lunedì 28 aprile 2014

COMMODOR

COMMODOR
Quiet Confusion
- Go Down Records - 2014

Quando capitano tra le mani dischi come questo COMMODOR non resta che fare una cosa: alzare il volume e lasciarsi scuotere dalla potenza sonora sprigionata della band di turno. Il quartetto veneto dei Quiet Confusion è solo l'ultima in ordine di tempo fra le promesse dell'agguerrita Go Down Records, da sempre intenta a promuovere un rock sincero ed esuberante, senza troppi fronzoli, carico di energia e sfrontata irruenza. Il veterano Dome La Muerte e i suoi Diggers, i brillanti rockers Small Jackets, i trevigiani OJM sono solo alcuni esempi di proposte uscite in questi anni dal cilindro dell'etichetta romagnola mentre la band fondata da Mattia Stefani cresceva a suon di prove e concerti. Giunti al secondo lavoro dopo il precedente cd JUNGLE e un artigianale ep d'esordio datato 2009, i Quiet Confusion inanellano una volta ancora una manciata di brani ad alto voltaggio spingendo sull'acceleratore se necessario e mettendo in evidenza il suono dinoccolatamente sfacciato cui ci hanno abituato con i precedenti lavori. Costruite su riff semplici, ma di sostanza le nove canzoni che compongono COMMODOR affondano le proprie radici nel vizioso garage rock che ha sempre deliziato le orecchie di impavidi ragazzini brufolosi di mezzo mondo nei loro assolati pomeriggi estivi, imbastardito da uno stoner massiccio e cresciuto tra accenni di proto-blues e festaiola indole punk. La sghemba Freak Out, le concitate stilettate di From East To West, la roboante carica sprigionata da Fat Flowered Smoking, i magici tribalismi doom a ritmo di slide caratterizzanti El Indio sono le nuove carte giocate senza troppi calcoli dalla band che nell'affiatata coppia ritmica Tommasi-Lonardoni e nella voce grunge del confermatissimo Antonio Cortina pesca il classico jolly capace di personalizzarle con matura padronanza dei propri mezzi. Già il ruvido singolo Livin' With The Sun, incendiario biglietto da visita proposto da tempo nei concerti, inquadra le coordinate entro cui la nuova release si muoverà. Ma è il suono chitarristico tutto a convincerci e a prendere il sopravvento, tracciando al tempo stesso idealmente un ponte spazio-temporale con quegli Stati Uniti d'America che oltre un ventennio fa seppero spazzare via come un ciclone la paccottaglia di pop scadente propugnata dagli anni '80 anche in campo rock. È questa la forza, ma per qualcuno purtroppo anche il limite, della Confusione Silenziosa; quella di non essersi affatto allineati alla "musica di Stato" propugnata oggi a spron battuto da tv e media ufficiali, ingannevolmente consolatori e così spesso seguiti acriticamente dalla massa, e avendo preferito piuttosto mantenere vivo quell'artigianale sacro fuoco artistico capace di incendiare i pensieri, dare smalto alle idee e illuminare con costanza coerenza e convinzioni. A volte non essere in linea con il pensiero comune è molto più di uno scotto da pagare; ma la soddisfazione nella resistenza e nel perseguire la propria passione con risultati comunque lusinghieri vale molto più di quei warholiani fifteen minutes of fame fino ad ora - purtroppo - mai negati a nessuno.

martedì 22 aprile 2014

AVREI

AVREI - EP 
Dan Solo
- autoproduzione - 2014

"Aspettando CLASSE A". Così potrebbe sottotitolarsi questo brevissimo ep rilasciato a primavera inoltrata da Daniele Ambrosoli, meglio noto come Dan Solo, celebre ed indimenticato bassista per gli storici Marlene Kuntz e fondatore - in compagnia di un altra figura importantissima del rock piemontese come Franz Goria - del progetto Petrol. Un piccolo omaggio a quanti, attraverso il crowdfunding, hanno creduto in lui fin da subito, allorquando tempo fa si era sparsa in rete la notizia di un disco solista del lungocrinito bassista sabaudo. Tre sole canzoni che rendono in parte l'idea di quanto verrà pubblicato il prossimo autunno, ma lasciano al tempo stesso un'aura di mistero e attesa. Un assaggio dunque, giusto per stimolare l'appetito di tutti coloro i quali non hanno dimenticato il passato musicale di Mr. Solo costellato da decine di concerti su e giù per lo Stivale e anzi si sono incuriositi di fronte alla sua nuova proposta. Visto il risicato minutaggio è difficile definire in maniera esatta quello che sarà; di certo la sorpresa attuale è la voce di Ambrosoli, per la prima volta sotto i riflettori col suo naturale rotacismo che ne caratterizza da sempre anche il parlato. Un voce non da "talent" e anche per questo assai ben più espressiva e comunicativa di tante figurine da salotto. Una voce rimasta nascosta a lungo e che ora trova gli scritti giusti per ritagliarsi uno spazio unico, variegato e spontaneo, ad uso e consumo di un lavoro imprevedibile e inaspettato, per un piacere personale sconfinato presto nella condivisione esterna. Dicevamo, tre sono le canzoni scelte e veicolate oggi con AVREI. Una quarta (Nato Lì) era comparsa mesi fa sulle pagine social di Ambrosoli, ma qui non ha trovato spazio e non è chiaro se farà parte del lotto di undici tracce che andranno a comporre il cd/lp autoprodotto con Musicraiser. Spetta così al taglio narrativo di Nuovo Cinema Italiano, voluttuosa e ricercata, restituire le prime positive impressioni, con gli strumenti mai eccessivamente invasivi, ma piuttosto appoggiati a quelle parole scelte con cura e attenzione dal loro autore in un racconto evocativo sui rapporti di coppia. Con Christian Coccia e Roberto Sanna alle chitarre e Filippo Cornaglia alla batteria l'amalgama sembra già buona anche se la vera cartina di tornasole sarà come sempre l'ennesima prova live attesa nei prossimi mesi. Atmosfere elettricamente liquide e cantautorali per la lenta Stella Di Luna, capace di divampare tra le sue distorsioni prima di ricomporsi cheta nel finale "perché la consapevolezza è una strada tortuosa, difficile e inesorabile; senza inizio e senza fine" afferma Solo. In Avrei è presente invece la più marcata consonanza con il proprio luminoso passato; melodica e narrativa, la title track è la riflessione a cuore aperto di un uomo con lo sguardo ormai rivolto sempre più ad est, ad oriente, là dove le prime luci dell'alba annunciano costantemente un giorno nuovo, una rinascita e una vita nuova, la stessa alla quale anela un determinato Ambrosoli. Al suo fianco, alla produzione artistica, un nome che è una garanzia: quel Marco L. Lega protagonista nella stanza dei bottoni di una stagione musicale forse irripetibile, tra coraggiosa lungimiranza e naturale predisposizione ad osare. La perfetta conoscenza tra i due è alla base di questo nuovo e mai interrotto sodalizio; una premessa utile per accedere ai segreti emozionali della futura CLASSE A.
 
