venerdì 31 ottobre 2014

ATOMA

ATOMA
SYK
- L'Inphantile Collective - 2014

Herset La Tari. Il disagio. L'indigenza. L'oppressione. Attraverso una meccanica del suono rude e stridente che nulla concede alla melodia, ma che ossessivamente ripete la lezione sfidando e sfondando il muro del suono; l'incommensurabilmente grande nell'infinitesimamente piccolo. Veicolato dalla robusta complessità di arrangiamenti e forsennate dinamiche polimorfiche, destrutturate al fine di essere ricomposte nel breve termine sotto altra architettura, è questo ciò a cui i SYK sono in grado di ambire e successivamente liberare attraverso l'oltraggiosa musica di ATOMA. Un lavoro complesso e affascinante, dal forte impatto emotivo, che si esalta nella difficoltà di ascolto e in cui la selezione del materiale è seconda solo alla mirata ricerca formale degli ambienti sonori prodotti. Un progetto internazionale ideato, gestito e partorito su quella antica e formativa linea di confine che unisce Piemonte e Sardegna, stanca di scontate soluzioni musicali e piuttosto attenta alla genesi di nuove realtà basate su metodo e improvvisazione. Nati da un'idea di Stefano Ferrian e Federico De Bernardi di Valserra dopo la chiusura della parabola Psychofagist, i SYK sono la prova provata di una rinnovata capacità di produzione nel magma incandescente del suono estremo. Aver trovato in Luca Pissavini il temporaneo completamento alle ritmiche è stata la naturale chiusura del cerchio, aperto e letteralmente squarciato dalle urla sovrumane della straordinaria Dalila Kayros, minuta creatura mortale, ma qui maligna entità partorita in un arcaico amplesso fra le sette note tra l'inarrivabile Diamanda Galas e il folletto Damo Suzuki. Con una ricerca antropologicamente legata alla voce e al territorio, una visione quasi esoterica dei miti antichi - su tutti quelli dei Sumeri - e una attenzione alla lezione di John Cage è lei il perno su cui le chitarre limacciose di Ferrian hanno buon gioco e intrecciano una trama musicale ordita con più lingue. La scattante meccanicità di The Observer, le poderose fondamenta su cui viene eretta Auburn, l'apparente tranquillità devastata da Un-god-Known sono coordinate che impegnano l'ascolto, ma restituiscono una libertà espressiva solo all'apparenza claustrofobicamente relegata nei reticolati sonori dell'album. È dolore vivo che si conficca sistematico nella carne ed esaurisce una raziocinante aggressività amplificata da quella sporcizia strumentale messa in mostra, quasi ostentata, fin dalle prime note della caotica Atoma, minacciosa opener del platter. Le sovrastrutture che tendono con sciente capacità progettuale ad appesantire la circolarità dei sette momenti rilasciati per la coraggiosa etichetta praghese L'Inphantile Collective consentono poi una lettura su più piani dell'intero lavoro anticipandone i futuri sviluppi. Il nuovo acquisto  Francesco Zago, prolifico chitarrista degli Yugen acquisito all'indomani della dipartita di Pissavini, è per l'appunto l'ennesima conferma di una costante apertura del progetto SYK alla sperimentazione razionale, sempre meno diffusa nel metal estremo contemporaneo. I mostri cavalcano le bufere e le tempeste, narra un'antica leggenda; qui già solo il loro sulfureo respiro è di casa.

giovedì 30 ottobre 2014

APPLAUSI A PRESCINDERE

APPLAUSI A PRESCINDERE
Stefano Vergani
- autoproduzione - 2014

Anche per Stefano Vergani è arrivato il tempo del primo cd solista. Dopo anni trascorsi in compagnia della nobilissima Orchestrina Pontiroli prima e dell'altrettanto essenziale Orchestrina Acapulco poi, lo scapigliato cantore del piano di sotto si è messo in proprio. Senza stravolgere le coordinate che ne hanno fin qui contraddistinto il personaggio e la musica, l'artista brianzolo assembla il suo quarto album unendo con il solito riconosciuto entusiasmo vibrazioni di jazz occasionale a quella musica d'autore, senza tempo, riconducibile a Brassens e a Conte. Dell'autore francese riecheggiano il sarcasmo messo in luce nei racconti di quotidiana normalità che costituiscono l'ossatura principale del cd e un certo disincanto, una certa non curanza sugli effetti che la vita ci impone dal momento in cui siamo costretti a viverla. Del celebrato avvocato piemontese torna il dinamismo delle note, l'emozionante e indefinita espressività fra queste e le parole usate non solo come corredo lessicale, ma opportunamente scelte per tratteggiare storie capaci di trasportare in un mondo fantastico eppure sempre molto concreto, come quello sviluppato nelle favole, capaci di sortire un effetto di sognante realtà sul bambino. Dove tutto è affidato all'emozione, sia essa occasione di trepidazione oppure maggiormente accomodante. Concretezza e fantasia per riavvicinarsi alla strada, per vedere com'è cambiata dall'ultima volta, in attesa di trovarci come sempre disperazione e poesia. E da lì trarre spunto per raccontare sé e la propria visione del mondo; ma anche la sfiducia di un artista nel suo lavoro (Guardare Le Stelle Non È Come Leggere Il Giornale), i facili sotterfugi di un onesto ombrellaio (Piccola Storia Volgare), le tragicomiche avventure di un mediocre amatore (Incubo Erotico), l'inebriante baraonda festante di uno svampito hombre ancora in preda ai fumi dell'alcool il day after (L'Immacolato). Un po' autoindulgente, a tratti reazionario nella sua apparente tranquillità, sempre sul pezzo, Vergani con la sua voce istrionica bluffa con il pubblico e con la vita, riuscendo a passare dal drammatico al poetico al sarcastico senza perdere la salute. Non è cosa da poco. Istinto e metodo sono sicure scialuppe di salvataggio al riparo da facili imbarcate. In questi ultimi dieci anni di apprendistato il suo continuo peregrinare di locale in locale gli ha restituito un bagaglio a mano sempre più corposo, ma in fin dei conti leggero nella sua essenzialità. Oggi, in quest'autunno che sembra non avere fine Stefano ha deciso di partire; noi, biglietto alla mano, ci accodiamo alle sue spalle senza sapere dove stiamo andando e soprattutto quale direzione lui stesso prenderà, ma sicuri che quello futuro sarà il posto giusto. All'orizzonte già si delineano i contorni di una nuova avventura con nuovi personaggi, nuove caricature, antichi luoghi e familiari ostelli.

