lunedì 20 gennaio 2014

l'intervista

CAPITANO, MIO CAPITANO
 
La Toscana è da sempre fucina di spiriti liberi e ingegnosi. Cosimo Messeri è uno di questi. Vulcanico eppure metodico e lucido artista a 360 gradi, figlio dell'incontenibile Marco Messeri e dell'altrettanto creativa Luisanna Pandolfi, dopo i buoni riscontri ottenuti con i suoi lavori cinematografici se ne è uscito allo scoperto anche in campo musicale, con una passione enorme per la Swinging London e le belle melodie. Autore di se stesso, consapevole della precarietà artistica che da sempre è convivente con l'uomo comune, senza seguire alcuna strada privilegiata eccolo gettarsi a capofitto nell'ennesima avventura che è anche confronto con le proprie radici. Qua di seguito trovate la nostra constatazione amichevole dopo un tamponamento sfiorato con il suo Transit lungo le strade che da Fiesole portano a Roma.
 

Cinema e musica: quale di queste tue due passioni hai sviluppato gradualmente e quale è stata invece una folgorazione vera e propria?
Cosimo: Cinema e musica. Entrambi mi hanno folgorato immediatamente, e subito è stato come se non ci fosse più nient’altro intorno, come se nella vita non potessi fare altro. Il guaio (?) è che quando lo capii ero ancora al liceo e per questa mia assenza mentale, presa giustamente dai professori come sprezzante indifferenza, fui bocciato e ribocciato!
 
Dopo l'esordio e una carriera nel mondo della celluloide ecco un tuffo nella musica con un lavoro composto e suonato quasi interamente da solo. Perché un disco ora? Quale aspettative nutri sulla sua riuscita?
Cosimo: Carriera?! Ma carriera di che? Trovo ridicolo chi fa questo lavoro e parla di carriera; è un linguaggio ministeriale, da corridoio. Sono sempre stato d’accordo con mio padre e Paolo Poli quando dicono: "Ma quale lavoro, noi facciamo gli scemi sulle montagne russe!". Per quanto mi riguarda vivo la mia vita al meglio delle mie possibilità, cerco continuamente di assomigliarmi e di dimenticarmi di me!
Ora ho fatto un disco e non nutro alcuna aspettativa sulla sua riuscita. Primo perché come diceva Eduardo il pubblico è un blob imprevidente e imprevedibile, e secondo perché per me questo dischetto, e sottolineo per me, è un lavoro più che riuscito!
 
Talmente ben riuscito che non hai sentito neppure l'esigenza di affidarti ad altri musici, se non che per piccolissimi interventi. Ascolta, chi si nasconde dietro lo pseudonimo di Apollo Vermut? Non sarà davvero il baronetto Macca?
Cosimo: Beh, se Capitan Confusione son io, Apollo Vermut è... Madame Bovary!
 
 
I dischi d'esordio sono solitamente e in larga parte album autobiografici; le canzoni di CAPITAN CONFUSIONE abbracciano un ampio periodo della tua vita oppure sono composizioni recenti, databili ad un più ristretto periodo?
Cosimo: A parte alcune eccezioni sono perlopiù canzoni recenti, vicine nel tempo, vicine al me di adesso eppure già lontanissime.
 
Oltre a diversi brani sviluppati secondo forme classiche per la canzone pop cantautorale mi hanno colpito tutti quei pezzi più brevi posti quasi a mo di raccordo tra una canzone e l'altra, pensieri che nello spazio di pochi secondi sanno fornire mondi ben più vasti.
Cosimo: Mi sono sempre piaciuti gli intermezzi brevi, che dicono tutto e nulla e lasciano la voglia di farsi subito riascoltare. Così nel disco ho disseminato queste pagliuzze  (Forse troppe? Ma no...)  qua e là.
 
Una influenza evidente che si materializza tra i loro solchi è senz'alto quella proveniente da una band di Liverpool: che rapporto hai con la musica dei Beatles?
Cosimo: Che rapporto si può avere con i Beatles se non di spassionata e sincera gratitudine? Mi sembra un miracolo e sono contento che siano esistiti davvero! E lo stesso vale per Fellini, Chaplin, Socrate, i Monty Python: ogni tanto per fortuna esplodono delle supernove che illuminano questo mondo poverello.
 
 
Che fine hanno fatto i Plastic Macs ovvero la band con cui "esordisti" tempo fa nel mondo della musica?
Cosimo: I Plastic Macs... sono stati un bel momento spontaneo e doveroso, di passaggio e roccioso. Ma soprattutto felice. Due canzoni nell'album vengono da quel periodo e mi ha fatto piacere portarle con me in questa nuova avventura. Ora il batterista fa il disc jockey, il bassista è diventato avvocato, il chitarrista sta in Bolivia a piantare il riso per i bambini poveri e io sono rimasto l'unico disoccupato!

Nei tuoi lavori cinematografici che ruolo ha avuto fino ad ora la musica? La scelta ad esempio di occuparsi di un artista ai più sconosciuto come Emitt Rhodes sembra far trapelare una attenzione verso artisti di nicchia, ma capaci di arrivare alle masse se solo supportati anche da un pizzico di fortuna in più.
Cosimo: Credo che tutte le arti si parlino tra loro. Mai in maniera esplicita sia chiaro, ma si parlano eccome. Pittura, poesia, letteratura, cinema, musica… The One Man Beatles, il mio filmetto su Emitt Rhodes, mi ha confermato in questa mia convinzione. Ma con Emitt è stato soprattutto un incontro umano, una rivelazione emotiva per lui e per me: dall'altra parte del mondo ci può essere qualcuno che ci vuol bene senza motivo!

Tuo padre Marco avrà senz'altro guardato i tuoi film, ma a proposito del cd quali sono state le sue reazioni e i suoi commenti?
Cosimo: È molto difficile giudicare artisticamente il lavoro di una persona cara. Bisognerebbe astrarsi, far finta di, ma alla fine rimane sempre un giudizio drogato. Mio padre no, è molto anglosassone in questo: se c'è da sculacciare sculaccia da sempre senza pietà. Ma il disco gli è piaciuto. È lì che ho capito che forse anche lui non è poi così distaccato… o magari è davvero un bel disco!
 
 
Hai intenzione di portare sul palco le tue canzoni oppure attualmente sei già impegnato in altri progetti?
Cosimo: La domanda sul live è una di quelle domande per cui ogni volta mi piacerebbe trovare una risposta che fosse di soddisfazione per chi mi pone il quesito. La scusa ufficiale – e verosimile – che uso è quella che sto preparando il mio primo film, quindi anche volendo non avrei il tempo di suonare dal vivo. La verità è che c'ho paura e per ora non ci penso nemmeno! Un'altra verità, non meno importante, è che la musica io la intendo così, concetto nato in una cameretta e da ascoltare in un'altra cameretta, da soli. Comunque non è detto che un po' più in là, magari con il secondo disco, non inizi anche a fare dei piccoli concerti… ma come vedi sono già troppe risposte per essere vere!

