martedì 26 marzo 2013

1991

1991
Bad Black Sheep
- Valery Records -

Correre a ritroso nel tempo è un esercizio di stile che viene facile ai vicentini Bad Black Sheep. Il qui presente debutto per la Valery Records avviene dopo un paio di ep che già avevano fatto intuire negli anni passati il potenziale del giovanissimo trio formato nel non lontano 2006 dal chitarrista Filippo Altafini e dalla robusta sezione ritmica con il vizio del canto affidata al lungocrinito Teodorico Carfagnini e al biondo Emanuele Haerens. Ora, accumulata la necessaria esperienza che solo il contatto diretto con il pubblico dei concerti sa dare e grazie ad una produzione in cabina di regia affidata al veterano Sandro Franchin, uno capace nella prima metà degli anni '90 di contribuire in qualità di sound engineer ai successi nazionali tanto di Vasco Rossi, Enrico Ruggeri e Timoria quanto a quelli di Gino Paoli, Ivano Fossati e Paolo Conte, senza tralasciare la parentesi estera con Sade e Simply Red, è giunto il momento di tracciare una linea di demarcazione con il passato, che sia punto di partenza da cui muovere verso nuovi traguardi professionali e occasione di crescita formativa. In un vortice sonoro capace di centrifugare Nirvana, Ministri e Finley emergono idee chiare e buona padronanza dei propri mezzi; l'urlata opener 1991 (ma anche splendida ghost track acustica posta in chiusura di lavoro), scelta come primo singolo del cd, risveglia la mai sopita tendenza del power trio vicentino a porre l'accento su drammi e contese internazionali che ne hanno caratterizzato, seppure indirettamente, la crescita come esseri umani. "Il 1991 è l'anno in cui siamo nati tutti e tre. È un numero palindromo ed è anche l'anno in cui è iniziata la guerra in Iraq. Nei nostri 21 anni di vita e di telegiornali i conflitti in Iraq e in tutto il Medio Oriente ci hanno sempre accompagnato." E hanno accompagnato anche tutti noi, spettatori il più delle volte colpevolmente pigri e consapevoli; immobili perché sufficientemente privilegiati da vivere Altrove. Eppure i tempi bui erano già allora dietro l'angolo: Non Conta accampare ora scuse o tacciare il proprio vicino di scarsa lungimiranza. Nella accorata preghiera pacifista della già nota Didone c'è il rilancio, la supplica, il riscatto, la volontà di scindere il Bene dal Male, senza più far ricorso ad allettanti compromessi di confine. Bisogna correre ad un'Altra Velocità, la stessa che movimenta l'irruenza punk'n'roll di Mr Davis sulle frequenze di Radio Varsavia. I Cult di Ian Astbury e Billy Duffy rieccheggiano nelle trame chitarristiche di Fiato Trattenuto, felice rock ad alto voltaggio capace di lasciare il segno allo stesso modo della new wave latina che pervade la mistica Igreja de S.Maria, dalle inaspettate atmosfere care agli iberici Heroes del Silencio. Solo la punkeggiante cover di Cuccurucucu non convince in questo contesto, non tanto nella forma, comunque un po' stereotipata, quanto nella sostanza, a discapito del pur buono, e fin qui forse inesplorato, spirito adolescenziale messo in luce dai BBS. Non siamo affatto 1000 Miglia Sotto La Norma, ma di certo qualcosa potrà cambiare in meglio se gli sforzi dei vicentini verranno premiati. Non ci vuole molto altro. Pensieri semplici, familiari, a tratti anche elementari. Del resto Flaubert ce lo ha insegnato: la semplicità è tutto. 

lunedì 25 marzo 2013

PNEUMOLOGIC
Ornaments
- Tannen Records - 2013

Prendi due chitarre dai The Death Of Anna Karina, rispolvera il basso di Enrico Baraldi e adagia il tutto sulle pelli percosse da Riccardo Brighenti. Inspira ed espira. Lentamente. Ascolta il sangue fluire nelle vene. Respira e presta attenzione al tuo corpo. Un intenso calore lo pervaderà tutto mentre il cuore continuerà a pulsare con costanza diffondendolo capillarmente senza sosta attraverso ogni centimetro della tua pelle. In un abbraccio carico di suggestioni quasi esoteriche gli Ornaments sviluppano in musica la nozione del pneuma, "un soffio caldo che spira dalle esalazioni del sangue", per alcuni principio di tutte le cose e fonte di vita. Assecondando la tradizione, "dal cuore la corrente pneumatica si diffonderebbe nel corpo attraverso un sistema circolatorio simile a quello formato dalle arterie e dalle vene in cui scorre il sangue e, come tale, soggetto ad influssi di caldo e freddo". Diverse tuttavia sono le sue derive ontologiche maturate nei secoli; PNEUMOLOGIC è qui da intendersi dunque come una suite articolata in sette capitoli, prevalentemente strumentali, lungo cui le teorie legate al pneuma vengono via via analizzate, ora con cupi bagliori doom ora con più ancestrali ritmiche tribali. Sempre senza mai scadere nel pericoloso baratro della prevedibilità esecutiva. Pulse, Breath, Aer sono il primo trittico entro cui il post-rock del quartetto bassopadano si muove con disinvoltura svincolandosi a tratti dai facili cliché del genere; a ruota, Galeno, Pneuma e Spirit ribadiscono la bontà dell'opera, la prima per Davide Gherardi e soci in quanto a minutaggio dopo la promettente manciata fatta di demo ed ep, che si completa con l'estenuante tour de force proposto in compagnia dell'artista romano Tommaso Garavini con L'Ora Del Corpo Spaccato, sofferente quadro di boschiana memoria in attesa di redenzione. Non è certo un album di facile assimilazione questo PNEUMOLOGIC e sicuramente la tematica affrontata non aiuta per immediatezza o fruibilità; eppure gli ascolti ripetuti e una certa predisposizione d'animo colmano se non altro le distanze con la complessità e la densità di suoni (qua e là compaiono infatti anche synth, violoncelli e seghe armoniche) ed arrangiamenti di cui questo lavoro si fa portatore, scavando dentro noi un  percorso nuovo, di riscoperta. Nota di merito per il ricco artwork a cura di Luca Zampriolo che in collaborazione con Giampiero Quaini è stato capace di cogliere l'essenza nera di questa anima pulsante, concettualmente definita; ulteriore moto vivifico e vivificante che penetra nel nostro cuore fino a raggiungere capillarmente lo spirito.