mercoledì 29 ottobre 2014

VUOTO PNEUMATICO

VUOTO PNEUMATICO Gianni Venturi & Giacomo Marighelli
- La Cantina Appena Sotto La Vita - 2014
 
Approcciarsi a VUOTO PNEUMATICO non è affatto semplice né immediato; lontano dalla spontaneità che una comunicazione sempre più impoverita ormai sembra richiedere costantemente al quotidiano, l'album ideato prendendo le mosse da uno  spettacolo  teatrale portato in scena della  compagnia  Teatroscienza  di Alex  Gezzi, Eugenio Squarcia ed Elena Pavoni rappresenta al giorno d'oggi uno sforzo che può essere ripagato solo nel tempo. È chiaro fin dai primi ascolti che il lavoro in musica condotto da Gianni Ventura (voce degli Altare Thotemico) e Giacomo Marighelli (deus ex machina del progetto Margareth Lee) sposa infatti una dimensione progettualmente assai più ampia rispetto alla semplice concezione di album discografico. Risultato metalinguistico di un traguardo artistico dal più ampio respiro in cui poesia, musica, teatro e video trovano nella loro diversità punti in comune e occasioni di confronto, il cd nasce dal carattere teatrale dell'improvvisazione musicale di Marighelli unito alle declamazioni poetiche di Ventura, il tutto arricchito per mezzo di canzoni cantautorali e brani elettronici che costituiscono l'essenza del cd. Il risultato è quello che si può a ragione definire rock-poetry, crocicchio e snodo obbligato di idee opportunamente sedimentate, metabolizzate e fatte proprie, le quali nel suono, nell'elettricità, nella contaminazione trovano terreno fertile adatto ad uno sviluppo verticale in grado di affrontare più piani d'azione narrativa abbattendo dogmi impossibili altrimenti da rifiutare. Proprio il carattere multitasking dell'opera che la pone in origine a sequel dell'attività performativa del Teatroscienza determina la difficoltà di restituire su disco ciò che l'improvvisazione sviluppa anche per azioni e immagini, non solo per concetti. L'esito è tuttavia ben più che soddisfacente se ci si lascia travolgere dall'onda d'urto di questa poetica senza regole fisse, alienata da tutti quei bisogni di appartenenza ad una società precostituita, convulsa e frenetica, alimentata da biechi interessi in cui è la solitudine - condizione esistenziale sempre più diffusa e radicata - a farla da padrona. Setacciando nelle nostre giornate tipo, costringendoci ad affrontare il lato oscuro delle affettività senza speculare su null'altro che noi stessi, il duo Marighelli-Venturi comprime e satura un caos che è motore dell'universo, deflagrando la visione umanocentrica in cui siamo caduti per restituirci non tanto una soluzione di comodo, ma semplicemente la sua consapevolezza, ultimo baluardo di pura concettualità a cui fare riferimento. È la spontaneità della parola a vincere su tutto, anche sulla musica di volta in volta piegata senza fatica ad esigenze metriche dai suoi fabbricanti, seguendo il passo dei pensieri e la cadenza delle idee, penetrando nel mood indicato dai versi in costante empatia con l'universo esterno. VUOTO PNEUMATICO traccia le tappe di una faticosa conquista verso una emancipazione esistenziale che porta all'indipendenza da ogni tipo di carismatico potere o congregazione filtrando avanguardie e riversando contenuti; lo fa per sconcertante necessità di azione e per opportuna obbedienza alla sua natura di reading cantautorale. Anche quando appuntamento serio infatti la musica è mestiere leggero se condiviso e concordato per affinità elettiva, appuntamento speciale a cui meglio non rinunciare. Non si decide come e quando agire. Semplicemente si accetta di farlo.

martedì 28 ottobre 2014

in concerto

11-10-2014
ALDO TAGLIAPIETRA + CONSORZIO ACQUA POTABILE con ALVARO FELLA live @ Teatro Sacro Cuore -
Novara (NO)

