domenica 6 maggio 2012

QUANDO PARLO URLO
Tindara
- Valery Records - 2012

In questo sempre più decadente mondo occidentale urlare sembra essere diventata la forma di comunicazione maggiormente diffusa. Senza voler entrare nel merito di talune scelte televisive, comunque specchio dei tempi, lontane anni luce dall'eleganza e dalla sobrità di un passato neppure troppo remoto, è già nel quotidiano e nella vita di tutti i giorni che spesso la frenesia spinge il prepotente a prevaricare l'altro, il colpevole a sopraffare l'innocente, l'aggressivo a soverchiare il mite, in una forma di cannibalismo dei rapporti sconsiderato e deleterio per l'intera comunità. L'urlo equivale qui a grido, disaccordo, prepotenza. A volte però urlare può essere anche estremamente liberatorio. E necessario, affinché menti distratte o, peggio ancora, assuefatte dal grigiore della routine si dèstino e prendano coscienza di una nuova realtà. È in questa accezione positiva di richiamo che piace intendere la titolazione del lavoro d'esordio dei Tindara, progetto nato dalla mente di Terenzio Valenti nel corso del 2009. Coi favori e la produzione artistica di Luca Bergia, sotto le abili mani del sound engineer Riccardo Parravicini, il lavoro prende così forma compiuta presso il Modulo Studio di Cuneo. Ora, che con queste credenziali in cabina di regia il suono risulti alla fine dilatato e livido non deve far temere ad una scopiazzatura tout court dei Marlene Kuntz. La band del trio Godano-Tesio-Bergia è solo una delle influenze che Valenti e compagni portano in dote a questa mezz'ora abbondante di noise cantautorale. E neanche la più evidente. Certo, nelle distorsioni lancinanti della granitica Sopra La Delusione compare pure il violino di Davide Arneodo (guest star in un'altra manciata di brani) e le radici dell'intero cd sono ben piantate nei gloriosi anni '90 di italico rock (Ho Scelto Il Nero, Schiuma) così come nei riverberi di oltreoceanico grunge (Come Dici Tu), ma il tentativo di "suonare per immagini" la dice lunga sulla volontà di andare oltre una stagione ricca, proficua, anche pionieristica se vogliamo, ma tuttavia ormai conclusa. Così mentre il darkeggiante piano della stumentale Upupa e le riflessioni psicologiche di Consapevolezza ci concedono di anestetizzare temporaneamente il dolore e l'autocommiserazione per una perdita, sono la soffice poesia della title track e la spontaneità della descrittiva Sogna Che Ti Passa a squarciare il velo di oscurità con il quale i Tindara giocano ad avvolgerci, nel tentativo di costruire e raggiungere una empatia con l'ascoltatore il più possibile duratura. Poche complicazioni formali anche nella rabbiosa Stones: il rock senza fronzoli sembra al momento la dimensione congeniale al quartetto per raggiungere quest'obiettivo. E non è affatto una corsa contro il tempo; solo Un Minuto da dedicare a sé stessi "lasciando lontano la voglia di darsi fastidio da soli", magari affiancando a QUANDO PARLO URLO i lavori di Deasonika, Avvolte e Petrol da un lato e quelli di De Gregori, Fossati e Tenco dall'altro. Spiriti affini. Anime irrequiete. Esempi da seguire.

un link al seguente post è presente qui: http://www.facebook.com/tindaraband 

mercoledì 2 maggio 2012

01-05-2012
- LITFIBA live @ Arena -
Verona (VR)

È una pioggerellina fine fine quella che ci accoglie a Verona nel tardo pomeriggio di lunedì 30 aprile. Sono passate le 18:00 da soli dieci minuti. Poco più di ventiquattro ore dopo sappiamo essere in programma presso l'anfiteatro della città scaligera un live dei Litfiba che è già evento, non solo perché sarà il ritorno ai concerti di Piero Pelù e Ghigo Renzulli dopo lo stop forzato delle ultime settimane a causa di un infortunio al crociato occorso al frontman della band durante una rovinosa caduta al concerto di Treviso, ma soprattutto perché segnerà il debutto dal vivo del combo fiorentino nella suggestiva cornice dell'Arena dopo le non certo memorabili esibizioni in playback all'interno della stessa nella seconda metà degli anni '90, ai tempi del Festivalbar. Con il naso all'insù incrociamo le dita in vista di domani, ma almeno per il momento il tempo non promette affatto bene. A spazzare via le nubi sui nostri pensieri ci pensa fortunatamente l'antipasto assai gradito servito alla FNAC di via Cappello: l'incontro con i due leader dei Litfiba vede la partecipazione di qualche decina di fans accorsa, come sempre in questi casi, per scambiare qualche battuta e farsi autografare il materiale discografico, più o meno storico, dai propri beniamini. Grande calore e inappuntabile professionalità da parte di Ghigo e Piero che fanno trapelare pure alcune indiscrezioni sulla composizione della scaletta di domani, basata ovviamente sul nuovo potente album GRANDE NAZIONE, ma preparata ad hoc per la serata veronese. All'uscita dall'esercizio commerciale non piove più. Buon segno. A questo punto non resta che attendere il Primo Maggio approfittando del tempo che ci separa dal concerto per fare un giro lungo le strade e le vie di Verona.

Ventiquattro ore passano così in fretta. A preoccupare è però nuovamente il meteo. Dopo una mattinata col cielo coperto, a mezzogiorno il sole è addirittura alto e picchia forte sul "liston" di via Mazzini, facendo più volte capolino dalle nuvole che tuttavia permangono sulla città. E difatti ecco che alle 16:00 riprende a piovere copiosamente.
Il ricordo del massiccio diluvio sotto al quale assistemmo sempre qui in Arena al memorabile live dei Pearl Jam nel settembre del 2006 induce agli scongiuri fin da ora. Dopo tre ore la pioggia continua ancora a cadere abbondante, alzando il livello di umidità nell'aria e sfiduciando alcuni gruppetti di persone giunte da fuori provincia che rinunciano al concerto rientrando in fretta e furia verso casa. Saranno una minima parte. E per loro la beffa sarà pure doppia perché a mezz'ora dall'inizio dello spettacolo comincia infatti a spiovere consentendo l'ingresso in Arena pressoché all'asciutto. Ore 21:10. Sulle note dell'intro che sta accompagnando la tourneé dei Litfiba 2012 ecco emergere dal buio del palco un beneaugurante grido liberatorio in perfetto fiorentino: "In culo alla pioggia!". E parte la monolitica Squalo sempre più quadrata e funzionale all'apertura dei concerti, cantata a squarciagola dai quasi 8.000 presenti che non possono riempire totalmente l'anfiteatro, ma che regalano comunque un ottimo colpo d'occhio sia dalla platea che sulle tribune.

"Affamati di rock stasera?" domanda un sardonico Pelù. "In quest'Italia sempre più piena di squali, sempre più piena di opportunisti, di ladroni, ci vorrebbe un bel terreeemoooooto!!!". Una dirompente Dimmi Il Nome al fulmicotone aggredisce come al solito le orecchie di coloro i quali si trovano nel suo raggio di sviluppo sonoro, rimbomba tra le antiche pietre secolari dell'Arena, le squote e rimanda sul palco un'energia centuplicata, inarrestabile, pompata dal basso ben in evidenza di Daniele Bagni, sempre più metallaro che mai, intento a reggere i volumi della Les Paul di Renzulli e le pelli di Pino Fidanza, stasera in stato di grazia. Gli applausi, meritatissimi, fanno esclamare al frontman dei Litfiba "Oh, non si scherza qui stasera, eh!?" prima di riportare l'attenzione alla giornata odierna, "il Primo Maggio. Ricordiamoci tutti che il lavoro non è un privilegio, ma è un diritto sancito dalla nostra Costituzione". L'intro corale affidata alle tastiere di Federico Sagona garantisce qualche istante di pagano raccoglimento prima di esplodere nella deflagrante bomba rock di Grande Nazione che scatena le prime file costrette dalle poltroncine posizionate in platea. Pelù conclude il brano avvolto dalla bandiera italiana calata sul viso mentre i giochi di luce provenienti dai fari posizionati sulla struttura semicircolare del palco riproducono un arcobaleno tricolore davvero d'effetto. "Ragazzi, stasera ci sono gli amici della Vinyls che sono venuti a trovarci da Porto Marghera"; agli operai in cassintegrazione dello stabilimento chimico viene dedicata, dopo qualche breve attimo di consulto tra i musicisti riguardante probabilmente l'ordine concordato in precedenza della setlist, la successiva Barcollo, uno dei due inediti senza infamia e senza lode tratti dal live album della reunion Pelù-Renzulli STATO LIBERO, che guadagna punti nella sua trascinante veste live.