giovedì 21 marzo 2013

DUE ANNI DOPO
Cesare Malfatti
- Adesiva Discografica - 2013

"Il motivo di questo disco, due anni dopo, è raccontare che sono partito da un esperimento, compreso il cantare, e poi piano piano, con la scusa dei concerti, tutto è diventato più naturale, più solido, (...) un po' più rock". Era andato oltre le più rosee aspettative l'esordio solista di Cesare Malfatti. In una dimensione casalinga capace di bilanciare inaspettate esigenze di curiosità cantautorale con una inesausta tensione al Bello, CESARE MALFATTI andava a riempire un vuoto creativo emerso dopo la separazione consensuale dal compagno di scorribande sonore Mauro Ermanno Giovanardi con un approccio tanto minimale quanto coraggioso. Solitamente in casi di questo tipo grava perciò una responsabilità non di poco conto, quella di dare un seguito ben argomentato in grado di mantenere le aspettative fino a quel punto realizzate. Una volta ancora Malfatti sceglie invece una strada alternativa per raccontarsi, preferendo spostare l'accento sulle dinamiche esistenti tra l'artista e il suo lavoro, per "far capire quello che succede normalmente a un disco", quando questo, dopo essere stato completato in studio e dato alle stampe, acquista man mano corpo fin dalle prime uscite live e si trasforma, diventando gradualmente altro. "Succedeva così anche con i La Crus - afferma il cantautore milanese - e questo ci piaceva, perché era un modo nuovo di sentire la nostra musica". Così, una volta ancora slegato dai canoni promozionali tradizionali della discografia contemporanea, DUE ANNI DOPO focalizza la dimensione cantautorale di Malfatti ampliando nel contempo lo spettro delle sue collaborazioni. Il passaggio da una dimensione solitaria a quella di una factory sui generis sta alla base del rinnovamento sonoro di cui tracce come Andate Via, Il Bilancio, Mi Han Detto Che e Posso Fare A Meno beneficiano ampiamente. Il roommate Dodo NKishi alla batteria, l'eclettico Giovanni Ferrario prevalentemente al basso e alla tastiera, un prezioso Manuel Agnelli all'ultracentenario piano verticale di casa Malfatti, il violino di Vincenzo Di Silvestro sono i sarti di questo anomalo atelier in cui i capi disegnati a suo tempo dall'amico Cesare sviluppano nuove linee guida. Piacciono gli accompagnamenti vocali in Ma Perché e Soltanto Tu così come il rallentamento trip hop di Fermati Milano e l'arpeggio prolungato su cui viene costruita Quello Che Abbiamo. Tutte canzoni che fanno il paio con la solitaria riflessione esistenzialista de La Notte Bagna o con la sempre splendida Sembra Quasi Felicità, altrettanto note e ugualmente felici nella nuova veste sonora. Rispetto al passato solo l'ordine delle canzoni è differente; per la proprietà commutativa il risultato (positivo) non cambia. Piuttosto si amplia, grazie a quel goloso paio di inediti posti in chiusura al cd. Caratterizzata dal violino di Di Silvestro e dalla voce della moglie Stefania Giarlotta, Due Di Uno è una domanda di Malfatti sussurrata alla persona amata e declinata secondo i canoni della ballad rock; A Te, composta a quattro mani con la scrittrice Laura Facchi, rinnova invece l'ottima performance vocale della Giarlotta accarezzando atmosfere seducenti che avvolgono l'ascoltatore in un abbraccio consolatorio dopo un ultimo monologo indirizzato alla Nera Signora. Balliamo... Balliamo...
 

mercoledì 20 marzo 2013

25 marzo 2013
A ME MI ...DOMANI
Serial teatrale
di Alberto Patrucco e Antonio Voceri
Teatro Nazionale - Milano (MI) 
 

Nato da una intuizione di Alberto Patrucco questo spettacolo è il secondo capitolo di una trilogia pensata per rendere omaggio a una città che più di molte altre ha subito influenze diverse, ha accolto le persone più disparate da ogni dove e, ancora oggi, è capace di farsi amare e odiare allo stesso tempo.

“A me MI” è una rappresentazione corale che, pur mantenendo una sua originale continuità narrativa, si rinnova nei contenuti di serata in serata, alternando a un cast fisso degli ospiti speciali. Lo spettacolo è un graffio sulla Milano di ieri e di oggi, o meglio, uno sguardo disincantato sulla società meneghina.
 
Sul palco si alternano alcune maschere della comicità italiana che si ritrovano a contatto con la modernità o con le nostalgie per un tempo che fu: l'uomo  analogico (Zuzzurro) e quello tecnologico (Gaspare); uno straniero (Luca Koblas) alle prese con una Milano vista da est; il saggio professore (Antonio Silva) che racconta la "lingua madre", o meglio, di come parlava sua mamma; il critico letterario (Federico Valera) che recensisce e segnala libri che non usciranno mai... Così che il volto di Milano si deforma e diventa sorriso, risata, sberleffo.

Tra un quadro e l'altro, la corrosiva comicità di Alberto Patrucco che accompagna l'intero percorso, congiungendo col filo spinato della satira e della grande canzone d'autore le diverse parti di questo varietà; per l'occasione impreziosito da una carrellata di ospiti d'eccezione come Enzo Iacchetti, Andrea Mirò e Paolo Pasi; al solito supportato dalla sottofondo musicale della Sotto Spirito Band guidata da Daniele Caldarini.

Uno spettacolo da non perdere. Non fosse altro per poter affermare senza il rischio di incorrere negli strali dell'Accademia della Crusca, "A me MI". Dove, parafrasando Tino Scotti, "A" è preposizione; "me" pronome e "MI" la targa. 
 
BIGLIETTERIA
Prezzi dei biglietti
categoria A: 39€
categoria B: 33€
categoria C: 27.50€
 
Orario spettacolo:
lunedì 20:45
 
Per informazioni e prenotazioni:
02.00640888
dal mercoledì al sabato
dalle ore 15.00 alle ore 18.00.
 
Ritiro dei biglietti:
La biglietteria è aperta dal martedì al venerdì dalle ore 14.00 alle ore 19.00 con orario continuato. Il sabato e la domenica dalle ore 12.00 alle ore 19.00. In occasione degli spettacoli del lunedì, la biglietteria sarà aperta dalle ore 17.00 alle ore 19.00.

I biglietti acquistati su internet con modalità ritiro presso il luogo dell'evento possono essere ritirati dal giorno stesso dell´acquisto e fino a 30 minuti prima dell´inizio dello spettacolo.
 

