giovedì 28 febbraio 2013

THE IVY

THE IVY
The Great Saunites
- Have You Said Midi?/Villa Inferno/Il Verso Del Cinghiale Records/Terracava/Lemming Records/Neon Paralleli - 2013  

The Great Saunites è Atros e Leonard Kandur Layola. Essenzialmente al basso; essenzialmente ai tamburi. Suonano insieme dal 2008 e fino ad ora hanno trovato tempo, modo e spazi per registrare due album, uno split condiviso con i più violenti Canide e un ep in parte anticipatore di questo terzo parto discografico realizzato a stretto contatto con la Lucifer Big Band (entità sonora parallela dello stesso Layola, al secolo Angelo Bignamini nonché factotum del progetto). Di certo una band a cui non piace stare con le mani in mano e che ha saputo destare l'attenzione di molti addetti ai lavori se per il nuovo album, rigorosamente in vinile limitato a 300 esemplari, ma con la possibilità di un download digitale per i suoi possessori, si sono mosse con celerità un manipolo di etichette specializzate nel supporto di realtà e suoni alternativi come il post rock contaminato proposto dal duo lodigiano. Mai Atros e Layola si erano espressi su minutaggi così brevi come accade nell'iniziale Cassandra, inattesa corsa verso l'ignoto puntellata da una chitarra impertinente e caratterizzata da suoni monchi di tastiera; mai avevano trovato spazio sui loro lavori atmosfere così eteree e rilassate, quasi pinkfloydiane, come la psichedelica Bottles & Ornaments  mette bene in evidenza. Eppure ciò che va sottolineato è la totale libertà d'espressione pienamente compiuta e non più riconducibile ad un solo genere musicale. L'arpeggio continuato di Ocean Raves è lì a dimostrarlo: brano sostanzialmente di cantautorato folk, la quarta traccia dell'lp disegna scenari sconosciuti ai sostenitori della prima ora, ma consente una fruibilità maggiore a chi vorrà ascoltare; anomalo cavallo di Troia a ridosso della facciata B occupata dall'unico, entusiasmante, pachidermico brano che dà il titolo all'album. The Ivy è il nuovo corso. O forse solo l'intuizione folgorante di un momento ben preciso all'interno della parabola discografica del duo. Oltre 19 minuti di straniante sospensione che rappresentano un viaggio della mente personalissimo, ombroso e vibrante; non privo di imperfezioni, ma, proprio in virtù di ciò, policromo e cangiante. Una jam session che poco per volta, minuto dopo minuto, visita ambienti sonori differenti sollecitando per tentativi suggestioni a cavallo tra il post rock e le derive dell'avanguardia sperimentale. Le sorprese continuano e terminano con la già nota Medjugorje, abrasiva cavalcata spaziale presente in altra versione sul precedente ep e ora riadattata alle esigenze performative dell'Anno Domini 2013. Anche in questo modo dunque THE IVY compendia le nuove istanze al recente passato, conservandolo e al tempo stesso superandolo per progressione; è disco umorale, coriaceo e ciclico. Rampicante. Proprio come l'edera.
 

mercoledì 27 febbraio 2013

I LOVE YOU BEARS
Dance With The Bear
- Ocarina - 2013

Con un gran dispiego di energia, melodia, elettronica e casse dritte ecco scendere in pista i dinamici Dance With The Bear. Direttamente dalla provincia ferrarese, a due passi dalle assolate spiagge dell'Adriatico, il quintetto capitanato dalla biondissima Giada Simone e dal nerboruto Michele Guberti gioca la carta del dancefloor. Risultato? Impossibile resistere, o anche solo contenersi, di fronte alle grintose sventagliate di impertinente esuberanza ritmica fuoriuscite a pieni decibel dalle casse dello stereo per merito del lavoro sulle macchine di Tommy Marchesini. Se già il singolo A Reason (riproposto pure come bonus track in un funkstep remix curato da Omar DgtlMonkey Tigrini) sintetizza in bella copia il fortunato mix di rock e ossessiva club culture alla base del progetto, We Don't Believe e I Love You Bears non fanno altro che spingere il piede sull'accelleratore, calcando la mano sulle vibrazioni e aumentando se possibile l'hype e lo spessore del sound; sempre più tondo, sempre più potente. Noi ce ne facciamo immediatamente una ragione e, pettinati dalla prima all'ultima nota del disco, continuiamo così a goderci il frullato acido fatto di synth e programmazioni elettroniche convogliate sui binari punk funk di Like An Animal, come se accanto a noi Miss Ciccone decidesse all'improvviso di cedere al fascino ruvido dell'iguana Pop lasciandosi sedurre peccaminosamente durante un banchetto dal sapore rrriot. E mentre i Prodigy giocano a fare i Sex Pistols con le Shampoo (I Want To Kill You) sembra di vedere davanti ai nostri occhi quell'onda sonora che avanza implacabile al ritmo meccanico di Go Back! travolgendo tutto ciò che incontra nel suo raggio di azione e finendo col cristallizzarci per qualche infinito secondo. Mentre procediamo a passi spediti con l'omaggio rock (in)volontario ai Bomfunk MC's della pulsante house elettronica declinata in The Future non resta che accodarsi ben presto alle derive new wave della sintetica Human Mind, un po' Serpenti, un po' Blondie, ponte mobile tra due mondi a loro modo ugualmente pop seppur con radici differenti. A voler cercare il pelo nell'uovo a tutti i costi, in ultima analisi, la mancanza di una reale varietà sonora è forse qui l'unica vera pecca di questo colorato esordio. Vista però l'intelligenza tecnica dei protagonisti, a correggere il tiro ci vorrà senz'altro poco. Chi li ha apprezzati dal vivo garantisce poi su una performance coinvolgente ed esuberante da parte dei DWTB, fatta di salutare adrenalina e sudore, trascinante e godibilissima. Nell'attesa che capitino anche dalle vostre parti, dimenticate dunque per qualche istante le preoccupazioni che vi assillano, recuperate il "pupaccio" che vi proteggeva e teneva compagnia da bambini, inforcategli un bel paio di colorati occhiali da sole, puntate senza timore le accecanti strobo caricate a palla e...benvenuti in pista da sballo!
 