Elmetto d'ordinanza in testa ("...beato quel Paese che non ha bisogno di spese militari...") Piero Pelù ripesca nella sua progressione emotiva la sempre entusiasmante Prima Guardia, volontariamente dilatata nella parte centrale, impreziosita dalle movenze teatrali del frontman fiorentino e contrappuntata dall'assolo di Renzulli. Ancora un veloce consulto non previsto riguardante la scaletta, rivoluzionata infatti rispetto alle consegne iniziali, poi, a volumi spiegati, le chitarre di un divertito Ghigo e di un sempre misurato Cosimo Zannelli, a cui forse un poco pesa il ruolo apparentemente marginale a cui è costretto, diventano colonna portante per l'infernale Fiesta Tosta. "Meno male che abbiamo la nostra salvezza che arriva dalle alte sfere...": la potentissima Dio, nella nuova versione già proposta fin dal 2010 e che trae origine da quella, splendida, presente su PIRATA, risulterà uno dei (rari) pezzi più "datati" della serata. Mentre l'Arena inneggia a Renzulli, che ricambia serafico prima di districarsi in bello stile anche sull'hard rock di Sparami, è già tempo di omaggiare un grande amigo che non c'è più: l'intensa Il Volo è tutta per Ringo De Palma, indimenticato batterista e motore dei primi Litfiba, ragazzo istintivo e sensibile, anima fragile, scomparso troppo presto, alla vigilia di quelle che sarebbero passate successivamente alla storia come le notti magiche di un'estate italiana trascorse nel caldo del 1990.

Al secondo singolo tratto da GRANDE NAZIONE spetta il compito di non rompere l'equilibrio di estatico trasporto raggiunto con il tributo a Ringo: La Mia Valigia, "una canzone" afferma Pelù "che voglio dedicare a tutti quei pensieri che portiamo dentro di noi, dentro questa calotta, dentro questa scatola cranica qui... che potrebbe diventare proprio come la nostra valigia... nel viaggio, nel viaggio che facciamo tutti i giorni...", ha anzi il merito di prolungarlo con la sua iniziale atmosfera zingaresca, sempre sognante, residuo forse anche di quel med-rock percorso dal primo Pelù solista che si sposa però ora con i suoni più classici portati dalle sventagliate elettriche della Stratocaster di Renzulli. Grande la risposta del pubblico. La stessa che si manifesta in un altro tra i momenti migliori della serata: la forza primitiva scatenata dalla furia anarchica di
Brado ("Arena di Verona è arrivato il momento di rock'n'rolleggiare... Vogliamo vedervi selvaggi!!!") con il suo incedere ciondolante, caracollante, da scugnizzo, unito alle trovate elettroniche che relegano per qualche istante un pacioso Renzulli in posa davanti agli amplificatori, soddisfa tanto le frange storiche dei fans quanto coloro i quali, indistintamente, chiedono ancora energia allo stato puro. È un accorato richiamo di Pelù a fare il resto: "Riserva indiana dell'Arena di Verona, su con la testaaa!". Tex non necessita certo di presentazioni e il boato del pubblico con cui viene accolta lo testimonia; Piero si sporge più volte sulle prime file amiche, le incita e le eccita, scambia più volte l'high five mentre il Warwick Buzzard di Bagni pompa incessantemente il ritmo. Ben fatto pure l'intermezzo di Ghigo su Yankee Doodle prima che la band porti a termine il pezzo.

"Il momento è liturgico"; Gioconda è un'altra occasione imperdibile per far smuovere a suon di Les Paul le masse, quelle stesse masse che hanno un sussulto per una canzone ripescata appositamente quest'oggi dopo anni di assenza in casa Litfiba, estemporaneo omaggio alla città di Giulietta e Romeo. Regina Di Cuori è quel sing-along che ti aspetti anche a distanza di quindici anni dalla sua pubblicazione e che vede un ottimo lavoro di Zannelli alla ritmica su inedite svisate di tastiera ad opera di Sagona. Anacronisticamente considerato come l'inizio di quella fine che si sarebbe consumata dopo INFINITO il brano presente su MONDI SOMMERSI stasera piace sia ai puristi sia ai novizi. "Questa è un'altra canzone che vogliamo dedicare ai cassintegrati della Vinyls di Porto Marghera che sono un simbolo di come oggi il lavoro in Italia venga bistrattato, di come il pesce grosso mangi sempre il pesce piccolo. Ma quando i pesci piccoli si mettono insieme possono anche riuscire a rompere molto i coglioni", ammonisce sulle note suonate in libertà da Renzulli, tornato da un paio di brani alla Stratocaster, un Piero Pelù sempre attento al sociale e che guida la chiusura della prima parte di show con l'inno Cangaçeiro. L'Arena risponde con un nuovo boato. Buona e affiatata una volta ancora la sezione ritmica, con Bagni e Fidanza a garantire un sound compatto.

Pochi istanti di pausa per rifiatare dietro alle quinte e i primi bis partono alle 22:30 con Elettrica, terzo estratto da GRANDE NAZIONE e stampato su vinile verde proprio poche settimane fa in occasione del Record Store Day italiano. Momento ormai imprescindibile di un live Litfiba è l'alba nel deserto del Fata Morgana, emozionante visione onirica in cui "niente di ciò che appare è come sembra" e su cui Ghigo improvvisa col suo riconoscibilissimo tocco mentre Piero lascia libero sfogo al lato più teatrale che c'è in lui. Segue una tutto sommato minore Sole Nero prima del delirio gitano che prende il nome di Lacio Drom, benaugurante augurio affinché "...la strada di questo cazzo di grande nazione sia lunga e diritta!". Ancora una pausa e il secondo bis è servito. Venti minuti finali in cui si susseguono la furia incendiaria di El Diablo (rovinata da problemi occorsi all'amplificazione di Ghigo, costretto a lasciare senza chitarra una parte portante della canzone senza che Zannelli possa intervenire per sopperire alla momentanea mancanza della lead guitar), i ritmi indiavolati di Ritmo #2 e il treno lanciato a folle corsa de Lo Spettacolo, in un tripudio di suoni, luci, fumi e sudore, con un Pelù, praticamente mai in debito di ossigeno, ora in canotta nera e cornucuore dorato. Tutto ha termine quando sono passate da poco le 23:15, con i saluti e i ringraziamenti della band a tutte le persone accorse questa sera per assistere al loro concerto, in barba alla crisi che attanaglia il Paese e alle condizioni avverse del tempo. Una corsa vicino agli spalti di destra prima della passerella conclusiva del duo Pelù-Renzulli, intenti a stringere decine di mani tese verso di loro lungo tutte le transenne, è il segnale che la serata volge davvero al termine.

C'è tuttavia chi, mai sazio, attende ancora e pretenderebbe pure un nuovo, acrobatico tuffo tra la gente come quello visto ad esempio nella data di Milano pochi mesi fa, ma la convalescenza per l'infortunio ancora fresco, che comunque non ha inficiato per nulla la sua tenuta sul palco, e la presenza dei posti a sedere sconsigliano il buon Pelù dal farlo. Il lancio della canotta che lo lascia a torso nudo risulta comunque discreto e divertente palliativo, specie per il pubblico femminile. Ora è proprio finita. In pochi istanti l'Arena va così svuotandosi, con piazza Bra e il centro storico di Verona a riempirsi di volti felici, incuranti per qualche ora ancora delle problematiche sociali in cui viviamo. Nel backstage la sicurezza di avere fatto nuovamente centro e la soddisfazione di essere tornati a riempire spazi, anche prestigiosi come quello veronese, preclusi all'inizio del nuovo millennio dopo la sventurata, ma probabilmente necessaria ed inevitabile rottura tra gli amici Piero e Ghigo. Il pensiero poi corre veloce a Firenze, tra un mese esatto. Là sarà la tanto attesa reunion con Gianni e Antonio. Per un nuovo inizio che ha in qualche modo il sapore della chiusura di un cerchio. E che raccoglie la benedizione di Ringo, sorridente e sempre un po' guascone. Guardiamo su. La luna, luminosa, ora è alta in cielo. Stringe forte la nostra mano e ci porta via. Lontano.