martedì 19 marzo 2013

RETURN TO ZOOATHALON
Sananda Maitreya
- Treehouse Publishing - 2013

Realizzato secondo una ormai usuale tradizione in quattro sessioni che abbracciano questa volta un arco di tempo compreso tra il febbraio e il dicembre del 2012, il ritorno all'attività discografica per Sananda Maitreya prende oggi la forma di un lungo concept album incentrato sulle dinamiche intercorse nella quotidianità dello Zooathalon, realtà di livello altro, parallela al mondo razionale così come sperimentato attraverso i nostri sensi, e capace di rinnovare con la stessa freschezza compositiva i fasti del precedente THE SPHINX, rivelatorio masterpiece dell'artista americano da diversi lustri residente a Milano. Protagonisti principali di questa nuova opera rock a 360 gradi scritta, arrangiata, prodotta e suonata dal solo artista americano sono le figure chiave dello scienziato Robert Taylor Zippenhaus e del direttore d'orchestra Ruggiero Tommaso Zepperelli, soggetti, individualità lontane fra loro, ma unite da un obiettivo comune, da una missione, l'unica possibile, che germoglierà dentro loro e che si rivelerà capace di realizzarli completamente: mettere nuovamente piede a Zooathalon. Maitreya si appresta perciò a ridisegnare mondi e universi coincidenti fatti di accordi e corrispondenze, ricorrendo a un largo uso di tutta quella musica che è suo e nostro bagaglio culturale. Gli amati anni Settanta si annunciano così in multiformi espressioni: sono fonte primigenia tanto per i ritmi dell'Africa nera proposti da Brimstone Follies quanto per le eleganti atmosfere suggerite dalle chitarre wah wah di DFM (Don't Follow Me), potenziale singolo seducente e ondivago, e Just Go Easy. Si insinuano tra le spigolose note di Dancing With Mr. Nostalgia e Tequila Mockingbird qualche istante prima di esplodere dirompenti nell'amore bollente cantato in She's Not Right; penetrano la brezza zeppeliana di Hurricane Me & You e carezzano la coralità di Free To Be. La particolarissima e calda voce di Sananda sa toccare le corde giuste nelle interpretazioni di Where Do Teardrops Fall? e Ornella Or Nothing, inaspettato tributo alla nostra Ornella Muti, urlando tutto il disagio interiore in Save Me. C'è spazio per gli Stones di Brian Jones (Walk Away (Ghost Song)), per gli Who (Kangaroo) e i territori desertici del New Mexico (Albuquerque). Dopo le rocambolesche avventure del possibile alter ego Stagger Lee la quadratura del cerchio si completa con l'ottima Return To Zooathalon. In chiusura ecco infine l'omaggio all'antica amica Whitney celebrata in maniera raccolta dal delicato strumentale per solo pianoforte The Last Train To Houston. Sananda non manca certo di aggiungere tasselli preziosi nella costruzione della sua sempre più luminosa e pacificata carriera. Il ritorno a Zooathalon non è così un ritorno a quel passato che non può tornare, ma l'indicazione di un equilibrio musicale vivo che nella sua complessa semplicità è fedele ritratto delle sue aspirazioni. Un nuovo, ulteriore, sereno approdo. Il prezzo del biglietto è imposto dall'impegno nel viaggio. "The more you try to escape, the deeper you go into it."
 

lunedì 18 marzo 2013

FORMIGOLE
Toni Bruna
- Niegazowana - 2013
 
"C'è un filo rosso che unisce chi non si è mai conosciuto, che ci lega a qualcuno che forse incontreremo domani. C'è un filo rosso che guida e incrocia i nostri destini e ci porta ad amare a prima vista lo sconosciuto che è nella nostra vita da sempre". Così la scrittrice irlandese Josephine Hart nel suo romanzo di maggior successo Il Danno, bestseller internazionale di inizio anni '90 raccontato nella finzione cinematografica dall'indimenticabile cineasta francese Louis Malle in uno dei suoi ultimi lavori per il grande schermo. Riflessioni semplici e lineari che a ben vedere chi vive di Musica spesso si trova a realizzare in perfetta solitudine prima che, in un secondo tempo, vengano condivise da più parti. Il disco di Toni Bruna è uno dei tantissimi esempi concreti in tal senso. È la piccola pietra preziosa intagliata con cura e passione da mani esperte; la gemma rara recuperata e lavorata per la gioia del suo oculato possessore in una piccola bottega artigianale, lontano dagli occhi avidi prima ancora che indiscreti di chi non saprebbe come valorizzarla. FORMIGOLE è appunto quel filo rosso di cui sopra, capace dunque di unire e catturare l'interesse dei più attenti nel cui novero, da tempo, si è rivelato esserci quel chitarrista visionario che risponde al nome di Gionata Mirai il quale, non a caso, si troverà a dire a riguardo: "C'è  un  cantautore  triestino  molto  figo,  si  chiama Toni  Bruna...; a  lui  non frega niente di essere famoso, ma ha fatto un disco molto bello, uno dei pochi che ascolto attualmente senza premere “skip”." Già. Toni Bruna. Un nome in mezzo a tanti. Un nome comune che rivela però in soli 37 minuti una bellezza agrodolce unica, pura e incontaminata. Partendo dalle proprie radici, dalla propria terra, dalla sua storia e dalla sua lingua, qui rivoluzionario strumento unico di comunicazione. Ricordando con una chitarra carioca e alcuni inserti di tromba affidati a Massimo Tunin gli esuli istriani in esilio più o meno volontario del rione Baiamonti; avanzando con movenze sudamericane a piccoli passi tra i Pai De La Luce nel tentativo di sfuggire alla Nera Signora; narrando con indicibile leggerezza e forza descrittiva i miracoli pagani del Cristo De Geso, l'accidia mai passiva della Gente Che No Ghe Frega De Gnente e l'atmosfera accogliente e famigliare di Una Bela Casa, rifugio peccatorum e tomba della libertà insieme. Nell'emozionante e commovente folk-rock drakiano di Picar si pongono le basi per la successiva Sanantonio, smisurata preghiera animale densa di sofferente pathos caposseliano e tensione emotiva, costruita su un epico arpeggio ipnotico. Tesounasanta è arricchita dall'ennesimo fraseggio chitarristico mentre l'atmosfera campestre di Serbitoli sintetizza umori notturni e intime malinconie simili alle paure terrene della title track. Questo è il mondo di Toni Bruna. È i racconti contadini fra sacro e profano. È il Carso e la storia millenaria che lo accompagna. È le sue contraddizioni. È i bagliori della notte. È l'Enrosadira. Fotogrammi. Istantanee. Flash dai freddi colori pastello. Che colpiscono e abbagliano. Quasi accecano, talmente sono puri e incontaminati. Una primissima tiratura autoprodotta del cd venne resa disponibile anni fa solo nella zona di Trieste. Ora tocca all'Italia. Allargati gli orizzonti la vita e il passato scorrono inarrestabili. Legàti. Inscindibili. Incantevoli.
 

domenica 17 marzo 2013

SILENCE OF THIS TOWN
- Luca Milani - 2013
 

Primo estratto del futuro e atteso album LOST FOR ROCK'N'ROLL in uscita a settembre 2013.

giovedì 14 marzo 2013

TRAGIC TECHNOLOGY INC.