Abbiamo citato tra gli altri Beatles, Monthy Python, il grande Paolo Poli, tuo padre Marco: qual è il tuo sentimento con il tempo che passa, con le tante persone che direttamente o inconsciamente ti hanno formato?
Cosimo: Ho un sentimento molto profondo verso queste entità, una commossa e sincera epifania. E sono riconoscente a persone come Marco Lodoli, Carlo Mazzacurati, Nanni Moretti, veri e propri fari per me, nello stesso modo in cui sono riconoscente a Federico Fellini, Charlie Chaplin, Italo Calvino, che invece non ho mai conosciuto. Ma non importa, quello che mi doveva arrivare m'è arrivato attraverso il loro lavoro, tramite quello che hanno fatto e che adesso è qui, per tutti, come in un prodigio. È cosa rara entrare naturalmente in confidenza con persone speciali, illuminate, e in questo, per nascita, sono stato molto fortunato.

Tra vinile, cd o mp3 tu da fruitore di musica scegli?
Cosimo: Scelgo la musica che mi parla, ogni mezzo è lecito musicassette incluse, e credo perfino nel sistema radiofonico italiano…!
 
Andrea Barbaglia '14

giovedì 9 gennaio 2014

L'ORDINE NATURALE DELLE COSE

L'ORDINE NATURALE DELLE COSE - EP
L'Ordine Naturale Delle Cose
- Hot Studio Records - 2014

Hanno un asso nella manica i promettenti custodi de L'Ordine Naturale Delle Cose: la viola di Enrico Cossu. Il lungocrinito musicista di chiare origini sarde si rivela essere infatti l'elemento che meglio è in grado di caratterizzare la proposta del quintetto parmigiano cresciuto a pane, grunge e alt rock e intercettato nei mesi passati dalle antenne ricettive di Omid Jazi quando ancora si esibiva nei locali della Bassa sotto altro moniker. Nati infatti come The Strange Situation nell'inverno del 2011 su spinta dell'allora vocalist Daniele Urbano, dopo aver pubblicato in sestetto un cd d'esordio non troppo fortunato in termini di esposizione mediatica, ma ugualmente curato e propositivo (l'autoproduzione "col cuore in mano" di DENTRO), in seguito all'allontanamento dello stesso Urbano e con il passaggio alla voce di Stefano Cavirani nella primavera del 2013, fino a quel momento chitarrista principale della band, i futuri L'Ordine Naturale Delle Cose avrebbero optato appunto per un nuovo nome e una nuova ragione sociale pur di non disperdere quanto di buono realizzato fino ad allora. Con un gruppo quindi già rodato e affiatato anche in sede live si tratta ora di tastarne comunque l'amalgama sui nuovi pezzi e verificare la tenuta del nuovo frontman il quale, non rinunciando alla sua sei corde, si trova ad essere in ogni caso supportato da altri due chitarristi, Gioacchino Garofalo e Mattia Amoroso, capaci alla bisogna di switchare rapidamente al basso incrementando così le possibilità di ulteriori sequenze narrative per un sound che nelle intenzioni del quintetto vuole mantenersi aperto e in continua evoluzione. I quattro brani raccolti in questo primo ep sono in ultima analisi però ancora interlocutori. Sicuramente, pur mantenendo una melodia di fondo mutuata dalla precedente esperienza discografica, è cresciuta in maniera esponenziale la potenza di watt prodotta e scalpitante è l'urgenza di comunicare. A lasciare il segno è, come si diceva in apertura, la "diabolica" viola di Cossu la quale si ritaglia un piacevolissimo assolo che porta a conclusione l'opener Questa, regge le sorti della retrospettiva, ma poco convincente La Volta Buona, orchestra Opaca, la migliore del lotto con la sua coda strumentale che è vetrina per tutti i musicisti, e cresce lentamente nella sospensione di In Punta Di Piedi, un non finito molto kuntzianamente derivativo nella sua alternanza fra la quiete e l'irruenza di cui strofe e ritornello sono intrisi, ma forse anche l'episodio più indicativo di un passato non ancora completamente lasciato alle spalle. Jazi interviene discretamente nella registrazione, inserendosi in punta di piedi con le sue tastiere in due brani, senza interferire troppo nella struttura delle canzoni. Non resta che attendere le future mosse de L'Ordine. Se tutto andrà come deve andare il (nuovo) esordio del gruppo su lunga distanza colmerà le lacune e metterà a fuoco i pregi del combo emiliano; diversamente nuove soluzioni per i suoi componenti si prospetteranno all'orizzonte. Questioni di tempo e di tenacia. È la legge della vita. La risposta definitiva è solo rimandata.

martedì 7 gennaio 2014

UNA VOCE POCO FA

UNA VOCE POCO FA
Il Genio
- Egomusic - 2013

Chi pensava che Il Genio fosse una one hit wonder del nuovo millennio grazie all'exploit virale della celeberrima Pop Porno che li aveva fatti conoscere ad un pubblico mainstream il più trasversale possibile dovrà una volta ancora ricredersi. Eccoli infatti di nuovo in pista con il loro terzo lavoro discografico, primo per la piccola, ma agguerrita Egomusic di Verbania dopo i trascorsi con la major Universal e l'esordio per la storica Cramps. UNA VOCE POCO FA è il miglior biglietto da visita per mettere a tacere lo scetticismo riguardo ad un progetto che non ha mai vissuto vere fasi di stanca, ma anzi ha saputo rinnovarsi nel suo genere ampliando l'organico in sede live e lasciandosi contaminare dalla baraonda sonora proposta da quella factory metropolitana aperta che risponde al nome di Rock'n'Roll Circus Experience e di cui Alessandra Cortini e Gianluca De Rubertis fanno parte fin dalle prime apparizioni. Titolato come la celebre aria del Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini da cui pure l'indimenticabile Giuni Russo trasse spunto per la sua Una Vipera Sarò, il nuovo disco mantiene l'omogeneità del precedente VIVERE NEGLI ANNI X, probabilmente il disco più curato e ragionato della loro carriera, unita alle sempre gradevoli atmosfere confidenzial-retrò che hanno fatto la fortuna del duo pugliese di stanza a Milano. Certo, non troverete romanze, virtuosismi lirici o chissà cosa; il registro non cambia (chi cerca novità sonore in casa de Il Genio si rivolga all'esordio solista di De Rubertis AUTORITRATTI CON OGGETTI, maggiormente cantautorale, a tratti addirittura deandreiano), ma la melodia messa al servizio delle parole giuste e dei suoni più accattivanti è l'arma vincente per vincere la diffidenza altrui e raggiungere un pubblico ampio e numeroso. Scelti come singoli apripista la surreale, eppure attualissima, Bar Cinesi e il ballabile bubblegum elettronico Amore Di Massa veicolano già da qualche tempo il nuovo lavoro della coppia Cortini-De Rubertis la quale, in vista dell'imminente tour di supporto al nuovo lavoro, si farà affiancare on stage dalle vibrazioni percussive di Alessandro Deidda e dall'ombroso Dario Ciffo alle chitarre, inedito quartetto tutto da scoprire. Motivi orecchiabili, ritmo e gusto retrò: una formula vincente, ma mai stantia. La giocosa sensualità di Motivi Plausibili mescola la transalpinità di Françoise Hardy e Serge Gainsbourg al glamour di Air e Phoenix; La Percezione Del Buio E Della Luce è tra i passaggi meglio riusciti con un largo impiego di chitarre e una lunga coda strumentale come mai prima d'ora se ne erano sentite da queste parti. Segue l'irrazionalità rock di Tipi Logici mentre crollano le certezze di Un Uomo Impossibile. Si torna presto in pista da ballo con lo scatenato funk sintetizzato dell'ammiccante Dopo Mezzanotte e con il twist'n'pop di Groenlandia, "coveraccia" degli iberici Los Zombies; un drink ancora al bancone del bar e poi via, tappa al Piper con il beat del Duemila di Bene Mediamente Tanto. Sognanti, evocativi, a tratti pure esotici, Cortini e De Rubertis sostengono con il loro esempio ciò che anche Proust dichiarò a suo tempo e cioè che la musica popolare è l'anima della gente. Senza isterismi e senza patetici snobismi. Tra qualche anno, ripensando a questi momenti, sorrideremo e li ricorderemo con amore aspirando un'ultima boccata di fumo da quell'ultima sigaretta accesa nel freddo della sera.
 
