giovedì 27 novembre 2014

PIETRAIA

PIETRAIA
Kabikoff
- Sinusite Records - 2014

Qui ci sono sette anni di pura energia repressa, lasciata pericolosamente (e volutamente) fermentare nel corso di una attesa troppo lunga. Poche storie: per quanto ci riguarda PIETRAIA è l'ultimo grande album di inediti targato 2014. In Italia e all'estero. Il corrosivo crossover dalle mille sfaccettature che già come Museo Kabikoff la band del tenace Alberto N.A. Turra - unico sopravvissuto della line up originale - aveva proposto grazie alla camaleontica performer Chiara Castelli, è mutato una volta ancora. In primis, Kia non fa più parte della partita dopo aver deciso di percorrere altre strade musicali legate a un suono profondamente elettronico, ma pur sempre umanamente sostenibile, in cui l'analogico si sposa alla perfezione con l'ingegnosità sua e del polistrumentista Kole Laca; seconda di poi, l'ingresso in pianta stabile del nuovo cantante Kino Deregibus ha contribuito a irrobustire - se mai ce ne fosse stato bisogno - l'attitudine in your face da sempre peculiarità del combo milanese. Una vena hardcore capace di iniettare nella proposta musicale della band, sempre almeno due passi avanti rispetto alle mode del momento, un dinamismo e una rabbiosa potenza dinamitarda abili nello sgretolare e mandare in frantumi ogni certezza fino ad oggi accumulata. Una sassata violentissima in piena fronte, capace di farci sanguinare copiosamente. E di lasciarci una cicatrice perenne; monito e avvertimento. Una esistenza quella dei Kabikoff che è valvola di sfogo per il talento del già citato Turra e dell'affiatata sezione ritmica composta da William Nicastro (Rezophonic, Max Zanotti) e Sergio Quagliarella (Mamud Band); una entità compatta, come un pugno chiuso, in grado di archiviare difficoltà personali e nascondere miserie esterne, abile nell'approcciarsi a un melting rock meticcio e aggressivo al punto giusto. Ci pensa Pupilla a rendere evidente tutto quanto, nella sua scattante e muscolare guerra di nervi che ci salva dall'abisso dell'appiattimento culturale insinuatosi fra la gente. Si ridefiniscono i contorni, quasi fosse un nuovo entusiasmante esordio, con un approccio strumentale eloquente, enfatizzato dall'irruenza di Kino, "controllatamente" allo sbando, controversa e salvifica. Fobie (Polpa), incubi (inQura), ansie, angosce: non mancano motivi per sprigionare una energia esplosiva proveniente direttamente dai bassifondi della società, ma più ancora da quelli dell'anima. La visceralità -core che a suon di metal, funk, prog, punk e molto altro ancora si fa largo tra le nove canzoni di PIETRAIA manifesta un disagio e una verve ugualmente simbiotiche, efficaci per far emergere in tutta la sua prorompente e spigolosa espressività l'insofferenza posta come condizione sine qua non per far compiere al rock la sua missione primaria: quella di agitare e scuotere le coscienze. Una lezione difficile da portare a termine, che non necessariamente i grandi, ma solo chi ci crede davvero è in grado di realizzare nel miglior modo possibile; un compito non meritevole di restare chiuso in un museo, ma che chiede piuttosto di essere affrancato da dogmi e sicurezze, dando il là ad una forma d'arte che non è celebrazione, ma vita. Anzi, che è celebrazione di vita. Insomma Kabikoff, bentornati!

lunedì 24 novembre 2014

ALL IMPOSSIBLE WORLDS

ALL IMPOSSIBLE WORLDS
HysM?Duo
- Wallace Records/Neon Paralleli/Il Verso del Cinghiale/Only Fucking 
Noise/Hysm?/Eclectic Polpo/Kaspar House Studio/Ashame/Qsqdr/Dente di Sega/Lemming Records - 2014

Ci accoglie con una distorsione l' HaveyousaidMidi?Duo che vede una volta ancora come protagonisti Stefano Spataro e Jacopo Fiore, coadiuvati qua e là per l'occasione da una manciata di improvvisati (poteva essere altrimenti?) ospiti sopraggiunti nello studiolo perugino di Ferdinando Farro per rifinire il loro sesto lavoro in studio. Saldamente al timone di comando per questa nuova avventura i bislacchi marinai del suono, autori di psichedelici esperimenti sonori avant-garde come RUMOR VINCIT OMNIA e il più recente e accessibile SCIENCE IN ACTION, si trovano oggi a solcare i mari sconfinati del rock meno convenzionale alla ricerca di nuovi mondi da colonizzare. Che non ci sia una vera e propria direzione unitaria lo si capisce dai continui cambi di rotta che, al solito, caratterizzano i brani contenuti anche in questo vinile, promosso da uno scatto in bianco e nero di Valentina Vagnetti, in arte VACVO. A differenziarsi dai precedenti album ci pensa tuttavia una sorprendente e nuova tendenza alla progressione costruita a suon di percussioni ed elettricità, priva di reali schemi compositivi, ma che, tentata la carta dell'evoluzione sonora, chiede - trovandoli - sostegno e aiuto nella messa a fuoco di idee e stimoli creativi. Una seconda, reale, concreta linearità riconducibile poi a ALL IMPOSSIBLE WORLDS è ravvisabile nel concept di fondo teorizzato e approfondito in musica dal duo tarantino. La ricerca personale, la conoscenza, il mutamento dell'esistenza, il linguaggio: sono queste le tematiche alla base di episodi sequenziali che vanno dalla camaleontica Leviathan Vs Predator alla conclusiva Death & Dreams passando per la composita I Want To Hug Everything su cui compaiono i sax incrociati dello Squarci(aci)catrici Andrea Caprara e di Francesco Li Puma, reclutato direttamente dagli improvvisatori collettivi Atomic Clocks. Eppure il raccordo lirico che al solito compare e viene generalmente sviscerato dalle migliori rock band mondiali attraverso suite musicali o testi fra loro concatenati, qua viene sì sfruttato nei titoli degli episodi che compongono il platter, ma solo accennato, fugacemente e quasi di nascosto, nelle poche parole, centellinate e minimali, proposte dagli HysM?. La decisione di affidarsi al potere immaginifico dei loro brani per liberare le emozioni da essi stessi prodotte e suscitate è sicuramente una scelta da un lato logica e ragionata, che libera da un ruolo ancora non richiesto di "frontman" i due musicisti; dall'altro spontanea e naturale, capace di rendere protagonista l'ascoltatore, inaspettato terzo incomodo della narrazione. È dunque possibile combinare l'approccio creativo dell'uomo con l'inesorabile andamento della natura? Nelle intenzioni tutto è ragionevolmente plausibile e ortodosso, ma non basteranno quaranta minuti di fiero avant-rock ad esaurire l'argomento. Forse non basteranno neppure una, cento, mille, infinite vite per farlo; meglio allora guardare al presente, credere in una parte di bugie e rapportarsi al mondo per quello che è. O per quello che crediamo sia. Sempre che mai qualcuno ce l'abbia richiesto.  

mercoledì 19 novembre 2014

LE STANZE - EP

LE STANZE - EP
Distinto
- autoprodotto - 2014
 
Quattro tracce per indicare la via che conduce ad un maturo eppure sbarazzino cantautorato realizzato con una naturalezza che conquista fin dal primo ascolto, senza alcun timore reverenziale verso i big della canzone. Così si presentano i Distinto, originariamente duo di cantastorie dei giorni nostri allargatosi in occasione della registrazione de LE STANZE a trio grazie all'ingresso in organico di Paolo Perego alla batteria. Dopo aver appurato la bontà del loro operato non è ben chiaro perché Daniela D'Angelo e Daniele Ferrazzi si siano limitati a rilasciare soltanto un ep di quattro brani anziché dare un seguito più corposo al disco d'esordio IN GENERE; certo, le logiche della promozione avranno consigliato in tal senso e così facendo si sarà stuzzicata la curiosità dell'ascoltatore, ma è pur vero che l'appetito vien mangiando e quando le portate sono delicate e saporite insieme se ne vorrebbe ancora un po'. Subito. Melodie ariose, contrappunti chitarristici, una buona predisposizione alla narrativa: tutti elementi chiave per realizzare un abbozzo di sognante intimità e di ridefinizione della propria essenza in cui il percorso spesso faticoso della vita di ognuno entra di diritto nel novero degli insegnamenti che diventeranno universali, capaci cioè di integrare ciò che è noto con quanto è sconosciuto e lontano. Un'esperienza che riguarda ciascuno di noi e che i Distinto, attraverso una naturale predisposizione al confronto con l'altro, hanno saputo fissare nelle loro canzoni, declinando una sostanziale "universalità" del singolo nelle reciprocità che emergono e trovano così massima espressione proprio nei momenti di incontro e condivisione con il prossimo, unendo una sorta di esperienza formativa al divertimento e al coinvolgimento che la musica offre. A voler cercare nuove e ulteriori indicazioni nella rivelatoria immagine di copertina dell'ep potremmo tranquillamente pensare a queste quattro canzoni come alle fondamenta di una casa in costruzione, progettata tenendo conto delle proprie singole esigenze, ma anche di una più ampia e sinergica funzionalità univoca; ognuno ha il proprio spazio vitale, ma a sua volta questo è in aperta correlazione al suo altro speculare da cui dipende e a cui è indissolubilmente legato con tutti i benefici che ciò comporta. Ecco perciò come il monito a reagire e a non fermarsi di Camminare non solo non stona affatto dinanzi all'aperta critica votata all'ironia nei confronti di un "gettonatissimo" casco d'oro protagonista suo malgrado in Santa Caterina, ma addirittura ne rilancia con verve i punti salienti; così come il necessario fluire del tempo e della vita di Settembre si intona con il dialogo interiore brillantemente affrontato nella malinconica Meglio senza mai perdere di intensità, risultando idealmente vicina a chiunque sembra reggere a fatica l'offerta della vita. Daniela e Daniele hanno ora in mano i mattoni successivi per il completamento dei piani superiori e tutte quelle decorazioni essenziali affinché la costruzione proceda secondo tempi e ritmi prestabiliti, ma soprattutto affinché risulti funzionale e dignitosamente vivibile; in accordo con le unità abitative che li circondano e alla propria idea di collettività. In altre parole è la città che cresce. E loro con lei.     