TRAGIC TECHNOLOGY INC.
Not Ordinary Dead
- 2419 Record Label - 2013

Nonostante tutte le traversie di line-up che hanno dovuto affrontare in quasi venti anni di carriera i Node non hanno mai deposto le armi, ma anzi avevano annunciato un nuovo album proprio in questo 2013, primo per l'ennesima nuova formazione assemblata negli ultimi mesi. L'arrivo di TRAGIC TECHNOLOGY INC. è però un grosso equivoco se riferito ai death-metallers lombardo-piemontesi fondati da Steve Minelli e Gary D'Eramo nel lontano 1994. Questi Node sono in realtà i NODe, acronimo riferito al più esteso Not Ordinary Dead; sono un duo allargatosi a quartetto, arrivano dalla Campania e si prodigano in un convincente mix di contaminazioni elettroniche che non disdegna incursioni nel rock e nella new wave; il tutto condito con quel pizzico di dark ad alto voltaggio di beat che in casi simili non guasta mai. Per evitare di incorrere in fastidiosi casi di omonimia continueremo perciò a chiamarli con il loro nome esteso, assai più eloquente e in linea con la proposta offerta. L'iniziale The Way I Do è una continua accellerata priva di attriti sull'acido asfalto dell'house, tra voci effettate e ritmi ben squadrati dal nucleo originario composto da Johnny Lubvic (prossimamente troveremo il nome di battesimo) e Kamoto San (alias Fabio Celiento), che portano in un baleno alle atmosfere sintetiche di Precinct Node care ad Alec Empire, ma filtrate dall'umore più intimo dei Depeche Mode. Piace la digitilizzazione di To Die 10000 Times (All About This), non certo un irrefrenabile riempipista, ma brano sinuoso e vellutato, capace di tenere sul filo del rasoio l'ascoltatore prima di abbandonarlo in vista della marziale Matter Of Time. Un uso della voce che riesce ad unire due anime inquiete come Dave Gahan e Brian Warner è l'elemento caratterizzante della disamina electro-rock esposta in Videocy; l'ossessiva Deadman Working è più macchinosa, non convince nella pronuncia delle strofe, ma mantiene una buona dose di oscuro disagio che troverà pieno compimento nella successiva Man In The Middle, forse l'episodio più riuscito del lotto. Spetta a Something Against Me proporre un nuovo crossover elettronico da dancefloor carico di svisate tastieristiche più in linea con alcuni episodi minori di Subsonica e del seminale Luca Urbani. Completano il lavoro una rigenerata Kinky Eyes e l'electro-beat di This Atomic Love, tracce provenienti dall'ep TUNING THE UNTUNABLE del 2012, ma per l'occasione opportunatamente remixate rispettivamente dal solo Pasquale Tarricone, navigato tastierista-compositore a.k.a. Pak T2R, e dai compaesani Moo'Nadir, nuovo trio electro-partenopeo con un buon futuro davanti a sé. Forse non ancora particolarmente innovativi, ma dotati di una indiscussa e ampia visione sul mondo elettronico, i Not Ordinary Dead vanno ad occupare quella casella lasciata inspiegabilmente libera nel puzzle musicale di Napoli e dintorni, dimostrandosi realtà importante per la crescita culturale del proprio territorio. Una Campania vitale, generosa e propulsiva, troppo spesso vittima solo perché in mano a carnefici.
 

martedì 5 marzo 2013

COME SE FOSSI DIO
Leon
- Treparole - 2013

Io mi ricordo di Leon. Lui non può saperlo, ma ci siamo già visti. Era una serata di metà novembre, nel 2004, in trasferta nelle sperdute terre biellesi. Suonavano gli indimenticabili Trombe di Falloppio in una formazione a cinque davvero lussureggiante davanti a pochi, pochissimi eletti in quel mai troppo rimpianto tempio della musica che fu il Babylonia. Cinque euro l'ingresso. Forse pure una consumazione inclusa. Non so, non ne ho la memoria. Quello che ricordo bene è invece il quintetto di apertura, capitanato da un giovane che, nella risicata mezz'ora concessagli, seppe catturare con i suoi compagni di band l'attenzione dei presenti grazie ad una esibizione davvero vigorosa e convincente. Io mi ricordo degli Zoo. E mi ricordo di Simone Perron. T-shirt nera, jeans e un paio di scarponcini Timberland. Un demo registrato da poco in vendita a fine concerto. Poi non seppi più nulla. Almeno fino all'altro giorno quando premendo il tasto play venni colpito dal mix di elettronica-pop cantautorale di Come Se Fossi Dio, opener dell'omonimo cd d'esordio del progetto Leon. Una smaccatamente laccata copertina "graffiata" algidamente dal grafico Nicola Napoli (ex Godless Tree) diventa così il biglietto da visita per l'ennesima ripartenza del musicista valdostano, questa volta affiancato nella stanza dei bottoni dall'eclettico Pietro Foresti. Difficile ritrovare nei suoni oggi il giovane Perron di allora. Leon ha spazzato via le chitarre pesanti e la ritmica pestona; ha recuperato tastiere e chitarre acustiche, tracciato paesaggi meno claustrofobici, ma adulterato l'innocuo pop adolescenziale diffuso ai giorni nostri e virato su liriche volutamente provocatorie. Dirette. Senza filtri. Un percorso solo in parte simile al corregionale Francesco-C, il quale all'elettrica ancora non rinuncia e si dimostra sempre capace di felici intuizioni liriche; un percorso che per Leon è in fase di costruzione, tra creatività da incanalare e ferrea determinazione nel perseguire gli obiettivi. C'è spazio per la denuncia sociale di Nel Gin (rivisitata nel remix marpione targato Nedagroove) e per il disagio mentale prima ancora che fisico legato all'anoressia di Bellissima, vetta liquida del cd; si eleva un Canto Notturno e vengono tracciate Immagini più tradizionali, seppur venate da inquietudine e sofferenza dark, mentre centinaia di Profughi muovono verso la terra promessa. Non si rinuncia (giustamente) all'alternanza bilinguistica fra italiano e francese. La familiarità con la lingua d'Oltralpe, del resto già ampiamente manifestata in LITANIES, secondo album di un'altra precedenza vita artistica di Leon, gli El Negro, affiora infatti nella universale Encore e nei solchi di una irriconoscibile Wicked Game di isaakiana memoria, qui rimaneggiata ai limiti del trip hop e ribattezzata opportunatamente Jeux Dangereux. E c'è spazio pure per il latino nella dura condanna rivolta al clero corrotto dalla pedofilia della, a tratti, pretenziosa Ego Te Absolvo. Ancora poco più di tre minuti e l'esordio è completo. Ovattata, Giorni Di Pioggia spinge sull'accelleratore e sull'entusiasmo del rock, fin qui abbastanza tenuto in disparte, unendo Garbo e Subsonica, passato e futuro. La strada è dunque tracciata. Non resta che percorrerla. ps: chissà se Simone ha ancora quel cd degli Zoo da qualche parte...
 
un link al seguente post è presente qui: http://www.facebook.com/joinleonart 

giovedì 28 febbraio 2013

THE IVY

THE IVY
The Great Saunites
- Have You Said Midi?/Villa Inferno/Il Verso Del Cinghiale Records/Terracava/Lemming Records/Neon Paralleli - 2013  