un link al seguente post è presente qui: http//www.facebook.com/ILGENIOPaginaUfficiale

lunedì 16 dicembre 2013

DIECI

DIECI
Terje Nordgarden
- GDN Records - 2013

Non nuovo a far proprio il vasto canzoniere musicale italiano (come non ricordare l'ottima versione chitarra e voce di 29 Settembre rilasciata per il tributo a Lucio Battisti allegato ad un Mucchio Extra di quasi dieci anni fa?) Terje Nordgarden, aitante trentacinquenne norvegese emigrato in Sicilia dopo un lungo peregrinaggio nelle capitali di mezza Europa, decide una volta ancora di guardare all'Italia per la lavorazione del suo quinto album. DIECI raccoglie altrettante istantanee musicali che vanno a costituire il portfolio emotivo di Nordgarden e ne raccontano la capacità di ricerca e approfondimento che lo portano in maniera seraficamente naturale ad omaggiare tanto una Grazia Di Michele reduce dall'esposizione televisiva di Amici (la raffinata Dove Mi Perdo) quanto l'inafferrabile essenzialità espressa da Claudio Rocchi (La Realtà Non Esiste). Così, per puro gusto artistico; senza pregiudizi. Una sorta di passaporto, di ius soli in musica, nuova carta di identità capace di testimoniare l'attaccamento del nostro al Belpaese. Il folk mitteleuropeo nordgardiano che da sempre guarda a Nick Drake, riconosce in Tim Buckley un padre putativo e lo attualizza prendendo ad esempio l'ormai ultradecennale esperienza di Ryan Adams, incontra dunque fragranze mediterranee che, attraverso la pronuncia anglofona di Terje, hanno quasi un sapore esotico alle nostre orecchie. Eppure non si stenta minimamente a riconoscere la cosmogonia analitica de L'Abbandono, originariamente portata al successo dai Marta sui Tubi, anche con un semplice accordo "campestre" di chitarra, così spesso fedele compagna di viaggio per il cantautore italo-scandinavo. Così come è incantevole la riproposizione pianoforte-voce di Invisibile, un must della sempre imprescindibile Cristina Donà, che regala brividi anche in questa veste leopardiana, canto notturno di un musicista errante dell'Europa, minimale e lunare. Valorizzata, rifiorisce e guadagna nuova vita Non È La California, ottima canzone di Marco Iacampo scelta come primo singolo del cd e fatta seguire da La Mia Rivoluzione, forse il brano più noto del lotto insieme a Cerchi Nell'Acqua di Paolo Benvegnù. A Nordgarden va ascritto il pregio di aver rimesso in circolo una manciata di canzoni sfuggite molto probabilmente all'attenzione delle masse (esemplare in questo senso L'Invasore di Andrea Franchi), lasciando di fatto emergere la bontà dei loro autori ed esaltando con piccole sfumature i tratti salienti di una scuola tutta italiana, variegata e unica al tempo stesso, capace di confrontarsi con i prodotti esteri senza difficoltà alcuna. La Canzone Dei Cani di quel supremo artista che è Cesare Basile (qui pure produttore artistico) ne è l'esempio concreto; pubblicata originariamente sulla compilation promossa dagli Afterhours IL PAESE È REALE viene ora rielaborata mantenendo quell'incedere desertico nervoso che la contraddistingue, accentuandone l'invettiva elettrica e promuovendo la critica sociale sottesa ad un testo di anarchia contemporanea. È la nostra storia recente cantata e vissuta con gli occhi di chi ci guarda da fuori, ci vive da dentro e, favorito da questa duplice condizione, senza peli sulla lingua, svincolato da condizionamenti e padroni, è in grado di esprimere un giudizio più lucido e sorprendentemente sereno nella sua amorevole urgenza creativa. Ci vediamo in tour.

giovedì 12 dicembre 2013

THISCONNECT

THISCONNECT
The GrOOming
- autoproduzione - 2013

Musica in divenire: liquida, dura, avviluppante, meditativa. Il progetto The GrOOming nato originariamente come duo di musica elettronica, formato nella seconda metà degli anni '00 da Giacomo Vanelli e Paolo Girelli, prevedeva la commistione fra atmosfere rarefatte tipiche del Bristol sound e armonie sviluppate attraverso tracciati sonori lineari, subito rimpolpati da accomodanti linee di basso e da un corpo multiforme tassellato da synth. Con il passare degli anni le esigenze del duo milanese avrebbero portato ad inglobare nuovi elementi sonori, nello specifico a carico di Daniele Falletta, chitarrista elettrico, responsabile tecnico e fonico resident dello storico Jungle Sound Station di Milano, e, qualche tempo dopo, di Emanuele Alosi, batterista senza troppi fronzoli capace di potenziare la ritmica dei nuovi The GrOOming succedendo a Diego Bartole. Fin dal positivo esordio di DIGITAL SEEDS il quartetto venutosi così a formare si sarebbe presto lasciato contaminare da nuove sonorità (più stratificate) e da tutte quelle arti visive tradottesi concretamente in set di videoperformance e installazioni portate sul palco durante le loro numerose apparizioni dal vivo senza mai perdere di vista la ragione sociale originaria. A caratterizzare ulteriormente la proposta musicale ci avrebbero pensato le voci; non una sola, unica e riconoscibile, ma differenti, scelte con perizia e cura nel novero di musicisti, autori, produttori, filmaker e artisti a 360°, capaci di far germinare attraverso il proprio talento i semi piantati dalla band. Con THISCONNECT la storia si ripete. La voce, affidata di brano in brano a differenti soggetti, evolve di esibizione in esibizione, viaggiando dalle parti del mansoniano HOLY WOOD, con l'incubo depressivo di Wishy Washy che rilancia in bello stile il mai dimenticato Paolo Martella, da sempre amante di elettronica e Nine Inch Nails, e oltrepassando la Grey Zone, pura esperienza Depeche Mode con Ezio Castellano de La Banda del Pozzo nei panni di Dave Gahan ad occuparsi di liriche vellutate e oscure. Al rocker Jack Jaselli spetta cimentarsi con l'ansiolitica Totally Integrated mentre la celeberrima Karmacoma riecheggia luciferina nel compassato incedere oscuro di Once. Castellano mette a segno la sua tripletta vocale con l'altrettanto destrutturata melodia di The Playground, ondivaga nel crescendo trip-hop sottolineato da un pianoforte algido. Al pari dei loro più famosi colleghi di Bristol i The GrOOming scelgono con cura e abilità le proprie figure femminili. Alessandra Cortini direttamente da Il Genio è la loro Elizabeth Fraser italiana, ma se Teardrop affascinava per la sua infinita malinconia e risoluta rassegnazione tutta terrestre, Training Days chiude le porte del proprio abitato spalancando una finestra sul buio del cosmo. Celestiale come le sue interpreti Another? riunisce invece allo stesso microfono la voce acquatica della sirena Denise Misseri e quella rock di Ketty Passa, frontwoman dei Toxic Tuna nonché dj e speaker per Radio Popolare e Rock'n'Roll Radio. Chiara Canzian contribuisce con la sua scrittura pop agli sprazzi di immediatezza che illuminano The Candle e rimandano alla ormai affermata Elisa. Si cambia registro con la sognante Spring Snow e la frenetica Man With 1000 Faces, entrambi terreno di conquista per  la camaleontica voce di Gianluca "TheHuge" Plomitallo; ultimo ma non ultimo l'amico Meme Galbusera fa sue l'opener Dirty Keys e la lancinante Brain Machine. Una volta ancora dunque tecnologia e sentimento convergono tra loro mentre l'uomo pensa, progetta e dispone. Il rumore potrebbe essere assordante, ma c'è quell'accordo di fondo che tutto risolve. Alle macchine è semplicemente consigliato adeguarsi mentre le progressioni infinite della mente si aprono a quelle radicate nel profondo del cuore.
 

