sabato 26 gennaio 2013

QUINTALE
Bachi da Pietra
- La Tempesta - 2013

Pesantissimo. Fin dalla copertina, capace di rendere visivamente il senso di oppressione e fatica che la musica suonata scaraventa con indicibile pesantezza sugli stessi musicisti. Schiacciandoli. Annichilendoli. QUINTALE è forse al netto delle spese la quintessenza metallica mai espressa prima d'ora in Italia. Un album capace di rivaleggiare senza timori di sorta al di qua e al di là dell'Oceano con i pesi massimi di certa musica robusta spesso vituperata e preventivamente bollata come rumore. Roboante e necessario. Il duo formato da Bruno Dorella e Giovanni Succi trova in Giulio "Ragno" Favero il nuovo elemento capace di convogliare la violenza e l'ordinato delirio sonoro fino ad ora orditi in combutta prima (TORNARE NELLA TERRA, NON IO) con Alessandro Bartolucci e successivamente (TARLO TERZO, QUARZO) con Ivan Rossi. Il nuovo trio così composto osa e, spingendosi su lidi ampiamente petrosi ed ameni, si trova ad un passo dal baratro, dall'orrido che si spalanca sullo Stige di dantesca memoria in cui iracondi e accidiosi espiano la loro incontinenza. Qui, urtata dai lamenti dei primi che salgono dolenti, la voce di Succi in Haiti vomita la morbosità death dei migliori Morbid Angel mentre chitarra e batteria edificano una cattedrale di metal pagano inespugnabile; dal cielo piovono macigni. E allora riparo lo troviamo solo rifugiandoci al suo interno mentre di fuori il flagello celeste continua la sua opera di devastazione. Pensieri Parole Opere succedono a Brutti Versi rocciosi e a evocativi Mari Lontani, tra rock'n'roll, brutal blues e derive post apocalittiche. Arrington De Dionyso appare come uno spettro armato di sax distorto nella sferzante Paolo Il Tarlo, furioso classico negli anni a venire; si innesta nel primordiale hard rock zeppeliano di Ma Anche No e colora di vermiglio l'Enigma che attanaglia Succi, evidenziando soluzioni armoniche inusuali. Mai prima d'ora i Bachi si erano espressi con una immediatezza sonora e lirica così dannatamente felice. I cori e il riff di Io Lo Vuole, la calma superficialmente pacificata di Dio Del Suolo, la linea melodica di Fessura sono la naturale evoluzione di quelle aperture proposte in Dragamine del precedente QUARZO: là semplicemente scalfite, qua cesellate e lavorate. Un disco monolitico, ma sfaccettato; luciferino eppure politico. Sì, perché dietro alla gragnuola di note martellanti si nasconde una aperta critica alle storture della realtà. Se infatti per un istante si tentasse di scindere dalle musiche le parole mai casuali dei testi ci accorgeremmo di come le liriche di Succi, letterato nel corpo di rocker (la scansione metrica fatta nello stoner rock Sangue è in tal senso esemplare), mirino a fotografare la condizione dell'uomo contemporaneo. Si prenda l'heavy rock della già citata Io Lo Vuole oppure la rabbiosa Coleottero; o perché no, pure il rock rappato della bonus track Baratto@bachidapietra.com. Parole chiare, nette, scagliate con forza e veemenza perché sicure della propria ragione d'essere. Pietre che cadono violente dall'alto verso il basso. Monoliti che schiantano le schiene. E aprono le menti. Altrimenti anche tu sei libero di essere come ti vogliono.
 