Andrea Barbaglia '12

domenica 29 aprile 2012

28-04-2012
- ETTORE GIURADEI live @ Bloom -
Mezzago (MB)
 
In Brianza, in occasione della Festa del Primo Maggio da anni si riesce a riunire qualità e quantità all'interno di una struttura storica nel panorama rock italiano, capace di resistere molto più che dignitosamente al passare delle mode e del tempo, dei boom e delle crisi. Anche questa volta al Bloom di Mezzago vengono chiamati a raccolta una manciata di nomi prestigiosi del rock nazionale che si alternano ad artisti non meno validi, ma necessitanti di una più ampia (e meritata) visibilità, per quello che risulta essere sempre un interessante mix tutto da scoprire. Quest'anno, attraverso una diretta sinergia con l'associazione Neverlab, si alternano sui due palchi messi a disposizione dal locale una decina fra musicisti e band, decisi a rinnovare per una giornata intera gli esaltanti momenti vissuti da quanti li hanno preceduti in quegli stessi spazi, con un pensiero però rivolto a coloro i quali, meno fortunati, un lavoro non ce l'hanno o, peggio ancora, l'hanno perso. Il primo ad aprire il Neverland Festival è l'ottimo Paolo Saporiti, un nome che meriterebbe ben altro spazio rispetto a queste due righe di accompagnamento. Un cantautore che tornerà comunque presto su queste pagine e di cui segnaliamo per intanto il suo ALONE, uscito nel 2010 e arrangiato in compagnia di Teho Teardo, da cui sono tratti alcuni dei brani oggi in scaletta, proposti ad un nugolo di spettatori al primo incontro col cantautore milanese. In attesa del sequel L'ULTIMO RICATTO, presto in commercio e con la supervisione di Xabier Iriondo, perdiamo purtroppo l'esibizione dei Pocket Chesnut, ma recuperiamo con i sempre cementificanti Bancale, altri pupilli dell'estroso chitarrista degli Afterhours, e con gli Ultimo Attuale Corpo Sonoro, precisi e potenti seppur a tratti ancora derivativi.

Le magie elettroniche di Paolo Iocca, a.k.a. Boxeur The Coer, affascinano e stimolano attenzione, ma abbandoniamo a ¾ della sua esibizione per scendere, ancora fluorescenti, di un piano e prendere posto nella sala principale dove Ettore Giuradei con i suoi musicisti sta ultimando il soundcheck. Pochi istanti e si parte. L'imprescindibile La Repubblica Del Sole spazza nubi e incertezze: grandissima apertura per il giovane bresciano che senza troppi fronzoli passa in un sol colpo alle oscillanti atmosfere di Strega, altra canzone di assoluto valore sospinta dalle poderose rullate di Alessandro Pedretti, unico effettivo della sezione ritmica. È proprio dal punto di vista strumentale che Ettore Giuradei pare avere una marcia in più rispetto a tanti altri suoi colleghi di più alto lignaggio mediatico: nei momenti in cui sono le note a farla da padrone, già nell'ultimo lavoro rilasciato, ci si era accorti di come a salire in cattedra fosse il fratello Marco, genietto prestato al pianoforte e alle tastiere. Ora, in sede live, sperimentiamo direttamente l'intreccio di suoni prodotti dalla band che, seppur priva di un bassista, si dimostra assai compatta e ugualmente dinamica, mantenendo una vivace carica rock venata di tanta, tanta poesia lungo tutta l'esibizione. Grintosi, ma con stile dunque. E con una leggerezza senza pari. Una leggerezza che conquista e rapisce un numero sempre crescente di persone.

Dall'esigua trentina di curiosi, rimasti affascinati fin da subito, si passa presto ad un numero più consistente di ragazzi che dopo essere passati al bancone per un drink, si accomodano per terra, compostamente seduti, ammaliati da quel cantore scapigliato e da quel suo modo ben poco composto che ha di star sul palco. Il ritmo leggermente in levare di Piedi Alati inviterebbe al ballo così come la frenesia tarantolata della travolgente Sbatton Le Finestre consiglierebbe di lasciarsi andare, inseguendo Ettore nella sua folle corsa tra le morbide curve dell'amata; ma non è giornata. C'è solo partecipata attenzione da parte dell'uditorio. Cosa non da poco di questi tempi. E mentre altri avventori trovano posto in sala, i fratelli Giuradei lanciano in orbita il loro chitarrista di fiducia, Accursio Montalbano, autore di una avvincente prova (sonica) durante l'esecuzione di Eva, estatica esperienza amorosa senza età. Applausi a scena aperta. Pure Paese concede ad Accursio la possibilità di esprimersi al meglio, garantendogli uno spazio importante nell'economia del brano e l'incombenza di reggerne le sorti strumentali. Poi è tempo di Sensazioni e ricordi. Dal primo album PANCIASTORIE, uscito ancora in compagnia dei Malacompagine, vengono riproposte una ritmata È Passato Un Autobus e la classica Uno Di Voi. Epilogo (Purificazione), primo estratto dal secondo cd ERA CHE COSÌ, mette ancora in luce le doti di Pedretti prima che una inquietante Zingara compaia tra i fumi del palco. Alla divertente Culo Sulla Lavatrice spetta infine il compito di chiudere la mezz'ora abbondante e decisamente intensa del set di Giuradei. Davvero bravo Ettore e davvero interessante la band. Difficile entrare rapidamente nelle grazie di un pubblico ancora distratto dalla indolenza pomeridiana e dai rumori del bar esterno; il combo bresciano ha dalla sua sicurezza e determinazione fuori dal comune. Doti rare, ma insindacabilmente vincenti.

Andrea Barbaglia '12

sabato 28 aprile 2012

LA MODA
Garbo
- Discipline - 2012

Renato Abate in tutti questi anni di carriera non ha mai smesso di ricercare, produrre, stupire. Anche se spesso lontano dalle luci dei riflettori. Molti delle nuove, attuali generazioni omologate da media senza cultura, cresciute a pane e i-pod probabilmente neanche sanno di chi si stia parlando (e qualcuno osservando la copertina dell'ultimo lavoro in studio dell'artista milanese ne scambierà il viso disegnato dall'architetto e designer italiano Massimo Iosa Ghini per un ritratto di Pierpaolo Capovilla, statene certi!), ma il peso che Garbo ha avuto nell'economia di un certo modo di fare musica, trasversale, in Italia gli va indiscutibilmente riconosciuto fin dal fulminante esordio negli anni Ottanta quando, con i quasi coetanei Enrico Ruggeri e Faust'O, si ritrovò in prima linea, alfiere raffinato di una nuova onda musicale proveniente da Oltremanica. Per capire quanto la carriera di Garbo sia stata fondamentale per decine di colleghi più giovani, basti prestare attenzione all'ottimo CONGARBO, tributo uscito una manciata di anni fa in cui personaggi spesso differenti fra loro si sono cimentati in una personale rivisitazione tanto dei suoi classici quanto di brani a torto ritenuti minori. Da allora un album, l'ottimo COME IL VETRO, a chiudere quella trilogia dei colori iniziata con BLU e proseguita con GIALLOELETTRICO che di questo accattivante e sempre al passo coi tempi LA MODA può essere considerato a diritto causa diretta. Sì, perché è con GIALLOELETTRICO che le strade di Garbo e dell'ex Soerba Luca Urbani si sono incrociate, feconde, facendo confluire in un unicum sonoro sfacettati bagliori elettronici provenienti da sensibilità diverse, innestate su ricercate melodie pop, semplici nella loro complessità. Con risultati spesso stupefacenti. Come qui. Nel suo essere un moderno evergreen fin dalla sua uscita, LA MODA si affida all'omonima, dirompente, title track per farsi largo tra il marasma di canzoni che popolano l'etere e il web. Colorata dal prezioso sax di Andy pare di assistere all'esecuzione di una nuova hit che non ci sorprenderebbe fosse targata Bluvertigo, eppure con una marcia in più innestata proprio da Garbo: quella del cantato, sicuro e ammaliante come sempre. Lo stesso che rende l'eterea Metà Cielo un fascinoso viaggio nel cosmo della mente alla ricerca dell'anima gemella, qua incarnatasi fisicamente nella promettente Sarah Stride, nome da appuntarsi senza esitazione su un post-it anche alla luce della sua interpretazione nella brillante oscurità di Movimento Notturno, un po' Baustelle, un po' no. In Errori ci si muove ancora per sottrazione di vuoti, raggiungendo l'apoteosi in tal senso con la conclusiva costruzione sperimentale di Architettura MIG, nella quale la calda voce dell'attrice Elisabetta Fadini poggia il proprio timbro sui sintetizzatori lunari manipolati dal duo Garbo-Alberto Stylòo, altro imprescindibile abitante di casa Discipline. Elettronica intelligente dunque, in continua evoluzione; sporcata dal crescendo rock di Sembra e Sparare, arricchita dalle fragili atmosfere sintetiche care a Trent Reznor che marciano marziali nella rammsteiniana Quando Cammino 02, modulata dalla caratura pop con cui è realizzata Sexy. Una band affiatata, coordinata dal già citato Urbani, è l'altro asso nella manica calato per vincere la partita giocata da Abate: Fabio Gatti, Pedro Fiamingo e Nicola Pellegrino, alias Nicodemo (protagonista del felice album solista IN DUE CORPI), sono il valore aggiunto, i gregari di lusso che traducono in concreto le idee del loro capitano. Un lusso per molti, di questi tempi. Una normalità per chi concepisce il proprio lavoro come una espressione artistica fatta di affinità e reciproca stima.