The Great Saunites è Atros e Leonard Kandur Layola. Essenzialmente al basso; essenzialmente ai tamburi. Suonano insieme dal 2008 e fino ad ora hanno trovato tempo, modo e spazi per registrare due album, uno split condiviso con i più violenti Canide e un ep in parte anticipatore di questo terzo parto discografico realizzato a stretto contatto con la Lucifer Big Band (entità sonora parallela dello stesso Layola, al secolo Angelo Bignamini nonché factotum del progetto). Di certo una band a cui non piace stare con le mani in mano e che ha saputo destare l'attenzione di molti addetti ai lavori se per il nuovo album, rigorosamente in vinile limitato a 300 esemplari, ma con la possibilità di un download digitale per i suoi possessori, si sono mosse con celerità un manipolo di etichette specializzate nel supporto di realtà e suoni alternativi come il post rock contaminato proposto dal duo lodigiano. Mai Atros e Layola si erano espressi su minutaggi così brevi come accade nell'iniziale Cassandra, inattesa corsa verso l'ignoto puntellata da una chitarra impertinente e caratterizzata da suoni monchi di tastiera; mai avevano trovato spazio sui loro lavori atmosfere così eteree e rilassate, quasi pinkfloydiane, come la psichedelica Bottles & Ornaments  mette bene in evidenza. Eppure ciò che va sottolineato è la totale libertà d'espressione pienamente compiuta e non più riconducibile ad un solo genere musicale. L'arpeggio continuato di Ocean Raves è lì a dimostrarlo: brano sostanzialmente di cantautorato folk, la quarta traccia dell'lp disegna scenari sconosciuti ai sostenitori della prima ora, ma consente una fruibilità maggiore a chi vorrà ascoltare; anomalo cavallo di Troia a ridosso della facciata B occupata dall'unico, entusiasmante, pachidermico brano che dà il titolo all'album. The Ivy è il nuovo corso. O forse solo l'intuizione folgorante di un momento ben preciso all'interno della parabola discografica del duo. Oltre 19 minuti di straniante sospensione che rappresentano un viaggio della mente personalissimo, ombroso e vibrante; non privo di imperfezioni, ma, proprio in virtù di ciò, policromo e cangiante. Una jam session che poco per volta, minuto dopo minuto, visita ambienti sonori differenti sollecitando per tentativi suggestioni a cavallo tra il post rock e le derive dell'avanguardia sperimentale. Le sorprese continuano e terminano con la già nota Medjugorje, abrasiva cavalcata spaziale presente in altra versione sul precedente ep e ora riadattata alle esigenze performative dell'Anno Domini 2013. Anche in questo modo dunque THE IVY compendia le nuove istanze al recente passato, conservandolo e al tempo stesso superandolo per progressione; è disco umorale, coriaceo e ciclico. Rampicante. Proprio come l'edera.
 

mercoledì 27 febbraio 2013

I LOVE YOU BEARS
Dance With The Bear
- Ocarina - 2013

Con un gran dispiego di energia, melodia, elettronica e casse dritte ecco scendere in pista i dinamici Dance With The Bear. Direttamente dalla provincia ferrarese, a due passi dalle assolate spiagge dell'Adriatico, il quintetto capitanato dalla biondissima Giada Simone e dal nerboruto Michele Guberti gioca la carta del dancefloor. Risultato? Impossibile resistere, o anche solo contenersi, di fronte alle grintose sventagliate di impertinente esuberanza ritmica fuoriuscite a pieni decibel dalle casse dello stereo per merito del lavoro sulle macchine di Tommy Marchesini. Se già il singolo A Reason (riproposto pure come bonus track in un funkstep remix curato da Omar DgtlMonkey Tigrini) sintetizza in bella copia il fortunato mix di rock e ossessiva club culture alla base del progetto, We Don't Believe e I Love You Bears non fanno altro che spingere il piede sull'accelleratore, calcando la mano sulle vibrazioni e aumentando se possibile l'hype e lo spessore del sound; sempre più tondo, sempre più potente. Noi ce ne facciamo immediatamente una ragione e, pettinati dalla prima all'ultima nota del disco, continuiamo così a goderci il frullato acido fatto di synth e programmazioni elettroniche convogliate sui binari punk funk di Like An Animal, come se accanto a noi Miss Ciccone decidesse all'improvviso di cedere al fascino ruvido dell'iguana Pop lasciandosi sedurre peccaminosamente durante un banchetto dal sapore rrriot. E mentre i Prodigy giocano a fare i Sex Pistols con le Shampoo (I Want To Kill You) sembra di vedere davanti ai nostri occhi quell'onda sonora che avanza implacabile al ritmo meccanico di Go Back! travolgendo tutto ciò che incontra nel suo raggio di azione e finendo col cristallizzarci per qualche infinito secondo. Mentre procediamo a passi spediti con l'omaggio rock (in)volontario ai Bomfunk MC's della pulsante house elettronica declinata in The Future non resta che accodarsi ben presto alle derive new wave della sintetica Human Mind, un po' Serpenti, un po' Blondie, ponte mobile tra due mondi a loro modo ugualmente pop seppur con radici differenti. A voler cercare il pelo nell'uovo a tutti i costi, in ultima analisi, la mancanza di una reale varietà sonora è forse qui l'unica vera pecca di questo colorato esordio. Vista però l'intelligenza tecnica dei protagonisti, a correggere il tiro ci vorrà senz'altro poco. Chi li ha apprezzati dal vivo garantisce poi su una performance coinvolgente ed esuberante da parte dei DWTB, fatta di salutare adrenalina e sudore, trascinante e godibilissima. Nell'attesa che capitino anche dalle vostre parti, dimenticate dunque per qualche istante le preoccupazioni che vi assillano, recuperate il "pupaccio" che vi proteggeva e teneva compagnia da bambini, inforcategli un bel paio di colorati occhiali da sole, puntate senza timore le accecanti strobo caricate a palla e...benvenuti in pista da sballo!
 

venerdì 22 febbraio 2013

OPERA
Zeus!
- Tannen Records/Offset Records/Santeria - 2013

Interrogato sulla produzione di OPERA, secondo album per i Zeus! del terremotante duo Cavina-Mongardi, il buon Tommaso Colliva si espresse così: " (...) L'ho fatto in quattro giorni di registrazione e quattro di mix, punto. E a me piace tantissimo." Come dargli torto? Con titoli come Lucy In The Sky With King Diamond (fotonico sferragliamento noise thereminizzato da Vincenzo Vasi), Giorgio Gaslini Is Our Tom Araya (monolitica sfuriata heavy finto-satanista in competizione con Tom Araya Is Our Elvis degli Zu) e Blast But Not Liszt (hard psichedelico dalle accellerate grind) se non altro la curiosità è d'obbligo e non può che stuzzicare la fantasia anche dell'ascoltatore più distratto che abbia quantomeno un minimo di conoscenza di quel resistente e sempre in fermento panorama musicale che è il metal. Salvo poi trovarsi catapultati in un girone infernale ancora più estremo e drammatico. Una claustrofobica mezz'ora di suono bianco partorita dalla audace creatività di due "saltimbanchi del male" dediti alla propria realizzazione artistica e a fornirsi l'ennesimo valido pretesto per poter andare/tornare/restare in tour; questo è il deciso (e colto) passo in avanti compiuto dai due barbuti musicisti, successivo all'omonimo esordio rilasciato nel 2010. Libero da qualunque vincolo artistico o economico Zeus! scaglia la sua incontenibile potenza per mezzo della fustigatrice ferocia de La Morte Young (per informazioni chiedere ai maestri della sperimentazione Glass e Reich via Nicola Ratti); riduce le distanze con noi mortali grazie ad un nuovo intervento di Vincenzo Vasi nella scala discendente della già classica Eroica (e attraverso le irruenze funamboliche di Set Panzer To Rock) mentre nel violento delirio hardcore di Sick And Destroy strappa il consenso all'influente eroe noise rock Justin Pearson, per l'etichetta del quale OPERA troverà infine distribuzione e mercato pure Oltreoceano. Atmosfere black care a Daniel Lloyd Davey e ai suoi Cradle of Filth irrompono veementi in Beelzebulb dopo le rutilanti battute death iniziali: qui, ormai è chiaro, non si fanno prigionieri. Eppure la vetta del cd, forse, viene toccata dalla metodica isteria collettiva di Bach To The Future, matematico bignami avant-post-core sperimentale redatto a suon di crudo prog-core e ridotto in salsa noise. Tocca infine al corrosivo assalto mortale al napalm di Decomposition N.!!! e alla fulminea progressione carica d'ambient di Grey Cerebration completare l'opera di distrazione di massa. Grimaldello di intricata e aggressiva brutalità, OPERA possiede tutti i crismi per innovare e mostrare una nuova via alla musica estrema contemporanea. C'è solo da andare fieri se si pensa che questa è stata partorita in Italia. Al solito, un lavoro "non buono...: ottimo." Perché Giove non ha solo cagato fuori Minerva da un'emicrania.
 