un link al seguente post è presente qui: http://www.facebook.com/dan.solo.75 e qui: http://www.facebook.com/dansolodan68

mercoledì 9 aprile 2014

MISTER ORANGE

MISTER ORANGE
The Elements
- autoproduzione - 2014

Coloro i quali amano sonorità aggressive, dirette e sferzanti che tuttavia non disdegnano la melodia accarezzata da una neanche troppo leggera patina (power) pop sono serviti: i monzesi The Elements hanno il disco che fa per loro. MISTER ORANGE si inscrive perfettamente nel solco di band americane ben più blasonate come Foo Fighters, 3 Doors Down, Fall Out Boy e American HI FI, senza rinunciare a quei piccoli accorgimenti stilistici che possono garantire un ampio airplay. Insomma un background hard n'punk e un forte impatto muscolare che trovano il giusto equilibrio con il rock radiofonico in FM mai troppo accettato dai puristi del genere, ma decisamente gradito alle orecchie del pubblico medio italiano (e non solo). La scelta di cantare in inglese è senza dubbio una buona soluzione e neppure la più scontata: Marcello Puglisi è fra l'altro perfettamente a suo agio nel ruolo di vocalist, supportato dal poderoso drumming di Andrea Sparacino e dallo sfrontato basso di Giancarlo Masoli su cui hanno buon gioco i ritmi serrati delle chitarre di Stefano Gerosa (solista) e dell'ultimo arrivato Matteo Montagna (ritmica). A convincere più di tutto è la compattezza del combo lombardo che si getta nella mischia senza troppi pensieri, aprendo gli ampli e scaricando decibel su decibel fin dall'accoppiata iniziale Mister Orange / Americana che virerà nel finale sull'onesto alt rock d'Oltreoceano Your Face No More. Si capisce che i Nostri hanno ascoltato musica a vagonate e non vedono l'ora di mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti; nota di merito per la coinvolgente Get Drunk In The U.K., quasi un omaggio alla scena sleaze scandinava, Hardcore Superstar in testa, e alla padronanza dei propri mezzi ben messa in luce dalla produzione di Alessandro Azzali (ex Burning Defeat) presso l'Alpha Omega Studio di Como mentre man mano che procediamo con l'ascolto del cd le sonorità si fanno sempre più pesanti. Piacciono - e molto - The King (vi immaginate uno scapestrato Bryan Adams nell'estate del 1969 su un mid tempo infarcito di chitarroni emo-grunge?!?), il punk ultravitaminizzato di Something In Summer e la devastante Wasting Time, pura adrenalina in musica replicata dalla gemella Reazione - in realtà versione originaria della stessa, qui posta in chiusura di lavoro come bonus track a mo' di suggello conclusivo. Unica nota stonata la mediocre Miserable Song, ballad mancata e, a ben guardare per i gusti di chi scrive, jolly sonoro non troppo a fuoco che avrebbe meritato probabilmente un sound più intimo e acustico per lasciare davvero il segno e non la voglia di passare oltre. Ma poco importa. Di carne sul fuoco il quintetto ne ha messa davvero tanta. Confezionato con una cura maniacale per i particolari MISTER ORANGE è il disco che non ti aspetti per tutti gli appassionati di musica robusta, una volta ancora non supportato dalle principali etichette, ma capace di centrare il bersaglio a differenza di molte altre produzioni di settore maggiormente sponsorizzate. Ora non resta che trovare e provare a guadagnarsi il giusto spazio. A sgomitare i The Elements non ci pensano certo due volte!? Riusciranno nell'impresa?

martedì 8 aprile 2014

PAOLO SAPORITI

PAOLO SAPORITI
Paolo Saporiti
- Orange Home Records - 2014

Paolo Saporiti è ormai una realtà consolidata. Paolo Saporiti è una certezza. Paolo Saporiti è il prototipo del cantautore moderno dal respiro internazionale che sa fondere melodia italiana usata in maniera non convenzionale a parole e intuizioni sonore ugualmente trasversali. Oggi, dopo anni passati a sperimentare con la lingua inglese, ha deciso - una volta ancora - di svoltare. E per farlo ecco che l'attenzione si è concentrata direttamente sul linguaggio dopo la rivoluzione sonica operata con il precedente (e convincente) L'ULTIMO RICATTO. In un paese (o forse mondo?) in cui la parola è come la pietà - morta - Paolo va quindi una volta ancora controcorrente, a testa fieramente alta, determinato, sicuro di sé e del suo percorso artistico sempre in evoluzione, caparbio mix di testardaggine e buona volontà. E non si tratta di un cambiamento fine a se stesso o studiato a tavolino. Semplicemente è l'ennesima accurata taratura, il nuovo mirato accorgimento, l'ingegnosa audace manovra finalizzata al raggiungimento di quello che, avanti di questo passo, avremo presto fra le mani: il disco definitivo di Saporiti, quello in cui equilibrio e scompensi saranno naturalmente bilanciati, espressione di un'anima fiammeggiante indomita, sintesi perfetta dell'essenza artistica che alberga in lui. Consolidato il proprio background internazionale la scelta del canto in italiano a cui oggi l'irrequieto milanese approda è la soluzione più semplice per raggiungere il maggior numero di persone possibili sul suolo italico, senza fraintendimenti lessicali o superficiali interpretazioni. Al suo fianco squadra che vince non si cambia. Al massimo la si amplia. Così, riconfermati il sempre più decisivo tocco di Cristiano Calcagnile alla batteria (Come Hitler, la controversa Ho Bisogno Di Te) e l'amico Xabier Iriondo non solo a tutti gli ammenicoli sonori che esaltano l'album, ma anche in fase di produzione artistica, ecco l'aggiunta di nuovi colori provenienti da nuove tavolozze. Sassofoni (con Stefano Ferrian from Psychofagist, questa volta reclutato in pianta stabile), bouzouki (il polistrumetista Roberto Zanisi, confermatissimo pure per il tour), viole, violini, violectre (per mano del talentuoso improvvisatore sonoro Luca D'Alberto) intervengono per dare tocchi di irrequieta profondità (l'ottima L'Effetto Indesiderato Di Una Violenza, la vibrante Sangue), solidità ritmica (Come Venire Al Mondo) e arcadica classicità frastagliata (l'antica Erica). In maniera misurata, ma fantasiosa, senza prevaricazioni; in modo deciso, creativo e essenziale. Non ci sono più mezze misure. Paolo dà. Paolo pretende. Come quegli insegnanti all'apparenza burberi e severi, ma in realtà infaticabili divulgatori di pensiero innamorati della propria materia, ragione di tutta una vita, lucidamente schietti e autorevoli. Mai autoritari. Ecco perché questo nuovo album non avrebbe potuto intitolarsi diversamente da PAOLO SAPORITI. Specchio dell'anima, idea italiana applicata al folk occidentale, esso è una rinascita continua, una crescita costante, che porta con sé la maturità di un essere umano incapace di piegarsi a marketing e briefing "strategici", che rifiuta sordidi magheggi e biechi giochi di prestigio, capace piuttosto di porre l'accento sulla purezza delle cose, mirando alla loro essenza e alla loro intensa genuinità. Pagando sempre le proprie scelte di tasca propria. Non possiamo pretendere che le cose cambino se continuiamo a fare le stesse. Paolo lo sa e la sua vita, il suo viaggio parlano sistematicamente per lui.

lunedì 7 aprile 2014

SCUSA SIGNORE
- Filippo Margheri - 2014



primo singolo estratto dal nuovo lavoro InDipendenza

 Registrato alla Relaxo studio, tecnico di studio Nardo
Missato da Ben Frassinelli a Musicalmente
Video musicale realizzato da Blackspring Production.