 
Era da tanto tempo che Aldo Tagliapietra non tornava ad esibirsi in Piemonte con un concerto tutto suo. Forse l'ultima volta fu esattamente un lustro fa, in quel Prog Fest di Veruno che ne rappresentò l'ultima data sul territorio italiano insieme alle sue amate Orme. Poi la separazione dal gruppo e una lenta, ma progressiva rinascita non solo musicale che avrebbe portato dopo il rendez-vous acustico del doppio UNPLUGGED all'incisione di due album sequenziali, concepiti nell'alveo del prog rock e imprescindibili per quanti del musicista veneto hanno sempre apprezzato gusto e trasparenza. L'opportunità di ascoltare finalmente dal vivo le storie di NELLA PIETRA E NEL VENTO e la circolarità de L'ANGELO RINCHIUSO giunge in quel di Novara, in una giornata di sole caratterizzata da una temperatura decisamente mite - e abbastanza anomala per questo periodo dell'anno, preceduta dall'esibizione quasi gemella solo ventiquattro ore prima nella vicina Magenta. Il nostro arrivo a Novara è dei più semplici. La città ci accoglie in tutta tranquillità, silenziosa e riservata com'è la provincia italiana in genere. A pochi metri dal parcheggio la chiesa del Sacro Cuore si erge di fronte a noi nel buio della sera, illuminata a giorno in tutta la sua verticale maestosità.
 
Al suo fianco, leggermente in ombra, c'è l'ingresso al teatro omonimo, edificio dall'apprezzabile ritorno acustico che saprà restituire nel corso della serata quelle vibrazioni mai dimenticate e che solo l'ugola di Tagliapietra è in grado di esprimere. Decidiamo di attenderne l'apertura nell'antistante piazzetta quando, raccolta nei suoi pensieri, ecco verso noi avanzare una figura estremamente familiare, le braccia raccolte dietro la schiena, il passo sicuro. L'incontro con Aldo Tagliapietra avviene così, spontaneamente e senza alcun tipo di accordo preventivo; due chiacchiere, giusto il tempo di capire che nonostante tutto la ripartenza è il sale della vita, il momento decisivo per mettersi in gioco una volta ancora, in un continuo e concreto scambio di energia con il pubblico. Che negli istanti precedenti il concerto arriva preparato ed entusiasta seppur alla spicciolata. Molti i volti già presenti a Mortara, tutti certi di un clamoroso bis che non può mancare con Aldo e la sua affiatata band. Le 21:00 arrivano rapide. Le luci calano in sala e la musica non si fa attendere. In apertura l'esibizione dell'autoctono Consorzio Acqua Potabile, in una formazione allargata ad otto elementi con il prezioso e decisivo featuring di Alvaro Fella, preludio all'imminente collaborazione fra la band di Boffalora Ticino e il veterano frontman dei Jumbo, scalda e coinvolge. Le note di Coraggio E Mistero, Il Cervo E La Fonte, gli estratti da DNA, con la magistrale Suite Per Il Sig. K sopra tutti, e la conclusiva nonché inedita Sui Cavalli Delle Strade dedicata all'amico Francesco Di Giacomo sono un buon viatico per il piatto forte della serata che di lì a poco calcherà il palco. È giunto infatti il momento. Tocca ad Aldo. "Nel 2015 saranno 50 anni dalla nascita de Le Orme quindi quest'anno ho deciso di fare un omaggio a questo grande gruppo che mi ha dato molto e al quale io ho dato tutto." Con queste poche parole introduttive l'apertura affidata a Insieme Al Concerto dimostra all'istante che non c'è tempo per rimpianti o facili nostalgie. La serata celebrativa, il Celebration Tour, com'è stata ribattezzata questa trance di concerti che nel corso del nuovo anno proseguirà con nuove date, prende presto quota.
 
La voce di Tagliapietra, come sempre in perfetta forma nel suo elegante completo bianco, è assai tonica e convincente, unica nel suo genere, corposa come non sentivamo da tempo cosicché i brani in scaletta non possono che beneficiarne riemergendo in maniera decisa dal passato e propagandosi freschi e attuali dal palco. Non solo attraverso il prog blues di Los Angeles, ma anche e soprattutto per mezzo dell'inattesa Il Gradino Più Stretto Del Cielo, un piccolo capolavoro di potenza e incisività ripescato a sorpresa dal canzoniere ormesco, qua eseguita in una versione potente e estremamente dinamica grazie all'apporto dei Former Life, l'affiatato trio che accompagna il melodista muranese da qualche anno. Nel corso della serata, con il passare dei minuti, sarà sempre più evidente il decisivo apporto che la giovane band veneta è stata in grado di garantire alla causa dell'illustre collega attraverso un entusiasmo e una preparazione invidiabilmente naturali. La gioventù che sprizza energia e dinamismo incontra infatti la passione, il tocco, il gusto dell'esperienza e produce un affresco immaginifico dello stato della musica sempre attuale, capace di spingere al limite un Manuel Smaniotto  - già al fianco di Tagliapietra nel progetto Tagliapietra-Pagliuca-Marton -  in costante crescita, di porre l'accento sulla chitarra di Matteo Ballarin e di lasciare libera creatività alle tastiere di Andrea De Nardi. Terzo estratto da VERITA' NASCOSTE: Regina Al Troubadour è la melodia giusta al momento giusto con Ballarin protagonista dell'ottimo assolo finale su tonante impostazione ritmica di Smaniotto. Attesissima è invece La Porta Chiusa, un tempo autentico tour de force per Le Orme e oggi rampa di lancio per l'ormai rodato quartetto veneto, sempre più a proprio agio nel raggiungere di lì a poco il primo climax della serata con un paio di episodi tratti da L'ANGELO RINCHIUSO, il concept album mandato in stampa nel corso dello scorso anno e qui rappresentato, dopo l'introduzione della strumentale Volatus, dall'autobiografica title track e dalla delicata, ma decisa Dentro Il Sogno, sintesi di un lavoro di profonda e lucida creatività prog rock, dalla struggente epicità, capace di fotografare alla perfezione la sintonia venutasi a creare anche in sala di incisione con innata classe e maestria.
 