venerdì 22 febbraio 2013

OPERA
Zeus!
- Tannen Records/Offset Records/Santeria - 2013

Interrogato sulla produzione di OPERA, secondo album per i Zeus! del terremotante duo Cavina-Mongardi, il buon Tommaso Colliva si espresse così: " (...) L'ho fatto in quattro giorni di registrazione e quattro di mix, punto. E a me piace tantissimo." Come dargli torto? Con titoli come Lucy In The Sky With King Diamond (fotonico sferragliamento noise thereminizzato da Vincenzo Vasi), Giorgio Gaslini Is Our Tom Araya (monolitica sfuriata heavy finto-satanista in competizione con Tom Araya Is Our Elvis degli Zu) e Blast But Not Liszt (hard psichedelico dalle accellerate grind) se non altro la curiosità è d'obbligo e non può che stuzzicare la fantasia anche dell'ascoltatore più distratto che abbia quantomeno un minimo di conoscenza di quel resistente e sempre in fermento panorama musicale che è il metal. Salvo poi trovarsi catapultati in un girone infernale ancora più estremo e drammatico. Una claustrofobica mezz'ora di suono bianco partorita dalla audace creatività di due "saltimbanchi del male" dediti alla propria realizzazione artistica e a fornirsi l'ennesimo valido pretesto per poter andare/tornare/restare in tour; questo è il deciso (e colto) passo in avanti compiuto dai due barbuti musicisti, successivo all'omonimo esordio rilasciato nel 2010. Libero da qualunque vincolo artistico o economico Zeus! scaglia la sua incontenibile potenza per mezzo della fustigatrice ferocia de La Morte Young (per informazioni chiedere ai maestri della sperimentazione Glass e Reich via Nicola Ratti); riduce le distanze con noi mortali grazie ad un nuovo intervento di Vincenzo Vasi nella scala discendente della già classica Eroica (e attraverso le irruenze funamboliche di Set Panzer To Rock) mentre nel violento delirio hardcore di Sick And Destroy strappa il consenso all'influente eroe noise rock Justin Pearson, per l'etichetta del quale OPERA troverà infine distribuzione e mercato pure Oltreoceano. Atmosfere black care a Daniel Lloyd Davey e ai suoi Cradle of Filth irrompono veementi in Beelzebulb dopo le rutilanti battute death iniziali: qui, ormai è chiaro, non si fanno prigionieri. Eppure la vetta del cd, forse, viene toccata dalla metodica isteria collettiva di Bach To The Future, matematico bignami avant-post-core sperimentale redatto a suon di crudo prog-core e ridotto in salsa noise. Tocca infine al corrosivo assalto mortale al napalm di Decomposition N.!!! e alla fulminea progressione carica d'ambient di Grey Cerebration completare l'opera di distrazione di massa. Grimaldello di intricata e aggressiva brutalità, OPERA possiede tutti i crismi per innovare e mostrare una nuova via alla musica estrema contemporanea. C'è solo da andare fieri se si pensa che questa è stata partorita in Italia. Al solito, un lavoro "non buono...: ottimo." Perché Giove non ha solo cagato fuori Minerva da un'emicrania.
 
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giovedì 21 febbraio 2013

IN FONDO AL CUORE
Francesco-C
- Novelune - 2013

In fondo al cuore di ogni essere umano cosa c'è? Probabilmente il desiderio di lasciare una traccia di sé capace di durare per l'eternità. Forse la tensione verso l'Infinito, irraggiungibile, e per questo ardentemente desiderato. Oppure ancora è in quello spazio che cresce e si sviluppa la volontà di inseguire i propri ideali per poter dire alla fine del viaggio di aver realmente vissuto. Tutto questo (e molto altro) affiora da quelli che una volta si sarebbero definiti solchi del vinile, ma che oggi nell'era dell'hi-tech esasperato sono riconducibili al ben noto algoritmo di compressione alla base degli mp3 che compongono il nuovo lavoro di Francesco-C. Chi dovesse andare infatti alla ricerca di una copia fisica di questo nuovo, annunciato, capitolo discografico dell'artista aostano purtroppo resterà con un palmo di naso dato che l'ep in questione ha fatto la sua comparsa nel giorno di San Valentino esclusivamente in digitale; date le difficoltà di un mercato discografico che langue si è preferito tentare la sola distribuzione online, dando fiducia alla rete e rinnovando la propria attenzione alla tecnologia applicata all'arte. Ma del resto ce lo aveva già annunciato sul finire di gennaio dello scorso anno lo stesso Cieri quando, dopo oltre un lustro e mezzo di assenza, ricomparve un po' in sordina con l'affascinante singolo Il Cielo Oggi, ballad liquida e lunare, delicata e minimalista, prodotta dalla new entry Federico Malandrino, nel solco della sua miglior tradizione; cresciuto nell'epoca in cui era il 45 giri a spopolare nelle vendite, Cieri si dichiarò restio a sviluppare nell'immediato un nuovo album come si è soliti intenderlo, preferendo ad esso uscite centellinate, mirate, magari con scadenze comunque elastiche, capaci di diffondersi capillarmente senza mai saturare l'attenzione dell'ascoltatore. Less is more dunque. Così, poco tempo dopo, ecco comparire un secondo brano, altrettanto ipnotico e onirico, la vibrante Oltre Al Limite che, disidratata dalle coloriture elettro-rock presenti nella quasi gemella Tornando Da Un Sogno contenuta in ULTERIORMENTE, mette a nudo una volta ancora quella che all'epoca individuammo come "evidente (...) facilità di scrittura testuale e musicale di Francesco", cantautore sui generis, sempre in bilico tra ponderata concretezza manageriale e lucida follia punk. A quest'ultimo filone si ispira certamente per attitudine la nuovissima Animo Ribelle, moderna protest song di urgente ribellione, rivestita da un luminoso manto elettronico tessuto con i colorati suoni degli anni '80 uniti a quelli più asettici del nuovo millennio. Spetta infine al pianoforte di Amaci chiudere il cerchio dell'ep, scandagliando su un rallentato tappeto trip hop le declinazioni dell'amore moderno, bilanciando la rarefazione del sentimento con la sua stessa profondità. Quattro brani; poco meno di un quarto d'ora che lascia il segno e pone nuovamente l'accento su un progetto discografico oggi più che mai consapevole e maturo. Fonte di ispirazione per molti. Che poi, in fondo, 13 minuti cosa vuoi che siano a fronte di una attesa durata anni? Una folgore, un fulmine a ciel sereno. Il pianeta vada pure a dormire; io finalmente comincio a respirare.
 
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venerdì 15 febbraio 2013

giovedì 14 febbraio 2013

TWO FOR JOYCE - LIVE IN TRIESTE 
Keith Tippett - Giovanni Maier
- Long Song Records - 2013