mercoledì 2 aprile 2014

L’ARTE DELLA GUERRA VOL. 1

L’ARTE DELLA GUERRA VOL. 1
Giuliano Dottori
- Musica Distesa - 2014

Che un trattato di strategia militare potesse avere una così grande e vasta eco nei secoli a venire è una ipotesi che verosimilmente neppure il suo presunto autore Sun Tzu avrebbe mai potuto prevedere ben oltre 2000 anni fa. Non solo imprescindibile lettura per capi di stato, generali, alte cariche di eserciti e affini, L'Arte della Guerra diventa relativamente presto un manuale di cui si è sempre fatto un grosso parlare e che, mutati i tempi, sarebbe altrettanto velocemente comparso sulle scrivanie di manager e dirigenti aziendali, talora illuminati talaltra senza scrupoli, interessati a portare sul proprio campo di battaglia lavorativo gli insegnamenti pratici e i precetti filosofici in esso contenuti. Anche in campo musicale le stelle non sono state a guardare. Non è un mistero che addirittura il leader dei Megadeth, tra i pesi massimi del thrash metal mondiale, Dave Mustaine lo annoveri tra le sue lettura preferite e lo citi quale fonte di ispirazione. In Italia questo antico testo di guerra conosce da tempo una riscoperta costante, magari inizialmente come semplice curiosità para-letteraria, ma via via assumendo i connotati di fascinoso documento comportamentale capace di catturare l'attenzione per una ragionata lettura tuttadunfiato. Solo qualche ora fa lo stesso Giuliano Dottori riannodando i fili della memoria così si esprimeva a riguardo dal suo profilo Facebook: "Non ricordo con esattezza quando ho pensato per la prima volta a L'Arte della Guerra. Ricordo di aver comprato il libro e di averlo letto avidamente, ritrovandoci molte delle canzoni che stavo scrivendo e in qualche modo ritrovando me stesso e le mie domande: “conosci il tuo nemico e conosci te stesso”, “studia a fondo il campo di battaglia”, “delle quattro stagioni nessuna dura eternamente”, “le note musicali non sono più di cinque eppure nessuno può dire di aver udito tutte le loro combinazioni”, “la vera abilità consiste nel vincere chi si può battere facilmente”. Tutto così semplice eppure così vero (a parte il fatto che le note non sono cinque, ma sono dodici). Da lì in avanti tutto è diventato più chiaro: realizzare un nuovo disco, che fosse un disco doppio diviso in due capitoli, registrarlo da me, col solo (fondamentale) aiuto dei miei musicisti (Marco Ferrara al basso e Mauro Sansone alla batteria - ndr), che questo disco potesse essere l'inizio di una nuova avventura musicale, come se fosse un nuovo debutto. Questi sono stati i propositi durante i tre anni che ho impiegato a fare, o meglio imparare la mia Arte della Guerra." Dottori, cantautore noto ai più per i suoi trascorsi come chitarrista negli Amor Fou, è artefice di una carriera solista che lo vede oggi alle prese con un terzo album in cui leggerezza, consapevolezza e determinazione nel raggiungere i propri obiettivi convivono in assoluto equilibrio e sinergia. Anticipato nei mesi scorsi dalla celebrativo inno alla rinascita Il Mondo Dalla Nostra Parte e dal concettuale flusso rock de Le Vite Degli Altri, dai chiari echi moltheniani che guardano ai Les Enfants del giovane Marco Manini, il primo allestimento de L'ARTE DELLA GUERRA è una rincorsa alla libertà, discreto, ma ineluttabile e tenace come la figura del suo autore. Una meditazione personalissima sul dolore che racchiude gioia (I Fiori Muoiono Quando Ci Rattrista Perderli) e conserva l'attesa del ritorno (Estate #1107) condivisa ora con il prossimo, faro verso cui rivolgere nuovamente la propria attenzione dopo periodi di stanca e tempesta. Un disco di riflessioni e ripartenze, intriso di laica spiritualità, "sulla rinascita, sull'inevitabilità del conflitto umano, sull'equilibrio fra passato e futuro", per essere nuovamente protagonisti della propria vita e non semplici passeggeri di un viaggio altrui.

giovedì 27 marzo 2014

THE HODJA'S HOOK

THE HODJA'S HOOK
The Monkey Weather
- Ammonia Records - 2014

Che il VCO sia da almeno due decadi riserva brit pop ce ne siamo accorti ormai da tempo, quando all'indomani dell'esplosione mediatico-musicale di Oasis e Blur era molto più semplice imbattersi in un epigono locale dei fratelli Gallagher (con tutti i pregi e difetti del caso) piuttosto che in un più originale, e cortese, giovane autoctono cresciuto a pane e montagna. Che fosse il continuo contatto con una fauna turistica estiva proveniente dal nord Europa, l'imperversare di videoclip in high rotation su una neonata MTV Italia o molto più semplicemente l'amore sincero per tali band non ci è dato saperlo. Di certo in quegli anni molti si sarebbero avvicinati a quanto Stone Roses e Paul Weller (ricordate? Kick out The Styles / Bring back The Jam!) avevano realizzato in precedenza, incuriosendosi di fronte ad una estetica che investiva e investe ancora oggi diversi campi, ma senza dimenticare di approfondire l'essenza alla base di quel movimento Modernista da cui, a ben vedere, nasce tutto. Una mentalità da strada direbbero gli Statuto, vissuta con classe e stile attraverso quella comunicazione efficace e immediata che solo la musica è in grado di esprimere. I Monkey Weather sembrano aver imparato a loro volta la lezione proveniente dalla terra d'Albione e fattala propria, complice un pizzico di esuberanza punk mutuata anche dai gloriosi cugini Thee S.T.P., dopo aver rilasciato un disco d'esordio che non era affatto passato inosservato in patria e nei circuiti specializzati (il promettente APPLE MEANING), ottengono una gran bella visibilità sul territorio nazionale aprendo le date italiane dei Kasabian nel 2012. Oggi, dopo decine di altri palchi calcati e affrontati sempre con entusiasmo e grinta, è tempo di dare un seguito alle fortunate Sara Wants To Dance e People Watch Me; per farlo giusto affidarsi nuovamente a chi aveva contribuito non poco alla loro realizzazione. Se una volta ancora vale l'antico adagio secondo cui squadra che vince non si cambia tocca all'ormai storica Ammonia Records farsi carico di promuovere nuovamente le party song confluite nel nuovo THE HODJA'S HOOK. A partire dalla frenesia un po' sporca di Let's Stay Up Tonight è un susseguirsi di melodie semplici, ma potenti e marcate su cui si innestano facilmente il glam rock à-la T-Rex di Alcoholic Tears, il dark punk di Morning e il disagio metropolitano di (un'ottima) Sleeping Town. C'è il garage rock, l'energia, la frustrazione post punk di Lies e un baricentro compositivo che muove saldamente verso il pop. A sorpresa, ma in fondo neanche troppo, trova spazio pure una cover dei Prodigy, quella Firestarter che, fatto salvo l'assolo conclusivo, si rivela però piatta o comunque meno a fuoco di tanti altri episodi qui proposti e a cui la produzione di Olly Riva, con la lezione de Il Metius sullo sfondo, ha garantito maggiore concretezza. Trentacinque minuti di buon rock valgono comunque il prezzo del biglietto e tutte le buone parole scritte fino ad ora sul conto del trio ossolano. La stoffa c'è e il sarto pure. Inconsapevoli working class heroes di domani, i Monkey Weather vanno tenuti d'occhio per quanto hanno ancora da offrire se solo sapranno - o vorranno - sviluppare lungo il loro percorso musicale quelle potenzialità di critica sociale ora velatamente in nuce. Nel frattempo ci accontentiamo di ritrovarli sempre belli carichi alla Loggia del Leopardo, nuovo quartier generale e avamposto ossolano per realtà vive e attuali, tra un concerto e l'altro. Al solo pensiero non sembrano più così troppo lontane neppure le serate trascorse all'Osteria di via Briona.