Si torna dunque agli antichi fasti con una tripletta in cui vengono combinati melodia e contrappunti folk-cameratistici: Frutto Acerbo, Gioco Di Bimba e l'ipnotica Amico Di Ieri sono il preambolo all'ottima Figure Di Cartone con il talentuoso De Nardi sulle tracce del miglior Pagliuca. A un'ora di viaggio da tutto questo è finalmente tempo di approdare sul cristallino Felona, dopo esser stati a lungo Sospesi Nell'Incredibile sulle note del fantasioso assolo di Mr. Smaniotto e qualche istante prima di rimettere piede a terra con un velo di malinconia; Tagliapietra non dice nulla, ma attacca deciso Morte Di Un Fiore mentre il pensiero corre rapido al nipote Stefano venuto a mancare proprio pochi giorni prima di questo concerto. Mentre sullo sfondo si alternano senza soluzione di continuità opere di Walter Mac Mazzieri, Canzone D'Amore dissipa le nuvole con una splendida esecuzione che evidenzia, se mai ce ne fosse ancora bisogno, l'affiatamento del sorridente Aldo con i suoi giovani compagni di viaggio. Sugli scudi una volta ancora De Nardi e la chitarra di Ballarin, sempre preciso e travolgente. A tratti debordante, come le note della potentissima Sguardo Verso Il Cielo che accendono tutta la platea in vista del gran finale. Grinta, entusiasmo, vitalità, pathos: tutto si anima e prende corpo in un concentrato di assoluto dinamismo immaginifico che cresce nota dopo nota, fraseggio dopo fraseggio. Breve pausa ed è già tempo per il bis. Poteva forse mancare all'appello Cemento Armato? Con una irruenza nuova la voce di Tagliapietra, meticoloso esecutore spronato dalla linfa vitale sprigionata dai suoi colleghi, è un urlo di disarmante attualità che non fa prigionieri né si perde fra la pioggia di note su cui si staglia. Poi è solo tempo di applausi a scena aperta per un live intenso e privo di cali di tensione. Uno spettacolo sinergico di rinnovato entusiasmo fra l'artista e il suo pubblico, in grado di travolgere con reciproca soddisfazione delle parti. Il vecchio leone Tagliapietra ruggisce ancora guidando sicuro l'imbarcazione sospinta per l'ennesima volta in mare aperto; cum grano salis, come fa solo chi ha costruito non soltanto la propria carriera, ma l'intera vita su solide fondamenta. Senza tempo e senza età. Come le emozioni e tutti quei luoghi dell'anima che ciascuno di noi serba gelosamente dentro sé. E non osa dimenticare. Mentre la luna di Novara ci osserva complice lassù, benigna.
 
Andrea Barbaglia '14

sabato 25 ottobre 2014

POCKETS

POCKETS
Cumino
- autoproduzione - 2014

Il progetto Cumino sta diventando sempre più una realtà consolidata all'interno di quel panorama di elettro-sintesi fra suoni e idee. Nato dall'incontro fra Luca Vicenzi e Davide Cappelletti, dai più noto come Hellzapop e autore solo un lustro fa di un pregevole album dagli umori cangianti ribattezzato FINCHÉ LA LUCE È ACCESA, l'esperimento sonoro messo in atto dai due musicisti lombardi giunge al secondo album del loro sodalizio artistico dopo un paio di ep - non soltanto di raccordo - utili per mantenere accesa l'attenzione dopo il promettente esordio TOMORROW IN THE BATTLE THINK OF ME. Proprio le atmosfere rarefatte che allora venivano implementate da una naturale cadenza marzialmente documentaristica, in POCKETS assumono ora una valenza quasi descrittiva che si autodefinisce nella loro progressione ordinata, passo dopo passo, nota dopo nota, attraverso una dilatazione dei suoni visionaria, ai limiti dell'onirico. Abbandonati i risvolti oscuri, a tratti cupi, a un passo dallo smarrimento emotivo del debut album i Cumino sviluppano una musica da meditazione intimista e rilassante, in cui il riposo del corpo libera le percezioni della mente in un viaggio tumultuoso più per i neuroni che per le membra. È un trip malinconico, ma avvolgente come già il battito sincopato di Atlas ci preannuncia, ambient-rock post atomico in cui calore umano e strumenti tecnologici riflettono una luce algida che è sospensione cristallina e abbandono. Perno attorno al quale tutto ruota è l'innato gusto per la melodia che consente al duo di avvicinarsi all'ascoltatore in maniera elegantemente sottile, andando a tessere un vero e proprio reticolato musicale su cui si innestano di volta in volta piccole deviazioni sintetiche che ne modificano la destinazione in una fusione di suoni e umori. Come se si fluttuasse tra due mondi speculari eppure apparentemente privi di reale interscambio comunicativo (Two Spheres); come se si planasse su campi geometricamente perfetti, ma pur sempre disordinati a causa della inarrestabile mutazione temporale che il ciclo delle stagioni naturalmente opera da sé (Fields). Innegabile l'ammirazione per i Telefon Tel Aviv e Justin K. Broadrick nella sua sortita sperimentale Pale Sketches, ma parimenti importante è la maggiore dolcezza emotiva che ne deriva, come se ogni possibile inquietudine, come se ogni prossimo affanno venissero smorzati alla radice in favore di una più consona e serena accettazione dello stato delle cose. L'energia pulsante non rallenta il suo slancio vitale (Veins), ma semplicemente fissa nuovi parametri di valutazione, alternandosi a frastagliate frequenze del cuore e ad astratti istanti di silenzio su cui germogliano nuovi pensieri interiori. Una corsa rallentata verso l'ignoto, unica e confusa risorsa dell'intelletto da cui siamo naturalmente attratti e a cui nessuno può sottrarsi.