martedì 18 novembre 2014

PIENA

PIENA
Tommaso Tanzini
Stop Making Sensible Records - 2014

Ore 10:30 del mattino di una giornata novembrina. Il freddo è particolarmente pungente oggi. La brina imperla ancora la monovolume nella corte mentre la strada digrada leggera verso la pianura, curva dopo curva. Hanno detto che c'è stata l'alluvione giù da basso. Qui siamo stati dei miracolati a sentire quanto raccontano riguardo ciò che è avvenuto tra Firenze e Pontedera. Ma anche il Casentino e la Maremma con Grosseto in testa non se la passano affatto bene. Ci sono state vittime in numero imprecisato. Hanno visto decine, centinaia di volontari scendere nelle strade per dare una mano e due braccia al fine di mettere in salvo il recuperabile e recuperare il salvabile. Li hanno chiamati angeli del fango; sono in prevalenza giovani, liceali e universitari, mobilitatisi per una causa comune che non ha né colore né bandiera. Sono in tanti; operativi lì, in quell'autunno del 1966, testa china e fiato corto. Faticano per liberare dall'acqua abitazioni e palazzi mentre il fango solidifica nei campi e incrosta strade, libri, vite. Come quella di Tommaso Tanzini, giovane pisano classe 1986 che di quel disastro idrogeologico consumatosi quattro lustri prima il suo concepimento non fu testimone diretto e nemmeno conseguenza consolatoria. Eppure nel suo esordio discografico, dopo l'esperienza chiusa anzitempo con i Criminal Jokers e quella sempre attiva con l'orchestra afro-beat Sonalastrana, c'è la stessa precarietà delle cose emersa prepotentemente dalle acque dell'Arno, per una volta causa di lutti e non più custode di storia. PIENA è il disco di un'anima inquieta infatti, dove l'ascolto e la composizione di ogni singola musica non hanno nulla a che spartire con la velocità di questi anni di consumistica liquidità artistica. È il rifugio per i propri pensieri e lo zibaldone di visioni personalissime sulla realtà che li circonda nonché sul proprio io in cui trovano fertile terreno decine di sollecitazioni e impulsi. Anche quando indolentemente invase da frustrazioni e pigrizie militanti. Lo testimoniano già le prime note de L'Immagine, opener in cui la distorsione di una fede testimoniata male dal suo ministro e interpretata anche peggio spalanca le porte del proprio mondo senza mai inventare spazi nuovi, ma semplicemente occupando quelli preesistenti. Che poi - a ben guardare - il tutto non si conclude in un semplice e improduttivo ripiegamento interiore; la ricerca di dialogo, la tensione allo scambio reciproco, lo sguardo rivolto all'esterno sono infatti una costante che si ripresenta lungo tutto il percorso sonoro tracciato dall'album e non solo nella successiva La Tua Tranquillità, sintomo evidente di una urgenza viva e in continuo movimento che, come un fiume per l'appunto in piena, inarrestabile e travolgente, ricerca uno sbocco naturale dove riversare tutta la propria energia. Un diario di bordo che si identifica perciò in un faticoso percorso umano scandito a più riprese da molte mirate parole e pochi funzionali suoni elettroacustici, motivo di sospensione e riflessiva poetica. Una educazione sentimentale in ultima analisi, che rifugge la solitudine, esorcizza il dolore e fissa una rarefatta immagine di sé, incerta, ma volenterosa storia di insondabile malinconia in cui specchiarsi.

giovedì 13 novembre 2014

PAREIDOLIA

PAREIDOLIA
Marina Rei
- Perenne - 2014

Per capire l'attuale percorso discografico di Marina Restuccia bisogna avere la pazienza di tornare indietro nel tempo di qualche anno quando, a fronte dei ripetuti riconoscimenti avuti con l'exploit discografico Primavera, si è fatta sempre più impellente per la cantautrice romana la  necessità di abbandonare gradatamente il patinato mondo sanremese e, più ancora, un certo tipo di carrozzone mediatico. Con una urgenza e una consapevolezza sviluppatesi in maniera lenta, ma incontrovertibile infatti Marina Rei si accorge presto che il successo fondato su un paio di hit, raggiunto senza troppa fatica e portato avanti in un secondo tempo quasi per inerzia non fa per lei. Non è nella sua indole, non fa parte del suo bagaglio culturale né famigliare. Insofferente e determinata, con carattere e metodo, eccola dunque nei primi anni del nuovo millennio studiare nuovi tracciati e percorrere strade alternative al business costruito nelle stanze dei bottoni prima ancora che nelle note di una chitarra o di una melodia senza tempo. Dopo una falsa partenza utile comunque per prendere le misure al nuovo corso, Marina decide di fare davvero sul serio e di mettersi in proprio, un po' per questa impellente necessità artistica, un po' per motivi più prettamente terreni e contingenti. Così facendo la canzone italiana restituisce al mondo della musica tutto un'artista in grado di sorprendere per una libertà espressiva sempre più matura e la mancanza di confini sonori che, appuntamento dopo appuntamento, spingono il limite un po' più in là. PAREIDOLIA è il quarto album di questa ritrovata indipendenza discografica, il secondo per la piccola etichetta Perenne dopo il raffinato rock chiaroscurale del precedente LA CONSEGUENZA NATURALE DELL'ERRORE. Se allora una pletora di inattesi ospiti (su tutti un convincente Pierpaolo Capovilla protagonista nel sofferto singolo E Mi Parli Di Te, ma anche il premio Oscar Ennio Morricone nella rivisitazione orchestrale della sinigalliana Che Male C'è) aveva arricchito la proposta della cantautrice romana prima ancora che incuriosito l'ascoltatore, oggi c'è forse meno varietà per quanto concerne i nomi di richiamo, ma sicuramente anche una maggiore omogeneità di risultato e, di conseguenza, una inferiore dispersione tematica. In cabina di regia troviamo innanzitutto Giulio Ragno Favero - che darà una grossa mano anche in sala di incisione occupandosi della (quasi) totalità di chitarre, bassi e synth - arruolato con entusiasmo e cocciutaggine nonché condivisore di un progetto in cui l'attenzione è focalizzata in ultima analisi su uno storytelling che non guarda in superficialità lo scorrere della vita, ma che lo approfondisce con passione e istintività. In secondo luogo, quella riconoscibilissima vena malinconica divenuta quasi una cifra stilistica della Rei è declinata attraverso taglienti sfaccettature che portano non ad un pericoloso ripiegamento passivo, ma molto più dinamicamente alla riflessione attiva. Profonda, sincera e aperta alla speranza. È la capacità di dare emozioni in cui credere senza necessariamente fornire strumenti per capire ad emergere con prepotenza tanto tra le note serrate di Sole quanto in quelle della sontuosa ed emozionante Del Tempo Perso, il must del cd, passando per il rap della title track. Una evoluzione costante, non ancora esaurita, specchio per idee chiare e multiformi. Del resto l'eterea chiosa finale affidata ad una delle canzoni più belle di sempre come Annarella è lì a testimoniarlo con forza e determinazione.

mercoledì 12 novembre 2014

STAVOLTA COME MI AMMAZZERAI?