mercoledì 26 marzo 2014

PORCELLUM

PORCELLUM
Paolino Paperino Band
- AssTo Records - 2013
 
Pensavo fosse uno scherzo. Una simpatica boutade di inizio anno. Non credevo sarebbe potuto accadere di nuovo. E invece... la Paolino Paperino Band è tornata! E PORCELLUM è qui, bello, grasso, grosso e rumoroso come tradizione vuole. Magari non ci stupirà con mirabolanti cambi di tempo o scale pentatoniche eseguite con sopraffina perizia tecnica, ma di certo non tradirà le attese di chi conobbe la punk band emiliana nella prima metà degli anni '90 attraverso qualche combattiva fanzine recuperata in qualche altrettanto agguerrito (e fornito) negozio di musica su consiglio di quel compagno di banco che pareva conoscere, chissà come?!, vita, pettegolezzi e miracoli di Yana & company. Protagonista suo malgrado di una memorabile estate in cui voci di corridoio davano ad un certo punto la band sciolta per 1) incompatibilità di carattere, 2) troppo successo, 3) eccessiva violenza ai concerti, 4) morte (!!!) dei componenti, la PPB aveva in realtà gettato nello sconforto tutti quanti prendendosi semplicemente una pausa dalle scene. Una lunga pausa a tempo indeterminato, quasi definitiva; a tratti inconcepibile se consideriamo avvenuta nel 1994, a soli due anni dalla pubblicazione dell'acclamato PISLAS a sua volta mandato in stampa sull'onda del successo underground di FETTA, mini lp che, trecentosessantacinque giorni prima, aveva polarizzato l'attenzione sull'esplosivo quartetto emiliano sempre più indirizzato verso un maggiore impegno politico e sociale. Poi il silenzio. Giusto un paio di apparizioni ad altrettanti eventi musicali di inizio millennio per far sentire una volta ancora la propria voce (e sfatare il punto 4 di cui sopra) e riaccendere il desiderio. Il 2012 è così tempo di reunion con una formazione rimaneggiata rispetto agli esordi, ma capace di proseguire nel solco della tradizione nonostante l'assenza di figure cardine come Fox, Maso e Bez. Proprio l'entusiasmo delle nuove leve, che rispondono ai nomi di battaglia di Skeggia, Garu e Raffa, va però a completare in maniera osmotica la carica dei veterani Yana e Termos; in breve tempo - e con il supporto del crowdfunding - ecco undici brani nuovi di pacca capaci di fotografare una volta ancora a mo' di polaroid la realtà italiana restando sempre in bilico tra ironia demenziale e critica sociale, tra punk adolescenziale e contaminazioni rock. Sampietrini, Enalotto, il singolo Troiaio sono solo alcuni dei nuovi cavalli di battaglia della Paolino, l'escamotage in musica per riflettere con intelligente ironia (a volte anche di grana grossa) su tematiche quotidiane e avvenimenti di più ampio respiro a livello internazionale. Non viene perciò accantonato neppure l'impegno ambientalista a suo tempo ampiamente manifestato nel mini lp LE BESTIE FEROCI DEL CIRCO, realizzato in favore della Lega Anti Vivisezione, e qui ripreso da episodi come Ciccioli e Referendum. Così come non possono mancare la citazione alla storica Candy's in Jesus Crust e la frenetica spinta flower punk di Introverso. E siccome del porcellum non si butta via nulla, visto che l'appetito vien mangiando, ecco comparire nei negozi pure l'insperata rimasterizzazione di PISLAS, rieditato su cd in una succulenta versione ampliata con nuovo packaging e tracklist. Insomma, una rentrée coi controfiocchi, fatta dalla gente per la gente. E allora, cos'altro volere? Piatto ricco mi ci ficco!    

lunedì 24 marzo 2014

SUPER HUMAN

SUPER HUMAN
Quasiviri
- Wallace Records/To Lose La Track/Megaplomb/Bloody Sound Fucktory/HYSM?/Morte Records/Fallo Dischi - 2014  

Nel nuovo album dei Quasiviri non c'è una sola nota fuori posto che suoni differente da come dovrebbe essere. Devono essersene accorti in molti a giudicare dal nutrito gruppo di etichette e sostenitori che hanno deciso di optare per una co-produzione che garantisse l'uscita di SUPER HUMAN in tempi relativamente rapidi rispetto al rilascio del precedente ep FREAK OF NATURE. Il trio italo-canadese di frenetici creativi della musica ha una volta ancora superato l'ingrato compito di stupire l'ascoltatore con una prova maiuscola, lasciando tutti a bocca aperta e continuando in quella mai dichiarata progressione verso lidi avant-garde sempre più personali e di difficile classificazione da cui - si presume - sono stati attratti e affascinati fin dalle origini di questo progetto. Gli apparenti deliri sonori scaturiti dalle trovate di Roberto Rizzo, Chet Martino e André Arraiz-Rivas convergono più ancora che in passato verso un centro ben definito che fa di una circolarità comunque impetuosa l'essenza della nuova proposta. La saga laico-pagana cominciata nel 2009 con THE MUTANT AFFAIR viene ora approfondita da undici nuovi episodi di convincente math-core jazzato mascherando la sperimentazione loro sottesa con trame articolate dalle sfumature "gusto improptu" e alzando barricate elettroniche oggettivamente maniacali eppure di facile assimilazione. Ciò che ne scaturisce è un cosmo parallelo, travolgente, convulso, colorato e freak, ma, a conti fatti, immerso in una dimensione talmente umana da risultare solo paradossalmente aliena. Ad esso i Quasiviri hanno impresso una solennità quasi religiosa (da un punto di vista prettamente visuale i riferimenti alla cultura sacra presenti sulla splendida copertina firmata Martino si sprecano), come se ci trovassimo di fronte ad un unico, antico inno capace di mitigare il delirio della condizione umana attraverso il recitato mai salmodiante dei suoi versi (Gerald Casale docet) e un incedere ritmico processionale che non disdegna la lezione dei primi Genesis e del guru Wyatt. L'attenzione alle dinamiche poi conferisce al tutto una esplosività dadaista come se i Faith No More decidessero di farsi accompagnare al luna park dal fantasma di Syd Barrett e incappassero neanche troppo accidentalmente nei Primus di Claypool di ritorno da un briefing con il misterioso Buckethead. Cosa può significare tutto ciò? Che la band non si prende particolari responsabilità, ma sviluppa imperterrita un interessante percorso immaginifico che potrebbe tranquillamente essere utilizzato come colonna sonora originale per il prossimo film targato Comedy Central, sequel evolutivo di una South Park che abbiamo eretto nella vita di tutti i giorni per paura di confrontarci con noi stessi e la nostra vera natura. Musica coerente e mai dispersiva, in cui immedesimarsi con sarcasmo e un pizzico di compiacimento.

giovedì 20 marzo 2014

RINUNCIA ALL' EREDITA'

RINUNCIA ALL' EREDITA'
3 Fingers Guitar
- Snowdonia Dischi/Dreamingorilla Records/Neverlab Dischi/Rude Records - 2014

