Notte, figura evocativa e storica del repertorio ruggeriano accompagnata dalle voci del pubblico che nel frattempo s'è fatto più numeroso. Altro assolone di Schiavone dilatato nel vento. "Dunque, questa è una canzone che scrivi ricordando la tua infanzia. La mia infanzia non era così solleggiata era un'infanzia un po' più metropolitana, con dei campi di calcio che venivano inventati da qualche parte. Andavi a giocare e sognavi di essere al Maracanà o a Wembley o a San Siro. E i colori non erano così sgargianti e definiti."

"Era un'infanzia un pochino nebbiosa, un pochino in bianco e nero, ma naturalmente, come tutte le infanzie, uno la ricorda anche con un po' di nostalgia"; i fotogrammi di una vita che fin dal concepimento corre inevitabilmente verso il futuro sono fermati nelle istantanee color pastello di Quante Vite Avrei Voluto. Poi Rien Ne Va Plus. Che a sorpresa va in medley con la potente Nessuno Tocchi Caino, luminescenti tasselli di un puzzle più ampio, subito allargato infatti alle successive Peter Pan e La Vie En Rouge. Qualcuno storce il naso quando Ruggeri pronuncia la parola X Factor per presentare, questa volta a tutti, l'ospite di giornata, il già citato Davide Dugros che, con l'ormai ex compagno Simone Giglio, aveva dato vita al duo vocale dei Kymera. Anche i timidi applausi sono indice di come probabilmente si paga ancora lo scotto di aver partecipato ad un programma tv che ben poco contribuisce a far crescere Artisti meritevoli di attenzione, privilegiando dinamiche in contrasto con la palestra di quanti per tentare di emergere si fanno le ossa su palchi di provincia privi di lustrini e pailettes, ma così simili a quello su cui si stanno esibendo Ruggeri e compagni. Tant'è. Il Mare D'Inverno è l'ovvia scelta per il duetto tra il veterano rocker meneghino, qui anche alle tastiere, e il giovane cantante valdostano; è il basso bello pieno di Palermo a dar il la al pezzo che registra, oltre al solito granitico apporto dell'imprescindibile Schiavone, i favori del pubblico anche più "agnostico". Buono pure l'affiatamento tra le due voci, specie alla luce dei problemi tecnici avuti durante le prove quando quella di Dugros, comunque eccessivamente coreografico e teatrale nell'interpretazione, si sentiva flebile e ben poco incisiva.

Con I Dubbi Dell'Amore il Rouge recupera il ruolo di frontman unico mentre il vento soffia ancora forte e non accenna a calare. Le tonanti rullate di Nano Orsi preannunciano la stupenda Ti Avrò, jolly pescato dal mazzo di carte in dotazione al prestigiatore delle sette note Ruggeri e capace di fare la fortuna di un album come IL FALCO E IL GABBIANO. "Questa è una di quelle canzoni che ogni tanto si scrivono per prendersi cura di qualcuno": La Preghiera Del Matto, una delle sue numerose ed importanti non hit di massa, incontra da sempre i favori del pubblico, risultando proprio per questo motivo numero quasi imprescindibile nei concerti da all'incirca due lustri a questa parte. Rapida presentazione della band, quindi spazio all'immancabile Quello Che Le Donne Non Dicono. A sorpresa ecco un intermezzo fotografico. Invitato sul palco un qualsivoglia essere umano dotato di fotocamera, tocca ad una emozionata fan di medio corso realizzare uno scatto, probabilmente anche da twittare di lì poco, al quartetto schierato davanti al proprio pubblico con le braccia al cielo (ma ancora seduto a terra) per immortalare la giornata odierna. Si riprende con lo show. E che show!?! Lo scatto per riconquistare la posizione eretta nelle prime file è istintivo e lo slancio per avvicinarsi ai musicisti immediato quando il riff metallico di Polvere incendia l'aria. La miccia è stata innescata.