STAVOLTA COME MI AMMAZZERAI?
Edda
- Niegazowana - 2014

Siamo arrivati a tre. Soltanto un lustro fa sarebbe stato impossibile crederlo. Anche solo ipotizzarlo. Ma Stefano Rampoldi è davvero tornato. Ed è tornato per restare. A suo modo ovviamente, mai sereno fino in fondo, ma capace di domare debolezze e tentazioni che in passato avevano schiacciato l'uomo prima ancora che l'artista. Con una consapevolezza sempre estremamente lucida: "io sono Edda, questo lo so; è un problema aggiunto a quelli che non ho", canta nell'infuocata Bellissima. Così, dopo l'urgente essenzialità acustica che fece di SEMPER BIOT una gemma di rara bellezza all'interno del panorama discografico italiano e accantonate (in parte) le sinfoniche orchestralità che impreziosirono i contenuti nell'atteso sequel ODIO I VIVI, oggi è il momento di un ritorno. Un ritorno al rock, quello essenziale, rabbioso e incontenibile; magari sboccato, eppure anche per questo sincero e senza filtri. Quel rock che in quanto tale non promette mai facili via di fuga né tantomeno di salvezza; ma che è in grado di segnalartene. Quello che ti ricorda come le cose non vanno mai per il verso giusto e che anzi, per cercare di trovare una soluzione positiva tocca darsi da fare. Muoversi. Agire. STAVOLTA COME MI AMMAZZERAI? è il disco della svolta. Verso cosa? Tempo al tempo e lo si capirà. Non necessariamente il più diretto, ma certamente quello che meglio sintetizza l'attuale stato delle cose in casa Rampoldi. Il pretesto è in ultima analisi proprio il contesto famigliare che si materializza concretamente fin dalla copertina del cd su cui compaiono in una fotografia d'epoca mamma Edda con Stefano, il gemellino Luca e la più grandicella Claudia. Papà Adriano è al di qua dell'obiettivo e il destinatario del caustico singolo Pater, brano che troverà un corrispettivo femminile nel moderno odi et amo di Mater, a un passo dalle verità nascoste contenute nella conclusiva Saibene. Supportato dalla batteria pestona di Fabio Capalbo e affiancato da una chitarra elettrificata come quella di Davide Lasala è facile rivitalizzare oggi antichi pregi sonori relegati in un angolo durante i periodi più bui. Diventa più semplice far esplodere l'attitudine in your face che caratterizza la scossa dell'incandescente Stellina e le nervose accelerate della vorticosa Ragazza Meridionale, episodio al limite di un hardcore punk rivisitato. C'è sempre spazio per la sperimentazione lo-fi (Piccole Isole) e per la sospensione emotiva (Mela, Peppa Pig, Tu E Le Rose), ma a dominare un disco pazzesco come questo è la personalità strabordante di Edda capace di rivelarsi sia nei diversi piani interpretativi di Coniglio Rosa sia negli "sbracamenti" à-la Mike Patton che determinano la riuscita della splendida Mademoiselle. Tutti questi cambiamenti hanno avuto ripercussioni sulla scrittura delle canzoni? Un tempo scambio e compenetrazione di umori fra le anime inquiete di Edda e del fido Walter Somà diventano oggi, principalmente, libero concepimento del solo cantante milanese trovatosi, più per motivi logistici che altro, a confrontarsi solitario con le proprie intuizioni, ardito gesto di naturale anticonformismo e inconsapevole provocazione. Documento importante fra psichedelia magmatica e ferocia espressiva STAVOLTA COME MI AMMAZZERAI? sgombera il campo da dubbi e traccia nuovamente il solco tra Edda, l'uomo solo al comando di oggi, e Edda, l'uomo solo di qualche tempo fa. Con imprevedibilità e stupore, caratteristiche immutabili di vera bellezza.

martedì 11 novembre 2014

DON'T TAKE IT PERSONALLY

DON'T TAKE IT PERSONALLY
Niagara
- Monotreme Records - 2014

Quando il disincanto è alle porte e lo sguardo sul mondo contemporaneo si ingrigisce non resta che trovare rifugio altrove. I Niagara non ne fanno una questione di stato, non impongono diktat né si ergono a profeti di una felicità definitiva, ma si tuffano semplicemente a capofitto in un universo caleidoscopico e multisfaccettato che possa in primis rispondere alle proprie esigenze esistenziali. Davide Tomat e Gabriele Ottino, un passato comune nei N.A.M.B. e un presente fatto di costante sinergia creativa, rilasciano il secondo lavoro del loro nuovo progetto con questo in mente: concretizzare l'infinita vibrazione sonora racchiusa dentro sé in un tentativo di superamento del formato elettronico così come oggi viene inteso, ampiamente diffuso e, in sempre più numerosi casi, purtroppo banalizzato. Con una preparazione interdisciplinare di alto livello il duo piemontese rielabora trame melodiche e scelte tecnologiche in favore di un substrato compositivo profondamente acustico (Laes sopra tutti) - solo in un secondo tempo rivisitato (Else, il singolo Currybox, il rallentato crescendo di sospesa glacialità prodotto da Popeye) e corretto da strumenti analogicamente elettronici - che sappia restituire l'umanità ai macchinari usati in sala di incisione e riproposti con naturale disinvoltura in sede live. L'equilibrio tra uomo e macchina non è mai messo in pericolo. Quando il vibrato pulsare di JohnBarrett rilascia le sue prime oniriche frequenze e ci introduce nella dimensione atemporale di DON'T TAKE IT PERSONALLY risulta infatti chiaro come il personale tentativo di ricerca stilistica cominciato con il precedente OTTO confluisca oggi in una varietà di temi capace di autorigenerarsi e spaziare dalla fascinosa operosità sintetica su cui poggia FatKaoss alla torbida fluidità trip hop della quale è imbevuta Speak&Spell. Ciò che ne deriva è un diffuso senso di sognante abbandono in cui la nostra coscienza viene proiettata, cullata da una minimale, seppur enfatica, immediatezza che raggiunge l'apice nella conclusiva Bloom senza mai risultare stucchevole o artificiale. Parlare di innovativa forma di easy listening forse è ancora prematuro, ma tra le righe è piuttosto facile scorgere a orecchio una deliziosa forma d'arte capace di ridefinire l'essenza del genere per porsi come possibile futuro termine di paragone. Estroso, ma non eccentrico. Sofisticato, ma mai pretenzioso. La deriva cinematografica del cd è poi l'asso nella manica del dinamico duo Tomat-Ottino che come in una vagheggiata nuova età dell'oro lima, filtra, taglia e cuce landscapes sonori autosostenibili e assimilabili a una presa di coscienza che è manifesto del proprio sentire. Il coraggio di immaginare un progetto dal taglio internazionale partendo una volta ancora dal collettivo Superbudda di Torino merita perciò attenzione e supporto. Nuovi disciplinati strumenti per correggere le miopie uditive del Millennio sono in fase di studio nel laboratorio sabaudo; tecnici preparati vi lavorano alacremente coinvolgendoci a briglia sciolta.

lunedì 3 novembre 2014

MUTATIONS

MUTATIONS
Obake
- Rare Noise Records - 2014

L'atto creativo non si manifesta mai nella stessa forma. Lo sanno bene gli Obake. Con MUTATIONS il rinnovato quartetto europeo gestito in coabitazione dall'illuminato demistificatore sonoro Eraldo Bernocchi e dal camaleontico artigiano musicale Lorenzo Esposito Fornari in combutta con le severe, ma fantasiose geometrie ritmiche del tentacolare Balázs Pándi e della new entry Colin Edwin, dà un ulteriore scossone alla scena heavy mondiale. In particolar modo a quella estrema, negli ultimi anni mai gerontocraticamente ancorata a credo e diktat formulari, in alcun modo fossilizzata e stantia, ma al contrario sempre più capace di contaminarsi quando realizzata dai giusti interpreti. Se già l'esordio omonimo aveva ampiamente impressionato con la sua cadenzata varietà di suoni e ricercate idee, l'attuale sequel targato Obake rivela nuovi, voluminosi, spettri sonori che mentre da un lato circoscrivono e approfondiscono il sound della band, dall'altro ne potenziano il messaggio artistico. Ci vogliono attenzione e destrezza per entrare negli irrazionali meccanismi marziali alla base delle belligeranti, ma duttili odi doom (Seven Rotten Globes) di questo lavoro ambizioso, sempre sul punto di evolversi progressivamente in camaleontiche sfuriate sludge (Seth Light) o in più quiete, ma pur sempre desolate, riflessioni al limite di un misticismo arcaico (Second Death Of Foreg) e sovrannaturale. Sono richieste preparazione e sensibilità per accondiscendere alle improvvise e deliranti costruzioni ambientali che sottendono a una mastodontica composizione jazzata qual è la visionaria Thanatos. Come se un superomistico incrocio fra il testamentario Chuck Billy e il deicida Glenn Benton venisse posto a capo di Ufomammut e Black Sabbath subendo una trasfigurazione ambient che differenzia e premia gli sforzi artistici del sorprendente combo. Quella stessa drone music da cui peraltro viene originata la fragile Burnt Down, in un dinamismo lento, ma inesorabile capace di forgiare un equilibrio apocalittico e immaginifico. Che scava; scava in profondità con consumata lentezza dentro insondabili stati d'animo personali, abissi ignoti dell'Essere, agitate realtà che aspettano solo di venire a nuova luce. Gli Obake portano appresso antiche chiavi pronte ad aprire serrature sigillate da millenni; conoscono i miti antichi e ne svelano l'accessibilità. Si può dunque ascendere in virtù di una forza che è discendente? La risposta è una volta ancora affermativa. Questione di (cupo) istinto e (freddo) raziocinio. Forse non sarà mai possibile capire l'essenza di un'altra persona, coglierne la reale natura; quel che è certo è che nel labirinto multidimensionale della sua esistenza sopravviverà sempre un dolore muto e isolato in grado di misurarne la resistenza. In solitudine. Come una katana che nel fendere l'aria traccia nel vuoto apparente nuovi segni e vecchi significati.