Simone Perna e la rivoluzione. Giunto al terzo lavoro solista in studio il batterista di Viclarsen e Affranti cambia strada linguistica, e conseguentemente espressiva, per incidere l'album più maturo e completo della sua carriera. Dopo la scelta di veicolare gli stati d'animo attraverso l'inglese di #1 e ROUGH BRASS, la convinzione di poter accostarsi alla propria lingua madre con risultati soddisfacenti è ora divenuta concreta realtà.
A spingerlo in questa direzione due sono stati gli stimoli più evidenti: in primis, il propedeutico ciclo di quattro video - ribattezzato The Border Nerves Sessions - in cui venivano riletti altrettanti cantautori italiani per così dire "di confine" (Camisasca, Rossi, Fiumani e Rocchi); in seconda battuta, la necessità di veicolare un racconto compiuto, concepito, elaborato, rivisto e affinato nel corso degli scorsi mesi, posto alla base di questo RINUNCIA ALL'EREDITA'. Il concept album che da queste premesse prende allora forma e corpo fissa l'attenzione su un tema nient'affatto facile o scontato come, in apparenza, potrebbe essere quello del rapporto tra un padre e un figlio. Qui, per raggiungere il nocciolo della questione bisogna infatti scavare a lungo, in profondità, per addentrarsi nei cunicoli della malattia più nascosti e invisibili all'occhio umano. Bisogna seguire Perna nelle fenditure, nelle crepe e negli anfratti bui dell'esistenza; diventa necessario seguirlo ed entrare al suo seguito in quelle scanalature di passaggio, molto spesso artificiali, oscure e anguste, ma funzionali alla rivelazione, così simili a quell'antro della Sibilla immortalato splendidamente da Giuseppe D'Anna in copertina. Passaggi segreti accessibili che rivelano mondi morbosi e condizioni di vita occultate ai più, in cui il rapporto tra creato e creatore non è mai in felice dicotomia, ma in perenne tensione, fatta di ricatti, dubbi e privazioni. Deserti esistenziali riempiti di lussuria e cupidigia, ossessioni e infermità che il rock sordido e tremolante del cantautore savonese traccia in maniera netta erodendo inesorabile le pareti che li ricoprono. 3 Fingers Guitar porta in superficie tutto questo a mani nude, accompagnato semplicemente da una chitarra e dalle pelli di Simone Brunzu. Diviso il lavoro in due parti, la prima incentrata sulla figura del padre, la seconda catalizzata sulle mosse del figlio, Perna scalfisce la pietra e continua a scavare nervoso tanto nel subconscio quanto nel quotidiano. Evoca storie e passati; rilancia per il futuro. Sono scosse elettriche più che pennellate; è lo spasimo carnale che prende il sopravvento sulla poesia, che punta dritto allo stomaco e non cerca consolazioni. È la logica ricostruzione fatta a brandelli di quello che molti non vogliono vedere, con una consapevolezza lucida e commovente. L'unica capace di ricondurre sulla retta via un percorso umano minato alla nascita.
 
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giovedì 13 marzo 2014

THE HOUSEBOAT AND THE MOON

THE HOUSEBOAT AND THE MOON
Federico Albanese
- Denovali - 2014

Non di rado capita che quando un musicista mette tutto sé stesso fra le note della propria musica il risultato finale sia quanto di più personale sia possibile ottenere. Accade così che ci si trovi di fronte ad un artista spogliato da qualsiasi orpello promozionale, che senza timidezza rivela la propria essenza e dona completamente la propria anima, nudo - metaforicamente parlando - di fronte all'ascoltatore. Ci si trova perciò al cospetto della quintessenza di quell'essere umano che senza timori e falsi pudori, ma pur sempre con un velo di timidezza, ha voluto rivelare sé e la sua visione del mondo a quanti vorranno e sapranno ascoltare. La musica prende dunque il sopravvento sull'uomo, ne comunica con partecipazione emotiva gli stati d'animo ed elimina qualsiasi barriera linguistica per fare i conti direttamente con il proprio vissuto. Ciò che resta è una sensazione di trasparenza e verità ultima che trascende il compositore e spiega l'inquietudine a cui è soggetto l'uomo contemporaneo. È quanto capita anche con il cinematografico debut album di Federico Albanese, la metà maschile dell'affiatato duo La Blanche Alchemie condiviso con la compagna Jessica Einaudi, che approfittando della (temporanea?) pausa dalla band madre ha modo di focalizzare l'attenzione su quel pianoforte da cui venne folgorato in tenerissima età e che ora diventa assoluto protagonista del disco premiato dalla produzione di casa Denavoli, prestigiosa etichetta tedesca di musica sperimentale con un occhio di riguardo per la classica. Contemporanea e contaminata. Supportato da un Uher Royal Deluxe, tape recorder tedesco del 1969, capace di catturare in analogico tutte le sfumature e le imperfezioni dello strumento, Albanese traccia sul pentagramma, con dovizia e cura di particolari, note che evocano luoghi e territori fantastici rivelando scenari senza tempo. Attraverso un suono nordico (il giovane milanese da anni risiede a Berlino) implementato da loops, vibrafoni e glockenspiel THE HOUSEBOAT AND THE MOON contempla e pone in essere arrangiamenti radicali eppure plastici, fluidi, come se in realtà non fossero le mani e i piedi a guidare tasti e pedali, ma direttamente il pianoforte che, risvegliato dal torpore, prendesse vita e animasse Albanese. La visione che scaturisce è sfaccettata; sono tredici microfilm quelli che si susseguono nei cinquanta minuti abbondanti di quest'opera prima, uno per ogni episodio strumentale che la compone, tutti tesi a sviluppare in un quadro di insieme infinite possibilità interpretative e di narrazione, trovando nel violoncello di Arthur Hornig (sostituito in Carousel 1 dal prezzemolino Mattia Boschi da Novara) una perfetta corrispondenza capace di diverso dinamismo, ma di uguale passione. Un connubio armonico che, tessendo una fitta trama di reciprocità a Disclosed, arricchisce l'incanto di Beside You e Double Vision, amplifica l'articolata Secret Room in cui fa capolino il fagotto di Burak Ozdemir, gioca col moto perpetuo di Sphere fino ad inondare di luce propria Lichtung. Traspare grande pathos in tutto questo; una magia malinconica come quella sottesa alla meccanica Queen And Wonder che si ripete dolce e lieve per raccontare una realtà irreale con la stessa passione e partecipazione agli eventi cui apparentemente solo Albanese, in prima battuta, poteva aspirare. Una alchimia nuova, segno di immedesimazione e trasporto emotivo per tutti noi. Cullati dalle acque, guidati dalla luna.
 
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venerdì 7 marzo 2014

da TUTTOBRUCIA

COME UN CANE
- Monica P feat. Hugo Race - 2014


 
...il sogno è diventato realtà o tutto era semplicemente un sogno?
 
Prodotto da Filmika
Regia: Guendalina Di Marco
Fotografia: Davide Marcone

giovedì 6 marzo 2014

MOOSTROO

MOOSTROO
MOOSTROO
- autoproduzione - 2014

Da Jabberwocky a Mostruosus Trio. Questa la naturale mutazione artistica di Dulco Mazzoleni, Franz Pontiggia e Igor Malvestiti. Un viaggio sotterraneo nelle cavità misteriose delle terre orobiche alla ricerca di quell'energia primaria capace di rivitalizzare attraverso la tensione elettrica idee e fermenti operosi mai sopiti. Pochi mezzi, ma grande caparbietà per un nuovo progetto robusto e senza fronzoli, roccioso nella sua essenzialità. Ancora più credibile che in passato perché non snaturato da contaminazioni esterne, ma anzi, in un certo qual modo, protetto da quei monti e quelle valli presso cui non è affatto raro imbattersi ancora oggi nei pastori bergamaschi, cani duttili e versatili dal temperamento equilibrato proprio come la band che l'ha scelto a mo' di mascotte per la copertina del proprio cd d'esordio. Il cantautorato sghembo di Mazzoleni, solo in parte emerso nei lavori con il supercombo degli Jabberwocky, i cui trascorsi riemergono trasfigurati attraverso la rivisitazione sgangherata e scoppiettante de Il Prezzo Del Maiale, ben si sposa alle trame semplici di matrice punk ordite dal duo Pontiggia-Malvestiti in collaborazione con Stefano Gipponi direttamente da Le Capri a Sonagli. Quelli che emergono sono racconti di provincia in lo-fi, narrati per fissare anche in musica le deformità dei piccoli centri e di chi li vive in questo preciso momento storico (Valzerino Di Provincia). Luoghi fatti di una operosità a volte eccessiva, incontrollata, senza requie: mostruosa appunto. Anomalia moderna della vita umana contemporanea, senza rimedio immediato, ma per la quale la soluzione potrebbe concretizzarsi nel restare sempre vigili e nel non abbassare mai la guardia. Di fronte a chi o a cosa? I MOOSTROO si approcciano a questa ricerca con una essenzialità quasi francescana: una chitarra classica elettrificata, un basso a due corde e una batteria ridotta all'osso, in un misto di sacralità e rumore pagano che nasce dalle viscere, si ripercuote nelle membra e fa vibrare i corpi. Spetta poi alla musicalità delle parole (l'angelo sterminatore di Underground) e delle canzoni (Mi Sputo In Faccia) trovare la chiave di volta per colpire i cuori degli ascoltatori. Ballate crude, bastonate rozze. Pochissima post produzione. Echi di Tim Hardin anche negli alpeggi lombardi per la canzone dell'amor psichedelico perduto (LPS) e tonanti rintocchi amorosi nella transumanza emotiva di Bacio Le Mani. In parte assimilabile ai più scanzonati Zolle e con qualche reminiscenza dei corregionali Sakee Sed come il singolo Silvano Pistola rivela, il "mostruoso trio" spende le proprie energie offrendo spunti di riflessione e di critica nei confronti dell'ordine costituito anche quando pare semplicemente razzolare tra apparente ironia e beffardo sarcasmo. Questo in fin dei conti è proprio il sale della terra. Lo stesso cantato a Correggio e dintorni, ma qui un po' più prossimo alla realtà.
 