venerdì 24 ottobre 2014

POST MERIDIAN SOUL

POST MERIDIAN SOUL
March Division
- autoproduzione - 2014

Correva l'anno 2012 e il duo composto da Andy Vitali e Emanuele Patania si (ri)affacciava nel giro della musica che suona con idee ben chiare e un gran bel cd d'esordio, il consigliatissimo RADIO DAYDREAM. A quasi tre anni da quel primo importante passo i March Division hanno raddoppiato le forze e diviso le fatiche di un percorso musicale che viaggia su coordinate sempre più complete e accattivanti. Affiancati dai collaboratori storici Mattia Pissavini e Stefano Lai, abbandonate - ma a ben guardare solo in parte - le atmosfere più smaccatamente British che ne avevano contraddistinto le mosse nel primo anno di vita, il rinnovato quartetto lombardo aveva già sottolineato un primo cambio di rotta e di attitudine nei tanti live portati a termine all'indomani della pubblicazione del singolo digitale Arizona. Ciò che è confluito nei due successivi ep propedeutici alla realizzazione di POST MERIDIAN SOUL sono stati loop e campionamenti, elettronica e synth pop usati per sporcare il rock classico di cui comunque i quattro musicisti restano debitori (Friday Will Come) rivoluzionando radicalmente l'orizzonte sonoro della band. La scelta ragionata di mescolare The Music a New Order e Klaxons anziché a Led Zeppelin e Oasis ha prodotto come risultato una virata fatta di sintesi suburbana che ci indirizza verso lidi meno vigorosi e irruenti, ma senza dubbio alcuno non meno incandescenti ed evocativi, sospinti da un motore ritmico che lascia senza fiato. La contemporaneità del nuovo album - pensato per spazi aperti e liberi come potrebbe essere un happening internazionale con i Chemical Brothers in vetta al bill - ricolloca i March Division e ne saggia l'eclettica adattabilità a fondere il suono delle origini con le pulsanti soluzioni offerte dalla tecnologia in uso presso le next best things. Unico errore tattico l'aver voluto sondare il terreno con un ep omonimo a fine febbraio e averlo riproposto qua per intero. Se infatti le danze hanno subito inizio con la nuovissima Night Fare lungo un percorso labirintico che troverà la propria via di uscita tra le algide onde à-la Wamdue Project della glaciale Water, sono però episodi già noti quelli che catturano a tutta prima l'attenzione dell'ascoltatore. È il caso della marziale Dig It, ma anche quello della sperimentazione orientaleggiante di Old Man Knocking e del brillante oscillamento che contraddistingue Sell-by Date, tutte tracce godibilissime contenute insieme alla dance ambientale di Downtown Devil e all'heavy beat da Generation X di Right On My Way nel POST MERIDIAN SOUL ep uscito a solo otto mesi fa. Se quello fu comunque un comprensibile e sostanzioso antipasto ecco ora servite le portate principali, complementari, ma diversificate; saporite, appetitose, per ogni tipo di palato. C'è l'omaggio duraniano di Suburban Rust e la proto jungle di Rust'n'Dust, ma trovano spazio anche la riflessione new wave condotta in One Of Ten, il riuscito synth punk di Morning Junk così come una canzone di fede e devozione qual è Time Won't Wait. Questo per chi è alla ricerca di continui paragoni con quanto magari ha già masticato di conosciuto. Per tutti gli altri, lasciarsi coinvolgere dal sound fresco dei March Division potrà essere non solo una sorpresa, ma addirittura uno stimolo a scoprire nuove realtà che non si accontentano di forme e formule immutabili nella loro ripetitività, ma che credono ancora nel mutamento e nella metamorfosi. In fin dei conti, nonostante ciò che si è portati a pensare, è molto facile piacersi ed lo è ancora di più volersi bene. Sono curiosità e apertura mentale a non dover fare difetto. Tu alla sera, quando esci, dove vai?

sabato 18 ottobre 2014

da STAVOLTA COME MI AMMAZZERAI?

PATER
- Edda - 2014
 

 
Regia e montaggio: Fabio Capalbo
Colorist: Orash Rahnema
Assistenti alla realizzazione: Tania Bendoni, Elena Agnoletti, Alberto Bonucci.
Foto di scena: Elena Agnoletti
Un ringraziamento a Federico Ghelli