venerdì 31 ottobre 2014

ATOMA

ATOMA
SYK
- L'Inphantile Collective - 2014

Herset La Tari. Il disagio. L'indigenza. L'oppressione. Attraverso una meccanica del suono rude e stridente che nulla concede alla melodia, ma che ossessivamente ripete la lezione sfidando e sfondando il muro del suono; l'incommensurabilmente grande nell'infinitesimamente piccolo. Veicolato dalla robusta complessità di arrangiamenti e forsennate dinamiche polimorfiche, destrutturate al fine di essere ricomposte nel breve termine sotto altra architettura, è questo ciò a cui i SYK sono in grado di ambire e successivamente liberare attraverso l'oltraggiosa musica di ATOMA. Un lavoro complesso e affascinante, dal forte impatto emotivo, che si esalta nella difficoltà di ascolto e in cui la selezione del materiale è seconda solo alla mirata ricerca formale degli ambienti sonori prodotti. Un progetto internazionale ideato, gestito e partorito su quella antica e formativa linea di confine che unisce Piemonte e Sardegna, stanca di scontate soluzioni musicali e piuttosto attenta alla genesi di nuove realtà basate su metodo e improvvisazione. Nati da un'idea di Stefano Ferrian e Federico De Bernardi di Valserra dopo la chiusura della parabola Psychofagist, i SYK sono la prova provata di una rinnovata capacità di produzione nel magma incandescente del suono estremo. Aver trovato in Luca Pissavini il temporaneo completamento alle ritmiche è stata la naturale chiusura del cerchio, aperto e letteralmente squarciato dalle urla sovrumane della straordinaria Dalila Kayros, minuta creatura mortale, ma qui maligna entità partorita in un arcaico amplesso fra le sette note tra l'inarrivabile Diamanda Galas e il folletto Damo Suzuki. Con una ricerca antropologicamente legata alla voce e al territorio, una visione quasi esoterica dei miti antichi - su tutti quelli dei Sumeri - e una attenzione alla lezione di John Cage è lei il perno su cui le chitarre limacciose di Ferrian hanno buon gioco e intrecciano una trama musicale ordita con più lingue. La scattante meccanicità di The Observer, le poderose fondamenta su cui viene eretta Auburn, l'apparente tranquillità devastata da Un-god-Known sono coordinate che impegnano l'ascolto, ma restituiscono una libertà espressiva solo all'apparenza claustrofobicamente relegata nei reticolati sonori dell'album. È dolore vivo che si conficca sistematico nella carne ed esaurisce una raziocinante aggressività amplificata da quella sporcizia strumentale messa in mostra, quasi ostentata, fin dalle prime note della caotica Atoma, minacciosa opener del platter. Le sovrastrutture che tendono con sciente capacità progettuale ad appesantire la circolarità dei sette momenti rilasciati per la coraggiosa etichetta praghese L'Inphantile Collective consentono poi una lettura su più piani dell'intero lavoro anticipandone i futuri sviluppi. Il nuovo acquisto  Francesco Zago, prolifico chitarrista degli Yugen acquisito all'indomani della dipartita di Pissavini, è per l'appunto l'ennesima conferma di una costante apertura del progetto SYK alla sperimentazione razionale, sempre meno diffusa nel metal estremo contemporaneo. I mostri cavalcano le bufere e le tempeste, narra un'antica leggenda; qui già solo il loro sulfureo respiro è di casa.

giovedì 30 ottobre 2014

APPLAUSI A PRESCINDERE

APPLAUSI A PRESCINDERE
Stefano Vergani
- autoproduzione - 2014

Anche per Stefano Vergani è arrivato il tempo del primo cd solista. Dopo anni trascorsi in compagnia della nobilissima Orchestrina Pontiroli prima e dell'altrettanto essenziale Orchestrina Acapulco poi, lo scapigliato cantore del piano di sotto si è messo in proprio. Senza stravolgere le coordinate che ne hanno fin qui contraddistinto il personaggio e la musica, l'artista brianzolo assembla il suo quarto album unendo con il solito riconosciuto entusiasmo vibrazioni di jazz occasionale a quella musica d'autore, senza tempo, riconducibile a Brassens e a Conte. Dell'autore francese riecheggiano il sarcasmo messo in luce nei racconti di quotidiana normalità che costituiscono l'ossatura principale del cd e un certo disincanto, una certa non curanza sugli effetti che la vita ci impone dal momento in cui siamo costretti a viverla. Del celebrato avvocato piemontese torna il dinamismo delle note, l'emozionante e indefinita espressività fra queste e le parole usate non solo come corredo lessicale, ma opportunamente scelte per tratteggiare storie capaci di trasportare in un mondo fantastico eppure sempre molto concreto, come quello sviluppato nelle favole, capaci di sortire un effetto di sognante realtà sul bambino. Dove tutto è affidato all'emozione, sia essa occasione di trepidazione oppure maggiormente accomodante. Concretezza e fantasia per riavvicinarsi alla strada, per vedere com'è cambiata dall'ultima volta, in attesa di trovarci come sempre disperazione e poesia. E da lì trarre spunto per raccontare sé e la propria visione del mondo; ma anche la sfiducia di un artista nel suo lavoro (Guardare Le Stelle Non È Come Leggere Il Giornale), i facili sotterfugi di un onesto ombrellaio (Piccola Storia Volgare), le tragicomiche avventure di un mediocre amatore (Incubo Erotico), l'inebriante baraonda festante di uno svampito hombre ancora in preda ai fumi dell'alcool il day after (L'Immacolato). Un po' autoindulgente, a tratti reazionario nella sua apparente tranquillità, sempre sul pezzo, Vergani con la sua voce istrionica bluffa con il pubblico e con la vita, riuscendo a passare dal drammatico al poetico al sarcastico senza perdere la salute. Non è cosa da poco. Istinto e metodo sono sicure scialuppe di salvataggio al riparo da facili imbarcate. In questi ultimi dieci anni di apprendistato il suo continuo peregrinare di locale in locale gli ha restituito un bagaglio a mano sempre più corposo, ma in fin dei conti leggero nella sua essenzialità. Oggi, in quest'autunno che sembra non avere fine Stefano ha deciso di partire; noi, biglietto alla mano, ci accodiamo alle sue spalle senza sapere dove stiamo andando e soprattutto quale direzione lui stesso prenderà, ma sicuri che quello futuro sarà il posto giusto. All'orizzonte già si delineano i contorni di una nuova avventura con nuovi personaggi, nuove caricature, antichi luoghi e familiari ostelli.

mercoledì 29 ottobre 2014

VUOTO PNEUMATICO

VUOTO PNEUMATICO Gianni Venturi & Giacomo Marighelli
- La Cantina Appena Sotto La Vita - 2014
 