Un po' a sorpresa, e per lo scorno di molti, è già tempo dei bis. Ovviamente, dato lo spazio informale, non c'è discesa dal palco, ma un'immediata esecuzione di Contessa che spinge fatalmente i fans, felini, a circondare "minacciosi" la pedana su cui si trova Ruggeri. Tutti assediati. Lui e la band. A meno di un metro dall'ormai imminente contatto fisico ci si arresta e, divertiti, si mantiene la posizione partecipando alla festa di canti e urla di approvazione sui botti conclusivi di Mistero che, rouggendo tra i decibel della Schecter S1, aggredisce lo spettatore con alto tasso di godimento del quartetto impegnato con gli ultimi sforzi di giornata. Nel tripudio di fotocamere, videocamere e i-phone pronti a documentare l'evento, tra strette di mano e high five con lo stesso Ruggeri, si conclude un'ora abbondante di poetica rock in una "cornice spettacolare per un concerto unico nel suo genere". L'assalto, composto, al fortino è completato quando Schiavone stacca il jack. Da quel momento in poi è ricerca di fotografie e autografi. Un pomeriggio diverso dunque, singolare ed esclusivo a ben guardare; un'esperienza, condizioni logistiche permettendo, da ripetere quanto prima. La soddisfazione generale è oggettivamente palpabile tra organizzatori e fans, si riversa nelle chiacchiere post concerto e nelle ore successive sui vari social network dedicati all'artista milanese. L'unico appunto si può forse muovere alla durata dell'evento. Vista anche la piega presa con i pezzi più movimentati, una manciata di brani in più, magari un secondo bis invocato all'istante da molti, avrebbe garantito un finale ancora più esplosivo e coinvolgente. Spesso basta davvero poco più di niente. ps: e se invece fosse stata solo un'abile mossa per andar a spiare in gran segreto una Vecchia Signora?

Andrea Barbaglia '12 

lunedì 2 luglio 2012

in concerto

30-06-2012
- AFTERHOURS live @ Villa Arconati -
Castellazzo di Bollate (MI)

Da un festival all'altro. Dopo oltre 300 km e l'ottima cornice proposta dal Summer Festival di Lucca presso il quale si è esibito solo ventiquattro ore prima l'imprescindibile Tom Petty con i suoi Heartbreakers, spetta al Festival di Villa Arconati concederci l'elegante bis in una altrettanto prestigiosa location come quella ubicata nel parco delle Groane. Al Castellazzo, immerso nella brughiera milanese, va di scena infatti una delle prime date in supporto a PADANIA, l'ultima fatica della band di Manuel Agnelli capace di rinverdire i fasti di album a loro modo fondamentali per tutto il panorama musicale italiano come HAI PAURA DEL BUIO? e QUELLO CHE NON C'È. La mai perduta compattezza sonora degli Afterhours, cementificatasi ulteriormente nei precedenti due anni di tour con una formazione a sei poliedrica e affiatata, si è riversata nelle monumentali trame trasversali del loro lavoro più socialmente politico fin qui realizzato e premiato dalle classifiche di vendita con un quantomai significativo secondo posto. Il parco della villa, allestito nel miglior modo possibile da una organizzazione pressoché impeccabile, accoglie un flusso costante di gente di tutte le età, complice la serata estiva calda, ma non afosa. Gli Afterhours, proprio come il festival, sono ormai realtà consolidata e l'apertura affidata a Metamorfosi, a tutta prima ostica e dissonante tratta proprio da PADANIA, non deve stupire. In un crescendo di violini che enfatizzano la componente teatrale del brano si innesta la voce di Agnelli mentre la cacofonia delle chitarre prenderà il sopravvento di lì a poco. In evidenza, nella schizofrenia delle distorsioni, Roberto Dell'Era al basso con l'archetto.

Senza soluzioni di continuità Terra Di Nessuno prosegue nella sua alternanza tra vuoti elettrici e pieni melodici, con l'attesa La Verità Che Ricordavo terzo estratto e prima hit della serata. A stupire in positivo è l'acustica del luogo. Dopo le delusioni sotto tale aspetto del Carroponte 2010 e all'Arena di Milano 2011, finalmente anche la capitale meneghina (o, in questo caso, il suo hinterland) gode di suoni e volumi all'altezza della band che ospita sullo stage. Il pubblico gradisce e risponde entusiasta alle scariche di adrenalina e furia rock provenienti dal palco. Senza spezzare il climax già raggiunto, in mezzo a tutto questo furore c'è spazio per la riflessione. Una volta ancora sociale; una volta ancora politica. Su un tappeto sonoro a cura di Rodrigo D'Erasmo e con i contributi minimali delle chitarre, Manuel Agnelli, inforcati gli occhiali, legge con autorevolezza e in un rimando alla tournée teatrale di inizio 2010, un passo tratto da Paolo Borsellino e l'agenda rossa, libro a cura della redazione 19luglio1992.com, da cui due concetti decisivi filtrano e vengono enunciati: "La mafia è un problema di cultura (intesa - ndr) come insieme di conoscenze che contribuiscono alla crescita della persona", ebbe a dire il magistrato palermitano ucciso in via D'Amelio. Eppure, continuò, "(...) la maggior parte di noi rispetta le leggi perché sente il dovere di rispettarle." Male Di Miele è accolta come sempre da un boato mentre il dispiegamento di ben tre Telecaster erige un muro di suono invalicabile. Sperimentazioni continue prive delle scosse elettriche di cui sopra nella lunghissima rincorsa di Costruire Per Distruggere, con Xabier Iriondo alla tromba, D'Erasmo al flauto turco e le seconde voci di Giorgio Ciccarelli, per l'occasione pure al piano, e Dell'Era.