venerdì 17 ottobre 2014

SONGS FOR TAKEDA

SONGS FOR TAKEDA
Letlo Vin
- autoproduzione - 2014

Letlo è un nome che circola da qualche tempo nell'ambiente del cantautorato indie nostrano. Allevato a suon di folk anni '30 e rock'n'roll anni '50, accompagnato da una chitarra acustica - sovente elettrificata - e cresciuto negli ultimi anni sui palchi di mezza Italia, Letlo Vin resta a tutt'oggi una piacevole quanto sfuggente incognita avvolta da un alone di mistero che ne aumenta il fascino impenetrabile di interprete maledetto. In fuga qui da noi da chissà quali demoni e quale oscuro passato vissuto nel suo paese d'origine. Non si sa molto di lui. Il richiamo dell'ignoto è più forte di qualsiasi spiegazione e intento razionale. Le forze ancestrali evocate nelle notti artiche hanno il sopravvento su ogni tentativo di approfondire la figura di un uomo vissuto dai più come scostante lupo solitario. Ma sono quegli stessi spiriti guida, provenienti da chissà quale landa ignota, a prenderci per mano, incendiare l'animo e divampare silenziosi come fuochi fatui tra le pieghe sonore delle immaginifiche SONGS FOR TAKEDA, l'ottimo esordio discografico realizzato da Vin come omaggio imperituro teso ad esorcizzare la drammatica scomparsa dell'amico suicida evocato nel titolo. Dieci brani niente affatto à-la page, ma decisamente incisivi e convincenti come la tradizione di certo rock e folk americano insegna. Musiche e parole che bucano la pelle, trafiggono la carne, si sedimentano nei capillari e da lì circolano, infette, dentro il corpo. Canzoni in grado di condurci in una spirale di lucida malinconia e dolore con la leggerezza di un vento che soffia forte tra i rami della folta vegetazione subpolare. Spettrale e dolente come i demoni di Roll Over My Devils. Come l'ululato lamentoso del lupo affamato che si estende nella notte sulla valle. Come la depressione. Cartoline dall'inferno, fotogrammi scarni e consunti; agghiaccianti nella loro drammatica realtà. È qui che avviene il contatto con l'ignoto attraverso il quale restiamo in contatto con dimensioni altre, ai più ancora sconosciute. Solo allora le domande salgono alte, vivide, dirette ad un cielo che resta in silenzio. La landa solitaria risponde con un muto cenno di assenso attraverso il freddo pungente, rischiarata dalla pallida luna lassù, attorniata da rade nubi rarefatte. Un salto nel buio, il riverbero di una voce spizzicata à-la Billy Idol, in acustico su Your Mama Saw You There. E ancora: sbiascicata nella torbida passività di un pericoloso fine settimana, esangue fino a scomparire dissolvendosi nell'elettricità sofferta e sofferente di Friday Night un venerdì sera qualunque. Atmosfere gotiche e acustiche in It Won't Last Long con il freddo nelle ossa e il coro finto gospel (e una chitarra presa quasi in prestito dalla vita selvaggia di una lontana Times They Change) a buttare fuori dall'oscurità la storia di un soldato vinto, sopraffatto da sé più ancora che dal destino. Dicembre è alle porte (Blue Xmas Time) e gli aghi dei pini si tramutano già in spade. Anche a Lodi. Shannon Hoon, Layney Stanley, Andrew Wood, Jeff Buckley hanno ora un amico in più. Una nuova mad season è alle porte. Max Carinelli annota tutto su un taccuino e guarda lontano.

mercoledì 15 ottobre 2014

DREMONG

DREMONG
Max Manfredi
- Gutenberg Music - 2014

"DREMONG sarà un album prodotto da me, dai miei musicisti, dal fonico, da tutti coloro che stanno dedicandovi tempo e lavoro... e da voi, da tutti voi che mi seguite, amate le mie canzoni o ne siete incuriositi e pensate che valga la pena che io continui a comporle e a cantarle." Così si esprimeva esattamente un anno fa il sempre raffinato Max Manfredi sul portale di crowdfunding Musicraiser nell'annunciare la lavorazione del suo sesto album realizzato con i contributi diretti di sempre più attenti e numerosi appassionati. Erede diretto di una certa lezione artistica tutta genovese che ha saputo fare scuola nel tempo, versificatore libero, cantautore di lusso e molto altro ancora, Manfredi arriva all'appuntamento con il disco più rock della sua carriera musicale in una fase della propria vita ampiamente votata alla ricerca e alla curiosità. Per una musica di confine ci vuole una persona che di vincoli e limitazioni ne abbia sempre meno rispetto alle regole imposte dalla società; che sia in grado di lasciarsi coinvolgere da quanto la vita gratuitamente offre e abbia intenzione di sviluppare uno sguardo acuto e curioso sull'ignoto. Non necessariamente un Ulisse dantesco, ma un Piccolo Principe sempre aperto alla meraviglia anche se ormai adulto. E un po' orso. Solitario, sfuggente, alieno a logiche basate opportunisticamente sull'avidità, attento e sensibile. Girovago per vocazione e nomade per istinto. Un raro esempio di duttilità e prudenza insieme. Tutto ciò porta oggi sulle tracce di Dremong, l'orso dal collare, nella cruda realtà quotidiana a rischio di estinzione perché da sempre cacciato e torturato per l'estrazione della sua bile ritenuta dalla medicina tradizionale cinese ingrediente afrodisiaco e curativo; orso della luna, che la tradizione giapponese associa agli spiriti delle montagne, ma anche - nell'invenzione artistica operata da Manfredi - simbolo, trasfigurazione, totem di un mondo assai più vicino a tutti noi. Le canzoni contenute in DREMONG non sviluppano un concept album eppure, nella loro eterogeneità di suoni e parole, garantiscono una circolarità di argomentazioni esatte e potenti. Genova è una volta ancora il punto di partenza, ma anche quella finestra spalancata su mondi lontani, esotici e misteriosi, conosciuti spesso solo per sentito dire, ciononostante restituiti all'ascoltatore con una adesione al vero che forse solo Salgari seppe tracciare nei suoi racconti d'avventura. Affiancato da un folto numero di strumentisti Manfredi cammina tra le strade di Finisterre, si lascia purificare dalle Piogge stagionali, ricorda gli Anni 70 e osserva tutto attorno a sé: dal nuovo riflusso che verosimilmente annienterà le effimere promesse di felicità (Disgelo), alla struggente malinconia imperversante in pieno conflitto bellico (Castagne Matte), in un viaggio lento e inevitabile dove inquietudine, disaffezione e memoria la faranno da padrone. Lo sapeva bene il professor Martin del romanzo Di tutte le ricchezze: "Di Rimbaud o di Thelonious Monk ne nasce uno al secolo; la giovinezza non vuol dire necessariamente genialità, il talento va coltivato, è un artigianato." Così come per la scrittura anche della musica "si impara ad avere una visione diversa. Non solo il lampo dell'ispirazione, ma il duro lavoro, la ricerca continua del meglio. Tagliare, ricucire, ripartire. La falegnameria dell'intellettuale. Come san Giuseppe." E come Max Manfredi. Per dirla con le parole di De André: il migliore di tutta una generazione.