giovedì 26 aprile 2012

Si intitola “Gioco di Società” il terzo album degli Offlaga Disco Pax, uscito il 6 Marzo.
Il trio reggiano che ha lasciato il segno con “SOCIALISMO TASCABILE” e "BACHELITE" è ormai uno dei nomi più importanti della scena italiana.
In questo disco permangono i tratti distintivi dei lavori precedenti che tanto sono stati apprezzati: una raffinata elettronica “dancey” accompagnata da delicate chitarre “shoegaze” e la narrazione intelligente ed ironica di Max Collini.

OFFLAGA DISCO PAX
+ Peack Nick Dj Set

SABATO 28 APRILE
VINILE 45
Via del Serpente, 45
Zona Ind. Fornaci Brescia
INFO: 335 53 50 615
www.vinile45.com

INGRESSO riservato ai tesserati Arci
con un contributo di 5 EURO

Offlaga Disco Pax - http://offlagadiscopax.wordpress.com/

Offlaga Disco Pax è un collettivo neosensibilista formatosi nell'anno dispari 2003 composto da Enrico Fontanelli (basso, elettrotecniche, premeditazioni grafiche, pensiero debole), Daniele Carretti (chitarre, basso, piano, mutuo quinquennale) e Max Collini (voce, testi, ideologia a bassa intensità). Nonostante una leggenda metropolitana li collochi nella vicina Cavriago gli ODP sono in realtà tutti e tre di Reggio Emilia. Il trio si caratterizza fin da subito per le sonorità che uniscono l’elettronica analogica a basso e chitarre, sonorità accompagnate da testi in italiano declamati anziché cantati in modo classico.
Narrazioni vere o verosimili dall’ambientazione molto identitaria, sia dal punto di vista territoriale che ideologico. Nel marzo 2005 hanno dato alle stampe il loro fiero comizio di esordio: SOCIALISMO TASCABILE (PROVE TECNICHE DI TRASMISSIONE). Infinito il tour che ne è seguito, oltre diecimila (!) le copie vendute fino ad oggi e molti i riconoscimenti ottenuti.

L’album BACHELITE (2008) ha dalla sua uscita superato le seimila copie vendute, è stato stampato anche in vinile su doppio LP curato da Unhip records, ha generato due video (Ventrale e Onomastica), l’Onomastica Ep (12” Santeria/Audioglobe, disponibile solo in vinile), un documentario sulla sua gestazione (“OfflagaDiscoPax” di Pierr Nosari uscito nel 2010 anche in DVD) ed è stato accompagnato da oltre 40.000 (quarantamila) presenze ai concerti.

Dopo avere ridotto nella prima parte del 2010 le esibizioni dal vivo il gruppo ha registrato un brano inedito (Isla Dawson) per la compilazione “MATERIALI RESISTENTI 2010” (Venus), disco uscito contemporaneamente all’omonimo evento/concerto del 25 Aprile 2010 a Carpi dove gli ODP hanno avuto ospite sul palco Massimo Zamboni con cui hanno dato vita a una sentimentale cover di “Allarme” dei CCCP davanti a migliaia di persone in una piazza gremita all’inverosimile. L’anno pari 2010 è stato poi concluso con un tour molto particolare, il “Prototipo Tour”. Nell’oc-Casio-ne hanno rivisitato il loro repertorio riarrangiando i brani con il solo apporto di alcune tastiere Casio primigenie e il tour è stato accompagnato dall’uscita del “PROTOTIPO Ep” una autoproduzione in cd disponibile solo in edizione limitata ai concerti dove sei canzoni tratte dai primi due album del gruppo sono state nuovamente registrate in questa sorprendente versione.

Il 6 Marzo 2012 esce il loro terzo album ufficiale, “GIOCO DI SOCIETA'”, marchiato a fuoco col numero di catalogo Odp #155 e distribuito da Venus. Registrato nel novembre 2011 al Bunker di Rubiera da Andrea Rovacchi, il terzogenito è stato concepito come un classico 33 giri in vinile: lato A, lato B e durata canonica di quarantadue minuti, minuto più, minuto meno.

martedì 17 aprile 2012

PADANIA

PADANIA
Afterhours
- Germi - 2012

Non-finito. Un non-finito michelangiolesco capace di bastare a sé perché compiuto nella sua inesausta tensione verso l'alto. Così si presenta nell'Anno Domini 2012 PADANIA, il nuovo atteso caposaldo della discografia afterhoursiana, destabilizzante monolite alternative, concept album della mente, imprescindibile successore del transitorio I MILANESI AMMAZZANO IL SABATO e atteso punto di partenza alla ricerca di nuove strade sonore e comunicative. Una porta aperta, anzi un cancello spalancato da casa Agnelli sul futuro nebuloso e sul presente desolato dei giorni nostri ben rappresentati dallo scenario fangoso e innevato fotografato in copertina. Prodotto direttamente dal sciùr Manuel, in collaborazione con Tommaso Colliva che si è occupato pure delle registrazioni tra Como e Milano, il nono album in studio della band milanese è annunciato dalla dirompente potenza sonora di La Tempesta È In Arrivo e dalla più canonica title track, perfetta metà complementare a Il Paese È Reale e raro esempio di canzone tout court del platter. Poi sono caos e delirio sonoro totale. Controllati e voluti. Se tecnicamente gli Area, l'international POPular group per eccellenza, e Demetrio Stratos restano inarrivabili in Italia e nel mondo, l'opener Metamorfosi omaggia nei vocalizzi lo scomparso cantante italo-greco, senza scimmiottamenti, dando il la a un vorticoso percorso artistico aperto a contaminazioni continue (la splendida Tarantella All'Inazione di qualche anno fa docet) che molto deve alle scorribande sonore compiute negli ultimi anni da Agnelli e dall'imprescindibile Xabier Iriondo assieme al folletto  di scuola Can Damo Suzuki, folgoranti happening di improvvisazione sperimentale realizzati in Italia a cui hanno partecipato pure l'ex Enrico Gabrielli, qui preziosa guest star in un paio di episodi, e Rodrigo D'Erasmo. Tensione muscolare e trasversalità dunque. Mattatore, un po' a sorpresa a dire il vero, seppure già galvanizzato dal ritorno di Iriondo in sede live, è tuttavia il solitamente compassato Giorgio Ciccarelli, da qualche tempo leader dei brillanti Maciunas, diavolo a quattro in stato di grazia su PADANIA, coautore di quasi 2/3 delle musiche e protagonista di prove maiuscole sulle "sue" Io So Chi Sono, in compagnia dei figli Michele e Teresa sulle note del sax baritono di Domenico Mamone, e Fosforo E Blu, in trio con Agnelli e il rigoroso Giorgio "metronomo umano" Prette, così come sulla ballad Nostro Anche Se Ci Fa Male. Spiazzante, Terra Di Nessuno agita i sonni e le certezze sedimentate da anni; straordinaria la cacofonia free di Ci Sarà Una Bella Luce, tra le migliori summe del lavoro nella sua disturbante vigoria plastica, con ancora un illuminato Ciccarelli sugli scudi. Provata un paio di volte in uno stato embrionale durante il tour europeo dello scorso anno, apparsa per un brevissimo periodo on line in quella forma grezza, Spreca Una Vita è dissonante tale e quale ce la ricordavamo, migliorata ovviamente nelle liriche, allora in finto inglese. Giù Nei Tuoi Occhi avrebbe potuto ospitare la follia avant-garde di Buckethead se solo non ci fossero già gli assoli del duo Agnelli-Iriondo. Le iene tornano a ridere stridule nei violini disseminati in Costruire Per Distruggere con D'Erasmo che si ritaglia ulteriore spazio nell'intermezzo Iceberg, introduzione orchestrale alla sbilenca e volutamente "stonata" La Terra Promessa Si Scioglie Di Colpo con cui il nastro della memoria si riavvolge rapidamente fino a riportarci ai tempi de Mi Trovi Nuovo e Il Mio Ruolo, in un nuovo tributo (forse) all'amico Edda. C'è tempo per due messaggi promozionali (esilarante il #2) utili per rifiatare e dare un attimo di requie all'ascoltatore, sicuramente disorientato dal lavoro della maturità degli Afterhours, per nulla immediato, ma assolutamente duraturo. La curiosità ora è per la sua trasposizione in sede live. Sarà quella la sfida nella sfida perché i veri Artisti, lo sappiamo, camminano sempre davanti al proprio pubblico, incuranti di compiacerlo o meno. Anche in questi anni di crisi globale il genio non conosce né ostacoli né barriere di spazio e tempo. Spetta a noi recepirlo. Bentornati.