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giovedì 21 febbraio 2013

IN FONDO AL CUORE
Francesco-C
- Novelune - 2013

In fondo al cuore di ogni essere umano cosa c'è? Probabilmente il desiderio di lasciare una traccia di sé capace di durare per l'eternità. Forse la tensione verso l'Infinito, irraggiungibile, e per questo ardentemente desiderato. Oppure ancora è in quello spazio che cresce e si sviluppa la volontà di inseguire i propri ideali per poter dire alla fine del viaggio di aver realmente vissuto. Tutto questo (e molto altro) affiora da quelli che una volta si sarebbero definiti solchi del vinile, ma che oggi nell'era dell'hi-tech esasperato sono riconducibili al ben noto algoritmo di compressione alla base degli mp3 che compongono il nuovo lavoro di Francesco-C. Chi dovesse andare infatti alla ricerca di una copia fisica di questo nuovo, annunciato, capitolo discografico dell'artista aostano purtroppo resterà con un palmo di naso dato che l'ep in questione ha fatto la sua comparsa nel giorno di San Valentino esclusivamente in digitale; date le difficoltà di un mercato discografico che langue si è preferito tentare la sola distribuzione online, dando fiducia alla rete e rinnovando la propria attenzione alla tecnologia applicata all'arte. Ma del resto ce lo aveva già annunciato sul finire di gennaio dello scorso anno lo stesso Cieri quando, dopo oltre un lustro e mezzo di assenza, ricomparve un po' in sordina con l'affascinante singolo Il Cielo Oggi, ballad liquida e lunare, delicata e minimalista, prodotta dalla new entry Federico Malandrino, nel solco della sua miglior tradizione; cresciuto nell'epoca in cui era il 45 giri a spopolare nelle vendite, Cieri si dichiarò restio a sviluppare nell'immediato un nuovo album come si è soliti intenderlo, preferendo ad esso uscite centellinate, mirate, magari con scadenze comunque elastiche, capaci di diffondersi capillarmente senza mai saturare l'attenzione dell'ascoltatore. Less is more dunque. Così, poco tempo dopo, ecco comparire un secondo brano, altrettanto ipnotico e onirico, la vibrante Oltre Al Limite che, disidratata dalle coloriture elettro-rock presenti nella quasi gemella Tornando Da Un Sogno contenuta in ULTERIORMENTE, mette a nudo una volta ancora quella che all'epoca individuammo come "evidente (...) facilità di scrittura testuale e musicale di Francesco", cantautore sui generis, sempre in bilico tra ponderata concretezza manageriale e lucida follia punk. A quest'ultimo filone si ispira certamente per attitudine la nuovissima Animo Ribelle, moderna protest song di urgente ribellione, rivestita da un luminoso manto elettronico tessuto con i colorati suoni degli anni '80 uniti a quelli più asettici del nuovo millennio. Spetta infine al pianoforte di Amaci chiudere il cerchio dell'ep, scandagliando su un rallentato tappeto trip hop le declinazioni dell'amore moderno, bilanciando la rarefazione del sentimento con la sua stessa profondità. Quattro brani; poco meno di un quarto d'ora che lascia il segno e pone nuovamente l'accento su un progetto discografico oggi più che mai consapevole e maturo. Fonte di ispirazione per molti. Che poi, in fondo, 13 minuti cosa vuoi che siano a fronte di una attesa durata anni? Una folgore, un fulmine a ciel sereno. Il pianeta vada pure a dormire; io finalmente comincio a respirare.
 
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venerdì 15 febbraio 2013

giovedì 14 febbraio 2013

TWO FOR JOYCE - LIVE IN TRIESTE 
Keith Tippett - Giovanni Maier
- Long Song Records - 2013

Per scoprire chi siano i talentuosi Keith Tippett e Giovanni Maier si rimanda in questa sede alle molteplici opportunità che il web contempla, al fine di soddisfare una giusta curiosità posta alla base dell'interessamento verso questo album dal vivo che vede il compositore britannico e il nostro controbbassista improvvisare per quasi un'ora fra le mura amiche del Teatro Miela di Trieste. Del resto, per la cronistoria del primo e la biografia del secondo non basterebbe lo spazio di una recensione, talmente sono prestigiosi i loro invidiabili curricula, in continuo e costante aggiornamento. Concentrandoci perciò sulla proposta musicale che i due virtuosi hanno voluto e saputo realizzare la sera di venerdì 18 maggio 2012 nell'ambito della rassegna Le Nuove Rotte del Jazz, non verranno taciuti alcuni dettagli di quella ottima serata organizzata grazie alla sinergia intercorsa fra il Circolo Controtempo e la cooperativa Bonawentura. Preceduto infatti dall'esibizione dei Wildflower, un ensemble allestito dallo stesso Maier all'interno della classe di Musica d'Insieme Jazz del Conservatorio Tartini che ha sede nel capoluogo della Venezia Giulia e di cui è stimato docente dal 2009, con la finalità di "approfondire le modalità di arrangiamento ed esecuzione all'interno di un gruppo di medio organico nel quale ogni musicista deve contribuire con la propria personalità alla creazione del suono collettivo del gruppo" spaziando su un registro musicale comprendente interpreti moderni come John Zorn, Thelonious Monk e Steve Lacy, il duo Tippett-Maier sale sul palco fra gli applausi del pubblico sistemato nei quasi trecento posti a sedere dell'edificio. Ad attenderli un pianoforte a coda e un contrabbasso. Pochi fronzoli, tanta sostanza. In una condivisione di suoni, colori e velocità di diversa estrazione, il contrabbasso di Maier prima insegue, poi raggiunge quindi dialoga con metodo e inventiva con il pianoforte di Tippett, svolgendo almeno inizialmente un ruolo di supporto ritmico prima ancora che armonico. Le improvvisazioni che l'assortita coppia  condenserà in questo atto unico andato sotto il nome di TWO FOR JOYCE scaturiscono da quell'humus in cui è nato, e lentamente si è consolidato, l'incontro personale fra i due musicisti; specchio luminoso di quanto generato dalle loro stesse note. Accellerazioni, percussioni, nude frammentazioni, ora lugubri ora originali, assorbite e ricomposte dal loro interplay si compenetrano e tracciano scenari inconsueti e unici, organicamente disparati, proprio come le vite di ogni singolo individuo. La capacità di mettere in contatto queste realtà è alla base del jazz, Musica che mai è motivo di competizione, ma piuttosto di incontro e contatto. Anche questa sera. Al volgere dello spettacolo gli ultimi tocchi delicati e minuti raccontano una attesa che pare infinita, fatta di sospensione e attenzione, per tentare di decifrare ciò che accadrà un secondo dopo. Poi il Maestro Tippett solleva le mani dalla tastiera e le porta al petto. È il segnale: il concerto è terminato. Ed è nuovamente tempo di applausi.