un link al seguente post è presente qui: http://www.facebook.com/bachidapietra e qui: http://twitter.com/bachidapietra

venerdì 25 gennaio 2013

KILOMETRI
Amari
- Riotmaker - 2013

Questa volta abbiamo dovuto penare ben più del solito. Sono infatti quattro gli anni che separano il sottovalutato, ma intelligente e dinamico POWERI dal qui presente ritorno e approdo (definitivo?) alla forma canzone dei Tre Moderni Moschettieri del Carso. Cero, Pasta e Dariella scombinano una volta ancora le carte in tavola e realizzano il disco più tradizionalmente italiano della loro carriera. Lontane le pulsioni hip hop e le iconoclastiche pose rap degli esordi, assimilate, ma abbandonate le più recenti lezioni di inglese, rielaborate le soluzioni pop che da sempre a ben guardare sottendono al loro lavoro, gli Amari vanno ad approfondire il lato cantautorale della musica. Dariella in particolar modo, forte anche dell'esperienza accumulata come autore SIAE in questi ultimi anni, spinge in una direzione sonora fin qua solo accarezzata; forse canonica in altri ambienti, ma dagli esiti imprevedibili da queste parti vista l'alchimia mai smarrita con gli altrettanto imprescindibili Cero e Dariella. È dunque positivamente scioccante il ritorno nell'etere annunciato attraverso il singolo Il Tempo Più Importante. Non più sorprendente patchanka elettronica à-la Bolognina Revolution né roboante singolone mozzafiato come fu Le Gite Fuori Porta, ma delicata e matura canzone tout court dall'invidiabile equilibrio formale che non rinuncia tuttavia a escamotage valvolari per ribadire un certo patrimonio genetico irrinunciabile. Gli Amari avanzano sicuri, quasi in punta di piedi. Sparito il campo minato del Gran Master Mogol il viaggio prosegue sicuro nel solco della rassicurante tradizione pop, macinando quei Kilometri descritti nell'omonima canzone, malinconico trip hop ipnotico, scelta per dare pure il titolo all'album. La lezione della "new wave romana" di Tiromancino e Niccolò Fabi in Aspettare, Aspetterò, l'inaspettata vicinanza a un certo modo di scrittura proprio di Max Pezzali (il contagioso pensiero generazionale di Africa, la rivoluzione bubblegum di Ti Ci Voleva La Guerra, la già citata title track), le sonorità piane e lineari dosate con discrezionalità non sono mai in antitesi con i restanti episodi raccontati a partire dal colorato omaggio battistiano di Rubato fino all'agrodolce monologo sentimentale, contrappuntato dalla tromba di Michele Procelli, de Il Cuore Oltre La Siepe. In molti se ne saranno accorti e il buon Lorenzo Cherubini avrà sicuramente avuto modo di apprezzare una volta ancora l'operato degli Amari insieme a tutto il suo staff. Un unico, vero sguardo al passato lo percepiamo nella dissonante proposta de La Ballata Del Bicchiere Mezzo Vuoto; in parte per la metrica ritmata del testo, in parte per le basi prese in prestito dalla scatola dei giocattoli di Mondo Marcio. Ma quello era anche il tempo degli amori immaginati. Un'altra epoca insomma. Oggi la realtà è invece più concreta che mai. E nel mezzo si è completata una metamorfosi. Come si è arrivati A Questo Punto? La risposta è nel percorso intrapreso dalla band nei suoi quasi quindici anni di carriera; un cammino guidato dal lume della curiosità, con un raggio di azione capace di spaziare a 360° e la necessità costante di osare. Sperimentando, sbagliando, correggendo e alzando il tiro. Con criterio e metodo. In continuo e folle movimento.