Per scoprire chi siano i talentuosi Keith Tippett e Giovanni Maier si rimanda in questa sede alle molteplici opportunità che il web contempla, al fine di soddisfare una giusta curiosità posta alla base dell'interessamento verso questo album dal vivo che vede il compositore britannico e il nostro controbbassista improvvisare per quasi un'ora fra le mura amiche del Teatro Miela di Trieste. Del resto, per la cronistoria del primo e la biografia del secondo non basterebbe lo spazio di una recensione, talmente sono prestigiosi i loro invidiabili curricula, in continuo e costante aggiornamento. Concentrandoci perciò sulla proposta musicale che i due virtuosi hanno voluto e saputo realizzare la sera di venerdì 18 maggio 2012 nell'ambito della rassegna Le Nuove Rotte del Jazz, non verranno taciuti alcuni dettagli di quella ottima serata organizzata grazie alla sinergia intercorsa fra il Circolo Controtempo e la cooperativa Bonawentura. Preceduto infatti dall'esibizione dei Wildflower, un ensemble allestito dallo stesso Maier all'interno della classe di Musica d'Insieme Jazz del Conservatorio Tartini che ha sede nel capoluogo della Venezia Giulia e di cui è stimato docente dal 2009, con la finalità di "approfondire le modalità di arrangiamento ed esecuzione all'interno di un gruppo di medio organico nel quale ogni musicista deve contribuire con la propria personalità alla creazione del suono collettivo del gruppo" spaziando su un registro musicale comprendente interpreti moderni come John Zorn, Thelonious Monk e Steve Lacy, il duo Tippett-Maier sale sul palco fra gli applausi del pubblico sistemato nei quasi trecento posti a sedere dell'edificio. Ad attenderli un pianoforte a coda e un contrabbasso. Pochi fronzoli, tanta sostanza. In una condivisione di suoni, colori e velocità di diversa estrazione, il contrabbasso di Maier prima insegue, poi raggiunge quindi dialoga con metodo e inventiva con il pianoforte di Tippett, svolgendo almeno inizialmente un ruolo di supporto ritmico prima ancora che armonico. Le improvvisazioni che l'assortita coppia  condenserà in questo atto unico andato sotto il nome di TWO FOR JOYCE scaturiscono da quell'humus in cui è nato, e lentamente si è consolidato, l'incontro personale fra i due musicisti; specchio luminoso di quanto generato dalle loro stesse note. Accellerazioni, percussioni, nude frammentazioni, ora lugubri ora originali, assorbite e ricomposte dal loro interplay si compenetrano e tracciano scenari inconsueti e unici, organicamente disparati, proprio come le vite di ogni singolo individuo. La capacità di mettere in contatto queste realtà è alla base del jazz, Musica che mai è motivo di competizione, ma piuttosto di incontro e contatto. Anche questa sera. Al volgere dello spettacolo gli ultimi tocchi delicati e minuti raccontano una attesa che pare infinita, fatta di sospensione e attenzione, per tentare di decifrare ciò che accadrà un secondo dopo. Poi il Maestro Tippett solleva le mani dalla tastiera e le porta al petto. È il segnale: il concerto è terminato. Ed è nuovamente tempo di applausi.

mercoledì 13 febbraio 2013

BLACCAHÉNZE
Roy Paci CorLeone
- Etnagigante - 2013

Messo temporaneamente a riposare il ben più noto progetto Aretuska, ecco comparire negli stereo e negli i-pod di noi tutti il nuovo magistrale album completamente strumentale per il mai domo Roy Paci e la sua incarnazione più dannatamente libera da schemi e preconcetti sonori. Sette episodi senza rete che fanno il paio con quelli proposti nel primo episodio della sperimentale saga CorLeonese, il caleidoscopico esordio WEI-WU-WEI del 2005. Ma se là il free jazz e l'avantgarde generati dalle evoluzioni di tromba inseguite da Mr.Paci si legavano a sottili trame elettroniche, a passaggi di tip tap nonché alle sempre spericolate convulsioni metalinguistiche di Mike Patton, qui ci troviamo di fronte ad un unicum scevro da repentini cambi di tempo, ugualmente capace di sviluppare nel suo eclettismo senza soluzione di continuità una koiné musicale di carattere universale. Protagonista assoluta è la sezione fiati di BLACCAHÉNZE, termine detto per inciso in uso nel dialetto parlato a Montorio al Vomano, piccola cittadina localizzata nel nord dell'Abruzzo, traducibile con "casino", "bordello"; una sezione fiati che a seconda delle commistioni sonore con cui entra in contatto accresce la forza d'urto e lo spessore già di per sé denso delle composizioni. Il collettivo CorLeone affianca infatti alla tromba e al flicorno soprano di Paci, i sax alto e baritono rispettivamente addomesticati da Guglielmo Pagnozzi e dall'orchestrale del fuoco Marco Motta, supportati a loro volta dalle chitarre elettriche di Alberto Capelli che trovano spesso il giusto contraltare in quelle suonate da John Lui, il fenomenale SYD visto in precedenza sempre da queste parti che, come nel suo album solista, anche qui si cimenta pure con synth e sampler. A chiudere il cerchio di questo ensemble non mancano certo le potenti batterie di Andrea 'Vadrum' Vadrucci, un faticatore del ritmo versatile e affidabile. Sotto la direzione musicale dell'ingegnere del suono Marco Trentacoste i sei musicisti trovano la completa libertà di potersi esprimere senza limiti. L'uno-due assestato dalla pachidermica Cinematic Conventions Of Murder e dall'indiavolata heavy song Moshpit Comedy già basterebbero a soddisfare i palati più esigenti, ma il crossover proposto dai CorLeone esplode mastodontico e torrenziale con il metal virtuosistico di Double Threesome e le vitali sperimentazioni afro-ritmiche di Umuntu Ngumuntu Ngabantu. Emozionante l'intro slide di Lookin' For Work, canzone fascinosa capace di svilupparsi languida svelando il lato più morbido della band; inatteso il sincopato Budstep Infected. Capitolo a sé stante per Tromba L'Oeil Reloaded: spettrale nella parte dedicata alle evoluzioni dello strumento principe citato nel titolo e lasciato libero di improvvisare nel vuoto, cresce e si avvinghia come pianta rampicante fino a sganciare una deflagrazione improvvisa per un finale al fulmicotone tra svisate rock e free hardcore schizoide. Quando l'elemento Terra incontra l'elemento Fuoco il risultato partorito non può essere altro che un incandescente putiferio magmatico. Vitale. Inarrestabile.
 

lunedì 11 febbraio 2013

NATION
Edible Woman
Santeria - 2013 -

Dalle oscure trame sonore degli esordi noise-core di SPARE ME alle atmosfere claustrofobiche del forse più meditato, ma non meno violento THE SCUM ALBUM il passo fu tutto sommato breve. Ora siamo addirittura giunti al quarto album dopo la sorprendente svolta psichedelica del precedente EVERYWHERE AT ONCE benedetto dalla folgorante A Small Space Odissey e da inattese aperture pop qua e là sparse. Definiti dal sempre visionario Julian Cope come un "gruppo di tori rabbiosi in un negozio di porcellane cinesi" e annunciati da un progetto grafico di notevole e disturbante impatto ad opera dell'italo-belga Bernadette Moens, gli Edible Woman tornano ad inizio 2013 con un album ricco di nuovi e antichi spunti offerti dal trio marchigiano in collaborazione con il prezioso Mattia Coletti, maestro di cerimonie in cabina di regia nonché paziente conduttore sonoro dell'intero progetto. Che la strada intrapresa con il suo predecessore sia stata perseguita anche da questo NATION è fuor di dubbio. Di certo, non si tratta però di una mera riproposizione pedissequa, abbellita semplicemente da qualche miglioria tecnica o sonora. I nuovi brani proposti per 2/3 da Andrea Giommi, basso e voce della band, recuperano piuttosto alcune soluzioni degli esordi al fine di essere ora fagocitate dal nuovo corso e assimilate in quello che, in ultima analisi, pare essere un lungo trip sintetico alla ricerca di una felicità perduta nel mondo reale, capace di fondere l'ossessività dark della title track sia alle pulsioni Sixties di Heavy Skull e della scattante Safe And Sound, sia alle derive cantautorali di The Action Whirpool, caratterizzata dal mellofono di Enrico Pasini e da un pianoforte classico, che sfociano in maniera del tutto naturale nell'inaspettato folk rock della conclusiva Will. Si vedano ad esempio le trombe suonate da Fabio Generali e Agazio Cosentino sull'elettro-sospensione di Money For Gold: nella forma siamo evidentemente lontani anni luce da episodi distorti come Five Minutes Later o deflagranti quali Your Slower Speed, ma nella sostanza vengono catalizzati lo stesso spasmo e una uguale inquetudine che quasi dieci anni prima il loro potente noise tout court era in grado di esprimere. Nel nuovo corso è tutto un lavorar di fino, una continua scoperta fatta di labor lime e cesellatura finché il risultato non risulti il più possibile simile a quello partorito dalle menti dei tre musicisti. In questo modo anche alla "monotempistica" Psychic Surgery è consentito brillare per dinamismo grazie a un riuscito lavoro sul groove. Nella continua opera di rifinitura e sottrazione ecco infine trovare spazio la chitarra di Lorenzo Stecconi, protagonista discreta, ma funzionale, nella  parabola dinamica di Cancer, influenzata dalla miglior new wave britannica di inizio anni '80, e nella calcolata ripetitività di A Hate Supreme. Passato al basso, il componente dei Lento dà il suo contributo pure nella progressione di Call Of The West/Black Merda, quadrata, ma coinvolgente. Forse pur non rappresentando quello che si definisce come disco immediato, NATION è tuttavia testimonianza coraggiosa e programmatica di una ulteriore crescita artistica della Donna Commestibile. Energica e fantasiosa. Per non ripetersi. Per non svanire.
 