mercoledì 13 febbraio 2013

BLACCAHÉNZE
Roy Paci CorLeone
- Etnagigante - 2013

Messo temporaneamente a riposare il ben più noto progetto Aretuska, ecco comparire negli stereo e negli i-pod di noi tutti il nuovo magistrale album completamente strumentale per il mai domo Roy Paci e la sua incarnazione più dannatamente libera da schemi e preconcetti sonori. Sette episodi senza rete che fanno il paio con quelli proposti nel primo episodio della sperimentale saga CorLeonese, il caleidoscopico esordio WEI-WU-WEI del 2005. Ma se là il free jazz e l'avantgarde generati dalle evoluzioni di tromba inseguite da Mr.Paci si legavano a sottili trame elettroniche, a passaggi di tip tap nonché alle sempre spericolate convulsioni metalinguistiche di Mike Patton, qui ci troviamo di fronte ad un unicum scevro da repentini cambi di tempo, ugualmente capace di sviluppare nel suo eclettismo senza soluzione di continuità una koiné musicale di carattere universale. Protagonista assoluta è la sezione fiati di BLACCAHÉNZE, termine detto per inciso in uso nel dialetto parlato a Montorio al Vomano, piccola cittadina localizzata nel nord dell'Abruzzo, traducibile con "casino", "bordello"; una sezione fiati che a seconda delle commistioni sonore con cui entra in contatto accresce la forza d'urto e lo spessore già di per sé denso delle composizioni. Il collettivo CorLeone affianca infatti alla tromba e al flicorno soprano di Paci, i sax alto e baritono rispettivamente addomesticati da Guglielmo Pagnozzi e dall'orchestrale del fuoco Marco Motta, supportati a loro volta dalle chitarre elettriche di Alberto Capelli che trovano spesso il giusto contraltare in quelle suonate da John Lui, il fenomenale SYD visto in precedenza sempre da queste parti che, come nel suo album solista, anche qui si cimenta pure con synth e sampler. A chiudere il cerchio di questo ensemble non mancano certo le potenti batterie di Andrea 'Vadrum' Vadrucci, un faticatore del ritmo versatile e affidabile. Sotto la direzione musicale dell'ingegnere del suono Marco Trentacoste i sei musicisti trovano la completa libertà di potersi esprimere senza limiti. L'uno-due assestato dalla pachidermica Cinematic Conventions Of Murder e dall'indiavolata heavy song Moshpit Comedy già basterebbero a soddisfare i palati più esigenti, ma il crossover proposto dai CorLeone esplode mastodontico e torrenziale con il metal virtuosistico di Double Threesome e le vitali sperimentazioni afro-ritmiche di Umuntu Ngumuntu Ngabantu. Emozionante l'intro slide di Lookin' For Work, canzone fascinosa capace di svilupparsi languida svelando il lato più morbido della band; inatteso il sincopato Budstep Infected. Capitolo a sé stante per Tromba L'Oeil Reloaded: spettrale nella parte dedicata alle evoluzioni dello strumento principe citato nel titolo e lasciato libero di improvvisare nel vuoto, cresce e si avvinghia come pianta rampicante fino a sganciare una deflagrazione improvvisa per un finale al fulmicotone tra svisate rock e free hardcore schizoide. Quando l'elemento Terra incontra l'elemento Fuoco il risultato partorito non può essere altro che un incandescente putiferio magmatico. Vitale. Inarrestabile.
 

lunedì 11 febbraio 2013

NATION
Edible Woman
Santeria - 2013 -

Dalle oscure trame sonore degli esordi noise-core di SPARE ME alle atmosfere claustrofobiche del forse più meditato, ma non meno violento THE SCUM ALBUM il passo fu tutto sommato breve. Ora siamo addirittura giunti al quarto album dopo la sorprendente svolta psichedelica del precedente EVERYWHERE AT ONCE benedetto dalla folgorante A Small Space Odissey e da inattese aperture pop qua e là sparse. Definiti dal sempre visionario Julian Cope come un "gruppo di tori rabbiosi in un negozio di porcellane cinesi" e annunciati da un progetto grafico di notevole e disturbante impatto ad opera dell'italo-belga Bernadette Moens, gli Edible Woman tornano ad inizio 2013 con un album ricco di nuovi e antichi spunti offerti dal trio marchigiano in collaborazione con il prezioso Mattia Coletti, maestro di cerimonie in cabina di regia nonché paziente conduttore sonoro dell'intero progetto. Che la strada intrapresa con il suo predecessore sia stata perseguita anche da questo NATION è fuor di dubbio. Di certo, non si tratta però di una mera riproposizione pedissequa, abbellita semplicemente da qualche miglioria tecnica o sonora. I nuovi brani proposti per 2/3 da Andrea Giommi, basso e voce della band, recuperano piuttosto alcune soluzioni degli esordi al fine di essere ora fagocitate dal nuovo corso e assimilate in quello che, in ultima analisi, pare essere un lungo trip sintetico alla ricerca di una felicità perduta nel mondo reale, capace di fondere l'ossessività dark della title track sia alle pulsioni Sixties di Heavy Skull e della scattante Safe And Sound, sia alle derive cantautorali di The Action Whirpool, caratterizzata dal mellofono di Enrico Pasini e da un pianoforte classico, che sfociano in maniera del tutto naturale nell'inaspettato folk rock della conclusiva Will. Si vedano ad esempio le trombe suonate da Fabio Generali e Agazio Cosentino sull'elettro-sospensione di Money For Gold: nella forma siamo evidentemente lontani anni luce da episodi distorti come Five Minutes Later o deflagranti quali Your Slower Speed, ma nella sostanza vengono catalizzati lo stesso spasmo e una uguale inquetudine che quasi dieci anni prima il loro potente noise tout court era in grado di esprimere. Nel nuovo corso è tutto un lavorar di fino, una continua scoperta fatta di labor lime e cesellatura finché il risultato non risulti il più possibile simile a quello partorito dalle menti dei tre musicisti. In questo modo anche alla "monotempistica" Psychic Surgery è consentito brillare per dinamismo grazie a un riuscito lavoro sul groove. Nella continua opera di rifinitura e sottrazione ecco infine trovare spazio la chitarra di Lorenzo Stecconi, protagonista discreta, ma funzionale, nella  parabola dinamica di Cancer, influenzata dalla miglior new wave britannica di inizio anni '80, e nella calcolata ripetitività di A Hate Supreme. Passato al basso, il componente dei Lento dà il suo contributo pure nella progressione di Call Of The West/Black Merda, quadrata, ma coinvolgente. Forse pur non rappresentando quello che si definisce come disco immediato, NATION è tuttavia testimonianza coraggiosa e programmatica di una ulteriore crescita artistica della Donna Commestibile. Energica e fantasiosa. Per non ripetersi. Per non svanire.
 