mercoledì 5 marzo 2014

HIDDEN GARDEN

HIDDEN GARDEN - EP
J Moon
- Boswort Music GmbH - 2014

"L'esperienza con La Blanche Alchimie è al momento in stand by; non so se sia una esperienza totalmente conclusa, ma per il momento ci dedichiamo felicemente ai nostri nuovi progetti solisti. Dal vivo comunque Federico è sempre con me, suona infatti chitarre e tastiera, e con noi abbiamo il piacere di avere Joe Smith alla batteria e alle percussioni." A parlare in questo modo è Jessica Einaudi, per anni splendida voce e affascinante immagine del duo dream pop dei La Blanche Alchimie e oggi titolare a tutti gli effetti del nuovo marchio J Moon con cui si (ri)presenta nel sempre più settoriale panorama discografico italiano ed europeo. "Sia io che Federico avevamo il bisogno di dedicarci ad un progetto solitario e devo dire che al momento ci sentiamo entrambi maggiormente espressi nei nostri nuovi lavori." Così mentre il compagno di mille avventure Federico Albanese, in origine chitarrista per diverse rock band di area milanese e con un passato addirittura da bassista nei primissimi Veracrash, ha approfondito il suo amore per il pianoforte dando alle stampe il toccante e insieme cinematograficamente evocativo album strumentale THE HOUSEBOAT AND THE MOON, Jessica ha focalizzato la propria attenzione sulla composizione e, concentrandosi sullo strumento principe che Madre Natura le ha donato, si è fatta tutt'uno con la suadente voce che da sempre la caratterizza. HIDDEN GARDEN è l'assaggio primaverile del nuovo album MELT, il giardino segreto che sta oltre il cancello della notorietà o, più semplicemente, del proprio lato pubblico. È l'angolo in cui ci si specchia e ci si rifugia lontani dal caos quotidiano in cui siamo perennemente immersi, per riflettere e magari per perdersi dentro sé stessi. È il luogo in cui albergano quiete e tranquillità. Ma anche fascino e mistero. È lo spazio fisico e mentale in cui coltivare la propria essenza. Qui nascono le quattro canzoni di questo ammaliante ep e cadono le maschere che indossiamo. Canzoni al femminile, eleganti, intime, incisive, eseguite sempre con misura in trio. Non una nota fuori posto. Non un tassello mancante. Piccole pennellate di colore su piccole tele artigianali. E allora sembra di vederla, Jessica, ondeggiare sognante sulle note della title track, timida e pudica, con quegli occhi azzurri che rapiscono all'istante e sanno raccontare emozioni anche senza parlare. Condividiamo con lei la nostalgia barocca di With You, orchestrale e malinconica, ma lasciamo pure che ci conduca per mano Among The Walls, certi che la sua stretta, esile ma sicura, non ci tradirà in quel percorso ad ostacoli che è la vita. Neppure la presunta aggressività di Poison è fine a sé stessa; qui tutto è in armonia con il proprio cosmo di sentimenti e affetti. Sfumato eppure intenso. C'è Björk e c'è la lontananza, ci sono i Bran Van 3000 e ci sono rose rampicanti che crescono spontanee, ma soprattutto c'è il futuro di una giovane donna capace di guardare davanti a sé con occhi nuovi, proiettati con semplicità al domani. Occhi mai stanchi di apprendere e di comunicare, che ora vedono e ascoltano già altro. E tu sentinella - dimmi - che vedi?
 
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martedì 4 marzo 2014

PROXIMI LUCES

PROXIMI LUCES
Peregrines
- Home of the Peregrines - 2014

Se in un pomeriggio di caldo afoso, con la fronte imperlata di sudore alzassi anche solo per un attimo lo sguardo dalla terra che stai coltivando potresti scorgere all'orizzonte cinque giovani intenti a fissare i campi su cui hai costruito non solo la tua fattoria, ma tutta la tua fortuna. La tua vita. I Peregrines osservano. Scrutano. Ascoltano. Spaziano con lo sguardo attraverso l'intera landa che si perde a vista d'occhio fino all'orizzonte di fronte a sé. Dall'altra parte della strada grandi risaie e filari di pioppi. È la contemplazione del creato e del lavoro dell'uomo la linfa vitale alla base del songwriting d'esportazione della band comasca capitanata da Sean, il walking peregrine con licenza di sognare, la quale, fresca di debut album, cerca di ritagliarsi uno spazio a suon di ispirate melodie e convincenti narrazioni legate ad un mondo contemporaneo eppure, al tempo stesso, fuori dal tempo. Un disco di avventura, misterioso e affascinante, a tratti salgariano a tratti operosamente campestre, che riflette le personalità dei cinque giovani musicisti, capaci di accompagnarci lungo tutta la nostra giornata lavorativa, affiancandoci come piacevole siesta ricreativa nelle brevi pause e occupando piacevolmente i nostri pensieri nei più frequenti momenti di pieno sforzo fisico quando aratri e badili hanno la meglio. Un album completo, fatto da talentuose promesse italiane la cui unica pecca loro imputabile risiede forse nell'aver indugiato per la quasi totalità dei brani su un minutaggio ampiamente sopra la media, d'altro canto tratto peculiare e necessario per la narrazione, quasi fossimo al cospetto di un folk progressive - perfette in questo senso le atmosfere à-la Genesis della title track - ponderato per  scelta stilistica e non alla stregua di semplice peccato (veniale) di gioventù. Un lavoro importante, la cui credibilità è fuori discussione; fragrante e naturale come il profumo emanato dai campi di grano che ci circondano e dai quali ci congediamo quando il crepuscolo trasfigura con i suoi raggi tutta la regione. Così, sul far della sera, ecco il cielo prendere accenti color turchese mentre l'aria rinfresca e le atmosfere si fanno cristalline. Gli uomini si sono già avviati verso casa da un pezzo, camminando di buona lena tra i campi, attrezzi alla mano e qualche scodinzolante amico a quattro zampe accanto. Quando la vista delle proprie abitazioni è prossima si fa sempre più alto e definito il suono di un'orchestrina accampatasi nell'aia per allietare le ultime ore della giornata (Sun Will Rise). Delicata, composta, ma decisa come deve esserlo una nave fra le onde dell'oceano (The Boats And The Waves) continua a intonare musiche e solleticare curiosità di bimbi e anziani. Il rito procede lungo tutta la notte, momento di festa e di danze: a suon di banjo e violino per le scaramucce dell'amore (Little Dancer); maggiormente evocativo quando riporta alla mente fantasmi (Owls And Spirits) e ricordi ancestrali (The Wood/Superstition). È folk elaborato, complesso e vespertino, che s'intreccia come un rampicante alle storie di una volta, innaffiando le radici della memoria. Ora siamo noi ad osservare da sotto il portico della grande casa i Peregrines. Mentre si fa notte (Mary Celeste) e la veglia per il solstizio d'estate volge al termine.
 