lunedì 16 aprile 2012

Alessandro “Asso” Stefana, Zeno De Rossi e Danilo Gallo giungono al secondo album intitolato semplicemente “2”. Il trio capitanato da Asso, già chitarrista di Capossela e Mondo Cane, ripropone la formula “morriconiana” a base di surf, atmosfere “spaghetti western”e trame chitarristiche alla John Fahey/Jim O'Rourke. Tra i collaboratori di “2”, Mike Patton e Marc Ribot.

GUANO PADANO
+ Peak Nick Dj Set

SABATO 21 APRILE 2012
VINILE 45
Via del Serpente, 45
Zona Ind. Fornaci Brescia
INFO: 335 53 50 615
http://www.vinile45.com/

INGRESSO riservato ai soli tesserati Arci
con un contributo di 8 EURO

Guano Padano - http://www.guanopadano.com/

Non servirebbe molto più delle parole di Joey Burns dei Calexico, riferite al primo album della band, per descrivere al meglio il mondo attorno al quale ruota la band di Danilo Gallo (basso), Alessandro "Asso" Stefana (chitarra) e Zeno De Rossi (batteria), questi ultimi in forza anche alla band di Vinicio Capossela.

L'immaginario è ricchissimo di sfumature: ci sono le atmosfere morriconiane dei film di Sergio Leone, ma pure delle decine di pellicole minori che hanno segnato un'irripetibile stagione cinematografica italiana. E poi il rock del deserto, il country, il folk, il jazz trasversale, il blues ovviamente e persino influenze surf.

Il primo omonimo album è uno splendido esempio della classe dei Guano Padano, accompagnati per l'occasione da una serie di ospiti da capogiro: Alessandro Alessandroni (il fischiatore delle indimenticabili colonne sonore morriconiane), Gary Lucas (chitarrista di Jeff Buckley e Captain Beefheart), Chris Speed (al clarinetto, collaboratore di John Zorn etc.) e Bobby Solo, chiamato ad interpretare un vecchio brano di Hank Williams, Ramblin' Man, con tocco da maestro.

Dopo una lunga serie di riconoscimenti da parte della stampa i Guano Padano stanno per fare il loro vero e proprio comeback discografico con "2", semplicissimo titolo dietro cui si cela un altro grande lavoro.

Tra Americana, echi di Medio e di Estremo Oriente, di treni merci notturni che attraversano Nashville e profumi di cucina cajun e abruzzese, "2" è un disco incredibilmente ricco, quasi un album fotografico da sfogliare con passione in attesa di nuove e mai scontate epifanie. Attorno al trio, si sono raccolti di nuovo nomi di primissimo livello come quelli, tra gli altri, di Marc Ribot (John Zorn, Tom Waits etc.), ancora Chris Speed, il poliedrico Mike Patton (che ha incluso proprio Stefana nel suo progetto Mondo Cane), Paolo Botti (alla viola), Vincenzo Vasi (al theremin) e Paul Niehaus dei Lambchop.

Insomma, la diligenza dei Guano Padano e' in arrivo, trasportando, ancora una volta, merce rara e preziosa.

domenica 15 aprile 2012

ORO - OPUS PRIMUM
Ufomammut
- Neurot Recordings - 2012

Il nuovo, atteso parto di Poia, Urlo e Vita, supportati per l'ennesima volta durante le registrazioni da Lorenzo Stecconi, sempre col bene placet dei Lento, si concretizza, nell'apocalittico 2012, in un lavoro, il primo per la Neurot Recordings di proprietà dei seminali Neurosis, "di novanta minuti, diviso in dieci movimenti e due dischi: OPUS PRIMUM e OPUS ALTER. ORO è pubblicato in due momenti distinti (aprile e settembre) che devono però essere considerati come una singola traccia in cui i temi musicali e i suoni si mostrano e nascondono, mutano ed evolvono, stratificandosi e incrementando progressivamente fino a culminare nel devastante movimento finale di OPUS ALTER". La sesta fatica per i padri di SNAILKING e IDOLUM diventa così un perfetto mosaico sonoro in cui la somma delle parti è essenziale per la comprensione finale. Qua ci troviamo di fronte alle fondamenta su cui poggerà l'intera opera. Sono le imprescindibili note introduttive, le nozioni basilari propedeutiche al Manifesto che verrà. Una lezione metallica impartita con stile e dinamismo, fatta di riff e tessiture ritmiche che si sviluppano per poi decrescere e ricostituirsi nuovamente. Anche in questa occasione non servono liriche e testi per farsi capire. La musica, mai muta, al contrario parla e basta a sé. Si frantuma e si ricompone, liquida, prima di forgiarsi definitivamente tra le mani dei sacerdoti del doom nostrano secondo un rituale ormai consolidato. ORO è dunque IL concept album, l'epopea degli Ufomammut, investitisi di una missione altrimenti inderogabile. ORO è la risposta a quanti si domandavano cos'altro il gruppo piemontese potesse escogitare ora per muovere e andare oltre, per alzare l'asticella e superare sé stesso e i cinque movimenti contenuti nel precedente, mastodontico EVE. ORO è rischio. ORO è azzardo. ORO è sguardo verso l'insondabile. ORO è ricerca. ORO è ribellione al precostituito. ORO è Empyreum. ORO è la testimonianza concreta di un sentire comune e ancestrale. ORO è l'inesauribile flusso sonoro che ci accompagna sottopelle. ORO è moto vorticoso. ORO è stratificazione necessaria. ORO è percorso epico. ORO è il viaggio che non necessita di una mèta. ORO è metà di sé stesso. ORO è ambizione. ORO è fucina alchemica. ORO è magma e calore. ORO è Aureum. ORO è sperimentazione. ORO è Magickon. ORO è psichedelia. ORO è follia. ORO è Infearnatural. ORO è meditazione. ORO è preghiera. ORO è raccoglimento. ORO è tentazione. ORO è Mindomine. ORO è fatica. ORO è sudore. ORO è sofferenza. ORO è raccolto. ORO è abbondanza. ORO è opulenza. ORO è prolificità. ORO è linfa. ORO è energia. ORO è vita. OPUS PRIMUM è. OPUS ALTER sarà.