Spreca Una Vita vive di accellerazioni improvvise e strappi chitarristici che Padania, con il suo incedere melodico, va invece a riequilibrare, cavallo di Troia per le nostre coscienze e chiarissimo esempio di canzone civile, fotografia tanto lucida quanto disincantata in questi anni '10 del nuovo millennio. Dedica "speciale" per Ci Sarà Una Bella Luce. Spigolosa, ruvida e inquieta la traccia numero sette dell'ultimo cd è una discesa concentrica e volutamente disarmonica nei dubbi e nelle incertezze dell'esistenza umana, filtrata dal paracadute del sarcasmo. Altro tuffo nel passato recente: riconoscibile fin dal primo giro di accordi Ballata Per La Mia Piccola Iena è il momento delle evoluzioni di Xabier alla Melobar mentre il dialogo tra le chitarre di Agnelli e Ciccarelli si fa serrato come i cori da stadio dei fans. È Solo Febbre ci tengono a precisare i nostri; ma è febbre eccitante che la prestazione mastodontica di Bungee Jumping fa inevitabilmente aumentare. Una volta ancora tra i momenti più coinvolgenti e partecipati nella scaletta del sestetto, questa sorta di atipica jam session organizzata è infatti sintesi di epilettiche convulsioni al limite della resistenza umana e prova di coraggio ardita e senza ritorno, che vive il proprio slancio vitale nella caduta verticale verso il basso descritta dalle liriche, inarrestabile e alla velocità della luce, in attesa del probabile schianto finale che non avverrà mai.

"Grazie, grazie mille, grazie. Grazie mille per essere venuti qua questa sera, grazie davvero. Questa mi piacerebbe che per una volta la cantaste voi, se volete"; così Manuel invita i fans a far propria la sanremese Il Paese È Reale, forse primo vero episodio di coscienza socialmente impegnata proposto dalla band, che si schiera e si espone, cercando la maggior visibilità mediatica possibile per farsi veicolare e diffondere. Si procede sempre inquieti e duri con Sulle Labbra. Dopo la pausa romantico-agrodolce di Nostro Anche Se Ci Fa Male, con tanto di dedica alla compagna ("Francy è per te questa"), Agnelli diventa il cantore sperimentale tra urla e tonalità inconsuete dell'indiavolato rock avanguardista di Io So Chi Sono (Iriondo si divide una volta ancora tra tromba e chitarra; D'Erasmo è alle percussioni) qualche istante prima di sedersi al piano per regalare una versione leggera eppure testualmente profonda de La Terra Promessa Si Scioglie Di Colpo. 22:48. Sono passati poco più di sessanta minuti dall'inizio dello spettacolo eppure il concerto potrebbe già terminare qua con ottime recensioni e reciproca soddisfazione di pubblico e addetti ai lavori vista la densità di significato riversata oltre le transenne. Ma siamo a metà dell'opera. Il rientro sul palco è accolto da applausi prolungati ricambiati dalla band. "Grazie mille davvero. Questo è probabilmente uno dei migliori concerti che abbiam fatto a Milano negli ultimi anni; e non è un caso, perché siete uno dei migliori pubblici che abbiamo avuto a Milano ultimamente. E non lo dico per dire..." I ritmi della sincopata Tutto Fa Un Po' Male sono l'ultima occasione della serata per ritornare con la memoria ad un album come NON È PER SEMPRE, a suo tempo croce e delizia per la band.

Statuario, Ciccarelli è il motore ritmico per La Vedova Bianca mentre il pubblico, composto e compatto, la puntella a tempo. Bye Bye Bombay con la sua lunga introduzione e la coda strumentale veicola la presentazione dei musicisti che nei momenti più free avevano fatto quadrato attorno alla batteria. "Grazie ragazzi, bravi, bravissimi, bravi." 23:15. Seconda discesa dal palco e seconda rentrée, questa volta temporaneamente senza drummer, ma con Agnelli al piano Yamaha e il resto della band schierato, in virtuoso accompagnamento. È l'inno Pelle a diffondersi leggero nel parco della villa. L'ingresso di Prette e il passaggio di consegne strumentali tra Agnelli e Ciccarelli permette di far quadrare tempi e ritmi di Quello Che Non C'è, tra le migliori composizioni di sempre. Per la vecchia guardia presente ecco Posso Avere Il Tuo Deserto?, con Manuel libero al microfono, pronto a svuotare il pieno dentro sé mentre il "gemello" Xabier viene toccato dal furore sacro dell'elettricità nell'aria. Terza discesa e ultimo ingresso. "Stasera questo pezzo è dedicato al nostro band assistant Andrea Samonà che dopo dieci anni di torture, sodomia e scherzetti molto sadici ha deciso di andarsene. Non si capisce perché ha deciso di andarsene adesso, dopo dieci anni... Ormai cominciava a piacergli..." spiega un ironico Manuel invitando sul palco il componente dello staff; "per rimanere in tema, ha scelto la libertà sposandosi!? Proprio non capisce un cazzo..." E via con la conclusiva Voglio Una Pelle Splendida, classico finale di cui non ci si stanca mai. Poi, come in un film neorealista, il giardino di Villa Arconati diventa luogo di incontro, palcoscenico per attori non professionisti, ma protagonisti indispensabili di una stagione altrimenti abbandonata a immobilismo e inazione. Mentre cala il buio e molti tornano alle proprie case resta una certezza: quella che in giornate come questa il sole sorge ancora.