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giovedì 7 febbraio 2013

MUSTERI HINNA FÖLLNU STEINA: IL FLUSSO CICLICO NEL TEMPIO DELLE PIETRE CADUTE
 
Alla ricerca del tempo perduto. E di quello che ancora ha da venire. L'esordio discografico per l'innovativa coppia composta dal musicista bergamasco Enrico Ruggeri e il pittore trapanese Elio Rosolino Cassarà ha un pregio non da poco: l'equilibrio. Formale, ma non solo. Qui infatti musica e spunti pittorici si compenetrano in un viaggio fatto di sospensione pura e vasti panorami che la mente abbraccia e al contempo allontana da sé. Non forniscono indicazioni, ma mutano diventando spesso altro. Abbiamo incontrato il placido e determinato Ruggeri: lui ha le chiavi del Tempio.
 
 
Qual è stato il pretesto che ha gettato le basi per la nascita del progetto MUSTERI HINNA FÖLLNU STEINA e quanto tempo ha richiesto la sua realizzazione?
Enrico: Dopo un mio distacco dalla musica durato 4-5 anni pian piano è tornata la voglia di esprimersi in modalità diverse che fossero slegate dal songwriting classico e che mi potessero dare stimoli nuovi. L'occasione è arrivata parlando con Elio, aveva delle mostre in ballo (lui è pittore) ed è saltata fuori l'idea di sonorizzarle con suoni che si potessero intrecciare con l'esperienza visiva. Da lì in poi è stato un crescendo, la voglia di creare è tornata in pieno ed ho cominciato a costruire i primi pezzi. Nel contempo anche Elio ha cominciato a produrre materiale e dopo un lungo lavoro di cernita e produzione durato circa un anno siamo arrivati ad avere in mano il disco finito. In quel periodo stavo collaborando in qualità di grafico e tuttofare con i ragazzi di Neverlab (www.neverlab.it) che si sono subito dimostrati interessati al mio progetto forti anche del fatto che di lì a breve avrebbero allargato il loro raggio d'azione anche alla musica avant. Così sono nati insieme il disco e l’etichetta Neverlab Avant.
 
Perché l'uso dell'islandese per la titolazione dell'album e dei singoli brani che lo compongono. C'è una motivazione particolare?
Enrico: L'islandese è una lingua cara ad Elio che ne è appassionato cultore e sono 4 i titoli in questa lingua, altri sono in tedesco, italiano, serbo, etrusco. Le motivazioni sono svariate e non sono casuali, ogni titolo è fortemente evocativo ma preferiamo non spiegare né indirizzare l'ascoltatore verso un approccio piuttosto che un altro. Deve essere il disco ad arrivare a colpire la sensibilità di chi lo ascolta e chi vuole approfondire lo può fare molto facilmente. Non c’è niente di particolarmente oscuro o pretestuoso o peggio ancora gratuito; il disco racconta una storia, ma ognuno può leggerlo a suo piacimento.
 
Portare dal vivo un progetto coraggioso e anomalo come questo quali rischi comporta?
Enrico: Avendo una lunga esperienza in ambito rock ho maturato una certa sicurezza e so come gestirmi su un palco. Dal punto di vista tecnico è vero che la strumentazione che uso è completamente diversa ed è altrettanto vero che programmaticamente ho scelto di non usare parti pre-registrate, loops o apparecchiature digitali; per cui, pur non suonando in maniera canonica, è necessario molto rigore nel riuscire a gestire il fluire dei suoni. Altri rischi non saprei, direi nessuno...

 
Dunque anche la strumentazione usata dal vivo è particolare. È la stessa usata in fase di registrazione?
Enrico: Parte di essa c’è anche sul disco, ma l'approccio, pur volendo rievocare le medesime atmosfere, è abbastanza diverso. Come ho detto, dal vivo non uso basi registrate o campioni digitali mentre sul disco ci sono suoni di origine analogica fortemente manipolati (in digitale) fino a spremerne suoni alieni.
 
Il ruolo di un artista come Elio Rosolino Cassarà prevede incursioni anche durante i concerti?
Enrico: Per ora no, sì è trasferito a Berlino per lavoro. Si vedrà...
 
I brani tratti dal cd faranno da colonna sonora al film Sardegna Abbandonata, un vero e proprio documentario sui luoghi disabitati dell'isola. Come nasce questa interessante commistione? 
Enrico: Conosco Martino (Pinna - ndr.) da qualche anno perché oltre a SardegnaAbbandonata.it gestisce anche una bellissima webzine musicale (www.guylumbardot.com) su cui ammetto di avere formato buona parte dei miei ascolti degli ultimi anni. A suo tempo gli ho inviato il disco e se ne è innamorato. Quando ha poi avviato il progetto di fare il film è stato lui a dirmi che gli sarebbe piaciuto usarlo come colonna sonora. Ne sono molto felice, è un progetto serio e molto ben concepito.

 
Il fatto che il tuo lavoro attuale si presti a così diverse interpretazioni rispetto all'idea iniziale può essere considerata una delle finalità del progetto?
Enrico: Sì, certo ed è anche una delle cose più interessanti da sondare. La percezione varia molto da persona a persona anche se sono in tanti ad essere concordi sul senso di sospensione e distacco dalla realtà che provoca l’ascolto del disco. Questo in effetti è stato intenzionale da parte mia ed averne conferma è molto gratificante.
 
Come può evolversi in futuro?
Enrico: Sto già lavorando con Luca Barachetti (ex Bancale) ad una evoluzione di quello che è il mio set live attuale. Proporremo materiale nuovo e  qualche cover dei Bancale riarrangiata. Più avanti sicuramente cominceremo a lavorare solo su materiale nuovo e poi vedremo che farne!
 
