venerdì 17 ottobre 2014

SONGS FOR TAKEDA

SONGS FOR TAKEDA
Letlo Vin
- autoproduzione - 2014

Letlo è un nome che circola da qualche tempo nell'ambiente del cantautorato indie nostrano. Allevato a suon di folk anni '30 e rock'n'roll anni '50, accompagnato da una chitarra acustica - sovente elettrificata - e cresciuto negli ultimi anni sui palchi di mezza Italia, Letlo Vin resta a tutt'oggi una piacevole quanto sfuggente incognita avvolta da un alone di mistero che ne aumenta il fascino impenetrabile di interprete maledetto. In fuga qui da noi da chissà quali demoni e quale oscuro passato vissuto nel suo paese d'origine. Non si sa molto di lui. Il richiamo dell'ignoto è più forte di qualsiasi spiegazione e intento razionale. Le forze ancestrali evocate nelle notti artiche hanno il sopravvento su ogni tentativo di approfondire la figura di un uomo vissuto dai più come scostante lupo solitario. Ma sono quegli stessi spiriti guida, provenienti da chissà quale landa ignota, a prenderci per mano, incendiare l'animo e divampare silenziosi come fuochi fatui tra le pieghe sonore delle immaginifiche SONGS FOR TAKEDA, l'ottimo esordio discografico realizzato da Vin come omaggio imperituro teso ad esorcizzare la drammatica scomparsa dell'amico suicida evocato nel titolo. Dieci brani niente affatto à-la page, ma decisamente incisivi e convincenti come la tradizione di certo rock e folk americano insegna. Musiche e parole che bucano la pelle, trafiggono la carne, si sedimentano nei capillari e da lì circolano, infette, dentro il corpo. Canzoni in grado di condurci in una spirale di lucida malinconia e dolore con la leggerezza di un vento che soffia forte tra i rami della folta vegetazione subpolare. Spettrale e dolente come i demoni di Roll Over My Devils. Come l'ululato lamentoso del lupo affamato che si estende nella notte sulla valle. Come la depressione. Cartoline dall'inferno, fotogrammi scarni e consunti; agghiaccianti nella loro drammatica realtà. È qui che avviene il contatto con l'ignoto attraverso il quale restiamo in contatto con dimensioni altre, ai più ancora sconosciute. Solo allora le domande salgono alte, vivide, dirette ad un cielo che resta in silenzio. La landa solitaria risponde con un muto cenno di assenso attraverso il freddo pungente, rischiarata dalla pallida luna lassù, attorniata da rade nubi rarefatte. Un salto nel buio, il riverbero di una voce spizzicata à-la Billy Idol, in acustico su Your Mama Saw You There. E ancora: sbiascicata nella torbida passività di un pericoloso fine settimana, esangue fino a scomparire dissolvendosi nell'elettricità sofferta e sofferente di Friday Night un venerdì sera qualunque. Atmosfere gotiche e acustiche in It Won't Last Long con il freddo nelle ossa e il coro finto gospel (e una chitarra presa quasi in prestito dalla vita selvaggia di una lontana Times They Change) a buttare fuori dall'oscurità la storia di un soldato vinto, sopraffatto da sé più ancora che dal destino. Dicembre è alle porte (Blue Xmas Time) e gli aghi dei pini si tramutano già in spade. Anche a Lodi. Shannon Hoon, Layney Stanley, Andrew Wood, Jeff Buckley hanno ora un amico in più. Una nuova mad season è alle porte. Max Carinelli annota tutto su un taccuino e guarda lontano.

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