mercoledì 25 maggio 2011

LOVE AND DEATH
Ebo Taylor
- Strut Records - 2010

Dal cuore dell'Africa nera ecco un precursore, una guida, un autentico big dell'Afrobeat che alla veneranda età di 74 anni pone fine ad un silenzio discografico internazionale lungo tutto una vita e grazie alla sempre competente Strut condensa in poco meno di 45' suggestioni, suoni e sapori di tutta una nazione, di tutto un continente. L'incedere ipnotico e ancestrale di Nga Nga diventa un classico fin dal primo ascolto e ci avvicina ad un mondo comunque altro rispetto al nostro, nel miglior modo possibile in questi difficili anni di faticosa e non sempre convincente globalizzazione, attraverso cioé le differenze. Le differenze di lingua e di ritmo, sempre così vitali quelli africani, sempre più omologati e sintetici quelli occidentali. African Woman è un antico funk che ha il sapore di oasi ristoratrice, doveroso e lussureggiante omaggio alla generatrice dell'universo, donna splendida e affascinante, tanto terrena quanto legata alle sfere della volta celeste. Il magico e tragico racconto di Love And Death è tratto dagli standard di Ebo e verte sulla contaminazione tra l'afro jazz e l'R&B di miglior fattura mentre scorrono malinconiche le immagini di un matrimonio poco felice. Mizin è il nuovo inno: cantato nella propria madrelingua subisce l'affascinante ripetitività del ritornello e dei fiati che fanno amare il singolo scelto per la diffusione discografica fin dalle prime note, teletrasportandoci davanti a interi villaggi e popolazioni danzanti in festa. Due gli strumentali: la nuova Kwame, composizione dedicata al primo presidente del Ghana indipendente Kwame  Nkrumah ed impreziosita da una chitarra acustica in continuo assolo flamencato sopra ad un tappeto di organi e percussioni contrappuntato dagli immancabili fiati, e l'altro grande classico del repertorio di Mr.Taylor, qui rispolverato con una veste solo leggermente più "moderna", la jazzata Victory dall'indomito sax. Oborekyair Aba è un esempio di world music corale che va a gareggiare perfino con le tastiere dei...Doors (!?!) mentre la suadente Obra chiude il cerchio delle danze e accarezza l'ascoltatore sul far della sera. Coadiuvato da un manipolo di strumentisti provenienti tanto dall'Africa (il chitarrista Oghene Kologbo, il drummer Ekow Alabi) quanto dall'Europa (Patrick Frankowski al basso, il chitarrista J.J.Whitefield e Thomas Myland al clavinet e all'organo, tutti provenienti dalla Germania) e dal continente nordamericano (il trombettista canadese Stu Krause e il sax baritono di Ben Abarbanel-Wolff direttamente dagli Stati Uniti) raggruppatosi sotto il nome di Afrobeat Academy e di stanza a Berlino, Ebo Taylor dunque ammalia senza volerci mai far capitolare, ma obbligando piuttosto le nostre membra, troppo spesso irrigidite da vite sedentarie e monotone, ad una incessante danza tribale, originale e primigenia, pulsante lo stesso ritmo del nostro cuore. Noia, stanchezza e depressione sono perciò del tutto estranee e bandite da quanto apprendiamo grazie a questo tuffo sincero e illuminante nel Continente Nero. Restiamo in fremente attesa per le tre tappe live dei prossimi giorni, rituali a cui non vogliamo mancare.

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