sabato 7 aprile 2012

LA TESTA DENTRO
Micol Martinez
- Discipline - 2012

Grande acquisto in casa Discipline quello della sempre sorprendente Micol Martinez. Occhi (e orecchie, è proprio il caso di dire) lungimiranti vollero scritturare a ragione la giovane cantautrice, attrice, deejay e pittrice lomellese intravedendo in lei la stoffa necessaria per imbastire un progetto duraturo nel solco della tradizione (indie) folk rock italiana, sulla scia delle ormai meritatamente classiche Cristina Donà, Nada e Paola Turci. Da COPENHAGEN a LA TESTA DENTRO il risultato ottenuto è quell'equilibrio tra note e parole già intravisto nel cd d'esordio, ma che solo ora viene realmente messo a fuoco grazie all'intervento decisivo dell'imprescindibile Luca Recchia, produttore artistico già apprezzato in compagnia di Cesare Basile due anni fa, comandante in capo sempre in cabina di registrazione oggi, al fianco di Guido Andreani, e polistrumentista di valore. "È un album più diretto, più nudo e che non necessitava di decori. A mio avviso più incisivo del precedente, ma anche più vario e “divertito” sia per quello che riguarda i testi che per quanto riguarda la scrittura musicale e la produzione artistica" ha avuto modo di commentare la stessa Martinez a proposito della sua seconda fatica. Brani essenziali come Haggis (La Testa Dentro) hanno la malinconia di un Vasco Brondi meno cerebrale e prolisso, aprono al contempo uno sguardo su mondi sonori in parte nuovi per la loro autrice e si muovono su un terreno rock sempre estremamente orecchiabile, puntellato dalla piacevole trama acustica "stoppata" di Giovanni Calella. Discorso tendenzialmente simile può essere fatto per il liricismo intimista de Questa Notte per la quale Micol viene coadiuvata dal già citato Recchia, a suo agio tanto al piano quanto al basso. Desta attenzione con la sua sonorità avvolgente la decisa 60 Secondi, tributo all'amore amato, eterno e reale, che si rinnova impetuoso ad ogni incontro senza mai consumarsi né estinguersi. Una profondità calexicana affiora quindi ne L'Alveare grazie alle chitarre dell'onnipresente Calella e alle tromba sudamericana di Raffaele Kohler, già noto al grande pubblico per le collaborazioni con Afterhours e Vinicio Capossela in primis e colonna portante dei brillanti Ottavo Richter. "Luci e ombre nette, questa volta". Tutto è molto d'atmosfera e articolato come dimostra l'incantevole Sarà D'Inverno, protest song in salsa padana, sogno irrealizzabile che si materializza allorquando musica e testo prendono vita dagli spartiti. Forse un poco sottotono risulta l'impennata rock de Nel Movimento Continuo che si fa comunque apprezzare per le inserzioni malate di violino affidate a Marco Sica, protagonista discreto sia nel successivo intreccio ritmico di A Filo D'Acqua, a sua volta apocalittica visione di un mondo dopo il mondo, sia nel trillo legato ad un amore passato cantato in Coprimi Gli Occhi. Chitarra e voce chiudono brillantemente il lotto impossessandosi di Un Nome Diverso. Personaggio ancora da scoprire completamente, ma dalle indubbie doti artistiche, Micol Martinez ha tutte le carte in regola per ritagliarsi uno spazio non piccolo all'interno della scena cantautorale, forte della costante crescita compositiva ed espressiva manifestata nella sua fin qui breve carriera discografica. Darle credito è il minimo che si possa fare. Lasciarci affascinare dalla sua bravura il non plus ultra.



martedì 3 aprile 2012

AVVOLTE
Nessuna Rete
Il videoclip sulla sicurezza nei cantieri
a maggio il video/corto

IN EDICOLA SU DVD CON XL
IN TUTTI I CINEMA D’ITALIA
SU RADIO POPOLARE NETWORK


Una canzone fuori dall’ordinario per un video straordinario.
I torinesi AVVOLTE, ancora una volta, portano la loro musica a un livello superiore realizzando, insieme al magistrale regista Marco Danieli, un cortometraggio che accenderà anche le coscienze più assopite: un video di impegno civile che tocca il delicato argomento delle morti sul lavoro.

Ecco come una band può fare di una canzone ben riuscita una campagna di sensibilizzazione di un’importante tematica sociale, la sicurezza sul lavoro. “Nessuna Rete”, brano tratto dall'ultimo disco "L'ESSENZIALE È INVISIBILE AGLI OCCHI" degli Avvolte, tratta una tematica tanto delicata quanto complessa.
Il progetto, patrocinato dall’Inail, dalla Città di Torino e dall'ATC diventa un nuovo strumento di comunicazione fruibile a tutti, addetti ai lavori e non.
"Nessuna rete" si differenzia dai comuni videoclip musicali fini a se stessi, affrontando sul campo un argomento attualissimo ed importante.
In collaborazione con il regista Marco Danieli, la direttrice della fotografia Valentina Summa e il tecnico per la sicurezza di ATC Projet.to (Agenzia Territoriale per la Casa) Emanuela Minuzzi, i torinesi Avvolte, realizzano un cortometraggio musicato che ha come obiettivo la sensibilizzazione sulla sicurezza nei cantieri.
Le riprese si sono svolte l'11 dicembre 2011 nella piscina Monumentale di Torino con la collaborazione di Film Commission e della squadra di tuffi Blu2006, supervisionata dall'allenatore tecnico Claudio Leone e domenica 15 Gennaio 2012 sui ponteggi del cantiere di Via Dina, quartiere Mirafiori a Torino, grazie alla concessione dell’Agenzia Territoriale per la Casa e alla collaborazione dell'Impresa Mira Costruzioni.
Là dove la musica e le parole del brano possono emozionare, le immagini completano con estrema efficacia il messaggio del video che ci porta a riflettere e a spronarci a migliorare lo stato delle cose.
In attesa del video che verrà presentato e diffuso a livello nazionale nel mese di maggio, vi rendiamo partecipi con una foto di backstage.

Nessuna Rete” è la consapevolezza, che arriva troppo tardi, del rischio che si corre nel fare qualcosa che ci sembra la più naturale del mondo e che facciamo quotidianamente.

Nessuna Rete” ha la forza di sintetizzare, in pochi intensi passaggi, lo scorrere grigio della vita di un lavoratore qualsiasi, il suo misurarsi con una realtà scomoda e opprimente, quella di una vita fatta di fatica e sacrificio, il suo non stare al passo, il suo muoversi a stento in una realtà ostile e in ultimo la sua fine. Il ritratto del soggetto è quello di un personaggio pasoliniano.

“E’ solo un uomo che muore sul campo, nutre suo figlio e soccombe alle spese, solo comparsa di questo teatro, dissanguato alla fine del mese”, un uomo schiacciato dal peso di un’economia e di una vita che non ha scelto ma che subisce per amore di suo figlio.

La rivista XL di Repubblica ha creduto negli AVVOLTE e nel progetto “Nessuna Rete”, decidendo di distribuire a maggio 2012, in 30 mila copie, un DVD, che conterrà, oltre al video, anche diversi contenuti speciali sulla band torinese e sul video stesso.

Grazie a Moviemedia, dal 4 al 31 maggio, in tutti i cinema d'Italia, verrà proiettato il trailer del video clip “Nessuna Rete”.

Infine l'iniziativa verrà promossa su tutto il circuito nazionale di Radio Popolare Network.