giovedì 27 febbraio 2014

PER TUTTI

PER TUTTI
Riccardo Sinigallia
- Sugar - 2014

Domenica 2 giugno 2013 eravamo come da tradizione a Cremona per quel gran bel festival multiforme che è Le Corde dell'Anima. Organizzata dal poliedrico Vittorio Cosma la rassegna si svolge solitamente in più giornate per dar modo a tutte le realtà coinvolte di avere un giusto spazio e la meritata attenzione. Musica e letteratura. Il canto e la parola. Avevamo annotato la presenza di Riccardo Sinigallia (peraltro collega di Cosma nel progetto Deproducers) nella giornata di sabato così come del resto ci eravamo appuntati quelle di Alicia Gimenez Bartlett, Vinicio Capossela e Tim Parks, ma l'improvvisa defezione di Franco Battiato e Manlio Sgalambro, unita invece alla concomitante doppia (e ghiotta) opportunità di assistere a due performance proposte altrove rispettivamente da Blastula e Pierpaolo Capovilla, ci aveva fatto desistere e optare per presenziare nella città del Torrazzo appunto ventiquattro ore dopo. Mai avremmo pensato di ritornare con la mente a quei giorni in occasione del LXIV Festival di Sanremo quando l'orecchiabilissima Prima Di Andare Via, uno dei due brani presentati alla kermesse ligure dal cantautore romano, a  Cremona presente insieme alla compagna Laura Arzilli in una chiacchierata con lo scrittore Lorenzo Amurri, sarebbe stata squalificata dalla gara perché già eseguita in pubblico proprio in occasione di quel pomeriggio cremonese. Una beffa, ma anche una leggerezza che si è trasformata in una trovata pubblicitaria in buona fede capace di catalizzare l'attenzione su Riccardo come forse mai prima d'ora. Una vittoria in termini di visibilità anche più significativa di quella ottenuta da chi sul podio sarebbe poi realmente salito. E una occasione per porre l'attenzione su un album come PER TUTTI che a otto anni di distanza dal precedente INCONTRI A METÀ STRADA rilancia lo stile personalissimo di Sinigallia presso il grande pubblico. Non una svolta copernicana rispetto al passato in termini di suono e tematiche, ma senza dubbio una nuovo portfolio musicale di momenti intimamente universali, meno elettronici e forse per questo anche più immediati e pop, come E Invece Io, lungo e comunque dilatato racconto introspettivo posto in apertura, rivela. Appassionato di musica e di parole, ma soprattutto affascinato dalle suggestioni che queste provocano nell'ascoltatore, Riccardo Sinigallia torna a raccontare sé e il proprio mondo, senza filtri. Riannoda i fili della sua storia, ne traccia nuovamente i contorni, ricordando episodi d'altri tempi, di amicizia e amore. È un salto nella propria memoria, negli anni dell'adolescenza e delle sue problematiche (Io E Franchino); ed è un tuffo nelle esperienze del passato più prossimo, ancora vivo nella memoria, ma proprio per questo pur sempre irraggiungibile, senza troppi rimpianti, come Le Ragioni Personali ammoniscono. Fotogrammi che gli occhi del cuore hanno saputo catturare per brevi istanti e che hanno saputo restituire emozioni espressioniste fissandole nel ricordo in maniera indelebile per aiutarci in un nuovo cammino. Quello della quotidianità e dell'urgenza dell'io, essere umano determinato da parametri oggettivi ed ambientali. Sembrerà così di viaggiare una volta ancora con la stessa valigia in due. Tu Che Non Conosci non puoi capire: il cuore è una ricchezza che non si vende, non si compra, ma si regala. E per me è importante.

mercoledì 26 febbraio 2014

ADAM CARPET

ADAM CARPET
Adam Carpet
- Rude Records - 2014

Adam Carpet è un sogno. È una visione. È la realizzazione di ciò che era in potenza ed ora è divenuto realtà. È un atto concreto. È una svolta per molti. È rischio. È avventura. È libertà. Non ci sono vincoli, non esistono regole programmatiche: solo la creatività e l'improvvisazione di cinque menti e dieci braccia che si sono messe a disposizione reciprocamente. ADAM CARPET è un disco di testa e, molto, molto di pancia. È la colonna sonora attuale per le vite dei protagonisti che si celano dietro questo nome e dentro questa entità. Sperimentale, aperta a influenze e collaborazioni la band milanese è una sorpresa continua, tutta da scoprire. A partire dagli avveniristici live act implementati da quel video-mapping, studiato e messo a punto in collaborazione con  il collettivo Akme, che diventa ogni volta caratteristica peculiare, sebbene non determinante, di ogni centellinata esibizione. Il suono che si trasfigura in immagine e colore. La forma che restituisce onirici impulsi sonori e psichedelia contemporanea. Geometrie caleidoscopiche che sono proiezioni di altri mondi, porzioni, composte e ricomposte, di un vissuto in continuo e costante movimento. Due batterie e due bassi pronti a sfruttare il ritmo, rispettivamente percosso e accarezzato, per sviluppare piani e dinamismi, e un Giovanni Calella, a suo agio tra synth e chitarre, solitamente perno (anche visivo) su cui far ruotare tutto. Anticipato nel dicembre del 2012 da un paio di concerti a Roma e Milano, e inizialmente uscito solo in digitale con una distribuzione nei negozi in versione bundle composta da seedcard con codice per il download digitale e una t-shirt contenute in un box di carta riciclata, l'esordio omonimo per la nuova band di Diego Galeri vive di strutture analogiche e profondità elettronica. Gli impulsi costanti garantiti da lui e dall'altrettanto noto collega di pelli Alessandro Deidda reggono le sorti tanto degli episodi distorti (la sperimentale Jazz Hammerhead) quanto di quei momenti più dinamici come The Charge e Cowgirl In The Shower. In perfetta simbiosi e interazione con i bassi di Edoardo "Double T" Barbosa e Silvia Ottanà costruiscono architetture mobili (I Pusinanti) e liquide (Manmasquerade); forgiano episodi compiuti come Carlabruni? e il singolo Babi Yar. Anche quando l'assetto muta, specialmente on stage, e certe parti vengono dilatate (Human Crossing) mentre altre sono completamente ignorate, quasi tutti i brani restano imprescindibilmente legati fra loro. Alla decina di episodi che compongono questo debutto si sommano qui due brani aggiuntivi rispetto all'edizione digitale dell'anno passato. Di Dream City, abbiamo già avuto modo di parlare nei mesi scorsi in occasione dell'uscita di ARTISTI VARI RISUONANO I FRIGIDAIRE TANGO, intelligente compilation dedicata alla seminale band trevigiana dalla quale è tratto. La drammatica Future Teen Idol è invece parte integrante della soundtrack realizzata per il film Venezia Impossibile, lungometraggio a zero budget presente alla seconda edizione del Venice Film Market in occasione della 70^ Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, ispirato all'omonimo romanzo pubblicato da Marco Toso Borella e diretto dal cineasta William Carrer. Due cadeau che completano il lavoro degli ultimi due anni, nato con lo spirito di avventura e proseguito credendo fermamente nel risultato finale. In attesa degli sviluppi futuri già in corso d'opera. Il guerriero è vivo ed è tornato.
 