Andrea Barbaglia '12 

domenica 1 luglio 2012

RAGAZZE FORTY
Grazia Negro
- Etnagigante - 2012

Fresco, solare, accattivante. Non poteva che essere così l'esordio discografico della spumeggiante Grazia Negro, trombettista, vocalist e perfino attrice, già (inconsapevolmente?) nota al grande pubblico per essere "musa ispiratrice" dell'omonimo ispettore capo di polizia partorito dalla mente dell'amico Carlo Lucarelli e protagonista indiretta dei suoi gialli più importanti. Album lucidamente personale nella sua eterogeneità e brillante specchio delle mille sfaccettature che compongono l'anima di Grazia, RAGAZZE FORTY ha tutte le carte in regola per lasciare il segno, graffiante e sofisticato com'è al tempo stesso. Una miscela di generi che è un'esplosione di colori e suoni; funk, jazz, soul, R&B e world music vengono guarniti di crema pop, reggae (Senza Tempo) e, alla bisogna, addizionati di una spruzzata di rock (Vento D'Europa) per rendere più effervescente il tutto. A rappresentare questa prima fatica solista Grazia, col contributo decisivo del produttore artistico Roy Paci, sceglie l'attualissima Mi Viene Un Brivido, cover dei Denovo di Mario Venuti e Luca Madonia, dalla ritmica estremamente radiofonica e capace di insinuarsi, se solo i poteri forti dell'etere lo volessero, nell'airplay dei maggiori networks. Ma è fin dalle prime note della morbida I Craj che veniamo trasportati nel mondo verace e variegato (musicalmente e linguisticamente) di Grazia mentre la tromba puntella con metodo il funky jazz scratchato dal primo ospite, quel Gianluca Cranco, meglio noto alle cronache musicali come Tayone, che ben si inserisce nell'economia del pezzo. Da un vecchio grammofono ecco provenire l'ariosa L'Astronave, con le sue influenze anni '60, very smooth, che di lì a poco prenderanno una elegante piega argentina nel tango di Sola Cammino caratterizzato dal bandoneón di Daniele Di Bonaventura. Ne Il Sogno Di Volare compare Mauro Ermanno Giovanardi per quello che pare essere un inedito proveniente dalle sessioni di registrazione di ELDORADO, capolavoro dei Mau Mau di fine millennio in cui ancora militava Paci, lasciato nel cassetto a maturare. Interessante la seconda cover proposta; Se Tornasse Caso Mai, adattamento italiano di quella If He Walked Into My Life portata al successo negli U.S.A. da Eydie Gormé, ha un ritmo suadente, accellerato rispetto all'originale, e riporta alla mente La Festa Delle Lucciole della giovane Naif Hérin, ideale alter ego musicale valdostano. Tra le prerogative dell'album salta all'orecchio la commistione di più lingue, nel riuscito tentativo di adeguare alle varie atmosfere sonore anche il cantato, quasi si fosse al cospetto di un nuovo esperanto. La frenetica Pizzicapoeira, con Itaiata De Sa alle percussioni, è danza incessante e significativo esempio in tal senso, melting pot linguistico per eccellenza che spazia dall'italiano al brasiliano passando per il dialetto del Salento, terra di origine di Grazia. C'è spazio pure per la meditazione e il sogno con l'eterea Rimesto Enigmatico, forse il capitolo più oscuro, ma non per questo meno valido, del lavoro, tra scorci classici, melodia popolare e scatti trip hop. E dopo Sola È La Terra, crossover italo-swahili in compagnia di Primo dei Cor Veleno, le danze si concludono con il pianoforte di Caschi Indifferenti, algida chiusura di "un cantautorato contaminato, poetico, suggestivo, a volte tagliente, a volte ironico, un po' fuori dagli schemi; il luogo ideale dove sperimentare l’incontro tra stili musicali diversi e sonorità cangianti." A voi: il cocktail dell'estate è servito.