Approcciarsi a VUOTO PNEUMATICO non è affatto semplice né immediato; lontano dalla spontaneità che una comunicazione sempre più impoverita ormai sembra richiedere costantemente al quotidiano, l'album ideato prendendo le mosse da uno  spettacolo  teatrale portato in scena della  compagnia  Teatroscienza  di Alex  Gezzi, Eugenio Squarcia ed Elena Pavoni rappresenta al giorno d'oggi uno sforzo che può essere ripagato solo nel tempo. È chiaro fin dai primi ascolti che il lavoro in musica condotto da Gianni Ventura (voce degli Altare Thotemico) e Giacomo Marighelli (deus ex machina del progetto Margareth Lee) sposa infatti una dimensione progettualmente assai più ampia rispetto alla semplice concezione di album discografico. Risultato metalinguistico di un traguardo artistico dal più ampio respiro in cui poesia, musica, teatro e video trovano nella loro diversità punti in comune e occasioni di confronto, il cd nasce dal carattere teatrale dell'improvvisazione musicale di Marighelli unito alle declamazioni poetiche di Ventura, il tutto arricchito per mezzo di canzoni cantautorali e brani elettronici che costituiscono l'essenza del cd. Il risultato è quello che si può a ragione definire rock-poetry, crocicchio e snodo obbligato di idee opportunamente sedimentate, metabolizzate e fatte proprie, le quali nel suono, nell'elettricità, nella contaminazione trovano terreno fertile adatto ad uno sviluppo verticale in grado di affrontare più piani d'azione narrativa abbattendo dogmi impossibili altrimenti da rifiutare. Proprio il carattere multitasking dell'opera che la pone in origine a sequel dell'attività performativa del Teatroscienza determina la difficoltà di restituire su disco ciò che l'improvvisazione sviluppa anche per azioni e immagini, non solo per concetti. L'esito è tuttavia ben più che soddisfacente se ci si lascia travolgere dall'onda d'urto di questa poetica senza regole fisse, alienata da tutti quei bisogni di appartenenza ad una società precostituita, convulsa e frenetica, alimentata da biechi interessi in cui è la solitudine - condizione esistenziale sempre più diffusa e radicata - a farla da padrona. Setacciando nelle nostre giornate tipo, costringendoci ad affrontare il lato oscuro delle affettività senza speculare su null'altro che noi stessi, il duo Marighelli-Venturi comprime e satura un caos che è motore dell'universo, deflagrando la visione umanocentrica in cui siamo caduti per restituirci non tanto una soluzione di comodo, ma semplicemente la sua consapevolezza, ultimo baluardo di pura concettualità a cui fare riferimento. È la spontaneità della parola a vincere su tutto, anche sulla musica di volta in volta piegata senza fatica ad esigenze metriche dai suoi fabbricanti, seguendo il passo dei pensieri e la cadenza delle idee, penetrando nel mood indicato dai versi in costante empatia con l'universo esterno. VUOTO PNEUMATICO traccia le tappe di una faticosa conquista verso una emancipazione esistenziale che porta all'indipendenza da ogni tipo di carismatico potere o congregazione filtrando avanguardie e riversando contenuti; lo fa per sconcertante necessità di azione e per opportuna obbedienza alla sua natura di reading cantautorale. Anche quando appuntamento serio infatti la musica è mestiere leggero se condiviso e concordato per affinità elettiva, appuntamento speciale a cui meglio non rinunciare. Non si decide come e quando agire. Semplicemente si accetta di farlo.

martedì 28 ottobre 2014

in concerto

11-10-2014
ALDO TAGLIAPIETRA + CONSORZIO ACQUA POTABILE con ALVARO FELLA live @ Teatro Sacro Cuore -
Novara (NO)

 
Era da tanto tempo che Aldo Tagliapietra non tornava ad esibirsi in Piemonte con un concerto tutto suo. Forse l'ultima volta fu esattamente un lustro fa, in quel Prog Fest di Veruno che ne rappresentò l'ultima data sul territorio italiano insieme alle sue amate Orme. Poi la separazione dal gruppo e una lenta, ma progressiva rinascita non solo musicale che avrebbe portato dopo il rendez-vous acustico del doppio UNPLUGGED all'incisione di due album sequenziali, concepiti nell'alveo del prog rock e imprescindibili per quanti del musicista veneto hanno sempre apprezzato gusto e trasparenza. L'opportunità di ascoltare finalmente dal vivo le storie di NELLA PIETRA E NEL VENTO e la circolarità de L'ANGELO RINCHIUSO giunge in quel di Novara, in una giornata di sole caratterizzata da una temperatura decisamente mite - e abbastanza anomala per questo periodo dell'anno, preceduta dall'esibizione quasi gemella solo ventiquattro ore prima nella vicina Magenta. Il nostro arrivo a Novara è dei più semplici. La città ci accoglie in tutta tranquillità, silenziosa e riservata com'è la provincia italiana in genere. A pochi metri dal parcheggio la chiesa del Sacro Cuore si erge di fronte a noi nel buio della sera, illuminata a giorno in tutta la sua verticale maestosità.
 
Al suo fianco, leggermente in ombra, c'è l'ingresso al teatro omonimo, edificio dall'apprezzabile ritorno acustico che saprà restituire nel corso della serata quelle vibrazioni mai dimenticate e che solo l'ugola di Tagliapietra è in grado di esprimere. Decidiamo di attenderne l'apertura nell'antistante piazzetta quando, raccolta nei suoi pensieri, ecco verso noi avanzare una figura estremamente familiare, le braccia raccolte dietro la schiena, il passo sicuro. L'incontro con Aldo Tagliapietra avviene così, spontaneamente e senza alcun tipo di accordo preventivo; due chiacchiere, giusto il tempo di capire che nonostante tutto la ripartenza è il sale della vita, il momento decisivo per mettersi in gioco una volta ancora, in un continuo e concreto scambio di energia con il pubblico. Che negli istanti precedenti il concerto arriva preparato ed entusiasta seppur alla spicciolata. Molti i volti già presenti a Mortara, tutti certi di un clamoroso bis che non può mancare con Aldo e la sua affiatata band. Le 21:00 arrivano rapide. Le luci calano in sala e la musica non si fa attendere. In apertura l'esibizione dell'autoctono Consorzio Acqua Potabile, in una formazione allargata ad otto elementi con il prezioso e decisivo featuring di Alvaro Fella, preludio all'imminente collaborazione fra la band di Boffalora Ticino e il veterano frontman dei Jumbo, scalda e coinvolge. Le note di Coraggio E Mistero, Il Cervo E La Fonte, gli estratti da DNA, con la magistrale Suite Per Il Sig. K sopra tutti, e la conclusiva nonché inedita Sui Cavalli Delle Strade dedicata all'amico Francesco Di Giacomo sono un buon viatico per il piatto forte della serata che di lì a poco calcherà il palco. È giunto infatti il momento. Tocca ad Aldo. "Nel 2015 saranno 50 anni dalla nascita de Le Orme quindi quest'anno ho deciso di fare un omaggio a questo grande gruppo che mi ha dato molto e al quale io ho dato tutto." Con queste poche parole introduttive l'apertura affidata a Insieme Al Concerto dimostra all'istante che non c'è tempo per rimpianti o facili nostalgie. La serata celebrativa, il Celebration Tour, com'è stata ribattezzata questa trance di concerti che nel corso del nuovo anno proseguirà con nuove date, prende presto quota.
 
La voce di Tagliapietra, come sempre in perfetta forma nel suo elegante completo bianco, è assai tonica e convincente, unica nel suo genere, corposa come non sentivamo da tempo cosicché i brani in scaletta non possono che beneficiarne riemergendo in maniera decisa dal passato e propagandosi freschi e attuali dal palco. Non solo attraverso il prog blues di Los Angeles, ma anche e soprattutto per mezzo dell'inattesa Il Gradino Più Stretto Del Cielo, un piccolo capolavoro di potenza e incisività ripescato a sorpresa dal canzoniere ormesco, qua eseguita in una versione potente e estremamente dinamica grazie all'apporto dei Former Life, l'affiatato trio che accompagna il melodista muranese da qualche anno. Nel corso della serata, con il passare dei minuti, sarà sempre più evidente il decisivo apporto che la giovane band veneta è stata in grado di garantire alla causa dell'illustre collega attraverso un entusiasmo e una preparazione invidiabilmente naturali. La gioventù che sprizza energia e dinamismo incontra infatti la passione, il tocco, il gusto dell'esperienza e produce un affresco immaginifico dello stato della musica sempre attuale, capace di spingere al limite un Manuel Smaniotto  - già al fianco di Tagliapietra nel progetto Tagliapietra-Pagliuca-Marton -  in costante crescita, di porre l'accento sulla chitarra di Matteo Ballarin e di lasciare libera creatività alle tastiere di Andrea De Nardi. Terzo estratto da VERITA' NASCOSTE: Regina Al Troubadour è la melodia giusta al momento giusto con Ballarin protagonista dell'ottimo assolo finale su tonante impostazione ritmica di Smaniotto. Attesissima è invece La Porta Chiusa, un tempo autentico tour de force per Le Orme e oggi rampa di lancio per l'ormai rodato quartetto veneto, sempre più a proprio agio nel raggiungere di lì a poco il primo climax della serata con un paio di episodi tratti da L'ANGELO RINCHIUSO, il concept album mandato in stampa nel corso dello scorso anno e qui rappresentato, dopo l'introduzione della strumentale Volatus, dall'autobiografica title track e dalla delicata, ma decisa Dentro Il Sogno, sintesi di un lavoro di profonda e lucida creatività prog rock, dalla struggente epicità, capace di fotografare alla perfezione la sintonia venutasi a creare anche in sala di incisione con innata classe e maestria.
 