giovedì 17 gennaio 2013

LA RIVOLUZIONE NEL MONOLOCALE
Alì
- La Vigna Dischi - 2013

C'è lo spleen di Vasco Brondi; c'è la tradizione cantautorale italiana che si fonde con quella americana; c'è la collaborazione con uno dei Premi Tenco del 2012, l'amico Lorenzo Urcillo in arte Colapesce; c'è una etichetta piccola piccola, fatta in campagna, a Mazara del Vallo, che investe nelle idee di chi le condivide. E c'è una mezz'ora abbondante di canzoni scritte inizialmente per chitarra e voce che paiono sgorgare sì chete, ma comunque urgenti, senza soluzione di continuità, direttamente dalla vena poetica di un giovane catanese trapiantato a Siracusa. Così Stefano Alì si presenta al debutto nel mondo della canzone. Con una manciata di delicati quadri impressionisti dalle tinte pastello, pensati, provati e studiati lungo il corso di decine di giornate tutte dannatamente uguali, fatte di immobile precariato e con la consapevolezza innata dell'alto patrimonio culturale che le antiche vestigia sorte lì vicino, a due passi dalla città, seppero garantire alla Trinacria rendendo grande tutta l'isola. E dunque, anche con tutta quella rabbia possibilmente accumulata in questi anni a causa dell'immutabilità del contingente, così lontano dal glorioso tempo che fu. È sintomatico il fatto di come tematiche così soggettivamente uniche accomunino in realtà tutto lo Stivale italico, partendo dalla Torino di Vittorio Cane, passando per la Bassa di Giuseppe Peveri, facendo sosta nella Toscana di Lorenzo Cilembrini, meglio noto come Il Cile, e arrivando appunto fino alla Sicilia di Alì e dello stesso Colapesce, che qui ritroviamo nelle vesti di produttore. Un sentimento quasi generazionale che di fronte alle disillusioni della vita (Roulette) e dei sogni (Continuare A Vendere Oro) trova rifugio temporaneo nell'amore (Le Nostre Bocche Incollate, New York) oppure nel suo ricordo (Maggio) anche se a volte conflittuale (Armata Fino Ai Denti). L'elogio all'ozio di wolfanghiana memoria (Per La Gioia Di Woodoo) e la mirata rappresentazione del tedio predomenicale sintetizzata nella geniale Cash (forte di una frase da mandare a memoria ad libitum: "è giunto il saba-to e ci si veste a ca-zzo") valorizzano ulteriormente questa rivoluzione da monolocale. I conclusivi Racconti Di Viaggio sono evasione pura, ma senza allontanarsi troppo da esso ché l'omaggio ai propri eroi (la cover di Paolo Conte Il Miglior Sorriso Della Mia Faccia) merita di essere riprodotto in piccoli spazi, caldi e familiari. Coadiuvati magari da una manciata di amici ben disposti dall'ambiente a condividere umori e sensazioni. Poi, per i fuochi d'artificio di fine giornata, potrebbe bastare il terrazzo vista cielo del condominio. Un modo come un altro per vincere il grigiore che ci circonda.
 