martedì 14 ottobre 2014

SLOWFLASH

SLOWFLASH
Limes
- autoproduzione - 2014
 
Registrato, mixato e soprattutto arrangiato da quell'interessante Abba Zabba - al secolo Alessandro Giorgiutti - che avevamo avuto modo di scovare su qualche palco di provincia a ruota del bell'esordio cantautorale dell'astigiano Massimo Lepre a.k.a. Marrone Quando Fugge, SLOWFLASH è il primo album ufficiale dei triestini Limes dopo il piuttosto acerbo ep ESSENTIAL di qualche annetto fa. Nonostante la scelta di un nome così programmatico come quello preso in prestito dalla lingua latina non è musica di confine la loro; qui non troverete infatti oltraggiose strutture armoniche o arzigogolate variazioni strumentali che guardano alle avanguardie più spinte. Anche in campo semantico il ricorso al lessico inglese non è motivo per arditi voli pindarici e neppure occasione per imbastire innovative trame psicologiche, sceneggiature di storie inverosimili, pruriginose provocazioni. Più semplicemente, il percorso musicale del trio si assesta su un dignitoso rock - non privo di appeal - che guarda ai Coldplay come numi tutelari senza però rinnegare la forma canzone dei R.E.M. più commercialmente spigolosi (Path Of Mind) né tantomeno perdere in incisività quando le circostanze lo richiedono (The Ascent). Già la cadenzata intro strumentale Plume I, replicata in chiusura dalla gemella Plume II, circoscrive la traiettoria entro cui si compirà la parabola di questa prima prova sulla lunga distanza, dando ampio risalto alla compattezza delle ritmiche su cui poggiano chitarra elettrica e pianoforte. Intrigante fin dal principio, con una spiccata predilezione per tematiche esistenzialiste care a quella generazione di adulti di mezzo cui Mauro Mercandel, Piero Metullio e Matteo Bologna appartengono, SLOWFLASH ha una energia piuttosto contenuta e tempi di esposizione lunghi, metabolizzati principalmente dopo ripetuti ascolti, ma che nel contempo non perdono in spontaneità. La (speriamo) futura hit Pressure Variation sintetizza così una naturale irruenza pronta ad esplodere on stage e una introspettiva profondità di analisi brillantemente doppiata dall'abbandono sognante e nostalgico della delicata The Fall, omaggio al miglior brit pop d'annata. Se una collocazione geografica - apparentemente - marginale è in cerca di riscatto commerciale e necessita di maggiore esposizione quest'ultima andrà cercata tra le mura del punk funk Noise's Room o, all'opposto, nella melodia tout court della manieristica White, brillante racconto per chitarra acustica, pianoforte e voce dall'inaspettato crescendo orchestrale. Anche nell'alternanza chiaroscurale di Wood, premiata da buoni propositi e scattanti schitarrate, ma alla lunga penalizzata dalla mancanza di un ritornello vero e proprio, è evidente la crescita compositiva dei Limes rispetto al passato più prossimo. E dal momento che è un pezzo a tutta prima ostico e per nulla immediato come Tunng ad essere stato scelto come singolo apripista, si capisce come ai Nostri piaccia giocare con il fuoco e non temano il rischio. Guardiamo ad est con fiducia, dunque; tra realismo e astrazione. 