Si torna dunque agli antichi fasti con una tripletta in cui vengono combinati melodia e contrappunti folk-cameratistici: Frutto Acerbo, Gioco Di Bimba e l'ipnotica Amico Di Ieri sono il preambolo all'ottima Figure Di Cartone con il talentuoso De Nardi sulle tracce del miglior Pagliuca. A un'ora di viaggio da tutto questo è finalmente tempo di approdare sul cristallino Felona, dopo esser stati a lungo Sospesi Nell'Incredibile sulle note del fantasioso assolo di Mr. Smaniotto e qualche istante prima di rimettere piede a terra con un velo di malinconia; Tagliapietra non dice nulla, ma attacca deciso Morte Di Un Fiore mentre il pensiero corre rapido al nipote Stefano venuto a mancare proprio pochi giorni prima di questo concerto. Mentre sullo sfondo si alternano senza soluzione di continuità opere di Walter Mac Mazzieri, Canzone D'Amore dissipa le nuvole con una splendida esecuzione che evidenzia, se mai ce ne fosse ancora bisogno, l'affiatamento del sorridente Aldo con i suoi giovani compagni di viaggio. Sugli scudi una volta ancora De Nardi e la chitarra di Ballarin, sempre preciso e travolgente. A tratti debordante, come le note della potentissima Sguardo Verso Il Cielo che accendono tutta la platea in vista del gran finale. Grinta, entusiasmo, vitalità, pathos: tutto si anima e prende corpo in un concentrato di assoluto dinamismo immaginifico che cresce nota dopo nota, fraseggio dopo fraseggio. Breve pausa ed è già tempo per il bis. Poteva forse mancare all'appello Cemento Armato? Con una irruenza nuova la voce di Tagliapietra, meticoloso esecutore spronato dalla linfa vitale sprigionata dai suoi colleghi, è un urlo di disarmante attualità che non fa prigionieri né si perde fra la pioggia di note su cui si staglia. Poi è solo tempo di applausi a scena aperta per un live intenso e privo di cali di tensione. Uno spettacolo sinergico di rinnovato entusiasmo fra l'artista e il suo pubblico, in grado di travolgere con reciproca soddisfazione delle parti. Il vecchio leone Tagliapietra ruggisce ancora guidando sicuro l'imbarcazione sospinta per l'ennesima volta in mare aperto; cum grano salis, come fa solo chi ha costruito non soltanto la propria carriera, ma l'intera vita su solide fondamenta. Senza tempo e senza età. Come le emozioni e tutti quei luoghi dell'anima che ciascuno di noi serba gelosamente dentro sé. E non osa dimenticare. Mentre la luna di Novara ci osserva complice lassù, benigna.
 
Andrea Barbaglia '14

sabato 25 ottobre 2014

POCKETS

POCKETS
Cumino
- autoproduzione - 2014

Il progetto Cumino sta diventando sempre più una realtà consolidata all'interno di quel panorama di elettro-sintesi fra suoni e idee. Nato dall'incontro fra Luca Vicenzi e Davide Cappelletti, dai più noto come Hellzapop e autore solo un lustro fa di un pregevole album dagli umori cangianti ribattezzato FINCHÉ LA LUCE È ACCESA, l'esperimento sonoro messo in atto dai due musicisti lombardi giunge al secondo album del loro sodalizio artistico dopo un paio di ep - non soltanto di raccordo - utili per mantenere accesa l'attenzione dopo il promettente esordio TOMORROW IN THE BATTLE THINK OF ME. Proprio le atmosfere rarefatte che allora venivano implementate da una naturale cadenza marzialmente documentaristica, in POCKETS assumono ora una valenza quasi descrittiva che si autodefinisce nella loro progressione ordinata, passo dopo passo, nota dopo nota, attraverso una dilatazione dei suoni visionaria, ai limiti dell'onirico. Abbandonati i risvolti oscuri, a tratti cupi, a un passo dallo smarrimento emotivo del debut album i Cumino sviluppano una musica da meditazione intimista e rilassante, in cui il riposo del corpo libera le percezioni della mente in un viaggio tumultuoso più per i neuroni che per le membra. È un trip malinconico, ma avvolgente come già il battito sincopato di Atlas ci preannuncia, ambient-rock post atomico in cui calore umano e strumenti tecnologici riflettono una luce algida che è sospensione cristallina e abbandono. Perno attorno al quale tutto ruota è l'innato gusto per la melodia che consente al duo di avvicinarsi all'ascoltatore in maniera elegantemente sottile, andando a tessere un vero e proprio reticolato musicale su cui si innestano di volta in volta piccole deviazioni sintetiche che ne modificano la destinazione in una fusione di suoni e umori. Come se si fluttuasse tra due mondi speculari eppure apparentemente privi di reale interscambio comunicativo (Two Spheres); come se si planasse su campi geometricamente perfetti, ma pur sempre disordinati a causa della inarrestabile mutazione temporale che il ciclo delle stagioni naturalmente opera da sé (Fields). Innegabile l'ammirazione per i Telefon Tel Aviv e Justin K. Broadrick nella sua sortita sperimentale Pale Sketches, ma parimenti importante è la maggiore dolcezza emotiva che ne deriva, come se ogni possibile inquietudine, come se ogni prossimo affanno venissero smorzati alla radice in favore di una più consona e serena accettazione dello stato delle cose. L'energia pulsante non rallenta il suo slancio vitale (Veins), ma semplicemente fissa nuovi parametri di valutazione, alternandosi a frastagliate frequenze del cuore e ad astratti istanti di silenzio su cui germogliano nuovi pensieri interiori. Una corsa rallentata verso l'ignoto, unica e confusa risorsa dell'intelletto da cui siamo naturalmente attratti e a cui nessuno può sottrarsi.

venerdì 24 ottobre 2014

POST MERIDIAN SOUL

POST MERIDIAN SOUL
March Division
- autoproduzione - 2014

Correva l'anno 2012 e il duo composto da Andy Vitali e Emanuele Patania si (ri)affacciava nel giro della musica che suona con idee ben chiare e un gran bel cd d'esordio, il consigliatissimo RADIO DAYDREAM. A quasi tre anni da quel primo importante passo i March Division hanno raddoppiato le forze e diviso le fatiche di un percorso musicale che viaggia su coordinate sempre più complete e accattivanti. Affiancati dai collaboratori storici Mattia Pissavini e Stefano Lai, abbandonate - ma a ben guardare solo in parte - le atmosfere più smaccatamente British che ne avevano contraddistinto le mosse nel primo anno di vita, il rinnovato quartetto lombardo aveva già sottolineato un primo cambio di rotta e di attitudine nei tanti live portati a termine all'indomani della pubblicazione del singolo digitale Arizona. Ciò che è confluito nei due successivi ep propedeutici alla realizzazione di POST MERIDIAN SOUL sono stati loop e campionamenti, elettronica e synth pop usati per sporcare il rock classico di cui comunque i quattro musicisti restano debitori (Friday Will Come) rivoluzionando radicalmente l'orizzonte sonoro della band. La scelta ragionata di mescolare The Music a New Order e Klaxons anziché a Led Zeppelin e Oasis ha prodotto come risultato una virata fatta di sintesi suburbana che ci indirizza verso lidi meno vigorosi e irruenti, ma senza dubbio alcuno non meno incandescenti ed evocativi, sospinti da un motore ritmico che lascia senza fiato. La contemporaneità del nuovo album - pensato per spazi aperti e liberi come potrebbe essere un happening internazionale con i Chemical Brothers in vetta al bill - ricolloca i March Division e ne saggia l'eclettica adattabilità a fondere il suono delle origini con le pulsanti soluzioni offerte dalla tecnologia in uso presso le next best things. Unico errore tattico l'aver voluto sondare il terreno con un ep omonimo a fine febbraio e averlo riproposto qua per intero. Se infatti le danze hanno subito inizio con la nuovissima Night Fare lungo un percorso labirintico che troverà la propria via di uscita tra le algide onde à-la Wamdue Project della glaciale Water, sono però episodi già noti quelli che catturano a tutta prima l'attenzione dell'ascoltatore. È il caso della marziale Dig It, ma anche quello della sperimentazione orientaleggiante di Old Man Knocking e del brillante oscillamento che contraddistingue Sell-by Date, tutte tracce godibilissime contenute insieme alla dance ambientale di Downtown Devil e all'heavy beat da Generation X di Right On My Way nel POST MERIDIAN SOUL ep uscito a solo otto mesi fa. Se quello fu comunque un comprensibile e sostanzioso antipasto ecco ora servite le portate principali, complementari, ma diversificate; saporite, appetitose, per ogni tipo di palato. C'è l'omaggio duraniano di Suburban Rust e la proto jungle di Rust'n'Dust, ma trovano spazio anche la riflessione new wave condotta in One Of Ten, il riuscito synth punk di Morning Junk così come una canzone di fede e devozione qual è Time Won't Wait. Questo per chi è alla ricerca di continui paragoni con quanto magari ha già masticato di conosciuto. Per tutti gli altri, lasciarsi coinvolgere dal sound fresco dei March Division potrà essere non solo una sorpresa, ma addirittura uno stimolo a scoprire nuove realtà che non si accontentano di forme e formule immutabili nella loro ripetitività, ma che credono ancora nel mutamento e nella metamorfosi. In fin dei conti, nonostante ciò che si è portati a pensare, è molto facile piacersi ed lo è ancora di più volersi bene. Sono curiosità e apertura mentale a non dover fare difetto. Tu alla sera, quando esci, dove vai?

sabato 18 ottobre 2014

da STAVOLTA COME MI AMMAZZERAI?