Tu Enrico arrivi dagli Hogwash, hai avuto e continui ad avere stretti rapporti lavorativi e di amicizia con i Verdena e anche attraverso MUSTERI HINNA FÖLLNU STEINA dimostri una continua tensione alla curiosità e alla sperimentazione sonora: qual è il "fil rouge" del tuo operato?
Enrico: Domanda difficile. Anche negli Hogwash c'è stata discontinuità, si cominciò facendo un rock abbastanza aggressivo per poi provare a sperimentare nuove vie e passare a sonorità intimiste. Non so se si possa trovare un fil rouge che arrivi ad unire Hogwash con MUSTERI HINNA FÖLLNU STEINA; l'unica cosa che mi viene in mente è la pignoleria con cui ho sempre lavorato sulle mie produzioni.
 
Andrea Barbaglia '13

si ringrazia per gli scatti pubblicati il loro autore, Isaia Invernizzi

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lunedì 4 febbraio 2013

CAYNE
Cayne
- Graviton Music Services - 2013

Nati dalla stessa costola che generò i futuri Lacuna Coil nella prima metà degli anni '90, i milanesissimi Cayne capitanati allora dalle chitarre di Claudio Leo e Raffaele Zagaria, dopo numerose traversie e alcuni sostanziali cambi di line up che ne hanno mutato la primigenia votazione al gothic rock, approdano a quello che è a tutti gli effetti il secondo album della loro carriera; il primo però in cui un moderno sound metallico venato di new wave e bagliori elettronici si innesta su una base di robusto e contagioso groove dalle ariose aperture melodiche. Della formazione iniziale è rimasto il solo Leo che a metà degli anni '00 trova nel produttore e tecnico del suono Marco Barusso, reduce dalla lavorazione del fortunato bestseller mondiale targato Lacuna Coil KARMACODE, l'ideale sarto capace di cucire l'abito più adatto ai muscoli e alle cicatrici dei nuovi Cayne. Chitarrista efficace tanto quanto il suo gemello di strumento, Barusso, ottenuta carta bianca da Leo, contatta nei mesi successivi i componenti ritenuti più funzionali al nuovo corso e che, dopo un periodo di rodaggio, entreranno in studio per fissare su cd a dieci anni di distanza esatti dall'esordio OLD FADED PICTURE il primo assaggio del nuovo sound, concretizzatosi nell'accattivante ep ADDICTED, trascinato dall'omonimo, contagioso, singolo. Passa un ultimo anno e, finalmente, si tirano le fila del lavoro. C'è entusiasmo. Tutti i sacrifici, le fatiche, le discussioni e gli ostacoli scompaiono di fronte alle prime note dell'opener The Strain, prologo alla sintesi sonora di Waiting, meditato biglietto da visita dal retrogusto scandinavo, tra i Nightwish di successo e gli ultimi Europe più incattiviti, ma pur sempre con un occhio di riguardo per i Depeche Mode di VIOLATOR. Introdotta da un pianoforte che ci riporta ai fasti di Join Me In Death dei finnici H.I.M., con cui Barusso ha peraltro collaborato negli anni passati, la già nota Together As One si distingue per le ritmiche serrate e il funambolico violino di Giovanni Lanfranchi, vero e proprio marchio di fabbrica capace di scombinare le carte in tavola in almeno metà del platter. C'è spazio pure per i restanti due brani in studio precedentemente apprezzati nell'ep del 2011, seppur qui presenti con un mix differente. Di Addicted s'è già detto in apertura; My Damnation è invece un pellegrinaggio nel Paradiso perduto guidati dai Moonspell di Fernando Ribeiro. Notevole l'excursus vocale di Giordano Adornato, singer di valore capace di passare con disinvoltura dal cantato pulito al growl senza alcun tipo di difficoltà e altro punto di forza della formazione meneghina anche in sede live. Serrato il suo duetto con Andrea Ferro (direttamente dai Lacuna Coil) per Through The Ashes; briosa l'interpretazione in Don't Tell Me, composizione introdotta dal basso di Andrea Bacchio e conclusa dal sempre vincente violino di Lanfranchi, entrambi compagni di band nei pavesi Armonite. La struggente aria di Little Witch è un altro dei passaggi chiave dell'album; nata da un arpeggio di Claudio Leo e dalla melodia di Adornato è una dimostrazione di come atmosfere più accorate siano il naturale rovescio di una medaglia fin qui incandescente e tonante. Come nel caso della bomba sganciata con King Of Nothing in cui fa capolino nientemeno che Jeff Waters con un assolo al cardipalmo. Spettacolare anche la performance del sassone Paul Quinn, lanciato a tutta velocità nel finale dell'epica Black Liberation, un tuffo nella NWOBHM mentre Guido Carli pesta come un dannato. Azzeccate le dinamiche per il robusto crossover di Evidence e Deliverence, spetta alla fascinosa e darkeggiante Like The Stars, con il suo mood oscuro eppure mai ripiegato su sé stesso, chiudere un lavoro dal respiro internazionale notevole, capace di incrementare la fan base della band e indirizzarne il futuro percorso.
 
 - In Cielo ora c'è un Leone in più -  
 Grazie Claudio ( 2-11-1972 - Ω 17-01-2013) 

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sabato 26 gennaio 2013

QUINTALE
Bachi da Pietra
- La Tempesta - 2013

Pesantissimo. Fin dalla copertina, capace di rendere visivamente il senso di oppressione e fatica che la musica suonata scaraventa con indicibile pesantezza sugli stessi musicisti. Schiacciandoli. Annichilendoli. QUINTALE è forse al netto delle spese la quintessenza metallica mai espressa prima d'ora in Italia. Un album capace di rivaleggiare senza timori di sorta al di qua e al di là dell'Oceano con i pesi massimi di certa musica robusta spesso vituperata e preventivamente bollata come rumore. Roboante e necessario. Il duo formato da Bruno Dorella e Giovanni Succi trova in Giulio "Ragno" Favero il nuovo elemento capace di convogliare la violenza e l'ordinato delirio sonoro fino ad ora orditi in combutta prima (TORNARE NELLA TERRA, NON IO) con Alessandro Bartolucci e successivamente (TARLO TERZO, QUARZO) con Ivan Rossi. Il nuovo trio così composto osa e, spingendosi su lidi ampiamente petrosi ed ameni, si trova ad un passo dal baratro, dall'orrido che si spalanca sullo Stige di dantesca memoria in cui iracondi e accidiosi espiano la loro incontinenza. Qui, urtata dai lamenti dei primi che salgono dolenti, la voce di Succi in Haiti vomita la morbosità death dei migliori Morbid Angel mentre chitarra e batteria edificano una cattedrale di metal pagano inespugnabile; dal cielo piovono macigni. E allora riparo lo troviamo solo rifugiandoci al suo interno mentre di fuori il flagello celeste continua la sua opera di devastazione. Pensieri Parole Opere succedono a Brutti Versi rocciosi e a evocativi Mari Lontani, tra rock'n'roll, brutal blues e derive post apocalittiche. Arrington De Dionyso appare come uno spettro armato di sax distorto nella sferzante Paolo Il Tarlo, furioso classico negli anni a venire; si innesta nel primordiale hard rock zeppeliano di Ma Anche No e colora di vermiglio l'Enigma che attanaglia Succi, evidenziando soluzioni armoniche inusuali. Mai prima d'ora i Bachi si erano espressi con una immediatezza sonora e lirica così dannatamente felice. I cori e il riff di Io Lo Vuole, la calma superficialmente pacificata di Dio Del Suolo, la linea melodica di Fessura sono la naturale evoluzione di quelle aperture proposte in Dragamine del precedente QUARZO: là semplicemente scalfite, qua cesellate e lavorate. Un disco monolitico, ma sfaccettato; luciferino eppure politico. Sì, perché dietro alla gragnuola di note martellanti si nasconde una aperta critica alle storture della realtà. Se infatti per un istante si tentasse di scindere dalle musiche le parole mai casuali dei testi ci accorgeremmo di come le liriche di Succi, letterato nel corpo di rocker (la scansione metrica fatta nello stoner rock Sangue è in tal senso esemplare), mirino a fotografare la condizione dell'uomo contemporaneo. Si prenda l'heavy rock della già citata Io Lo Vuole oppure la rabbiosa Coleottero; o perché no, pure il rock rappato della bonus track Baratto@bachidapietra.com. Parole chiare, nette, scagliate con forza e veemenza perché sicure della propria ragione d'essere. Pietre che cadono violente dall'alto verso il basso. Monoliti che schiantano le schiene. E aprono le menti. Altrimenti anche tu sei libero di essere come ti vogliono.
 