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martedì 25 febbraio 2014

SEGNI (E) PARTICOLARI

SEGNI (E) PARTICOLARI
Alberto Patrucco - Andrea Mirò
- Anyway Music - 2014

Pur non essendo mai stato autore troppo noto in Italia Georges Brassens con la sua indole pigra e schietta, sempre al passo con i tempi, ha saputo lasciare il segno in più di un professionista della nostra canzone d'autore. Maestro indiscusso fra gli altri di Fabrizio De André, traduttore ad inizio carriera di una mezza dozzina abbondante di canzoni che si prestavano alla traduzione senza particolari voli pindarici e artifici linguistici (la celeberrima Il Gorilla è fra queste) l'irriverente artista di Sète riceve a oltre trent'anni dalla sua scomparsa l'ennesimo atto d'amore da parte del mai banale Alberto Patrucco, verace equilibrista della parola, libero osservatore del quotidiano e colto filologo musicale con una passione esagerata per il baffuto concittadino di Paul Valery. Giunto al secondo capitolo e mezzo della sua recente produzione musicale se, come dovuto, consideriamo parte integrante del tutto l'ep omonimo allegato ad un libro lapidario come NECROlogica Alberto non modifica la propria dedizione al lavoro per il quale abbiamo avuto la buona sorte di conoscerlo. Ne cambia solo, in parte, il vestito sonoro. Dopo il lussureggiante esordio di CHI NON LA PENSA COME NOI, impreziosito da una pletora di Musici e Artisti d'altissimo rango e prestigio che donarono una veste cantautorale estremamente ricca e ricercata alle dodici canzoni prescelte e, ricordiamo, quasi tutte originariamente pensate per sola voce e contrabbasso, con SEGNI (E) PARTICOLARI il taglio oggi si fa più rock. La scelta è pressoché obbligata e felice se sulla propria strada si ha la possibilità di incontrare anime affini come la vulcanica Andrea Mirò che di lì a poco avrebbe saputo coinvolgere l'altrettanto artisticamente irrequieto Enrico Ruggeri. Impostato una volta ancora il lavoro in compagnia dell'indispensabile Daniele Caldarini, supervisore della quasi totalità degli arrangiamenti, Patrucco, come in un autentico gioco di squadra, passa presto la palla a Mirò e compagni in cabina di regia, per poi chiedere la triangolazione decisiva e finalizzare da autentico attaccante di razza. Dopo le tante esecuzioni dal vivo negli spettacoli teatrali trovano così definitiva sistemazione su disco altri tredici brani scelti seguendo ciò che il proprio cuore suggeriva. Ecco perciò la storica La Cattiva Reputazione, uno dei brani cardini di Brassens, fare il paio con le recriminazioni beffarde di Se Soltanto Fosse Bella, arricchita dai fiati à-la Chicago e dall'intervento vocale di Enzo Iacchetti, e con l'irriverente Nonno Riccardo affidata ad un esuberante Ricky Gianco. Si ritaglia un angolo tutto suo Andrea Mirò con l'intensa (poteva essere altrimenti?) Penelope; Ruggeri fa lo stesso sposando l'ottima La Domanda Di Non Matrimonio costruita sulla chitarra gipsy di Marco Nista. E che emozione ascoltare di nuovo accanto alla coppia Mirò-Ruggeri gli interventi alla batteria dello storico Champagne Molotov Luigi Fiore, le centellinate note di pianoforte di Pino Di Pietro e la chitarra sempre più raffinata di un rocker come Luigi Schiavone. E ancora: il mito Ellade Bandini, il "fibrillante" Eugenio Finardi nel dolceamaro racconto de La Principessa E Il Musicante che pare provenire direttamente da un album della Cramps, i compagni di palco Ale e Franz ai cori della sempre attuale Il Re, l'arpa celtica di Vincenzo Zitello e il violoncello di Mattia Boschi nella tormentata Ragazze Di Vita, il "Billa" Davide Brambilla alla tromba, ma soprattutto alla fisarmonica della maestosa Il Grande Pan, vertice del cd per densità di contenuto. Nota di merito a Francesco Gaffuri, da sempre discreto e misurato collaboratore di Patrucco, che qua irrobustisce il sound, ora al basso ora al contrabbasso, confermandosi affidabilissima spalla per più celebrati colleghi. Al comico brianzolo il merito invece di restituire una volta  ancora attraverso la sua caratteristica "non voce" l'anima delle acute composizioni di Brassens, salvandole dall'oblio italico e restituendole integre all'attualità, mantenendo la propria cifra stilistica nelle fedeli traduzioni senza ritocchi alla metrica. Perché Brassens è "parole che suonano e musica che parla". E Patrucco la sua più sincera incarnazione. Ça va sans dire.
 
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venerdì 21 febbraio 2014

ATTO II

ATTO II
Lucifer Big Band
- Bloody Sound Fucktory/HYsM?/Lemming/Neon Paralleli - 2014

Strappi, brusii, vortici e spirali di suono, ritmiche analogiche, spie, clangori, interferenze, feed back, tessuti di plasma, fruscii, lamenti, onde sonore cicliche e distorte, voci dall'inferno. Inaugurata sul finire del 2013 la stagione dei progetti solisti in casa The Great Saunites con il secondo album di Billy Torello a.k.a. Leonard Kandur Layola nonché alter ego di Angelo Bignamini, tocca proprio a quest'ultimo rilanciare ora la sua personale big band luciferina abbandonando temporaneamente gli abrasivi terreni visionari del progetto madre in combutta con il sodale Atros (Marcello Groppi) e quelli sorprendentemente ben più tradizionali legati a ponti sull'Adda in costruzione e pulci pesanti come elefanti tracciati in compagnia di Luigi Zanoni, per procedere nelle oscure spirali di noise arcano e ambientale prodotte da questo ATTO II, sequel sparagnino al debut album ATTO I ed evocativo parto discografico influenzato dal sottovalutato, ma estremamente valido ep UGO, omaggio postumo in musica all'omonimo pittore lodigiano Maffi scomparso qualche tempo prima. Registrate da Michelangelo Roberti e masterizzate da Riccardo "Rico" Gamondi le uniche due tracce del cd-r vedono Bignamini in pieno trip creativo, incurante di regole e strategie, ma vincolato da una naturale predisposizione al salto nel buio che improvvisazione e sperimentazione sul campo impongono. È il suono così a viaggiare libero nelle cavità e nel vuoto attraverso cui si propaga, frastagliato dagli eventi, manovrato da Bignamini e modellato a suo insindacabile gusto. "In ATTO II convivono le manipolazioni elettroniche e le visionarie trance sonore dei Grateful Dead, il noise ferino e l'ambient estatico, la filosofia "oscura" di Eraclito e i demoni surrealisti di J. G. Ballard": uno zibaldone redatto con mano ferma, sviluppato in tutta la sua significanza per mezzo del flusso incessante di suoni che, prendendo vita, prima si contorcono su sé stessi, poi si distendono e infine, per volontà umana, cessano - spettrali - ogni attività. Una occasione per vedere evocati attraverso soundscapes convulsi landscapes mentali così concreti da rapire l'attenzione, far cadere in trance l'ascoltatore e riportarlo alla realtà solo al cessare dello scampanellio finale, ipnotico incantesimo magiko e sabbatico. Un nuovo passo verso la percezione dell'impercettibile, un approfondimento degli abissi che il suono slegato dalle convenzioni lascia emergere dalla sua dimensione più sconosciuta raramente fatta oggetto di studi da parte di ricercatori e analisti. Un ultimo passaggio attraverso la zona grigia prima di vedere un bagliore laggiù in fondo. Ormai è già tempo di risveglio. In attesa dell'atto successivo. Iam ite: missa est.
 
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