Con il contributo di:
INAIL Direzione regionale Piemonte

Con il patrocinio di:
Città di Torino, ATC Torino, C.P.T. Torino

Media Partner:
Movie Media, XL di Repubblica,

Con la collaborazione di:
Intesa Sanpaolo, Area Torino e Provincia, Istituto Europeo di Design di Torino

BIOGRAFIA AVVOLTE
Il progetto Avvolte nasce nel lontano 1996, sotto lo pseudonimo Avvolte Kristedha, per poi continuare solo come Avvolte dal 2007. Una storia intensa, che dura da quindici anni, vissuta giorno per giorno con passione, determinazione e cura per i contenuti, che trova sul palco la sua migliore forma di espressione e comunicazione. In questi anni dividono il palco con Big Sexy Noise, Nada Surf, Il Teatro degli Orrori, Afterhours, Marlene Kuntz, Max Gazzé, Scott McCloud (Girls Against Boys), Paolo Benvegnù, One Dimensional Man, Tre Allegri Ragazzi Morti, Sikitikis, Super Elastic Bubble Plastic, Petrol, Bologna Violenta, Dorian Gray. A maggio 2012 uscirà il quarto disco "L'ESSENZIALE È INVISIBILE AGLI OCCHI" che vede molte ed importanti collaborazioni che impreziosiscono le 11 canzoni. Prime tra tutte la voce di Lydia Lunch che ha scritto e recitato una poesia nel brano "Nessuna Rete". Ne "La Vita Che Ti Spetta" alla chitarra slide ascoltiamo un'ipnotico Roberto Angelini, la scura e profonda voce di Franz Goria in "Sono Anche Notte", Luigi Napolitano (Fratelli di Soledad) alla tromba in "Un Giorno Qualunque", la voce di Diablo e il basso di Jimi dei Sikitikis in "Per Essere Viva". In attesa del disco, nella sezione music del sito ufficiale (http://www.avvolte.it/) potete ascoltare una preview dei nuovi brani.

lunedì 2 aprile 2012

in concerto

01-04-2012
- MAURO ERMANNO GIOVANARDI & MASSIMO COTTO live @ Foro Boario -
Nizza Monferrato (AT)

VISIONARIA (Lampi di Musica e Teatro) è l'inedita rassegna culturale, giunta al suo debutto in questo problematico 2012, voluta e organizzata dalle intraprendenti forze congiunte della Pro Loco di Nizza Monferrato e della Compagnia Teatrale Spasso Carrabile in collaborazione con la Fondazione Davide Lajolo e il Comune della cittadina piemontese. Nel corso delle diverse serate che da gennaio si sono fino ad oggi succedute con cadenza mensile hanno trovato spazio le avventure musicali del Suonatore Jones, alias Vittorio De Scalzi; si è materializzato il percorso tra demonio e santità in compagnia di Alberto Fortis e Patrizia Camatel; sono tornati in auge quei favolosi Anni '60 con Rifatti Mandare Dalla Mamma, brillante spettacolo messo in scena dalla Compagnia Teatrale Carovana. Questa notte, per una notte soltanto, riapre il Chelsea Hotel. Chi è avvezzo alla Storia della Musica sa già di cosa stiamo parlando e su cosa verterà l'argomento della trattazione. Per molti altri sarà invece l'occasione per scoprire una realtà sfaccettata, intrigante e pruriginosa fatta di droga, sesso e rock'n'roll da un lato, amore e morte dall'altro. Portiere di notte sarà Massimo Cotto, voce narrante e custode dei misteri racchiusi nelle mure dell'edificio newyorkese, abile nel tracciare le linee guida del racconto con una parlata chiara e uno stile narrativo lineare. La prima fila è riservata. Solo apparentemente vuota. Piace pensare infatti che su quelle poltroncine si accomodino uno ad uno gli spiriti dei grandi artisti evocati dai racconti del giornalista astigiano, presenze ultraterrene confuse nella penombra della platea, giunte per assistere, ospiti d'onore, allo spettacolo loro dedicato. Anche sul palco volutamente spoglio la luce è fioca. Una poltrona, un tavolino con una bottiglia e un bicchiere, una lampada. Benvenuti.

Fare conoscenza con gli avventori del Chelsea non è così difficile. Cotto ci illustra vicende e personaggi, cita episodi e snocciola date. Poi cede il passo all'altro Virgilio che accompagna lui e noi in questo viaggio nella memoria e nella leggenda. A Mauro Ermanno Giovanardi spetta il compito di evocare gli umori della storia attraverso una selezione di canzoni ad hoc, eseguite in compagnia del fidato Matteo Curallo sorprendendo l'ascoltatore e annullando la distanza tra spazio e tempo. Così tocca ad una sulfurea Femme Fatale, omaggio a Edie Sedgwick interpretato in origine da Nico coi Velvet Underground di Lou Reed e John Cale nel loro celeberrimo disco di esordio, aprire le danze della serata, carezzando l'aria originariamente intrisa di good vibrations, ma ben presto sempre più carica di suggestioni antimilitariste che sarebbero sfociate nella contestazione del '68 e ora sottolineate dall'omaggio sul finale a John Lennon. È nuovamente il turno di Cotto il quale, cubo di Rubik alla mano, ben presto legittima il suo ruolo di guida consentendoci di incontrare nella stanza 822 una giovane Louis Veronica Ciccone che di lì a qualche anno tornerà in quegli stessi ambienti del Chelsea Hotel per realizzare alcuni scatti racchiusi nel suo controverso book fotografico Sex; e per poco non veniamo spintonati a terra da Herbert Huncke, tossicodipendente che influenzò la poesia Urlo di Allen Ginsberg, fuggito a rotta di collo giù per le scale perché convinto che William Burroughs fosse un poliziotto in borghese. Poco più in là vediamo una troupe cinematografica diretta da Adrian Lyne intenta a girare le ultime scene di 9 Settimane e ½ con Kim Basinger e Mickey Rourke; sostiamo curiosi. Poi, in fondo al corridoio, riconosciamo Arthur C. Clarke intento a scrivere quello che diverrà il suo capolavoro 2001 Odissea Nello Spazio, tradotto successivamente in immagini da Stanley Kubrick.
 
Gregory Corso e il già citato Ginsberg discutono calorosamente, sbraitano e si confrontano mentre Jack Kerouac, in pieno delirio creativo e imbottito di chissà cosa, è al terzo giorno di scrittura su rotoli di carta igienica della prima stesura di Sulla Strada. È il delirio. Tutti, parafrasando Patti Smith, "hanno da vendere la parte migliore di sé" in questo gigantesco mercato all'aperto che è il Chelsea. Curallo e Giovanardi si lanciano in una delicata versione pianoforte e voce di I Wanna Be Your Boyfriend dei Ramones. C'è un bellissimo tramonto sul fiume Hudson. E ce n'è uno pure sugli anni '60. Noi siamo giunti in prossimità della stanza 411 mentre dall'ascensore ecco uscire sottobraccio, rumorosamente ridacchianti, Leonard Cohen e Janis Joplin. La porta si chiude all'istante. Ciò che accade lo apprenderemo di lì a qualche anno attraverso Chelsea Hotel #2, canzone che Cohen avrebbe inserito nel suo quarto album NEW SKIN FOR THE OLD CEREMONY e nella quale, dopo aver messo a nudo gli istanti di intimità condivisi, consegnerà agli annali le dirompenti liriche "we are ugly, but we have the music". A Joe il compito di ripercorrere musicalmente quegli istanti. Entriamo e usciamo dalle stanze in rapida successione come se fossimo i legittimi proprietari dell'intero stabile sorto sulla ventitreesima strada. Corriamo noi e corre il tempo. 12 ottobre 1978. Stanza numero 100. Altre due persone. Un letto. Un bagno. E molto sangue. Troppo sangue. Sid Vicious e Nancy Spungen. È omicidio.

Il caos che regna sovrano nell'hotel non aiuta di certo a ricostruire l'accaduto. Sid è arrestato con l'accusa di avere accoltellato la fidanzata. A febbraio dell'anno seguente fa in tempo a scontare la detenzione in carcere poco prima di uscire definitivamente di scena da questo mondo a soli ventuno anni. Due vite spezzate accomunate da un tragico destino. They did it My Way. Per nulla turbato dal clamore della vicenda l'incisore Alpheus Philomen Cole deciderà di mantenere il suo domicilio al Chelsea fino al 1988, respirando vizi (molti) e virtù (artistiche) nei trentacinque anni di permanenza in quel di New York City. Nell'immediato dopoguerra è possibile incontrare addirittura Édith Piaf da queste parti, stanza 103. Alla ricerca di una tranquillità tanto agognata, l'angelo nero della canzone, come la ribattezzò l'amico Jean Cocteau, si illudeva di aver trovato quella normalità dell'esistenza nell'amore per il pugile Marcel Cerdan. Ma non può sapere che si tratta di un amore tragico. Tra il 27 e il 28 ottobre 1949 l'aereo con a bordo il pugile francese in volo per New York si schianta contro una montagna all'altezza delle isole Azzorre. Per la Piaf si spalanca il baratro dell'alcool e della morfina. Faranno seguito due matrimoni e le trionfali esibizioni presso l'Olympia di Parigi. Poi nel 1963 il decesso a causa di una broncopolmonite che ne mina il fisico minuto roso dal cancro. La più grande di tutte, allattata a vino, cresciuta in un bordello, prostituta mancata, regina dei dolori.