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venerdì 25 gennaio 2013

KILOMETRI
Amari
- Riotmaker - 2013

Questa volta abbiamo dovuto penare ben più del solito. Sono infatti quattro gli anni che separano il sottovalutato, ma intelligente e dinamico POWERI dal qui presente ritorno e approdo (definitivo?) alla forma canzone dei Tre Moderni Moschettieri del Carso. Cero, Pasta e Dariella scombinano una volta ancora le carte in tavola e realizzano il disco più tradizionalmente italiano della loro carriera. Lontane le pulsioni hip hop e le iconoclastiche pose rap degli esordi, assimilate, ma abbandonate le più recenti lezioni di inglese, rielaborate le soluzioni pop che da sempre a ben guardare sottendono al loro lavoro, gli Amari vanno ad approfondire il lato cantautorale della musica. Dariella in particolar modo, forte anche dell'esperienza accumulata come autore SIAE in questi ultimi anni, spinge in una direzione sonora fin qua solo accarezzata; forse canonica in altri ambienti, ma dagli esiti imprevedibili da queste parti vista l'alchimia mai smarrita con gli altrettanto imprescindibili Cero e Dariella. È dunque positivamente scioccante il ritorno nell'etere annunciato attraverso il singolo Il Tempo Più Importante. Non più sorprendente patchanka elettronica à-la Bolognina Revolution né roboante singolone mozzafiato come fu Le Gite Fuori Porta, ma delicata e matura canzone tout court dall'invidiabile equilibrio formale che non rinuncia tuttavia a escamotage valvolari per ribadire un certo patrimonio genetico irrinunciabile. Gli Amari avanzano sicuri, quasi in punta di piedi. Sparito il campo minato del Gran Master Mogol il viaggio prosegue sicuro nel solco della rassicurante tradizione pop, macinando quei Kilometri descritti nell'omonima canzone, malinconico trip hop ipnotico, scelta per dare pure il titolo all'album. La lezione della "new wave romana" di Tiromancino e Niccolò Fabi in Aspettare, Aspetterò, l'inaspettata vicinanza a un certo modo di scrittura proprio di Max Pezzali (il contagioso pensiero generazionale di Africa, la rivoluzione bubblegum di Ti Ci Voleva La Guerra, la già citata title track), le sonorità piane e lineari dosate con discrezionalità non sono mai in antitesi con i restanti episodi raccontati a partire dal colorato omaggio battistiano di Rubato fino all'agrodolce monologo sentimentale, contrappuntato dalla tromba di Michele Procelli, de Il Cuore Oltre La Siepe. In molti se ne saranno accorti e il buon Lorenzo Cherubini avrà sicuramente avuto modo di apprezzare una volta ancora l'operato degli Amari insieme a tutto il suo staff. Un unico, vero sguardo al passato lo percepiamo nella dissonante proposta de La Ballata Del Bicchiere Mezzo Vuoto; in parte per la metrica ritmata del testo, in parte per le basi prese in prestito dalla scatola dei giocattoli di Mondo Marcio. Ma quello era anche il tempo degli amori immaginati. Un'altra epoca insomma. Oggi la realtà è invece più concreta che mai. E nel mezzo si è completata una metamorfosi. Come si è arrivati A Questo Punto? La risposta è nel percorso intrapreso dalla band nei suoi quasi quindici anni di carriera; un cammino guidato dal lume della curiosità, con un raggio di azione capace di spaziare a 360° e la necessità costante di osare. Sperimentando, sbagliando, correggendo e alzando il tiro. Con criterio e metodo. In continuo e folle movimento.

giovedì 17 gennaio 2013

LA RIVOLUZIONE NEL MONOLOCALE
Alì
- La Vigna Dischi - 2013

C'è lo spleen di Vasco Brondi; c'è la tradizione cantautorale italiana che si fonde con quella americana; c'è la collaborazione con uno dei Premi Tenco del 2012, l'amico Lorenzo Urcillo in arte Colapesce; c'è una etichetta piccola piccola, fatta in campagna, a Mazara del Vallo, che investe nelle idee di chi le condivide. E c'è una mezz'ora abbondante di canzoni scritte inizialmente per chitarra e voce che paiono sgorgare sì chete, ma comunque urgenti, senza soluzione di continuità, direttamente dalla vena poetica di un giovane catanese trapiantato a Siracusa. Così Stefano Alì si presenta al debutto nel mondo della canzone. Con una manciata di delicati quadri impressionisti dalle tinte pastello, pensati, provati e studiati lungo il corso di decine di giornate tutte dannatamente uguali, fatte di immobile precariato e con la consapevolezza innata dell'alto patrimonio culturale che le antiche vestigia sorte lì vicino, a due passi dalla città, seppero garantire alla Trinacria rendendo grande tutta l'isola. E dunque, anche con tutta quella rabbia possibilmente accumulata in questi anni a causa dell'immutabilità del contingente, così lontano dal glorioso tempo che fu. È sintomatico il fatto di come tematiche così soggettivamente uniche accomunino in realtà tutto lo Stivale italico, partendo dalla Torino di Vittorio Cane, passando per la Bassa di Giuseppe Peveri, facendo sosta nella Toscana di Lorenzo Cilembrini, meglio noto come Il Cile, e arrivando appunto fino alla Sicilia di Alì e dello stesso Colapesce, che qui ritroviamo nelle vesti di produttore. Un sentimento quasi generazionale che di fronte alle disillusioni della vita (Roulette) e dei sogni (Continuare A Vendere Oro) trova rifugio temporaneo nell'amore (Le Nostre Bocche Incollate, New York) oppure nel suo ricordo (Maggio) anche se a volte conflittuale (Armata Fino Ai Denti). L'elogio all'ozio di wolfanghiana memoria (Per La Gioia Di Woodoo) e la mirata rappresentazione del tedio predomenicale sintetizzata nella geniale Cash (forte di una frase da mandare a memoria ad libitum: "è giunto il saba-to e ci si veste a ca-zzo") valorizzano ulteriormente questa rivoluzione da monolocale. I conclusivi Racconti Di Viaggio sono evasione pura, ma senza allontanarsi troppo da esso ché l'omaggio ai propri eroi (la cover di Paolo Conte Il Miglior Sorriso Della Mia Faccia) merita di essere riprodotto in piccoli spazi, caldi e familiari. Coadiuvati magari da una manciata di amici ben disposti dall'ambiente a condividere umori e sensazioni. Poi, per i fuochi d'artificio di fine giornata, potrebbe bastare il terrazzo vista cielo del condominio. Un modo come un altro per vincere il grigiore che ci circonda.
 