mercoledì 11 dicembre 2013

I TALIANI

I TALIANI
Sine ★ Frontera
- Colorgroove - 2013

Arrivano dalle pianure della Bassa gli scapestrati musici dei Sine Frontera, multivariegato ensemble mantovano con nel cuore i ritmi e i colori del mondo. A dieci anni esatti dal loro esordio discografico, dopo aver calcato centinaia di palchi con la valigia sempre in mano, eccoli approdare al loro quarto disco in studio dopo i buoni responsi ottenuti con il precedente 20 NOW, attenta produzione, al solito in levare, dedicata alla celebrazione per i vent'anni dalla caduta del muro di Berlino. Coadiuvati ora dall'esperto Alberto Benati, tastierista da sempre dei corregionali Ridillo nonché titolare del Funk Lab Studio di Luzzara presso cui questo I TALIANI è stato registrato e mixato, i Sine Frontera decidono una volta ancora di puntare in alto, raccontando attraverso un ruspante concept album vizi e virtù di un popolo che nel nuovo millennio si è ritrovato sull'orlo della bancarotta senza colpo ferire, per cause gestionali particolari e colpe contingenti globali. Fin dalla scattante title track a suon di reggae è chiaro l'intento artistico di Antonio Resta e compagni. Pur affondando le proprie radici nel terreno del combat folk i Sine Frontera hanno saputo inglobare in maniera del tutto naturale elementi di matrice rock, punk, ska, addirittura Irish che hanno contribuito alla realizzazione di una lingua musicale universalmente riconoscibile, capace di travalicare i confini geografico-politici delle nazioni. Tra Clash e Pogues (Io Son Io), sull'esempio di Nomadi e Gang (Dietro Il Portone), con uno sguardo rivolto ai Balcani (La Ruota), è l'amore per la propria terra ad emergere sincero e schietto, travolgente sentimento che sgorga puro e genuino, alimentando da generazioni un territorio di confine abituato alla fatica, ma anche capace di grandi libagioni, e che limiti non ha. I Sine Frontera sognano un mondo così, senza barriere mentali né frontiere culturali, prodotto reale di una esperienza diretta a stretto contatto con quella tradizione concreta, contadina, sempre pronta a confrontarsi con quel melting pop sociale utile per rinnovarsi e restare al passo con i tempi. In quest'ottica ecco allora l'amichevole rivalità di Camillo E Peppone, la filastrocca tarantellata in un italiano maccheronico e sfilacciato de Il Villano, la dolcezza campestre di Fiocco Di Neve. Il viaggio prosegue a ovest, direzione Barcellona, su una locomotiva condotta dal frontman dei Malakaton Albert Ferrèr, ospite in Hombres, prima di imbarcarsi e salpare per l'America alla ricerca di Jesse James e Bob Ford (Jesse Il Bandito). E poi ancora giù, più a sud, rotolando verso il Messico rivoluzionario di inizi Novecento con Zapata a capo delle rivolte e delle insurrezioni che fanno da sfondo alla notte d'amore di No Soy Borracho. Un viaggio transoceanico carico di speranze e tracciato su una mappa emozionale prima ancora che geografica. Un grande obiettivo a cui i Sine Frontera aspirano, scanzonati, ma con ottime credenziali. Balla allora quando puoi e pensa. Pensa sempre. 

martedì 10 dicembre 2013

L'INVASIONE DEI TORDOPUTTI

L'INVASIONE DEI TORDOPUTTI
Tuamadre
- autoproduzione - 2013

La nostra immaginazione è da sempre popolata da terre e luoghi fantastici abitati da popolazioni a loro volta leggendarie. Alcuni nati dalla fantasia di grandi poeti e narratori, basti pensare alle isole visitate dal dottor Lemuel Gulliver o al mitico giardino delle altrettanto mitiche Esperidi; altri, si pensi all'Eldorado, al continente perduto di Mu, al regno del Prete Gianni oppure ad Atlantide, divenuti nei secoli autentiche ossessioni per viaggiatori ed esploratori; stimolo per viaggi, al contrario, decisamente reali nonché fonte di inaspettate scoperte e conoscenze scientifiche. Come in quei racconti fantastici che hanno il sapore di antiche gesta e avventure che si perdono nella notte dei tempi i genovesi Tuamadre vengono oggi investiti della missione di raccontare in musica a noi avidi ascoltatori tutto quanto concerne l'invasione dei Tordoputti, misteriosa popolazione cui fanno cenno oscure profezie favolose. Raccogliendo la testimonianza di un allucinato esploratore britannico e del suo improbabile sherpa etiope, i novelli aedi liguri ci introducono nel fantastico mondo di questa famigerata razza predona attraverso una narrazione figurativa realizzata a suon di ska, calipso e pop su una predominante base rock-steady con la quale già in passato si erano presentati, rinnovando con cognizione di causa, a modo loro, il repertorio dei quattro baronetti di Liverpool nell'esordio TUAMADRE PLAYS THE BEATLES. A far da sostanzioso contorno all'avventura dell'incauta coppia una decina di coinvolgenti canzoni ricche di citazioni colte (le musiche di Edvard Grieg per il Peer Gynt di Ibsen in Batterista Sulla Luna; il can-can di Jacques Offenbach in Swingin' Fitz) e più popolari (partendo dagli 883, che si affacciano incolpevoli in She Don't Know Me, fino ad arrivare alla Judy Garland di Somewhere Over The Rainbow nascosta in Castaway). Nonostante infatti l'aria leggera e, a tratti, demenziale che accompagna i Tuamadre anche nelle esibizioni live, fatte di travestimenti, goliardia e trovate rocambolesche per merito del frontman Naim Abid e non solo, l'impostazione del gruppo è di tutt'altro tono: la maggior parte dei suoi membri è diplomata in Conservatorio, vive di e soprattutto con la musica. Facile perciò capire come dietro ogni singolo episodio portato in sala di registrazione ci siano preparazione e attenzione alla struttura. Nulla viene perciò lasciato al caso. Anche le ospitate (l'amico Roberto Casalino alias Mirko nel singolo virale Up & Down e il veterano Mr. T-Bone ai fiati) sono mirate e funzionali al risultato finale. Solo in questo modo, noti i rudimenti basilari, è possibile infatti sperimentare e improvvisare con raziocinio e fantasia, imbastendo un canovaccio di volta in volta modificabile senza mai perdere di vista quel raffinato fil rouge necessario per mantenere vivo il contatto col pubblico. E per fuggire la banalità ad ogni costo, attraverso una comunicazione autonoma, slegata dalle convenzioni e in qualche modo unica come quella tuamadriana vuole in definitiva essere. Sì, ma in tutto questo bailamme, qualcuno riuscirà davvero a rivelare chi sono i fantomatici Tordoputti? Perché sono venuti sul nostro pianeta? Da dove vengono? Cosa vogliono? Questione di minuti, al massimo di ore... Arriveranno.