PATER
- Edda - 2014
 

 
Regia e montaggio: Fabio Capalbo
Colorist: Orash Rahnema
Assistenti alla realizzazione: Tania Bendoni, Elena Agnoletti, Alberto Bonucci.
Foto di scena: Elena Agnoletti
Un ringraziamento a Federico Ghelli

venerdì 17 ottobre 2014

SONGS FOR TAKEDA

SONGS FOR TAKEDA
Letlo Vin
- autoproduzione - 2014

Letlo è un nome che circola da qualche tempo nell'ambiente del cantautorato indie nostrano. Allevato a suon di folk anni '30 e rock'n'roll anni '50, accompagnato da una chitarra acustica - sovente elettrificata - e cresciuto negli ultimi anni sui palchi di mezza Italia, Letlo Vin resta a tutt'oggi una piacevole quanto sfuggente incognita avvolta da un alone di mistero che ne aumenta il fascino impenetrabile di interprete maledetto. In fuga qui da noi da chissà quali demoni e quale oscuro passato vissuto nel suo paese d'origine. Non si sa molto di lui. Il richiamo dell'ignoto è più forte di qualsiasi spiegazione e intento razionale. Le forze ancestrali evocate nelle notti artiche hanno il sopravvento su ogni tentativo di approfondire la figura di un uomo vissuto dai più come scostante lupo solitario. Ma sono quegli stessi spiriti guida, provenienti da chissà quale landa ignota, a prenderci per mano, incendiare l'animo e divampare silenziosi come fuochi fatui tra le pieghe sonore delle immaginifiche SONGS FOR TAKEDA, l'ottimo esordio discografico realizzato da Vin come omaggio imperituro teso ad esorcizzare la drammatica scomparsa dell'amico suicida evocato nel titolo. Dieci brani niente affatto à-la page, ma decisamente incisivi e convincenti come la tradizione di certo rock e folk americano insegna. Musiche e parole che bucano la pelle, trafiggono la carne, si sedimentano nei capillari e da lì circolano, infette, dentro il corpo. Canzoni in grado di condurci in una spirale di lucida malinconia e dolore con la leggerezza di un vento che soffia forte tra i rami della folta vegetazione subpolare. Spettrale e dolente come i demoni di Roll Over My Devils. Come l'ululato lamentoso del lupo affamato che si estende nella notte sulla valle. Come la depressione. Cartoline dall'inferno, fotogrammi scarni e consunti; agghiaccianti nella loro drammatica realtà. È qui che avviene il contatto con l'ignoto attraverso il quale restiamo in contatto con dimensioni altre, ai più ancora sconosciute. Solo allora le domande salgono alte, vivide, dirette ad un cielo che resta in silenzio. La landa solitaria risponde con un muto cenno di assenso attraverso il freddo pungente, rischiarata dalla pallida luna lassù, attorniata da rade nubi rarefatte. Un salto nel buio, il riverbero di una voce spizzicata à-la Billy Idol, in acustico su Your Mama Saw You There. E ancora: sbiascicata nella torbida passività di un pericoloso fine settimana, esangue fino a scomparire dissolvendosi nell'elettricità sofferta e sofferente di Friday Night un venerdì sera qualunque. Atmosfere gotiche e acustiche in It Won't Last Long con il freddo nelle ossa e il coro finto gospel (e una chitarra presa quasi in prestito dalla vita selvaggia di una lontana Times They Change) a buttare fuori dall'oscurità la storia di un soldato vinto, sopraffatto da sé più ancora che dal destino. Dicembre è alle porte (Blue Xmas Time) e gli aghi dei pini si tramutano già in spade. Anche a Lodi. Shannon Hoon, Layney Stanley, Andrew Wood, Jeff Buckley hanno ora un amico in più. Una nuova mad season è alle porte. Max Carinelli annota tutto su un taccuino e guarda lontano.

mercoledì 15 ottobre 2014

DREMONG

DREMONG
Max Manfredi
- Gutenberg Music - 2014

"DREMONG sarà un album prodotto da me, dai miei musicisti, dal fonico, da tutti coloro che stanno dedicandovi tempo e lavoro... e da voi, da tutti voi che mi seguite, amate le mie canzoni o ne siete incuriositi e pensate che valga la pena che io continui a comporle e a cantarle." Così si esprimeva esattamente un anno fa il sempre raffinato Max Manfredi sul portale di crowdfunding Musicraiser nell'annunciare la lavorazione del suo sesto album realizzato con i contributi diretti di sempre più attenti e numerosi appassionati. Erede diretto di una certa lezione artistica tutta genovese che ha saputo fare scuola nel tempo, versificatore libero, cantautore di lusso e molto altro ancora, Manfredi arriva all'appuntamento con il disco più rock della sua carriera musicale in una fase della propria vita ampiamente votata alla ricerca e alla curiosità. Per una musica di confine ci vuole una persona che di vincoli e limitazioni ne abbia sempre meno rispetto alle regole imposte dalla società; che sia in grado di lasciarsi coinvolgere da quanto la vita gratuitamente offre e abbia intenzione di sviluppare uno sguardo acuto e curioso sull'ignoto. Non necessariamente un Ulisse dantesco, ma un Piccolo Principe sempre aperto alla meraviglia anche se ormai adulto. E un po' orso. Solitario, sfuggente, alieno a logiche basate opportunisticamente sull'avidità, attento e sensibile. Girovago per vocazione e nomade per istinto. Un raro esempio di duttilità e prudenza insieme. Tutto ciò porta oggi sulle tracce di Dremong, l'orso dal collare, nella cruda realtà quotidiana a rischio di estinzione perché da sempre cacciato e torturato per l'estrazione della sua bile ritenuta dalla medicina tradizionale cinese ingrediente afrodisiaco e curativo; orso della luna, che la tradizione giapponese associa agli spiriti delle montagne, ma anche - nell'invenzione artistica operata da Manfredi - simbolo, trasfigurazione, totem di un mondo assai più vicino a tutti noi. Le canzoni contenute in DREMONG non sviluppano un concept album eppure, nella loro eterogeneità di suoni e parole, garantiscono una circolarità di argomentazioni esatte e potenti. Genova è una volta ancora il punto di partenza, ma anche quella finestra spalancata su mondi lontani, esotici e misteriosi, conosciuti spesso solo per sentito dire, ciononostante restituiti all'ascoltatore con una adesione al vero che forse solo Salgari seppe tracciare nei suoi racconti d'avventura. Affiancato da un folto numero di strumentisti Manfredi cammina tra le strade di Finisterre, si lascia purificare dalle Piogge stagionali, ricorda gli Anni 70 e osserva tutto attorno a sé: dal nuovo riflusso che verosimilmente annienterà le effimere promesse di felicità (Disgelo), alla struggente malinconia imperversante in pieno conflitto bellico (Castagne Matte), in un viaggio lento e inevitabile dove inquietudine, disaffezione e memoria la faranno da padrone. Lo sapeva bene il professor Martin del romanzo Di tutte le ricchezze: "Di Rimbaud o di Thelonious Monk ne nasce uno al secolo; la giovinezza non vuol dire necessariamente genialità, il talento va coltivato, è un artigianato." Così come per la scrittura anche della musica "si impara ad avere una visione diversa. Non solo il lampo dell'ispirazione, ma il duro lavoro, la ricerca continua del meglio. Tagliare, ricucire, ripartire. La falegnameria dell'intellettuale. Come san Giuseppe." E come Max Manfredi. Per dirla con le parole di De André: il migliore di tutta una generazione.