lunedì 14 gennaio 2013

ECCO

ECCO
Niccolò Fabi
- Universal - 2012

Se qualcuno ha ancora ben vivo il ricordo del caloroso concerto tenuto da Niccolò Fabi nell'area mercatale di Leverano pochi giorni dopo il Ferragosto del 2011, in compagnia di Simone Cristicchi e dei baresi Aralco, non si sorprenderà di leggere ora nei crediti di ECCO, settimo album in studio per il cantautore romano, la registrazione dello stesso presso i rinomati Posada Studio ubicati nella vicina Lecce. Esaurito il Solo Un Uomo Tour, concessasi nei mesi successivi qualche sporadica apparizione in solitaria al pari di centellinate ospitate in eventi culturali di ampio respiro, Fabi per tre settimane, complice il padrone di casa Roy Paci e i compagni del suo viaggio in musica capitanati dall'amico di sempre Fabio Rondanini, scende una volta ancora verso sud trovando quel giusto mix di armonia e slancio compositivo utile per fissare le coordinate del nuovo lavoro. Il Salento dunque, come oasi di universalità ed equilibrio. Per ripartire. Una volta ancora. E Niccolò torna; torna e lo fa in compagnia. Innanzitutto di Roberto "Bob" Angelini con cui oltre a condividere gli strumenti a corde lungo tutto la durata dell'album divide le parole nel singolo Una Buona Idea, perfetta fotografia dell'uomo Fabi messa a fuoco nel mezzo del moderno cammin della propria vita. In seconda battuta, torna con una manciata di canzoni legate indissolubilmente al suo autore, al suo stile, così maturo e riconoscibile eppure ancora capace di rinnovarsi attraverso le piccole sfumature di un "percorso (dinamico) pensato per l'ascoltatore". Diversi gli spunti. Alla liberatoria calma descrittiva, sottolineata dalla Orchestra APM di Saluzzo, di Elementare si sostituisce la consapevolezza agrodolce di Lontano Da Me. Un arpeggio sensuale caratterizza i Sedici Modi Di Dire Verde, con quel salto emozionale di metà ascolto esaltato dalla slide guitar e sistematicamente evidenziato dalle sfumature soul del pezzo; la reciproca e naturale influenza con l'amico Max Gazzé si avverte nel rock confidenziale di Verosimile, doppiato nella voce, sostenuto dal basso di Gabriele Lazzarotti, contrappuntato dalle chitarre e finemente "sporcato" dai synth di Mr. Coffee. Un antico alone alieno si impossessa delle atmosfere notturno-noir di Le Cose Che Non Abbiamo Detto le quali a loro volta fanno il paio con l'andamento bandistico di Io; lo sguardo rivolto alla propria infanzia si consuma nell'autobiografica I Cerchi Di Gesso e matura con la crescita di Indipendente. In chiusura c'è ancora meritato spazio per lo space pop strumentale di passaggio per le Indie, trampolino di lancio in vista del sontuoso finale di Ecco, rabbioso bilancio sugli equilibri della vita. Dal vibrante slancio emotivo e dalla sorprendente vigoria; intensa e rabbiosa. Un must. Poi certo, se non se ne ha mai abbastanza, si può andare alla ricerca nel web delle Angelo Mai Sessions, un versione audiovisiva registrata dopo l'uscita del cd per capirne meglio l'evoluzione e il dinamismo. Con tutti i suoi interpreti. Del resto chi cerca trova. E gode di più. Bravo Niccolò, bentornato!

domenica 13 gennaio 2013

SEE YOU DOWNTOWN
SYD
- Etnagigante - 2013
 
Se l'electroclash, l'industrial e le contaminazioni tra rock e digitale con un sospetto di funk sono pane per i vostri denti SYD è la next best thing capace di deliziare anche i palati più esigenti. Una proposta tutta italiana, dalle indubbie potenzialità mondiali già ben sviluppate in questo esordio fulminante. Noto in precedenza con il nickname di John Lui, Marco Pettinato consolida il recente rapporto con Etnagigante sviluppando la sua idea di musica totale. Al suo fianco Roy Paci e Marco Trentacoste per una miscela esplosiva capace di non porsi limiti se non quelli fisici dell'oggetto cd. I rimandi sono principalmente d'Oltremanica e d'Oltreoceano, ma la melodia, stratificata sotto decibel e linee elettroniche, c'è ed è tutta italiana. Calda. Vitale. Forse è anche per questo che SEE YOU DOWNTON funziona così bene, proponendo una via alternativa, personale, capace di affiancarsi, affrancandosi, a quanto fatto da personaggi del calibro di Trent Reznor e Martin Gore; nomi fino a qualche anno fa impossibili anche solo da avvicinare per un progetto italiano. Ci sono così i Nine Inch Nails riletti secondo il gusto new wave dei primissimi Duran Duran nell'anthematico inno artificiale Broken Generation; si viene travolti dall'onda d'urto sollevata dal treno in corsa targato Apollo 440 di Stop To Rush mentre avanzano strisciando le ossessioni di I Hold You prima di aprirsi ad un refrein che pare proveniere dal Giardino del Suono di Chris Cornell e Kim Thayil; seppur mutuato dal Dave Gahan di ULTRA. Memore dell'esperienza in sala di produzione accanto agli Emoglobe e ai Mallory Switch, forte di quella consumata sui palchi con i mai dimenticati Deasonika e ampiamente appoggiato dal titolare del progetto SYD, Trentacoste spinge violentemente sul tasto dei bits (la torbida frenesia chimica di To The Deeper Space è uno degli esempi più lampanti), mantenendo tutto quel fascino dark che la band di Max Zanotti era in grado di sprigionare accanto ad un voluminoso muro di suono ancora oggi insuperato. Non un passo falso negli oltre 50 minuti di foga musicale. Every Grain ha il santino di Mike Patton per benedirla così come How Many Reasons guarda ai lavori di Rob Zombie pur viaggiando su binari rock più convenzionali. Eppure all'interno di questa opera prima non mancano l'ossessivo trip hop dei Massive Attack più oscuri e quello del Tricky più luciferino. Just For A While riesuma i ritmi febbrili della club culture per trascinarsi liquida e digitale sui dancefloor di mezzo mondo prima di stupire con l'impennata rock del finale. Frozen mescola a sorpresa il blues della West Coast alla pece mansoniana per un potenziale singolo à-la Death in Vegas. Compressi e dilatati i Chemical Brothers non potevano certo mancare e il loro spirito anima la devastante Trip To Miami posta giusto un passo prima della fine. Spettacolare, e non poteva essere altrimenti, la chiusura ai limiti dell'electroclash affidata alla frenetica Sinner, vellutato proiettile adrenalinico sparato a tradimento. Gran lavoro davvero; una ventata di energia trasversale capace di attraversare lo Stivale prima di scuotere i cinque continenti. Con attitudine e classe.
 