lunedì 14 gennaio 2013

ECCO

ECCO
Niccolò Fabi
- Universal - 2012

Se qualcuno ha ancora ben vivo il ricordo del caloroso concerto tenuto da Niccolò Fabi nell'area mercatale di Leverano pochi giorni dopo il Ferragosto del 2011, in compagnia di Simone Cristicchi e dei baresi Aralco, non si sorprenderà di leggere ora nei crediti di ECCO, settimo album in studio per il cantautore romano, la registrazione dello stesso presso i rinomati Posada Studio ubicati nella vicina Lecce. Esaurito il Solo Un Uomo Tour, concessasi nei mesi successivi qualche sporadica apparizione in solitaria al pari di centellinate ospitate in eventi culturali di ampio respiro, Fabi per tre settimane, complice il padrone di casa Roy Paci e i compagni del suo viaggio in musica capitanati dall'amico di sempre Fabio Rondanini, scende una volta ancora verso sud trovando quel giusto mix di armonia e slancio compositivo utile per fissare le coordinate del nuovo lavoro. Il Salento dunque, come oasi di universalità ed equilibrio. Per ripartire. Una volta ancora. E Niccolò torna; torna e lo fa in compagnia. Innanzitutto di Roberto "Bob" Angelini con cui oltre a condividere gli strumenti a corde lungo tutto la durata dell'album divide le parole nel singolo Una Buona Idea, perfetta fotografia dell'uomo Fabi messa a fuoco nel mezzo del moderno cammin della propria vita. In seconda battuta, torna con una manciata di canzoni legate indissolubilmente al suo autore, al suo stile, così maturo e riconoscibile eppure ancora capace di rinnovarsi attraverso le piccole sfumature di un "percorso (dinamico) pensato per l'ascoltatore". Diversi gli spunti. Alla liberatoria calma descrittiva, sottolineata dalla Orchestra APM di Saluzzo, di Elementare si sostituisce la consapevolezza agrodolce di Lontano Da Me. Un arpeggio sensuale caratterizza i Sedici Modi Di Dire Verde, con quel salto emozionale di metà ascolto esaltato dalla slide guitar e sistematicamente evidenziato dalle sfumature soul del pezzo; la reciproca e naturale influenza con l'amico Max Gazzé si avverte nel rock confidenziale di Verosimile, doppiato nella voce, sostenuto dal basso di Gabriele Lazzarotti, contrappuntato dalle chitarre e finemente "sporcato" dai synth di Mr. Coffee. Un antico alone alieno si impossessa delle atmosfere notturno-noir di Le Cose Che Non Abbiamo Detto le quali a loro volta fanno il paio con l'andamento bandistico di Io; lo sguardo rivolto alla propria infanzia si consuma nell'autobiografica I Cerchi Di Gesso e matura con la crescita di Indipendente. In chiusura c'è ancora meritato spazio per lo space pop strumentale di passaggio per le Indie, trampolino di lancio in vista del sontuoso finale di Ecco, rabbioso bilancio sugli equilibri della vita. Dal vibrante slancio emotivo e dalla sorprendente vigoria; intensa e rabbiosa. Un must. Poi certo, se non se ne ha mai abbastanza, si può andare alla ricerca nel web delle Angelo Mai Sessions, un versione audiovisiva registrata dopo l'uscita del cd per capirne meglio l'evoluzione e il dinamismo. Con tutti i suoi interpreti. Del resto chi cerca trova. E gode di più. Bravo Niccolò, bentornato!

domenica 13 gennaio 2013

SEE YOU DOWNTOWN
SYD
- Etnagigante - 2013
 
Se l'electroclash, l'industrial e le contaminazioni tra rock e digitale con un sospetto di funk sono pane per i vostri denti SYD è la next best thing capace di deliziare anche i palati più esigenti. Una proposta tutta italiana, dalle indubbie potenzialità mondiali già ben sviluppate in questo esordio fulminante. Noto in precedenza con il nickname di John Lui, Marco Pettinato consolida il recente rapporto con Etnagigante sviluppando la sua idea di musica totale. Al suo fianco Roy Paci e Marco Trentacoste per una miscela esplosiva capace di non porsi limiti se non quelli fisici dell'oggetto cd. I rimandi sono principalmente d'Oltremanica e d'Oltreoceano, ma la melodia, stratificata sotto decibel e linee elettroniche, c'è ed è tutta italiana. Calda. Vitale. Forse è anche per questo che SEE YOU DOWNTON funziona così bene, proponendo una via alternativa, personale, capace di affiancarsi, affrancandosi, a quanto fatto da personaggi del calibro di Trent Reznor e Martin Gore; nomi fino a qualche anno fa impossibili anche solo da avvicinare per un progetto italiano. Ci sono così i Nine Inch Nails riletti secondo il gusto new wave dei primissimi Duran Duran nell'anthematico inno artificiale Broken Generation; si viene travolti dall'onda d'urto sollevata dal treno in corsa targato Apollo 440 di Stop To Rush mentre avanzano strisciando le ossessioni di I Hold You prima di aprirsi ad un refrein che pare proveniere dal Giardino del Suono di Chris Cornell e Kim Thayil; seppur mutuato dal Dave Gahan di ULTRA. Memore dell'esperienza in sala di produzione accanto agli Emoglobe e ai Mallory Switch, forte di quella consumata sui palchi con i mai dimenticati Deasonika e ampiamente appoggiato dal titolare del progetto SYD, Trentacoste spinge violentemente sul tasto dei bits (la torbida frenesia chimica di To The Deeper Space è uno degli esempi più lampanti), mantenendo tutto quel fascino dark che la band di Max Zanotti era in grado di sprigionare accanto ad un voluminoso muro di suono ancora oggi insuperato. Non un passo falso negli oltre 50 minuti di foga musicale. Every Grain ha il santino di Mike Patton per benedirla così come How Many Reasons guarda ai lavori di Rob Zombie pur viaggiando su binari rock più convenzionali. Eppure all'interno di questa opera prima non mancano l'ossessivo trip hop dei Massive Attack più oscuri e quello del Tricky più luciferino. Just For A While riesuma i ritmi febbrili della club culture per trascinarsi liquida e digitale sui dancefloor di mezzo mondo prima di stupire con l'impennata rock del finale. Frozen mescola a sorpresa il blues della West Coast alla pece mansoniana per un potenziale singolo à-la Death in Vegas. Compressi e dilatati i Chemical Brothers non potevano certo mancare e il loro spirito anima la devastante Trip To Miami posta giusto un passo prima della fine. Spettacolare, e non poteva essere altrimenti, la chiusura ai limiti dell'electroclash affidata alla frenetica Sinner, vellutato proiettile adrenalinico sparato a tradimento. Gran lavoro davvero; una ventata di energia trasversale capace di attraversare lo Stivale prima di scuotere i cinque continenti. Con attitudine e classe.
 