venerdì 10 ottobre 2014

DON KIXOTE

DON KIXOTE
The Shipwreck Bag Show
- Wallace Records/Brigadisco/Phonometak - 2014  

Non si può non rimanere affascinati dalla trasposizione sbilenca e rumorosamente minimalista che Roberto Bertacchini e Xabier Iriondo fanno del capolavoro cervantesco Don Chiscotte della Mancia. Per una volta non leggetelo, ma ascoltatelo e fatevelo raccontare da chi ha messo anima, cuore e cervello per riconsegnarcelo intatto in tutta la sua poderosa essenzialità che da quasi quattrocento anni travalica i secoli. È più che una rilettura questo visionario DON KIXOTE; è proprio un racconto nuovo. È una messinscena modernissima e contemporanea di altissima qualità quella che il duo The Shipwreck Bag Show fa e allestisce nei solchi di un album prezioso ed emozionante. Sarà la voce di Bertacchini, saranno gli interventi sonori di Iriondo, sarà lo script da cui tutto ha avuto origine, ma quello che più conta qui è la capacita di sintesi operata dall'affiatatissima coppia di musicisti che seleziona, taglia, riduce e illumina ciò che risulta in ultima analisi fondante l'intero romanzo, ponendo l'accento su alcuni passaggi clou basilari. Non solo cronologicamente impeccabili, ma significativamente esistenziali. È il particolare, che comprende e rivela il generale. C'è un pezzo a tal proposito, La Follia, Il Sogno, L'Ignoto, in cui ogni cosa appare, nella sua lungimiranza senza tempo, come data una volta per tutte. Un solo minuto, sessanta secondi che raccontano più di tanti libri di scuola e pedanti pagine di critica letteraria. Ciò che altrove diventa sempre più spesso merce rara è una dote che hic et nunc, su due facciate viniliche, viene elargita gratuitamente e in abbondanza: la credibilità. Quella di un lavoro che vede nello schivo leader degli Starfuckers il perfetto attore calato con naturalezza nei panni del problematico cavaliere della Mancia e che, di contro, premia il sodale musicista italo-basco quale suo alter ego di fiducia. Una via preferenziale tra i due per la realizzazione di un'opera artigianalmente ineccepibile che mescola l'alto e il basso, il tragico e il comico, la follia all'equilibrio. Disillusione e complessità con una aderenza al vero letterario che spaventa tanto è il grado di immedesimazione dei protagonisti. Non esiste più una perpetua e distaccata immutabilità di temi e ruoli. Quando l'hidalgo spagnolo perderà il senno e mostrerà tutta la delusione che l'uomo prova di fronte alla realtà, noi saremo in completa avaria con lui e il duo che lo canta. Con una voce mai allineata, per questo pura e disillusa, nella quale ritrovarsi con lucida malinconia e spirito critico. Non più un accomodante flusso di coscienza libero da geometrie unitarie e neppure una "semplice" vita parallela fra le tante possibili; ma un capitolo importante per la comprensione dell'Io interiore. Viscerale. Primitivo. Umano. Frammentario come le nostre esistenze moderne partorite, a volte, da nuovi mulini a vento.

mercoledì 1 ottobre 2014

COSA TI SCIUPA

COSA TI SCIUPA
Emiliano Mazzoni
- Gutenberg Music - 2014
 
Tracce di bellezza perduta. Dall'Appennino. Con gioia e tanta consolazione. Consolazione che le cose belle non vanno perdute; magari sono nascoste e difficili da scovare, ma senz'altro anche per questo sono conservate meglio, con cura e minuzioso attaccamento alla loro essenza affinché non subiscano le intemperie della caducità umana. Tracce di bellezza che meritano di essere poi affrancate da questa loro condizione, messe quindi in circolo nella società, libere di viaggiare per il mondo. Come è il caso delle undici voci contenute in COSA TI SCIUPA, secondo episodio discografico per il cantautore modenese Emiliano Mazzoni, primo rilasciato con la consapevolezza di avere tra le mani un lavoro maturo in grado di muovere altrove. Disincantate ballate rock con una personalissima linfa essenziale rubata alla vita, che le contraddistingue e ne accende anche le peculiarità più nascoste. Un pianoforte portante, una voce espressiva, le chitarre elettriche discrete, ma decise, svelte a innervare di elettricità parole a tratti visionarie, a tratti domestiche. Molte idee e pochi mezzi. Più che altro essenziali. Com'è la vita in montagna, legata al ciclo della natura, alle albe e ai tramonti, resa dura dalle asperità, spontanea e schietta, sincera come l'innocenza di un bambino. Con il dramma pronto a tramutarsi in opportunità se solo lo si vuole. Categorie esplorate a fondo attraverso il canto senza tempo di Un'Altra Fuga; ricordando l'addio del milite ignoto in Non Rivedrò Più Nessuno; mettendo nero su bianco il fallimento di Tornerà La Felicità. E poi ancora le storie minime, per lo più amorose e che valgono un'esistenza intera: il sentimento per la Ragazza Aria, le incerte certezze messe a nudo con Ma Perché Te Ne Vai, l'amore maturo di Ciao Tenerezza e quello pericolosamente maschio di Hey Boy, quasi fosse una rivisitazione in chiave moderna di Dream A Little Dream Of Me. Lampi e bagliori di una condizione umana che lascia germogliare gli sfrontati e reazionari propositi di Diva mitigati dalla devozione pagana di Nell'Aria C'Era Un Forte Odore. Uno spaccato credibile in cui i desideri del cuore sono necessari per la realizzazione di sé. Imprevedibile e inafferrabile COSA TI SCIUPA è la domanda inespressa, "un interrogativo senza punto di domanda, a metà strada fra una domanda ed un rovello di un uomo che non sa capire come mai tanta "splendenza" cessi di splendere, sciupandosi, senza che nessuno ne abbia colpa"; un album fatto da musicisti, con canzoni uniche, inconfondibili, realizzate con passione artigianale e senza disposizioni che non provengano altro che dall'ispirazione di un mondo lontano dal caos metropolitano, ma non per questo privo di una propria dignità e di valori veri. Anche quando negativi. Un lavoro che consente a Mazzoni di fare un altro importante passo nella direzione giusta, quella legata a tante piccole aspettative personali in grado di riversare nella creatività la loro pienezza ontologica. Per dissetarsi alla fonte del disincanto. Con l'ultima neve dell'inverno che si scioglie ai lati della strada.