un link al seguente post è presente qui: http://www.facebook.com/seeyoudowntowmusic, qui: http://www.facebook.com/JOHNLUIPRODUCER e qui: http://www.facebook.com/RoyPaciOfficial mentre la recensione può essere visibile direttamente qui: http://issuu.com/justkidswebzine/docs/jk06?mode=window

sabato 12 gennaio 2013

NON SONO MAI STATO QUI
Geddo
- Tomato - 2013

Ecco, questa è una di quelle piacevoli sorprese che il cantautorato di casa nostra, quando il solito menagramo di turno lo dà per morto e sepolto, è in grado di proporre e offrire. Riallacciandosi in maniera piuttosto evidente alla Tradizione che negli anni Settanta ha fatto la fortuna di molti musicisti, Davide Geddo si mette in gioco, dà libero sfogo alla sua creatività e da quel lembo d'Italia che chiamiamo Liguria mette sul tavolo da gioco un disco estremamente felice e riuscito. Nei suoni, nelle liriche e nella produzione. Fenomenale. Giunto al secondo lavoro solista, l'analitico chansonnier di Albenga dalla voce calda e roca così vicina a Edoardo Bennato inanella quindici-canzoni-quindici senza mai denotare fasi di stanca; anzi offrendo una vasta gamma di mondi sonori rivestiti da un sottile strato di spigoloso pop che si contaminano via via con il rock (l'ariosa Dicono Che Io per struttura simile all'attuale Ligabue), il funk (la strepitosa Il Post Amore condivisa con la voce soul di Chiara Ragnini), il folk agricolo (Dall'Amore (Interventi Di Modifica Alla Viabilità Inferiore)) e quello cantautorale (la massaroniana Equilibrio), lo swing (il lampo di Piccolina), il brit-pop orchestrale (la malinconica avventura de L'Astronauta Di Provincia). Tanti piccoli cortometraggi che uniti alla magistrale forza evocativa di Venezia, alla sbandata alcolica di Tristano, alla cinematografica Angela E Il Cinema e al country rock venato di Southern espresso in Stare Bene vanno a comporre i capitoli di un ben più ampio film girato prima nei luoghi della mente, immaginati e forse vissuti dallo stesso Geddo, poi tra le mura dell'Hilary Studio di Genova. Si aggiungano la malinconia indie-rock de La Campionessa Mondiale Di Sollevamento Pesi dal vago sapore afterhoursiano, il retrogusto nomade della gucciniana Nancy, la preziosa Sole Rotto speculare alla ben più famosa L'Isola Che Non C'è del già citato Bennato, le dissertazioni esistenziali di Un Pugno In Un Muro sottolineate dal flicorno di Stefano Bergamaschi e il cerchio è chiuso. C'è ancora spazio per una ultima sorpresa, per la verità: la title track, negli umori così distante dal resto del lotto e per questo anche più incisiva. Così in solitaria, per chitarra acustica, voce ed elettronica. Un nuovo (e a tratti inatteso) biglietto in vista di quel futuro viaggio che, oltre l'orizzonte, aspetta fin da ora l'autore ligure. Un plauso a Geddo dunque, ma grande merito pure a tutti i numerosi musicisti che lo hanno accompagnato in questa sua nuova avventura, capaci di ricreare quella amalgama sonora su cui Geddo ha buon gioco nell'intrecciare dettagli minimali e grandi realtà. Parafrasando un celebre interprete inglese: mai un attimo di noia. Fossero anche solo canzonette, si può forse fare finta di niente davanti a un gioiello di questa caratura?!?
 
