domenica 17 aprile 2011

DEMOLITION
Judas Priest
- SPV - 2001


Il cyborg JUGULATOR aveva già mietuto diverse vittime: il minaccioso DEMOLITION tenta di far altrettanto se non di più. Ancora Tim "Ripper" Owens alla voce per un album che denota maggior dinamismo rispetto al suo predecessore. La macchina dei Judas Priest parte subito a razzo con l'opener Machine Man, proiettile umano scagliato con ferocia da una band di veterani in piena forma che concede immediatamente il bis con One On One, canzone introdotta sì da suoni sintetici, ma che si sviluppa per quasi sette minuti in un mid tempo dal groove grasso e da un buon ritornello mentre nel finale l'accoppiata K.K. Downing e Glen Tipton si alterna nel preciso e folgorante solo di chitarre. Fin qui dunque pelle e borchie come sempre, nella migliore tradizione possibile. Le sorprese arrivano a partire da Hell Is Home. E non in senso negativo. L'atmosfera lugubre e dark che l'intro recitata da Ripper ci offre poggia su un arpeggio delicato per quella che risulterà essere un esaltante performance del cantante il quale, novello Halford, tocca vette vocali valide a zittire gli ancora zelanti detrattori di sempre, mettendo a fuoco un brano al passo coi tempi e a suo modo innovativo. Su questa falsariga, con Don Airey sempre ospite alle tastiere, anche Close To You, sofferta e dilatata confessione di una perdita; enfatica, ma mai stucchevole. Jekyll And Hyde ha il pregio di esternare attraverso l'interpretazione di Owens tutta la sofferta duplicità del personaggio di Stevenson, consumato e roso dall'interno a causa della sua maledetta condizione umana. Devil Digger, Bloodsuckers e il loro ottimo lavoro di chitarre provengono direttamente da JUGULATOR; la successiva In Between si segnala per i continui cambi di atmosfere mentre Feed On Me sintetizza la compattezza sonora dell'album tutto che assesta una zampata vincente nella robotica e disturbata Subterfuge dall'anthematico ritornello. La scelta di inserire a questo punto della tracklist un lento a tutti gli effetti qual è la melodica e pregevole Lost And Found, concedendo un attimo di respiro, può stupire visto che qualche anno fa i cinque avrebbero probabilmente spinto ulteriormente sull'accelleratore, eppure il brano funziona e si distingue grazie anche alle sue chitarre acustiche. Altre novità arrivano dalle sempre più invasive aperture synth della mastodontica Cyberface, poderoso brano scritto in collaborazione con quella piovra che è l'ottimo Scott Travis prima di giungere all'apocalittico finale di Metal Messiah, ennesimo minaccioso personaggio tratteggiato dalla visionaria penna di Tipton, qui autore di tutti in brani, in questa occasione in collaborazione con l'ex produttore Chris Tsangarides, tra sfuriate metal e impasti vocali di Owens che rasentano atmosfere rap e industrial senza sbavature. Non contenti, sulla stampa tedesca del cd ecco, oltre ad un plettro e un adesivo, due bonus track: la storica Rapid Fire è metallo incandescente, in puro Judas-style mentre la cover dei Fleetwood Mac The Green Manalishi (With The Two Pronged Crown) aggiunge un tocco di statuaria fierezza alle già ottime performance precedenti grazie anche al sempre preciso basso di Ian Hill, monumento vivente della band. Chi vuole la reunion con Halford faccia un fioretto: il prete di Giuda vi aspetta nel confessionale.

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