E mentre Mauro Ermanno Giovanardi continua a ricevere applausi, questa volta per la sua interpretazione de La Vie En Rose, noi, in attesa di essere raggiunti dal cantante lombardo, ci soffermiamo ancora un poco nei pressi della camera 103 prima di scendere al bar di questo Albergo A Ore, ripercorrendo con altri illuminanti flashback gli ultimi istanti di Édith, su e giù dal palco, ragionando un poco in disparte rispetto alla folla che continua ad animare il Chelsea sulla grandezza e la tragicità che possono risiedere talvolta in una sola persona. Armati di una polaroid decidiamo di cambiare aria per qualche momento e puntiamo diretti in metropolitana a Coney Island, Brooklyn, ad est di Manhattan, dove sulla promenade ci imbattiamo in due ragazzi che camminano mano nella mano, l'oceano da una parte, le luci delle giostre dall'altra. Patti Smith e Robert Mapplethorpe nel pieno dei loro anni sono l'emblema e l'affresco di un'epoca raccontata meticolosamente da Cotto mentre Curallo lo accompagna al piano con una strumentale Because The Night. L'intervento di Giovanardi porta all'esecuzione di una partecipata Dancing Barefoot per sole chitarra e voce, seguita di lì a poco dall'omaggio a Robert Zimmerman con il simpatico duetto "nasale" e a cappella tra l'ex cantante dei La Crus e il giornalista astigiano sull'aria di Mr.Tambourine Man. Proprio uno tra i più celebrati songwriters americani, preso in prestito da un altro avventore del Chelsea Hotel (il poeta beat Dylan Thomas) il proprio cognome d'arte, si aggira per gli spazi della struttura, tutto intento nella stesura di una canzone da dedicare quasi in incognito alla moglie Sara Lownds. Sembra inarrestabile il flusso continuo di coscienza con cui Bob Dylan, dalla stanza 211, scrive, amplia e corregge quella che diventerà Sad-Eyed Lady Of The Lowlands, più di undici minuti di cuore a nudo.
 
Quello stesso flusso di coscienza che animerà decine di canzoni successive fra cui pure Sara, questa volta esplicita dedica in musica alla, nel frattempo, ormai ex signora Zimmerman, nel tentativo di riconquistarla e posteriore solo di qualche anno. Ce la farà nel suo intento? The answer, cari tutti, ce la svela in parte il buon Giovanardi, per l'occasione all'armonica: it is Blowin' In The Wind. Cuore altrettanto affranto, di ritorno alla maison dopo una giornata trascorsa chissà dove, è lo scrittore e drammaturgo Arthur Miller che per esorcizzare l'ossessione per la ex moglie Marilyn Monroe, morta suicida nel 1962, trova ispirazione dalla sua esperienza personale nella scrittura del dramma Dopo La Caduta, opera teatrale dal forte taglio autobiografico. Un poco a sorpresa Joe si sostituisce alla narrazione attaccando con Il Vino, tra i più grandi successi (mancati) di Piero Ciampi, poeta, cantautore e anarchico livornese già omaggiato con una rilettura proprio di questo stesso brano dai La Crus ai tempi del loro disco d'esordio. È una licenza poetica voluta, s'affretta a comunicare alla platea Massimo Cotto, perché Ciampi, pur non avendo mai abitato a New York né tantomeno al Chelsea, si sarebbe trovato benone con i suoi ospiti; lui spirito libero, chansonnier maledetto e dannato, artista troppo spesso vittima dei fumi dell'alcool, figura eccentrica e tragica, in anticipo rispetto ai tempi e ai costumi italiani. Uomo burbero e litigioso. Emarginato. Spirito affine a quel Dylan Thomas di cui facciamo finalmente diretta conoscenza sull'ingresso della hall mentre, barcollante, si dirige in camera sua, la 205, sei stanze prima della camera di Mr.Zimmerman. Scopriremo il giorno dopo che è reduce dal diciottesimo giro di whiskey, consumato come di consueto presso il White Horse Tavern, all'angolo con l'undicesima strada.

E che dire delle tre visite del dottor Feltenstein nelle ventiquattro ore successive per tentare di rimettere in sesto il poeta ormai ad un passo dal collasso? Collasso che regolarmente si manifesta dopo l'assunzione di morfina prescrittagli dal luminare. All'1:58 del 5 novembre 1953 si cerca il ricovero in ospedale. Dopo quattro giorni di coma la morte arriva per, così scrivono sul referto medico, "insulto al cervello" dopo che tutta la sua vita fu un insulto alla normalità. Basta leggere i componimenti scritti dall'autore gallese per rendersene conto. Attoniti ascoltiamo pure il trepidante racconto del viaggio effettuato da Cotto, ora sedutosi in solitaria sul bordo del palco quasi a volerci rendere partecipi in maniera esclusiva della sua storia personale, in compagnia di Franco Battiato in America qualche anno fa, occasione per fare tappa e prendere temporaneamente una stanza al Chelsea respirando l'aria di questo pezzo di cultura pop. Un'esperienza sviluppatasi tra improbabili individui, opere d'arte esposte nella hall, sogni, odori e ricordi. Ma è la felicità. Quella vera, unica, che così poco spesso ha modo di concretizzarsi nel quotidiano, ma che pur nella sua tragicità ha abitato invece le pareti dell'hotel più vissuto nella storia della musica, le ha arricchite, ne ha garantito fama e notorietà quasi imperitura. Anche oggi che sono subentrati i cinesi, con i dollari, per dare inizio a lavori di ristrutturazione che ne scalfiranno la forma, ma sicuramente non la leggenda.

Sulle note di Chelsea Hotel #2 ecco Giovanardi avvicinarsi all'amico e abbracciarlo fraternamente mentre Matteo Curallo, alle loro spalle, accompagna questi istanti con la chitarra. Un ultimo ricordo è per Stanley Bard
, paziente e scaltro gestore della struttura ricettiva, allontanato dalle sue funzioni nel 2007 e qui menzionato per aver cacciato un solo individuo fra i tanti che probabilmente altrove avrebbero meritato uguale trattamento. Si tratta di Valery Solanas, artista tormentata del New Jersey, dall'infanzia e dall'adolescenza problematiche, la quale, presa dimora in quel di New York nel 1966, entra in contatto con Andy Warhol convinta di venir da lui prodotta per il suo dramma teatrale Up Your Ass. Di fronte al rifiuto del capo della Factory cominciano le aggressioni verbali e fisiche nei suoi riguardi, con appostamenti e minacce talmente gravi da spingere per l'appunto Bard a cacciarla dal Chelsea. È la goccia che fa traboccare il vaso dell'insanità mentale della Solanas che, armata di pistola, attenta alla vita di Warhol riducendolo in fin di vita nel 1968. Mentre il regista della Pop Art subirà un delicato intervento al cuore per evitare la prematura dipartita terrena conservando i postumi dell'attentato negli anni venturi, la Solanas se la caverà in fondo con poco (tre anni) visto che l'artista newyorkese, al momento del successivo processo, non vorrà testimoniare contro la sua assalitrice. Ennesima storia che ha dell'incredibile nel turbinio folle che ha avvolto gli anni migliori e peggiori di una, forse due, stagioni irripetibili. Un'epoca dalle grosse speranze macchiate troppo spesso col sangue in quel crocevia di eventi, in quella fiera dell'accaduto dove tutto era ancora possibile. Come non restarne comunque affascinati a distanza di anni? La chiusura dello spettacolo spetta così alla malinconica Can't Help Falling In Love ideale sintesi delle nostre vite che raccoglie in un unico abbraccio volti, figure, vicende, decadi intere, indimenticabili e passate alla storia. Halleluja.
 
Andrea Barbaglia '12