un link al seguente post è presente qui: http://www.facebook.com/davide.geddo

giovedì 10 gennaio 2013

BEAUTIFUL BUT EMPTY
Kafka On The Shore
- La Fabbrica - 2013

Uno degli indiscussi vantaggi che l'ormai addormentato Villaggio Globale è stato capace di generare è la facilità di entrare in contatto con realtà a volte anche estremamente differenti rispetto ai propri luoghi di origine. Certo: tecnologia, modernità e progresso scientifico non possono comunque dimenticare il ruolo non meno determinante che il Fato ha poi avuto nel(lo s)combinare gli eventi; ma siamo altrettanto sicuri che anche solo una ventina di anni fa una formazione variegata come il combo dei Kafka On the Shore avrebbe potuto muovere i primi passi non solo all'interno del panorama musicale, ma già solo nella vita di tutti i giorni? Con molta probabilità la risposta sarebbe negativa e oggi saremmo stati privati di un riuscito disco di esordio capace di porsi a metà strada tra le sperimentazioni di uno sghembo rock europeo e le scorribande sonore più lisergiche e calde di stampo americano. Il "disco dei due mondi" allora? Ancora no, ma se i KOTS sapranno mantenere le promesse di questo BEAUTIFUL BUT EMPTY sapremo da dove tutto ha avuto inizio. L'italianissimo Vin(cen)z(o) Parisi, l'americano Elliott Schmidt, il teutonico Daniel Winkler e il chitarrista Freddy Lobster pescano in egual misura tanto dal passato quanto dal presente della musica mondiale per condensare in tre quarti d'ora un viaggio nato sull'asse Berlino-Palermo con base logistica in quel di Milano. Un'avventura nata quasi per gioco, una scampagnata fuori porta dai risultati bizzarri che premiano l'ascoltatore dopo i primi istanti di smarrimento di fronte alla tavolozza di suoni usata dalla band. Si respira entusiasmo a pieni polmoni fin dalla prime note di Berlin, originale omaggio alla capitale di quello stato che ha dato i natali sia al biondo cantante-chitarrista Elliott sia al batterista Daniel. Un quadro multicolore, eclettico e bizzarro come le modulazioni, ora cavernose ora acide, della voce del giovane Schmidt, che trovano nella psichedelia della mini-suite Walt Disney i binari giusti per essere veicolate. D'un tratto ci si trova catapultati al Moon Palace in compagnia di Bob Dylan mentre Adam Duritz con la sua enfasi sincera pare rassicurarci offrendoci un gradito drink. Le tastiere di Lost In The Woods han quel non so che di Litfiba d'annata, ma shakerato con chitarre post punk e voce nasale à-la Tom Petty per un inaspettato connubio tra passato e presente; così come Airport Landscape che riesce a fondere una attitudine futurista al volo e atmosfere indiavolate più contemporanee. Le stesse peraltro presenti nell'eterea Venus, ossessiva disamina condotta in compagnia della sempre riconoscibile Chiara Castello, più volte ascoltata nei 2Pigeons e, prima ancora, con i Museo Kabikoff. Se a tutto questo aggiungiamo l'ottima digressione Sixties di Lily Allen In Green con quel suo impagabile e nervoso retrogusto acido, ci si può accomodare felici alla tavola degli ormai disciolti R.E.M. per mangiare un piatto caldo di zuppa Campbell's in compagnia di Robert Smith ed Andy Cairns. Poi se qualcuno vuole può pure distrarsi con la signorina in copertina...
 