giovedì 28 novembre 2013

GOLD FOIL

GOLD FOIL
Adriano Viterbini
- Bomba Dischi - 2013

Mai un attimo di requie. Non soddisfatto delle già ottime reazioni ottenute dagli infiniti tour ad alto voltaggio in società con l'imprescindibile sodale Cesare Petulicchio, Adriano Viterbini sceglie il 2013 per dare alle stampe (forse anche un po' a sorpresa) il suo primo disco solista. GOLD FOIL rimanda fin dal titolo ad una particolare marca di pick-up usati, sia detto per inciso, anche da Ry Cooder, mito dell'allora adolescente Viterbini che, imbracciata da giovanissimo una chitarra, da autodidatta avrebbe trovato in essa uno sfogo costruttivo per liberare le proprie emozioni. Instancabile e indefesso, oggi più che mai il chitarrista romano ha modo di dar voce alle sue mai celate passioni musicali, proposte in una versione ulteriormente minimale, spogliate dei già pochi, essenziali, orpelli con cui si erano sfacciatamente rivelate in your face nelle scalmanate esibizioni dei Bud Spencer Blues Explosion. Qui è la chitarra ad assurgere ovviamente a ruolo di assoluta protagonista, tracciando e definendo il solco tra la tradizione blues del Delta e quella al di qua del Tevere. La crescita musicale e umana di Adriano fa sì il paio con la ricerca e la riscoperta del primitivo suono delle origini, ma non dimentica neppure il fatto di come spesso sia il semplice piacere di suonare per suonare la chiave di volta per apprendere i segreti dei veri bluesman. E Viterbini bluesman lo è; di ottima fattura per di più. Sono lì a dimostrarlo anche queste dodici registrazioni, catturate allo Studionero di Roma nel dicembre del 2012 da Daniele Gennaretti, capaci di cogliere lo stupendo suono delle chitarre utilizzate di volta in volta per restituire a ciascuna composizione la voce della propria anima. "Quanta dolcezza può nascondersi in un arpeggio!?": Kensington Blues è l'accorato omaggio al chitarrista americano Jack Rose, scomparso prematuramente qualche inverno fa, portato via troppo presto da un infarto a neanche quarant'anni nel pieno della sua creatività. Viterbini ne ripercorre la frizzante armonia originale rallentandola e dilatandola fino ad ottenere un'atmosfera dolcissima ed evocativa che conquista fin dai primi ascolti. Un uso intimo della chitarra ritornerà nelle atmosfere composte che la rilettura della storica If A Were A Carpenter offre all'ascoltatore e si cristallizzerà attraverso la slide di una frugale e passionale Immaculate Conception. Lo stomp box di God Don't Never Change diventa presto il cuore pulsante del suo crescendo liturgico intriso di malinconia gospel e tensione mistica mentre la frenesia di Montecavo e gli arpeggi in fingerpicking di Lago Vestapol evocano le scorribande spensierate battute dal sole della gioventù ("ha il profumo dei posti in cui sono cresciuto; vedo il lago di Castel Gandolfo e le giornate da ragazzo con i miei amici" afferma Adriano) in un'alternanza tra naturale irrequietezza e rilassato appagamento. Con i suoi volumi incredibili una Style-O anni '30 ruba la scena nell'omonimo blues (a metà strada "fra Robert Johnson e il più recente Alvin Youngblood Hart") e nella più complessa No Name Blues. Crepita anche il deserto con i landscape sonori prodotti da Alessandro Cortini, ospite nella New Revolution Of The Innocents, e si incendia addirittura l'Africa dei tuareg in Blue Man. Omaggio conclusivo a Woody Guthrie con il classico Vigilante Man che vive del suo prolungato assolo ascendente. È tutta questione di pick-up, humbucker, manici, ma soprattutto di gusto e sensibilità; passione vera e genuina, senza filtri. Fatevi cullare da mondi imperfetti e riscoprirete l'ancestralità delle forze superiori. Dalle radici ai piani alti dell'anima.

mercoledì 27 novembre 2013

IŪS

IŪS
Enrico Ruggeri
- Neverlab Avant - 2013
 
A distanza di un anno, dopo la buona e intrigante prova di MUSTERI HINNA FÖLLNU STEINA, torna a farci visita il manipolatore di immagini sonore che risponde al nome di Enrico Ruggeri. Per i più distratti ricordiamo una volta ancora che non si tratta dell'omonimo rocker autore di successi riconosciuti come Il Portiere Di Notte e Peter Pan; ci troviamo bensì al cospetto dell'ex leader degli Hogwash, sperimentale formazione bergamasca dalle forti radici psichedeliche, titolare di un promettente quartetto di album rilasciati fra 1997 e 2006 che, esaurita la spinta propulsiva del proprio percorso, ha saputo rivivere in forme radicalmente differenti nell'opera strumentale del navigato musicista orobico. Senza più il contributo creativo dell'artista visuale Elio Rosolino Cassarà, trasferitosi pressoché stabilmente a Berlino all'indomani della pubblicazione del loro precedente sodalizio discografico, oggi Ruggeri dà alle stampe quello che potremmo definire il suo primo vero disco solista, un nuovo tuffo nell'incerto girovagare senza meta della mente, sospesi e fluttuanti nel buio atomico del Cosmo. IŪS infatti continua e amplia il discorso iniziato con MUSTERI HINNA FÖLLNU STEINA, introducendo qualche elemento di novità a livello strumentale, qualche leggera ritmica, qualche tocco di pianoforte, aprendo quello spiraglio di luce che diventa via di fuga (comunque sempre precaria) dall'oscurità del suono a cui eravamo stati abituati. Sempre impalpabile e stratificata nella sua apparente immobilità l'ambient music di Ruggeri si fa paradossalmente ancora più sperimentale. Ad aprire il nuovo capitolo è la già nota Adiosu, brano che nei mesi passati è andato a costituire, insieme ad alcune tracce del tempio delle pietre cadute, la colonna sonora dell'omonimo mediometraggio nato dall'esperienza formativa del collettivo Sardegna Abbandonata e realizzato da Martino Pinna. Il contrasto tra la percussiva ripetitività e il marziale crescendo elettronico che ne caratterizza lo sviluppo diventa scontro di suoni che si propagano sgomenti nell'aria, nel vuoto, in quelle frontiere di decadenza formatesi tra le pietre di ruderi abbandonati a sé e la terra arida, la quale, spaccata da un sole antico confinato nell'oblio del tempo, cede ben presto il passo alla polvere spazzata dal vento di Printania Dust. La rigorosa malinconia orchestrata dai macchinari sonori è solo in parte mitigata dalle inserzioni pianistiche che danno una breve parvenza di calore umano a questa estetica digitalizzata fatta di riverberi e vibrazioni; il magma sonoro delle successive Errore #11 ed Errore #12 cristallizza l'improvvisazione delle performance live che altrimenti andrebbe persa, irripetibile momento di circolarità e algida comunione, ora lineare, ora frastagliata. Lo spasimo contenuto, la necessità di non ripetersi sono peculiarità di Ruggeri la cui impronta stilistica nella conclusiva Succo, eterea e germinante, sembra per la prima volta caricarsi di una speranza rivolta al futuro, per un finale anticipatore di novità. Frammenti e cocci ricomposti per una fine che, come sempre, sarà un nuovo inizio. Sfumato. Ossessivo. Sperimentale. La musica dei non luoghi che prende dimora in mezzo a noi.