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sabato 12 gennaio 2013

NON SONO MAI STATO QUI
Geddo
- Tomato - 2013

Ecco, questa è una di quelle piacevoli sorprese che il cantautorato di casa nostra, quando il solito menagramo di turno lo dà per morto e sepolto, è in grado di proporre e offrire. Riallacciandosi in maniera piuttosto evidente alla Tradizione che negli anni Settanta ha fatto la fortuna di molti musicisti, Davide Geddo si mette in gioco, dà libero sfogo alla sua creatività e da quel lembo d'Italia che chiamiamo Liguria mette sul tavolo da gioco un disco estremamente felice e riuscito. Nei suoni, nelle liriche e nella produzione. Fenomenale. Giunto al secondo lavoro solista, l'analitico chansonnier di Albenga dalla voce calda e roca così vicina a Edoardo Bennato inanella quindici-canzoni-quindici senza mai denotare fasi di stanca; anzi offrendo una vasta gamma di mondi sonori rivestiti da un sottile strato di spigoloso pop che si contaminano via via con il rock (l'ariosa Dicono Che Io per struttura simile all'attuale Ligabue), il funk (la strepitosa Il Post Amore condivisa con la voce soul di Chiara Ragnini), il folk agricolo (Dall'Amore (Interventi Di Modifica Alla Viabilità Inferiore)) e quello cantautorale (la massaroniana Equilibrio), lo swing (il lampo di Piccolina), il brit-pop orchestrale (la malinconica avventura de L'Astronauta Di Provincia). Tanti piccoli cortometraggi che uniti alla magistrale forza evocativa di Venezia, alla sbandata alcolica di Tristano, alla cinematografica Angela E Il Cinema e al country rock venato di Southern espresso in Stare Bene vanno a comporre i capitoli di un ben più ampio film girato prima nei luoghi della mente, immaginati e forse vissuti dallo stesso Geddo, poi tra le mura dell'Hilary Studio di Genova. Si aggiungano la malinconia indie-rock de La Campionessa Mondiale Di Sollevamento Pesi dal vago sapore afterhoursiano, il retrogusto nomade della gucciniana Nancy, la preziosa Sole Rotto speculare alla ben più famosa L'Isola Che Non C'è del già citato Bennato, le dissertazioni esistenziali di Un Pugno In Un Muro sottolineate dal flicorno di Stefano Bergamaschi e il cerchio è chiuso. C'è ancora spazio per una ultima sorpresa, per la verità: la title track, negli umori così distante dal resto del lotto e per questo anche più incisiva. Così in solitaria, per chitarra acustica, voce ed elettronica. Un nuovo (e a tratti inatteso) biglietto in vista di quel futuro viaggio che, oltre l'orizzonte, aspetta fin da ora l'autore ligure. Un plauso a Geddo dunque, ma grande merito pure a tutti i numerosi musicisti che lo hanno accompagnato in questa sua nuova avventura, capaci di ricreare quella amalgama sonora su cui Geddo ha buon gioco nell'intrecciare dettagli minimali e grandi realtà. Parafrasando un celebre interprete inglese: mai un attimo di noia. Fossero anche solo canzonette, si può forse fare finta di niente davanti a un gioiello di questa caratura?!?
 
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giovedì 10 gennaio 2013

BEAUTIFUL BUT EMPTY
Kafka On The Shore
- La Fabbrica - 2013

Uno degli indiscussi vantaggi che l'ormai addormentato Villaggio Globale è stato capace di generare è la facilità di entrare in contatto con realtà a volte anche estremamente differenti rispetto ai propri luoghi di origine. Certo: tecnologia, modernità e progresso scientifico non possono comunque dimenticare il ruolo non meno determinante che il Fato ha poi avuto nel(lo s)combinare gli eventi; ma siamo altrettanto sicuri che anche solo una ventina di anni fa una formazione variegata come il combo dei Kafka On the Shore avrebbe potuto muovere i primi passi non solo all'interno del panorama musicale, ma già solo nella vita di tutti i giorni? Con molta probabilità la risposta sarebbe negativa e oggi saremmo stati privati di un riuscito disco di esordio capace di porsi a metà strada tra le sperimentazioni di uno sghembo rock europeo e le scorribande sonore più lisergiche e calde di stampo americano. Il "disco dei due mondi" allora? Ancora no, ma se i KOTS sapranno mantenere le promesse di questo BEAUTIFUL BUT EMPTY sapremo da dove tutto ha avuto inizio. L'italianissimo Vin(cen)z(o) Parisi, l'americano Elliott Schmidt, il teutonico Daniel Winkler e il chitarrista Freddy Lobster pescano in egual misura tanto dal passato quanto dal presente della musica mondiale per condensare in tre quarti d'ora un viaggio nato sull'asse Berlino-Palermo con base logistica in quel di Milano. Un'avventura nata quasi per gioco, una scampagnata fuori porta dai risultati bizzarri che premiano l'ascoltatore dopo i primi istanti di smarrimento di fronte alla tavolozza di suoni usata dalla band. Si respira entusiasmo a pieni polmoni fin dalla prime note di Berlin, originale omaggio alla capitale di quello stato che ha dato i natali sia al biondo cantante-chitarrista Elliott sia al batterista Daniel. Un quadro multicolore, eclettico e bizzarro come le modulazioni, ora cavernose ora acide, della voce del giovane Schmidt, che trovano nella psichedelia della mini-suite Walt Disney i binari giusti per essere veicolate. D'un tratto ci si trova catapultati al Moon Palace in compagnia di Bob Dylan mentre Adam Duritz con la sua enfasi sincera pare rassicurarci offrendoci un gradito drink. Le tastiere di Lost In The Woods han quel non so che di Litfiba d'annata, ma shakerato con chitarre post punk e voce nasale à-la Tom Petty per un inaspettato connubio tra passato e presente; così come Airport Landscape che riesce a fondere una attitudine futurista al volo e atmosfere indiavolate più contemporanee. Le stesse peraltro presenti nell'eterea Venus, ossessiva disamina condotta in compagnia della sempre riconoscibile Chiara Castello, più volte ascoltata nei 2Pigeons e, prima ancora, con i Museo Kabikoff. Se a tutto questo aggiungiamo l'ottima digressione Sixties di Lily Allen In Green con quel suo impagabile e nervoso retrogusto acido, ci si può accomodare felici alla tavola degli ormai disciolti R.E.M. per mangiare un piatto caldo di zuppa Campbell's in compagnia di Robert Smith ed Andy Cairns. Poi se qualcuno vuole può pure distrarsi con la signorina in copertina...
 
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