un link al seguente post è presente qui: http://www.facebook.com/kotsband e qui: http://www.facebook.com/fleisch.ufficiostampa

martedì 8 gennaio 2013

IL BELLO E IL CATTIVO TEMPO
Elio Petri
- Cura Domestica - 2013

Ostico e di non facile assimilazione. Così si presenta IL BELLO E IL CATTIVO TEMPO al suo primo ascolto. E, per dirla tutta, al secondo, al terzo, addirittura al quarto passaggio nello stereo la situazione non cambia. Cosa c'è che non va? Paradossalmente nulla visto che nel frattempo, riflettiamoci, lo stiamo ascoltando una sesta, poi una settima e un'ottava volta ancora; senza sentire l'esigenza di toglierlo dall'impianto hi-fi che, in fin dei conti, pare voler monopolizzare in maniera testarda e beffarda, parimenti a quanto fatto in ambito grafico da questa capretta che, rielaborata, ci fissa impertinente dalla copertina. Di chi è quella voce morbida che, mai sopra le righe, descrive con spunti e riflessioni concrete un mondo in cui allegoria e quotidiano convivono fianco a fianco? No, non è quella di Elio Petri, cineasta romano noto ai più per i successi di pubblico e critica legati a Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto e al successivo La classe operaia va in paradiso, scomparso prematuramente nel 1982 alla vigilia del mai avviato Chi illumina la grande notte. Dietro un monicker così prestigioso si cela piuttosto il temerario Emiliano Angelelli, giornalista e oggi cantautore a tutti gli effetti il quale dopo il discreto successo del precedente NON È MORTO NESSUNO, nato a nome eliop(e)tri dalla collaborazione con "il cane di Ulan Bator" Matteo Dainese, ha saputo rinnovarsi trovando nella partnership con Daniele Rotella, amico di lungo corso, coproduttore del cd e frontman dei The Rust and The Fury, la chiave di volta per la registrazione del nuovo lavoro. Con il sostegno di una sezione ritmica affidata a Michele Turco e Andrea Leonardi e con il contributo puntuale della new entry Alberto Toti alla chitarra gli Elio Petri sono cresciuti e si sono aperti al mondo. Il carattere tradizionale della loro proposta rock vive di chiaroscuri essenzialmente ripetitivi e circolari, capaci di tratteggiare in maniera penetrante e mai didascalica una sorta di travaglio esistenziale riversato con graffiante caparbietà nelle note prodotte. L'elenco sorprendente di Blues, ritmato dalle stesse parole che compongono il testo più ancora che dalla musica minimale su cui sono innestate, è l'ennesima trovata di un disco che dopo il racconto spiazzante di Vipera, le notturne atmosfere della languida Mascella, quelle evocative della splendida Alga e il tris con Teho Teardo, chiamato a realizzare una manciata di chitarre per la dimessa invettiva de Il Disprezzo e le seattleiane Bruco e Ti Farò Soffrire, evoca con la conclusiva Capra Astrale mondi apparentemente lontanissimi, fatti di sabbie bianche e pensieri di fosso su cui il mai scontato Marco Parente, altro protagonista indiscusso di quel Rinascimento musicale verso il quale anche gli Elio Petri aspirano, mette il proprio sigillo. Un disco anomalo, forse ancora imperfetto. Eppure capace di sorprendere per la sua ostinata capacità di farsi ripetutamente ascoltare e suscettibile di continue aperture a nuovi possibili arrangimenti in corso d'opera durante i futuri live della band. Un passo avanti nella direzione giusta.
 
un link al seguente post è presente qui: http://www.facebook.com/eliop.e.tri e qui: http://www.facebook.com/fleisch.ufficiostampa