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giovedì 7 febbraio 2013

MUSTERI HINNA FÖLLNU STEINA: IL FLUSSO CICLICO NEL TEMPIO DELLE PIETRE CADUTE
 
Alla ricerca del tempo perduto. E di quello che ancora ha da venire. L'esordio discografico per l'innovativa coppia composta dal musicista bergamasco Enrico Ruggeri e il pittore trapanese Elio Rosolino Cassarà ha un pregio non da poco: l'equilibrio. Formale, ma non solo. Qui infatti musica e spunti pittorici si compenetrano in un viaggio fatto di sospensione pura e vasti panorami che la mente abbraccia e al contempo allontana da sé. Non forniscono indicazioni, ma mutano diventando spesso altro. Abbiamo incontrato il placido e determinato Ruggeri: lui ha le chiavi del Tempio.
 
 
Qual è stato il pretesto che ha gettato le basi per la nascita del progetto MUSTERI HINNA FÖLLNU STEINA e quanto tempo ha richiesto la sua realizzazione?
Enrico: Dopo un mio distacco dalla musica durato 4-5 anni pian piano è tornata la voglia di esprimersi in modalità diverse che fossero slegate dal songwriting classico e che mi potessero dare stimoli nuovi. L'occasione è arrivata parlando con Elio, aveva delle mostre in ballo (lui è pittore) ed è saltata fuori l'idea di sonorizzarle con suoni che si potessero intrecciare con l'esperienza visiva. Da lì in poi è stato un crescendo, la voglia di creare è tornata in pieno ed ho cominciato a costruire i primi pezzi. Nel contempo anche Elio ha cominciato a produrre materiale e dopo un lungo lavoro di cernita e produzione durato circa un anno siamo arrivati ad avere in mano il disco finito. In quel periodo stavo collaborando in qualità di grafico e tuttofare con i ragazzi di Neverlab (www.neverlab.it) che si sono subito dimostrati interessati al mio progetto forti anche del fatto che di lì a breve avrebbero allargato il loro raggio d'azione anche alla musica avant. Così sono nati insieme il disco e l’etichetta Neverlab Avant.
 
Perché l'uso dell'islandese per la titolazione dell'album e dei singoli brani che lo compongono. C'è una motivazione particolare?
Enrico: L'islandese è una lingua cara ad Elio che ne è appassionato cultore e sono 4 i titoli in questa lingua, altri sono in tedesco, italiano, serbo, etrusco. Le motivazioni sono svariate e non sono casuali, ogni titolo è fortemente evocativo ma preferiamo non spiegare né indirizzare l'ascoltatore verso un approccio piuttosto che un altro. Deve essere il disco ad arrivare a colpire la sensibilità di chi lo ascolta e chi vuole approfondire lo può fare molto facilmente. Non c’è niente di particolarmente oscuro o pretestuoso o peggio ancora gratuito; il disco racconta una storia, ma ognuno può leggerlo a suo piacimento.
 
Portare dal vivo un progetto coraggioso e anomalo come questo quali rischi comporta?
Enrico: Avendo una lunga esperienza in ambito rock ho maturato una certa sicurezza e so come gestirmi su un palco. Dal punto di vista tecnico è vero che la strumentazione che uso è completamente diversa ed è altrettanto vero che programmaticamente ho scelto di non usare parti pre-registrate, loops o apparecchiature digitali; per cui, pur non suonando in maniera canonica, è necessario molto rigore nel riuscire a gestire il fluire dei suoni. Altri rischi non saprei, direi nessuno...

 
Dunque anche la strumentazione usata dal vivo è particolare. È la stessa usata in fase di registrazione?
Enrico: Parte di essa c’è anche sul disco, ma l'approccio, pur volendo rievocare le medesime atmosfere, è abbastanza diverso. Come ho detto, dal vivo non uso basi registrate o campioni digitali mentre sul disco ci sono suoni di origine analogica fortemente manipolati (in digitale) fino a spremerne suoni alieni.
 
Il ruolo di un artista come Elio Rosolino Cassarà prevede incursioni anche durante i concerti?
Enrico: Per ora no, sì è trasferito a Berlino per lavoro. Si vedrà...
 
I brani tratti dal cd faranno da colonna sonora al film Sardegna Abbandonata, un vero e proprio documentario sui luoghi disabitati dell'isola. Come nasce questa interessante commistione? 
Enrico: Conosco Martino (Pinna - ndr.) da qualche anno perché oltre a SardegnaAbbandonata.it gestisce anche una bellissima webzine musicale (www.guylumbardot.com) su cui ammetto di avere formato buona parte dei miei ascolti degli ultimi anni. A suo tempo gli ho inviato il disco e se ne è innamorato. Quando ha poi avviato il progetto di fare il film è stato lui a dirmi che gli sarebbe piaciuto usarlo come colonna sonora. Ne sono molto felice, è un progetto serio e molto ben concepito.

 
Il fatto che il tuo lavoro attuale si presti a così diverse interpretazioni rispetto all'idea iniziale può essere considerata una delle finalità del progetto?
Enrico: Sì, certo ed è anche una delle cose più interessanti da sondare. La percezione varia molto da persona a persona anche se sono in tanti ad essere concordi sul senso di sospensione e distacco dalla realtà che provoca l’ascolto del disco. Questo in effetti è stato intenzionale da parte mia ed averne conferma è molto gratificante.
 
Come può evolversi in futuro?
Enrico: Sto già lavorando con Luca Barachetti (ex Bancale) ad una evoluzione di quello che è il mio set live attuale. Proporremo materiale nuovo e  qualche cover dei Bancale riarrangiata. Più avanti sicuramente cominceremo a lavorare solo su materiale nuovo e poi vedremo che farne!
 
Tu Enrico arrivi dagli Hogwash, hai avuto e continui ad avere stretti rapporti lavorativi e di amicizia con i Verdena e anche attraverso MUSTERI HINNA FÖLLNU STEINA dimostri una continua tensione alla curiosità e alla sperimentazione sonora: qual è il "fil rouge" del tuo operato?
Enrico: Domanda difficile. Anche negli Hogwash c'è stata discontinuità, si cominciò facendo un rock abbastanza aggressivo per poi provare a sperimentare nuove vie e passare a sonorità intimiste. Non so se si possa trovare un fil rouge che arrivi ad unire Hogwash con MUSTERI HINNA FÖLLNU STEINA; l'unica cosa che mi viene in mente è la pignoleria con cui ho sempre lavorato sulle mie produzioni.
 
Andrea Barbaglia '13

si ringrazia per gli scatti pubblicati il loro autore, Isaia Invernizzi

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