lunedì 25 novembre 2013

ERRORI

ERRORI
Società per l'Industria del Freddo
- Ice For Everyone - 2013

Fedele alla propria vocazione che premia sporadicamente e senza alcun secondo fine il lavoro d'esordio di band a proprio insindacabile giudizio meritevoli di attenzione, la Ice For Everyone nata qualche tempo fa per iniziativa degli Zen Circus concentra questa volta i propri sforzi su un oscuro combo proveniente dalla Lucchesia. Società per l'Industria del Freddo è un trio nato artisticamente nel 2007 sotto il darkeggiante moniker di Veins of Sorrow. A farne parte dagli esordi fino alla loro successiva mutazione in S.I.F. troviamo il bassista-cantante Corso Mignani, da subito ribattezzatosi Koursed, il chitarrista Gabriele "Gabbo" Palma e il batterista Francesco Acci in arte Sober. Nel febbraio del 2011 i tre giovani amici sotto la guida artistica di Cristiano Santini, già voce dei Disciplinatha e qui produttore nonché ingegnere del suono, iniziano a Bologna le registrazioni di quello che sulla carta sarebbe dovuto essere il loro tanto atteso album di esordio. Sarà il Morphing Studio ad accogliere in più riprese il trio toscano e sarà sempre, ma purtroppo solo questa location a vedere la luce de LA SOMMA DEI NOSTRI DIFETTI, edizione originaria del futuro ERRORI. L'arrivo dell'empolese Luminal alla voce principale, capace di garantire maggiore incisività ai cantati, liberando così in sede live Koursed dal doppio impegno di strumentista e frontman, è l'unica nota lieta di questo periodo; le incomprensioni con Sober e l'inevitabile suo naturale allontanamento non potranno che essere comprensibile fonte di ritardi così come la successiva ricerca di un quarto elemento che potesse sopperire in pianta stabile ad Acci si rivelerà ben più ardua del previsto. Reclutato finalmente il nuovo drummer Paolo Ricci dopo un estenuante numero di infruttuosi provini, quasi a voler esorcizzare le numerose difficoltà incontrate sul proprio cammino arriva sul finire del 2012 anche il definitivo cambio di nome: Società per l'Industria del Freddo rileverà definitivamente lo sfortunato VoS regalando al quartetto un'aura maggiormente contemporanea, sempre oscura e misteriosa, in sintonia con la nuova proposta. L'agognato ERRORI esce così l'8 ottobre 2013 annunciato dall'inattesa botta alternative metal di 12 Secondi Sintetici, cantato melodico dell'ospite Andrea Morini direttamente dagli UnderSmokingDoors e muri di suono à-la Deftones, che apre il cd. La porta spalancata sul nulla così spesso evocato dalle liriche di Luminal (ottimo su Sintomi O Follie) e compagni è l'ingresso principale in un non mondo in cui il nichilismo pare prevalere su tutto mentre il vuoto, per cui non si trova un rimedio valido, lascia una infinita disperazione dentro l'essere umano, male oscuro che crediamo inseguirci alle spalle quando in realtà è davanti ai nostri occhi spenti in tutta la sua manifesta evidenza. Disperazione, malattia fisica e psicologica, angoscia, sgomento, miseria. Solo Il Resto pare avvicinarsi ad un rock apparentemente più "solare", ma già la successiva Nessun Guadagno e più ancora la conclusiva Zossener Strass, cantata da Koursed con Appino alla chitarra e ai synth, si appresta a ricondurci nel nero delle metropoli più oscure e desolate partorite dalla mente pur lasciando intravedere nuovi orizzonti sonori. In un universo precario meglio allora lasciar continuare a dormire i mostri della depressione. Io, ora che sono sveglio, ho infatti solo paura dei miei sogni.