martedì 14 ottobre 2014

SLOWFLASH

SLOWFLASH
Limes
- autoproduzione - 2014
 
Registrato, mixato e soprattutto arrangiato da quell'interessante Abba Zabba - al secolo Alessandro Giorgiutti - che avevamo avuto modo di scovare su qualche palco di provincia a ruota del bell'esordio cantautorale dell'astigiano Massimo Lepre a.k.a. Marrone Quando Fugge, SLOWFLASH è il primo album ufficiale dei triestini Limes dopo il piuttosto acerbo ep ESSENTIAL di qualche annetto fa. Nonostante la scelta di un nome così programmatico come quello preso in prestito dalla lingua latina non è musica di confine la loro; qui non troverete infatti oltraggiose strutture armoniche o arzigogolate variazioni strumentali che guardano alle avanguardie più spinte. Anche in campo semantico il ricorso al lessico inglese non è motivo per arditi voli pindarici e neppure occasione per imbastire innovative trame psicologiche, sceneggiature di storie inverosimili, pruriginose provocazioni. Più semplicemente, il percorso musicale del trio si assesta su un dignitoso rock - non privo di appeal - che guarda ai Coldplay come numi tutelari senza però rinnegare la forma canzone dei R.E.M. più commercialmente spigolosi (Path Of Mind) né tantomeno perdere in incisività quando le circostanze lo richiedono (The Ascent). Già la cadenzata intro strumentale Plume I, replicata in chiusura dalla gemella Plume II, circoscrive la traiettoria entro cui si compirà la parabola di questa prima prova sulla lunga distanza, dando ampio risalto alla compattezza delle ritmiche su cui poggiano chitarra elettrica e pianoforte. Intrigante fin dal principio, con una spiccata predilezione per tematiche esistenzialiste care a quella generazione di adulti di mezzo cui Mauro Mercandel, Piero Metullio e Matteo Bologna appartengono, SLOWFLASH ha una energia piuttosto contenuta e tempi di esposizione lunghi, metabolizzati principalmente dopo ripetuti ascolti, ma che nel contempo non perdono in spontaneità. La (speriamo) futura hit Pressure Variation sintetizza così una naturale irruenza pronta ad esplodere on stage e una introspettiva profondità di analisi brillantemente doppiata dall'abbandono sognante e nostalgico della delicata The Fall, omaggio al miglior brit pop d'annata. Se una collocazione geografica - apparentemente - marginale è in cerca di riscatto commerciale e necessita di maggiore esposizione quest'ultima andrà cercata tra le mura del punk funk Noise's Room o, all'opposto, nella melodia tout court della manieristica White, brillante racconto per chitarra acustica, pianoforte e voce dall'inaspettato crescendo orchestrale. Anche nell'alternanza chiaroscurale di Wood, premiata da buoni propositi e scattanti schitarrate, ma alla lunga penalizzata dalla mancanza di un ritornello vero e proprio, è evidente la crescita compositiva dei Limes rispetto al passato più prossimo. E dal momento che è un pezzo a tutta prima ostico e per nulla immediato come Tunng ad essere stato scelto come singolo apripista, si capisce come ai Nostri piaccia giocare con il fuoco e non temano il rischio. Guardiamo ad est con fiducia, dunque; tra realismo e astrazione. 

venerdì 10 ottobre 2014

DON KIXOTE

DON KIXOTE
The Shipwreck Bag Show
- Wallace Records/Brigadisco/Phonometak - 2014  

Non si può non rimanere affascinati dalla trasposizione sbilenca e rumorosamente minimalista che Roberto Bertacchini e Xabier Iriondo fanno del capolavoro cervantesco Don Chiscotte della Mancia. Per una volta non leggetelo, ma ascoltatelo e fatevelo raccontare da chi ha messo anima, cuore e cervello per riconsegnarcelo intatto in tutta la sua poderosa essenzialità che da quasi quattrocento anni travalica i secoli. È più che una rilettura questo visionario DON KIXOTE; è proprio un racconto nuovo. È una messinscena modernissima e contemporanea di altissima qualità quella che il duo The Shipwreck Bag Show fa e allestisce nei solchi di un album prezioso ed emozionante. Sarà la voce di Bertacchini, saranno gli interventi sonori di Iriondo, sarà lo script da cui tutto ha avuto origine, ma quello che più conta qui è la capacita di sintesi operata dall'affiatatissima coppia di musicisti che seleziona, taglia, riduce e illumina ciò che risulta in ultima analisi fondante l'intero romanzo, ponendo l'accento su alcuni passaggi clou basilari. Non solo cronologicamente impeccabili, ma significativamente esistenziali. È il particolare, che comprende e rivela il generale. C'è un pezzo a tal proposito, La Follia, Il Sogno, L'Ignoto, in cui ogni cosa appare, nella sua lungimiranza senza tempo, come data una volta per tutte. Un solo minuto, sessanta secondi che raccontano più di tanti libri di scuola e pedanti pagine di critica letteraria. Ciò che altrove diventa sempre più spesso merce rara è una dote che hic et nunc, su due facciate viniliche, viene elargita gratuitamente e in abbondanza: la credibilità. Quella di un lavoro che vede nello schivo leader degli Starfuckers il perfetto attore calato con naturalezza nei panni del problematico cavaliere della Mancia e che, di contro, premia il sodale musicista italo-basco quale suo alter ego di fiducia. Una via preferenziale tra i due per la realizzazione di un'opera artigianalmente ineccepibile che mescola l'alto e il basso, il tragico e il comico, la follia all'equilibrio. Disillusione e complessità con una aderenza al vero letterario che spaventa tanto è il grado di immedesimazione dei protagonisti. Non esiste più una perpetua e distaccata immutabilità di temi e ruoli. Quando l'hidalgo spagnolo perderà il senno e mostrerà tutta la delusione che l'uomo prova di fronte alla realtà, noi saremo in completa avaria con lui e il duo che lo canta. Con una voce mai allineata, per questo pura e disillusa, nella quale ritrovarsi con lucida malinconia e spirito critico. Non più un accomodante flusso di coscienza libero da geometrie unitarie e neppure una "semplice" vita parallela fra le tante possibili; ma un capitolo importante per la comprensione dell'Io interiore. Viscerale. Primitivo. Umano. Frammentario come le nostre esistenze moderne partorite, a volte, da nuovi mulini a vento.

mercoledì 1 ottobre 2014

COSA TI SCIUPA

COSA TI SCIUPA
Emiliano Mazzoni
- Gutenberg Music - 2014
 
Tracce di bellezza perduta. Dall'Appennino. Con gioia e tanta consolazione. Consolazione che le cose belle non vanno perdute; magari sono nascoste e difficili da scovare, ma senz'altro anche per questo sono conservate meglio, con cura e minuzioso attaccamento alla loro essenza affinché non subiscano le intemperie della caducità umana. Tracce di bellezza che meritano di essere poi affrancate da questa loro condizione, messe quindi in circolo nella società, libere di viaggiare per il mondo. Come è il caso delle undici voci contenute in COSA TI SCIUPA, secondo episodio discografico per il cantautore modenese Emiliano Mazzoni, primo rilasciato con la consapevolezza di avere tra le mani un lavoro maturo in grado di muovere altrove. Disincantate ballate rock con una personalissima linfa essenziale rubata alla vita, che le contraddistingue e ne accende anche le peculiarità più nascoste. Un pianoforte portante, una voce espressiva, le chitarre elettriche discrete, ma decise, svelte a innervare di elettricità parole a tratti visionarie, a tratti domestiche. Molte idee e pochi mezzi. Più che altro essenziali. Com'è la vita in montagna, legata al ciclo della natura, alle albe e ai tramonti, resa dura dalle asperità, spontanea e schietta, sincera come l'innocenza di un bambino. Con il dramma pronto a tramutarsi in opportunità se solo lo si vuole. Categorie esplorate a fondo attraverso il canto senza tempo di Un'Altra Fuga; ricordando l'addio del milite ignoto in Non Rivedrò Più Nessuno; mettendo nero su bianco il fallimento di Tornerà La Felicità. E poi ancora le storie minime, per lo più amorose e che valgono un'esistenza intera: il sentimento per la Ragazza Aria, le incerte certezze messe a nudo con Ma Perché Te Ne Vai, l'amore maturo di Ciao Tenerezza e quello pericolosamente maschio di Hey Boy, quasi fosse una rivisitazione in chiave moderna di Dream A Little Dream Of Me. Lampi e bagliori di una condizione umana che lascia germogliare gli sfrontati e reazionari propositi di Diva mitigati dalla devozione pagana di Nell'Aria C'Era Un Forte Odore. Uno spaccato credibile in cui i desideri del cuore sono necessari per la realizzazione di sé. Imprevedibile e inafferrabile COSA TI SCIUPA è la domanda inespressa, "un interrogativo senza punto di domanda, a metà strada fra una domanda ed un rovello di un uomo che non sa capire come mai tanta "splendenza" cessi di splendere, sciupandosi, senza che nessuno ne abbia colpa"; un album fatto da musicisti, con canzoni uniche, inconfondibili, realizzate con passione artigianale e senza disposizioni che non provengano altro che dall'ispirazione di un mondo lontano dal caos metropolitano, ma non per questo privo di una propria dignità e di valori veri. Anche quando negativi. Un lavoro che consente a Mazzoni di fare un altro importante passo nella direzione giusta, quella legata a tante piccole aspettative personali in grado di riversare nella creatività la loro pienezza ontologica. Per dissetarsi alla fonte del disincanto. Con l'ultima neve dell'inverno che si scioglie ai lati della strada.