mercoledì 20 novembre 2013

LOVES YOU MORE - A TRIBUTE TO ELLIOT SMITH

LOVES YOU MORE - A TRIBUTE TO ELLIOTT SMITH 
AA.VV.
- Niegazowana - 2013
 
Non è ancora chiaro cosa accadde il 21 ottobre di dieci anni fa nel quartiere di Echo Park a Los Angeles. Ma soprattutto non sarà mai completamente acclarato il perché tutto ciò avvenne nella sua tragica e ineluttabile realtà. L'unica cosa certa è che all'improvviso il mondo venne privato di uno dei suoi tanti figli capaci con poche pennellate sonore di farci intravedere ampi squarci di una felicità così apparentemente lontana anche dalle sue consuetudini che lascia sgomenti. Elliott Smith was dead. Chi avrebbe mai pensato che quel biondino ossigenato dall'infanzia tormentata, così tanto somigliante al primo Thom York ai tempi degli Heatmiser avrebbe poi saputo condurci per mano per circa un decennio con le sue ballate acustiche e i maturi afflati folk, respiri di più profonde sofferenze interiori? Socievole, ma riservato, da sempre amante dei misteri della psiche e delle miserie umane, Smith avrebbe conosciuto la luccicante notorietà e l'oscuro contraltare imposto dal successo prima di cadere nella spirale di psicofarmaci e alcool che gli avrebbe indicato una violenta via di fuga, drastica e senza ritorno. Non è la prima volta che il canzoniere dell'artista americano viene rivisitato da altri musicisti; gli ultimi esempi in ordine di tempo furono l'omaggio della sua città adottiva Portland che si concretizzò con il discreto TO: ELLIOTT / FROM PORTLAND e, un anno dopo, COMING UP ROSES: SACRAMENTO REMEMBERS ELLIOTT SMITH, direttamente dalla West Coast. Oggi, su spinta di Davide Lasala dei Vanillina, presenti con la celeberrima Miss Misery che rivelò Elliott alle masse, è il turno, un po' a sorpresa, dell'Italia che con LOVES YOU MORE mostra diversi aspetti della sfaccettata personalità di Smith attraverso un altrettanto variegato dispiegamento di musicisti. Accanto a episodi che sostanzialmente cristallizzano le emozioni prodotte dalle versioni originali (i Dilaila alle prese con la postuma Little One, Somebody That I Used To Know proposta da Nicolas Falcon, Roberto Dell'Era e il Waltz #2) si materializzano rivisitazioni personalissime in grado di dare nuova linfa vitale al tutto. E se The White Lady Loves You More nelle mani di Marco Fasolo e dei suoi Jennifer Gentle è esperienza dell'altro mondo mentre Needle In The Hay non perde un grammo della sua urgenza emotiva con Black Black Baobab e Roberta Sammarelli, sono lo scandalo emotivo de IlVocifero (Waltz #1), la danza macabra per piano, violoncello e voce  di Eva Poles (Figure 8) e la sospensione minacciosa evocata dai Dennis Di Tuono (Placeholder) a raccogliere i frutti più buoni. Ad alzare i volumi intervengono poi Edda con l'afterhoursiana Angeles, nella sua intelligente riscrittura testuale italiana (unico caso in tutto il cd), e la brillante Say Yes dei Labradors, perfetta macchiana da guerra alternative scheggiata di punk come neanche i migliori Foo Fighters. Spettrale la viscerale Between The Bars con Mr Henry, al secolo Enrico Mangione, intento a scarnificare fino all'osso il blues percussivo del brano originariamente contenuto nell'imprescindibile EITHER/OR. Dopo aver lasciato Emil in collaborazione con I Cani Giganti virare elettronicamente Bottle Up On The Explode! annotiamo una grande prova pure in casa Kalweit: Georgeanne con i suoi Spokes rilascia un commiato 2.0 attraverso il pop sensuale di A Fond Farewell che promette lontani richiami d'oceano. Ultimi, ma non ultimi i C+C=Maxigross approntano una corale Son Of Sam in pieno clima Seventies con tanto di intro arpeggiato prog folk. Non sbagliano gli amici di Niegazowana quando affermano che qui "ci sono affetti, condivisione, sudore e la volontà di catturare ogni singolo attimo e renderlo unico, registrando prevalentemente in presa diretta su nastro magnetico, lasciando il computer spento in un angolo della stanza"; questo fu del resto lo stesso approccio usato in tutti i suoi dischi da Elliott Smith. Anima fragile, genio ribelle. Si fece artista e venne ad abitare in mezzo a noi.

martedì 19 novembre 2013

L'ARTISTA

L'ARTISTA
Enzo Jannacci
- Alabianca Records - 2013

Ce l'aveva anticipato il figlio Paolo una sera di metà maggio, a Parabiago, tra una chiacchiera e l'altra al termine del suo primo concerto dopo la scomparsa del padre Enzo: "Il prossimo disco di papà sarà una bomba!" Abbiamo così dovuto pazientare fiduciosi per tutta l'estate e attendere financo un mese in più rispetto alla preventivata uscita di ottobre aver di nuovo tra le mani l'Artista con le sue ultime incisioni destinate al grande pubblico. Qualche anno fa in occasione della presentazione dell'antologico THE BEST, ragionata summa di oltre 45 anni di carriera vissuti sempre senza mai andare fuori tempo, pareva che il futuro prossimo venturo non dovesse più riservarci nuovi lavori artistici del medico-cantautore più amato d'Italia. Poi fortunatamente vennero il dvd live THE BEST CONCERTO VITA MIRACOLI, gli splendidi duetti istantanei con i Selton sul disco di debutto dei quattro brasiliani della Bovisa, un cameo sul doppio Q.P.G.A. dell'amato Claudio Baglioni. E la speranza che un seguito a L'UOMO A METÀ (datato 2003) fosse comunque in fieri e che prima o poi avrebbe visto la luce. A nove mesi dalla scomparsa di Enzo esce così l'ultimo disco del grande cantautore. "È venuto fuori un bel lavorino..." Così avrebbe detto lui nel riascoltare gli undici brani andati a comporre L'ARTISTA, disco michelangiolesco come michelangiolesco sa essere solo la Pietà Rondanini, guarda caso conservata proprio a Milano nelle stanze del Castello Sforzesco ed elaborata a suo tempo negli ultimi anni di vita del maestro aretino. È un album inderogabile, che canta l'urgenza del tempo che fugge e lo fa con una lucidità ora sussurrata ora drammatica. Ecco perché con quella voce, trasfigurata, sovrannaturale, "spaziale" la definirà Paolo, Jannacci può cantare una volta ancora ciò che vuole. È crooner con Il Tassì, in origine retro del primo singolo L'Ombrello Di Suo Fratello, che come per magia ci riporta agli esordi del 1961; è fermo cantore della vita amara quando pareggia il maestoso arrangiamento di Cosa Importa cui contribuisce con la sua linea di basso Dino D'Autorio; si fa piccolo nella struggente Maria Me Porten Via, divenuta oggi emozionante dialogo ad una voce con l'amata in cui l'amore per lei e il proprio figlio sgorga, trabocca ed erompe direttamente dal cuore in un passaggio di testimone e di ruoli a casa Jannacci affrontato una seconda volta nella toccante La Sera Che Partì Mio Padre. È il tema del viaggio la costante di questi frammenti dimenticati e oggi recuperati, tra i meno prevedibili di un repertorio sconfinato e sempre attuale che va ad omaggiare l'amico Sergio Endrigo, di cui negli anni di gioventù l'Enzo fu pianista, con l'interpretazione dell'immortale Io Che Amo Solo Te. Fra i ricordi scolpiti nella memoria che ritornano, con noi fermi ad un Passaggio A Livello, e il poetico scrigno delle meraviglie di Non Finirà Mai (assolo di chitarra elettrica a cura del jazzman Luca Meneghello) si impone lo swing malinconico de L'Artista e l'antica purezza dei cortili e delle case a ringhiera di Un Amore Da 50 Lire. In Desolato, unico inedito dell'intero album, l'inatteso J-Ax si dimostra pressoché infallibile nei featuring con artisti di altri mondi musicali (si vedano i precedenti con Extrema, Timoria, Pino Scotto, Max Pezzali), qui duettando con Enzo in una stringente e incazzata critica sociale hip hop estremamente attuale. C'è pure spazio per la giovane vercellese Carolina Petrizzelli, sicura co-interprete della conclusiva Senza Parole in un' atmosfera così semplice e famigliare, su una base di fiati e programmazioni sintetiche. Alzate il volume: si va in viaggio verso l'Assoluto perché la vita a me, a me piace ancora tanto.

giovedì 14 novembre 2013

L'ULTIMO CUORE

L'ULTIMO CUORE
Roberta Cartisano
- Broken Toys - 2013

Ultimo è a suo modo un ribelle. È il nuovo Adamo, il nuovo Piccolo Principe. Un uomo che, di fronte  al lento disfacimento di una vita sciupata e condotta da altri sempre più vorticosamente nel baratro del Nulla, si lascia ancora una volta riscaldare il cuore da quel fuoco che brucia e arde dentro lui, novello Prometeo dell'anno 2333. Un uomo in verità piuttosto normale che cerca e ricerca, che conserva il dono sempre più raro della memoria, che non si lascia attrarre né tantomeno comprare dal primo imbonitore di morte. È il nuovo Ulisse che già ha sperimentato il mito della caverna di Platone. È il respiro, è la speranza, è la ricchezza vera. Ultimo non poteva che essere il protagonista del nuovo album di Roberta Cartisano, spigliata e riflessiva calabrese tutta riccioli giunta al suo secondo lavoro discografico dopo le collaborazioni estemporanee con, fra gli altri, Cesare Basile, Marta Collica, Carmine Torchia e Micol Martinez. Un concept album avveniristico con due tematiche in primo piano: la ricerca della Bellezza nascosta innanzitutto e, in seconda battuta, la sua comunicazione rivolta al prossimo. Con la gente distratta dai simulacri del bello e ridotta allo stremo dalla cupidigia delle guerre e del so-they-called progresso, trova dunque ampio spazio la narrazione della vicenda unica di un popolo sfinito e sempre più ridotto all'inattività, incapace di ribellarsi al corto circuito innestatosi sempre per mano umana. Spetterà proprio al già citato Ultimo, coadiuvato dagli infaticabili Viandanti, riscrivere la Storia, e toccherà alla Cartisano proporci questo viaggio nel futuro, racconto per immagini sonore che è anche occasione di crescita per la sua autrice. Tutto ha inizio ne La Grande Notte quando da un fugace dialogo nascerà per la prima volta l'idea di gettare le fondamenta per la costruzione di un ponte tra la vita vera e quella di chi non vive. Facciamo qui la conoscenza di Ultimo (L'Ultimo Cuore), uomo della strada destinato a cambiare le sorti della propria specie quando nel-L'Era Delle Torri, attraverso un girovagare perpetuo e infinito fra Le Città Nascoste, dopo lunghi e approfondite riflessioni (Le Stanze Degli Altri), in compagnia di noi Viandanti troverà le contromosse per scardinare la fortezza dell'Egoismo e dell'Ignoranza che paiono governare l'umanità. Guidati da una purezza congenita sapremo dunque stupirci di nuovo, addirittura sperare; raggiunta la piccola Sophia, personificazione di Rinascita e Giustizia, una vita nuova sarà infatti alle porte con la nostra memoria, allenata negli anni (Il Più Bel Giorno Di Ieri), libera di riportare alla mente personaggi e storie di ogni tipo. In Rallenty. Sarà il riappropriarsi dell'etica la vittoria finale. Una vittoria che il regista inglese Steve Johnson racconterà attraverso la produzione dei video e di un cortometraggio ispirato al concept mentre il volto di Ultimo assumerà una propria fisionomia grazie ai tratti pensati da Mari& Lisa Mortelliti che ha curato l'artwork e le illustrazioni del disco. Un'avventura che vale la pena vivere insieme a Roberta, ai suoi musicisti e ai suoi ospiti mentre, parafrasando il professor Eco, altri nostri amici, "che non avranno coltivato la loro memoria, avranno vissuto una sola vita, la loro, (...) assai malinconica e povera di grandi emozioni." Grazie Ultimo.
 

mercoledì 6 novembre 2013

LIVIDI

LIVIDI
Vince
- Liquido Records - 2013

Vincenzo Pastano non è un nome nuovo tra gli addetti ai lavori; dopo svariate esperienze che l'hanno visto manipolare suoni e melodie tanto in campo pubblicitario quanto in collaborazione con numerosi colleghi, approda negli ultimi anni alla corte del suo concittadino Luca Carboni che lo vuole al proprio fianco in studio di registrazione e nelle ultime fortunate tourneé. Anche in ambito televisivo il suo volto è divenuto familiare nel corso dei mesi scorsi quando in supporto alle visioni di restyling sonoro di Guido Elmi comparve negli studi di registrazione di Pop! Viaggio dentro una canzone, apprezzabile trasmissione condotta da Omar Pedrini dedicata alla riscoperta di pagine che hanno fatto la storia della musica italiana. Eppure Vince è da qualche anno titolare anche di un progetto solista che ne porta il nome e che l'ha condotto a pubblicare a distanza di ventiquattro mesi dal precedente INVISIBILI DISTANZE un nuovo album capace di rappresentare tutto il suo mondo di ieri e di oggi con un abito sonoro contemporaneo estremamente peculiare. Se con questa nuova release lo scopo iniziale era quello di stuzzicare la curiosità del pubblico Pastano e il suo staff hanno senz'altro centrato il primo obiettivo. Il curioso packaging in busta di cartone nero, su cui troneggia un moderno graffito che rimanda alle antiche pitture rupestri preistoriche, rivela fin da subito una cura formale dei dettagli ancora più apprezzabile perché applicata pure al contenuto. LIVIDI viene presentato alla stampa così, senza troppe spiegazioni, con il solo consiglio di prestare attenzione alle dieci tracce che ne definiscono l'essenza e ne tracciano il percorso. Un'attenzione che richiede approfondimento e pazienza per riuscire ad apprezzare le sfaccettate sfumature di un sound morbido, liquido, così ricco di ramificazioni eppure senza soluzione di continuità, realizzato in collaborazione con l'imprescindibile Ignazio Orlando, da sempre fedele alla linea (anche se la linea non c'è), e il batterista-produttore Max Messina. Un unicum dinamico che neppure l'alternanza tra strumentali e cantati, per la voce eterea di Silvia Manigrasso, altra novità degna di nota, può spezzare. Fin dall'iniziale Liquidi si capisce come la compenetrazione fra un brano e l'altro sia realmente un incessante travaso di energia in cui nulla va perduto o si esaurisce. L'approdo al groove della successiva Fuzz Dub avviene infatti in maniera del tutto naturale, quasi i due brani fossero in realtà un momento di fusione tra armonie universali e ritmiche black, a sua volta replicato dalla quiete lunare che avvolge Sonnambuli, intensa terza traccia del lotto. Nasce su liriche di Grazia Verasani la sfida all'incertezza del futuro descritta in Al Buio mentre i tribali ritmi in levare e le distorsioni per la destabilizzante Black Propaganda, subdola come l'incattivito Atto Di Dolore, raccontano la manipolazione occulta del potere. E se Dawn Moon Glow, brano ambient proveniente da quelle stesse sessioni di scrittura con il produttore newyorkese Marc Urselli che hanno dato vita al progetto Past The Mark, trova spazio nella veste con cui l'abbiamo già ascoltato sull'album HAKHEL TRIBULATION, subisce un trattamento di "essicazione ritmica" l'antica psichedelia post rock de In Questo Inferno Vero, ora dub strumentale dall'intrigante intreccio chitarristico, fatto di allucinazioni desertiche. Di difficile collocazione sul mercato discografico LIVIDI è uno sforzo creativo che percorre e calpesta sentieri musicali poco battuti, ridisegnandone i confini e tracciando un solco con la tradizione. Una strada in salita dunque, tutta da esplorare; Vince, capitano coraggioso con l'irrefrenabile richiamo verso l'ignoto, guida solitario la sua rivoluzione. 
 
un link al seguente post è presente qui: http://www.liquidorecords.com/news.html?limitstart=0